CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezione VI penale
- Sentenza 1 aprile 2003 n. 492
Pres. Acquarone, Rel. Martella P.G,
Monetti (concl. conf.); A. e altri (avv.ti Fucci, Montanari, Bertolone, Di Napoli).
Cassa senza rinvio Appello Milano 16.1.2001.
1. Professioni - Ordini e Collegi - competenze - svolgimento nell'interesse della collettivita'.
2. Professioni - Ordini e Collegi - funzioni - attinenza alla professionalita' - esclusione - conseguenze - controllo degli ordini sui pubblici impiegati - esclusione.
3. Pubblico impiego - mansioni corrispondenti ad attivita' professionali - soggezione a potesta' di ordini professionali - esclusione.
1. Le competenze istituzionali degli ordini e collegi, quali risultano dalle singole leggi che li prevedono e li regolano, si riassumono nella tenuta degli albi, nell'esercizio della funzione disciplinare, nonche' nella redazione e proposta delle tariffe e nella liquidazione dei compensi, a richiesta del professionista o del privato; il tutto, sempre essenzialmente in vista dell'interesse della collettivita', e solo di riflesso o inscindibilmente, anche nell'interesse degli stessi professionisti a che la professione venga da tutti esercitata correttamente.
2. La competenza degli ordini non si estende genericamente alla "professionalita'", intesa nel senso sostanziale di possesso del titolo di studio e delle attitudini richieste per accedere all'ordine professionale, bensi' a coloro che esercitano la libera professione, esplicando l'attivita' professionale mediante contratti d'opera direttamente con il pubblico dei clienti, ovvero anche, per talune professioni, alle dipendenze di privati imprenditori. In particolare, esula dalle funzioni degli ordini professionali il controllo dei pubblici impiegati che prestino, alle dipendenze di pubbliche amministrazione, attivita' di contenuto corrispondente a quelle di una libera professione.
3. Dalla normativa risulta chiaro non solo che le componenti degli ordini attengono alle libere professioni, ma anche il principio reciproco, che i pubblici dipendenti, di qualifica omonima a quella di libre professioni soggette a controllo, ovvero svolgenti mansioni corrispondenti ad attivita' proprie di una di quelle professioni, non sono soggetti alla disciplina o ad altra potesta' dell'ordine professionale, l'iscrizione al cui albo, anzi, e' ammessa solo per attivita' estranee all'impiego. D'altra parte, il pubblico dipendente risponde, disciplinarmente, alla propria amministrazione e non certo a un ordine professionale.
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Commento
Dipendenti pubblici ed iscrizioni agli albi professionali.
Il principio forgiato dalla Cassazione penale salva gli infermieri degli ospedali della Valtellina ma contrasta con novita' presenti da tempo nell'ordinamento. Una prima lettura critica della sentenza e' svolta da Umberto Fantigrossi (Sole 24 ore, 25 luglio 2003: Infermieri ASL, non serve l'Albo), che richiama la legge 42/1999 su quella professione facendo carico alla Cassazione di una visione riduttiva del ruolo degli infermieri nella sanita'. Visione riduttiva specie se comparata al ruolo dei medici, cui anche si riferisce il D.lgs. C.p.s. 13 settembre 1946 n. 233 circa la possibilita' di iscrizione di pubblici dipendenti ad albi. Al di la' del caso deciso e dello sforzo compiuto dalla Cassazione penale (anche per superare il precedente - non citato - di Cass. Penale Sez. III, 6 luglio 1983 Domenicali, Riv. Pen. 1984, 300), emerge l'inadeguatezza delle norme del 1946 e l'opportunita' di una rapida entrata in vigore del disegno di legge Vietti sulla riforma del diritto delle professioni intellettuali. Le ventisette categorie professionali che ivi saranno disciplinate, risentono della svolta avvenuta nel 1996, allorche', con la legge finanziaria 662 (art. 1 comma 56), si e' sottolineato che i pubblici dipendenti non hanno piu' il dovere di esclusivita'. Essi possono infatti iscriversi ad albi se sono in servizio part time, pur continuando a dover essere fedeli al datore di lavoro pubblico. Di qui la necessaria revisione dell'attuale obbligo (art. 348 codice penale) di iscriversi ad un Albo se si vuole effettuare un "atto riservato" a professioni di interesse generale. Queste innovazioni, favorevoli all'iscrizione ad albi, vanno coniugate con l'ampliarsi degli "atti riservati": si pensi a Cass. Pen. Sez. VI, 8 gennaio 2003 n. 1151, Notari Stefano (Giorn. Dir. Amm., 2003, 703), in tema di adempimenti contabili, in quel caso peraltro effettuati da un sedicente ragioniere che professionista non era ma che aveva incamerato ingenti somme per denuncie fiscali da parte dei propri clienti. Le principali ipotesi che riguardano dipendenti pubblici che compiono atti professionali riservati, nell'interesse del soggetto pubblico (ospedale, Comune, ente pubblico ecc.) sono disomogenee, in quanto, a seconda dei vari ordinamenti e delle singole professioni, tali dipendenti sono a volte obbligati ad iscriversi ad un Albo (o ad una sezione "pubblica" di tale Albo). Per alcune professioni (ad esempio per i geometri), non e' nemmeno prevista una sezione pubblica dell'Albo, sicche' sorge anche un problema fisico di iscrivibilita'.
La piu' attuale ipotesi riguarda il dipendente che, lavorando part time, svolge una seconda attivita' di tipo professionale, indipendente da quella retribuita dalla pubblica amministrazione. Fino alla legge finanziaria del 1996 il dipendente che aveva tempo disponibile e forniva garanzie di non interferenza con il rapporto di lavoro poteva svolgere libera professione in casi particolari o previa specifica autorizzazione, come nel caso frequente degli insegnanti. Per il futuro, il disegno di legge Vietti prevede una generalizzata iscrizione (art. 7) agli albi professionali, uniformando i professionisti dipendenti a tempo pieno rispetto ai colleghi dipendenti a tempo definito. In tal senso le basi sono state poste dalla Corte costituzionale (sentenza 189/2001), la quale ritiene che il vigente sistema di limiti, cautele divieti e garanzie del pubblico impiego sia sufficiente ad evitare che il pubblico dipendente sia uno scorretto libero professionista. Com'e' noto, l'orientamento del giudice delle leggi del 2001 e' scaturito dalla contrapposizione del Consiglio nazionale forense alle richieste di iscrizione dei nuovi avvocati pubblici dipendenti a tempo definito, ed e' stato vissuto come una sconfitta della libera professione, minacciata da avvocati a tempo definito. Al contrario, e' utile sottolineare che la Corte costituzionale e' giunta a conclusioni favorevoli all'iscrizione ad Albi, sulla base della constatazione che tutti i liberi professionisti, pubblici e privati, sono collocati nel "mercato del lavoro, che e' naturalmente concorrenziale". E se, come si legge nel Sole 24 ore di domenica 27 luglio, in Gran Bretagna e' imminente una liberalizzazione della professione legale, con forti perdite di aree monopolistiche (ad esempio, nella consulenza su testamenti, fino ad oggi oltre Manica riservata a legali iscritti agli albi), si ha un quadro vasto e dinamico, nel quale si stempera l'osservazione della Cassazione penale che, per assolvere gli infermieri di Sondrio, esclude in generale i dipendenti pubblici dalla soggezione alla disciplina degli ordini professionali. L'utilita' e la presenza degli ordini professionali emerge in relazione alla massiccia presenza di professionisti nella pubblica amministrazione: qui gli Ordini professionali possono svolgere attivita' di controllo sull'aggiornamento, verificare gli aspetti deontologici della professione, coadiuvare nel saggiare qualita' e preparazione del personale professionale pubblico. Si pensi alla difficile adozione di provvedimenti disciplinari da parte di un ente pubblico nel campo dell'etica delle professioni; si pensi al sindacato sulla scorrettezza di un avvocato o di un veterinario pubblici dipendenti, sindacato che metterebbe in difficolta' qualsiasi usuale commissione di disciplina. Di qui l'opportunita' di una presenza di parametri di deontologia e di collegi professionali giudicanti anche nei rapporti con pubblici dipendenti. In aggiunta quindi ai compiti studio e ricerca, formazione ed aggiornamento professionale, determinazione di standard qualitativi, propri degli ordini professionali, va anche eliminata la suddivisione tra professionalita' di coloro che lavorano nella pubblica amministrazione (che non avrebbe bisogno dell'Ordine) e chi opera nel libero mercato delle professioni. E' vero che esistono spinte sindacali contrapposte agli ordini ed interessi a gestire nuovi settori quali la previdenza integrativa dei pubblici dipendenti, ma questi inconvenienti non possono impedire l'evolversi di un sistema che la Cassazione penale vorrebbe fermare agli anni 70. Giudicando di casi verificatisi decenni fa, il Consiglio di Stato sottolinea che per le funzioni infermieristiche è necessario uno specifico titolo di abilitazione e non l'iscrizione all'albo (sez.IV, 13 novembre 1992, n. 955), sottraendo al controllo degli ordini la posizione dei pubblici dipendenti che, svolgendo una prestazione di lavoro subordinato presso una p.a., effettuino compiti il cui contenuto corrispondente a quello di una libera professione. La motivazione, simile a quella che si legge in Cons. Stato, Sez. V, 23.5.1997 n. 527, e' che i dipendenti sono retribuiti in base a stipendi prefissati e soggiacciono alle regole disciplinari stabilite dalla p.a. datrice di lavoro e non dall'ordine professionale, desumendo da tale circostanza che l'Ordine non ha alcuna legittimazione ad impugnare i provvedimenti della p.a. concernenti i titoli d'idoneità professionale per lo svolgimento delle diverse mansioni.
Quanto meno dalla legge finanziaria 662 del 1996, questi concetti andranno verificati ed aggiornati, trascurando le pur attente argomentazioni della Cassazione penale sugli infermieri valtellinesi. (Poli53)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 09.03.2000, il Tribunale di Sondrio assolveva "perche' il fatto non sussiste" i nominati in epigrafe (e altri non ricorrenti) del reato di cui all'art. 348 c.p. per aver esercitato la professione sanitaria, in qualita' di infermiere professionale, presso l'Azienda Ospedaliera "Morelli" di Sondrio (gli imputati M., Q., R.), o presso l'Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Sondrio (gli altri imputati), in mancanza di iscrizione all'Albo Professionale presso il Collegio IP.As.Vi (Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari/e, Vigilatrici d'infanzia), abilitazione richiesta ai sensi dell'art. 8 D.L.vo C.P.S. 13.09.49, n. 233.
In Sondalo e in Sondrio, fino all'11 novembre 1998.
Il primo giudice motivava il proprio decisum, sulla base dei seguenti rilievi: l'art. 348 assoggetta a sanzione penale colui che "abusivamente esercita una professione per la quale e' richiesta una speciale abilitazione dello Stato".
La "ratio" della norma consiste nel tutelare l'interesse che ha la Pubblica Amministrazione di subordinare a cautele l'esercizio di alcune professioni particolarmente importanti e delicate, cosi' che le stesse siano svolte da persone aventi determinati requisiti di competenza tecnica e di probita'.
L'art. 2229 c.c. riserva alla legge il compito di determinare quelle professioni intellettuali per l'esercizio delle quali e' necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi. Tale norma, in quanto inserita nel capo II del titolo III del libro V, e' rivolta ai soli lavoratori autonomi che esercitino determinate professioni intellettuali.
La legge 29.10.1954, n. 1049 (istituiva dei collegi delle infermerie professionali, delle assistenti sanitarie visitatrici e delle vigilatrici d'infanzia), rimanda integralmente (art. 2) alle norme contenute nel D.L.vo C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, relativo alla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell'esercizio delle professioni stesse.
Dal tenore della normativa richiamata, si desume che l'obbligo della iscrizione e' previsto solo per colui che intende esercitare la libera professione e non anche per chi, impiegato in pianta stabile presso la p.a., svolga la sola attivita' di dipendente.
Anche dalle norme successivamente emanate in materia (in particolare la legge 23.12.1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale e il D.P.R. 20.12.1979, n. 761, concernente lo stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri), non si evince alcuna deroga al principio della non obbligatorietà dell'iscrizione all'albo per gli infermieri dipendenti di enti pubblici. Sul gravame interposto dal P.M., la Corte di appello di Milano, con la sentenza in epigrafe, in riforma della decisione impugnata, assolveva gli imputati dal reato loro ascritto, perche' il fatto non costituisce reato.
Argomentava la Corte territoriale, la necessita' di prendere le mosse del disposto dal D.P.R. 30.12.1979, n. 761, sullo stato giuridico dei dipendenti delle Unita' Sanitarie Locali, emanato in forza di delega contenuta nella L. 23.12.1978, n. 733, sul Servizio Sanitario Nazionale.
Di tale normativa venivano richiamati:
- L'art. 1 che dispone che "appartengono al
ruolo sanitario i dipendenti iscritti ai rispettivi ordini professionali, ove
esistano, che esplicano in modo diretto, attivita' inerenti alla tutela della
salute";
- l'art. 2, secondo cui "nel ruolo sanitario sono iscritti in distinte tabelle,
nei rispettivi profili, i medici, i farmacisti, i veterinari, i biologi, i chimici,
i fisici, gli psicologi, nonche' gli operatori di specifico titolo di abilitazione
professionale per l'esercizio di funzioni didattiche-organizzative, infermieristiche,
tecnico-sanitarie, di vigilanza e ispezione e di riabilitazione".
Alla stregua di tale dato normativo, non pareva dubbio al giudice a quo che l'abilitazione professionale costituisce per i soggetti indicati - e per cio' che specificatamente rileva in questa sede per gli infermieri professionisti - requisito per l'accesso all'impiego.
La normativa in discorso ha, pertanto, come destinatari, non solo i soggetti aspiranti ad accedere a una determinata collocazione professionale nell'ambito della P.A., ma anche la Pubblica Amministrazione stessa, la quale, in sede di concorso, deve dapprima richiedere e quindi verificare la sussistenza di un tale requisito soggettivo negli aspiranti al posto di lavoro.
Nel caso di specie, non risultava che l'Amministrazione, nel procedere alle operazioni concorsuali di selezione del personale, avesse tenuto un tale comportamento nel senso che nei bandi di concorso avesse indicato la necessita' della ricorrenza del detto requisito soggettivo e lo avesse verificato nel corso della procedura di selezione. Una tale circostanza valeva a escludere la presenza negli imputati appellanti dell'elemento soggettivo del reato in questione (consapevole convincimento di versare in una situazione di esercizio abusivo della professione, ancorche' si fosse stati a conoscenza del dettato legislativo): ne' e' conseguito il proscioglimento del reato di tutti i prevenuti con la formula "per il fatto non costituisce reato".
Con i preposti ricorsi per cassazione, gli imputati contestano la correttezza della formula assolutoria adottata dalla Corte di appello ("perche' il fatto non sussiste") e denunciano: A., B., B., C., D. F., F., F., G., M., M., M., P., P., P., P., P., Q., R., S., T. e V.- a mezzo dei difensori avv.ti Biagio Bertolone e Davide Montanari:
- violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) c.p.p.
in relazione all'art. 348 c.p.; al D.Lgs. del C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233
(a cui rimanda la L. 29.10.1954, n. 1049); al D.P.R. 20.12.1979, n. 761 (con
riferimento all'art. 47 della L. 23.12.1978, n. 833). Omessa motivazione; -
violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) c.p.p. in relazione al R.D. 27.7.1934,
n. 1265 (artt. 130/138): alla L. 29.10.1954, n. 1049, al D.Lgs. 13.9.1946, n.
233 e al reg. di art. D.P.R. 5.4.1950, n. 221; agli artt. 2229 c.c. e 33 Cost.
Carenza ed illogicita' manifesta della motivazione in riferimento all'art. 348
c.p..
- G., T., B., D. B., B., N., R., T., L. e D.- a mezzo del difensore avv. Nicola
Antonio Di Napoli: - violazione dell'art. 606 lett. b), in relazione agli artt.
348 c.p., Legge 29.10.1954, n. 1049, D.Lgs. 233/1946, D.P.R. 05.05.1950, n.
221, art. 120 D.P.R. 27.03.1969, n. 130 e D.P.R. 20.12.1979, n. 761;
- violazione dell'art. 606 lett. e) c.p.p., in relazione agli artt. 125 co.
3 c.p.p. e 546 lett. e) c.p.p.. Con tali doglianze, i ricorrenti contrappongono
le motivazioni poste dal primo giudice a base del proprio decisum (totalmente
recepite nei motivi di ricorso), alle argomentazioni della decisione impugnata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi meritano accoglimento.
Osserva la Corte: il reato di cui all'art. 348 c.p. consiste nell'esercizio abusivo di una professione, per la quale e' richiesta una speciale "abilitazione dello Stato".
Scopo della norma e' quello di salvaguardare i singoli da pericoli e danni che provengono da un'attivita' non convenientemente garantita.
Di qui l'intervento dello Stato che attraverso apposito esame, conferisce ai candidati aventi i requisiti di cultura e preparazione professionale, l'abilitazione all'esercizio professionale della categoria.
Tale requisito e', dunque, condizione indispensabile per l'esercizio professionale, la cui mancanza pone in essere il delitto di cui all'art. 348 c.p.
Cio' premesso in linea generale, va tenuto presente, con riferimento all'oggetto del presente giudizio, l'art. 8 del citato D.L.vo C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, che dispone: "per l'esercizio di ciascuna delle professioni sanitarie e' necessaria l'iscrizione al relativo albo".
Consegue che l'iscrizione all'albo e' parte integrante dell'abilitazione all'esercizio di tale professione.
A questo punto, il thema decidendum impone di stabilire, per cio' che qui interessa, se l'iscrizione all'albo professionale sia obbligatoria per tutti gli infermieri, o soltanto per coloro che esercitano la libera professione retribuita da privati.
Ritiene la Corte che, mentre il Tribunale ha esattamente applicato le norme in materia, la tesi sostenuta dal giudice di appello non trovi riscontro in una corretta interpretazione di dette norme.
A conferma di cio', sta l'art. 3 della legge teste' citata, la quale stabilisce che il Consiglio direttivo di ciascun ordine e Collegio esercita "il potere disciplinare nei confronti dei sanitari liberi professionisti iscritti all'albo". Qui espressamente la norma parla di liberi professionisti e fa comprendere che, laddove la stessa legge usa la sola parola "professionisti" si debbano intendere i liberi professionisti, giacche' non e' previsto, ne' esiste un albo di sanitari non liberi professionisti e non soggetti come tali al potere disciplinare del Consiglio direttivo dell'ordine o del Collegio. I sanitari non liberi professionisti sono quelli che esplicano la loro attivita' alle dipendenze di una pubblica amministrazione o di altro Ente, cui sono legati da un contratto di impiego. In proposito, l'art. 10 della legge in riferimento stabilisce: "i sanitari che siano impiegati in una pubblica amministrazione e ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, non sia vietato l'esercizio della libera professione, possono essere iscritti all'albo. Essi sono soggetti alla disciplina dell'ordine o collegio limitatamente all'esercizio della libera professione".
Questa norma, dunque, precisa in modo indubbio che all'albo debbano essere iscritti solo coloro che esercitano la libera professione, tanto e' cio' vero che, ove il contratto d'impiego del sanitario dipendente della pubblica amministrazione o da altro Ente non consenta l'esercizio della libera professione, l'iscrizione all'albo non e' obbligatoria ed il potere disciplinare dell'ordine o del Collegio non si estende ad essi.
A eliminare ogni dubbio in ordine all'interpretazione delle norme citate nel senso sin qui chiarito, sta l'art. 13 del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221 (avente ad oggetto "l'approvazione del regolamento per la esecuzione del decreto legislativo 13 settembre 1946, n. 233"); il quale afferma che "l'iscrizione all'albo di diritto al libero esercizio della professione (sanitaria) in tutto il territorio della Repubblica".
Ritiene la Corte che le richiamate disposizioni legislative (la cui portata normativa e' stata estesa, dalla L. 29 ottobre 1954, n. 1049, alla professione di infermiere professionali, di assistenti sanitarie e vigilatrici d'infanzia), non siano state "innovate" dalla L. 23.12.1978, n. 833, che l'art. 47, ha delegato il Governo a emanare entro il 30 giugno 1979 (termine poi prorogato al 28.12.1979) "uno o piu' decreti aventi valori di legge ordinaria per disciplinare… lo stato giuridico del personale delle Unita' Sanitarie Locali" e dal successivo D.P.R. 20.12.1979, n. 761, che, all'art. 1, fra l'altro, stabilisce: "appartengono al ruolo sanitario i dipendenti iscritti ai rispettivi ordini professionali, ove esistano, che esplicano in modo diretto attivita' inerenti alla tutela della salute". Mentre appare significativo che tra i criteri da rispettare la citata legge delegante non ha incluso quello dell'obbligo d'iscrizione all'albo per il personale appartenente al ruolo sanitario e dipendente a tempo pieno, si e' correttamente rilevato che detto articolo di legge "mira a descrivere la professionalita' specifica richiesta per l'appartenenza al ruolo sanitario del personale dipendente, che consiste nell'esercizio di attivita' direttamente rivolta alla tutela della salute. In tale contesto, l'iscrizione all'ordine professionale (e tanto piu' al non richiamato collegio professionale) risulta solo eventuale, come un riferimento di massima con valenza meramente descrittiva ed il successivo art. 2 precisa che, per gli addetti alle funzioni infermieristiche, e' necessario lo specifico titolo di abilitazione e non gia', quindi, l'iscrizione all'albo" (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. IV, 13 novembre 1992, n. 955).
Conclusivamente, e' da ritenere che, alla stregua delle norme di leggi esaminare, gli ordini e i collegi professionali sono enti pubblici, che trovano ragion d'essere nel fatto che determinate professioni, a causa di inderogabili esigenze di tutela della collettivita', possono essere esercitate solo previsto accertamento pubblico delle capacita' professionali e richiedono la sottoposizione dei professionisti a un regime di responsabilita' disciplinare sotto il profilo deontologico, fini, questi ultimi, che si ritiene possano essere perseguiti affidando i relativi compiti alla stessa comunita' professionale, obbligatoriamente costituita e rappresentata appunto da appositi ordini e collegi, e sottoponendo gli ordini stessi a vigilanza statale: "La legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali e' necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi. L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente" (art. 2229 c.c.). Le competenze istituzionali degli ordini e collegi, quali risultano dalle singole leggi che li prevedono e li regolano, si riassumono nella tenuta degli albi, nell'esercizio della funzione disciplinare, nonche' nella redazione e proposta delle tariffe e nella liquidazione dei compensi, a richiesta del professionista o del privato (su quest'ultima funzione, vedasi anche l'art. 2233 c.c.); il tutto, sempre essenzialmente in vista dell'interesse della collettivita', e solo di riflesso o inscindibilmente, anche nell'interesse degli stessi professionisti a che la professione venga da tutti esercitata correttamente.
Pertanto, la competenza degli ordini non si estende genericamente alla "professionalita'", intesa nel senso sostanziale di possesso del titolo di studio e delle attitudini richieste per accedere all'ordine professionale, bensi' a coloro che esercitano la libera professione, esplicando l'attivita' professionale mediante contratti d'opera direttamente con il pubblico dei clienti, ovvero anche, per talune professioni, alle dipendenze di privati imprenditori. In particolare, esula dalle funzioni degli ordini professionali il controllo dei pubblici impiegati che prestino, alle dipendenze di pubbliche amministrazione, attivita' di contenuto corrispondente a quelle di una libera professione.
Dalla normativa in riferimento risulta, pertanto, chiaro, non solo che le componenti degli ordini attengono alle libere professioni, ma anche il principio reciproco, che i pubblici dipendenti, di qualifica omonima a quella di libre professioni soggette a controllo, ovvero svolgenti mansioni corrispondenti ad attivita' proprie di una di quelle professioni, non sono soggetti alla disciplina o ad altra potesta' dell'ordine professionale, l'iscrizione al cui albo, anzi, e' ammessa solo per attivita' estranee all'impiego.
D'altra parte, e' ovvio che il pubblico dipendente risponde, disciplinarmente, alla propria amministrazione e non certo a un ordine professionale; e riceve una retribuzione fissa, e non gia' compensi in base a tariffe professionali, sicche' la sua iscrizione all'albo non avrebbe nessuno scopo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, decisione 23 maggio 1997, n. 527).
Da quanto sopra consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perche' il fatto non sussiste.
P.Q.M.
la Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche' il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 1 aprile 2003.
Depositata in cancelleria in data 7 luglio 2003.