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n. 7/8-2003 - © copyright.

Consiglio di Stato, sez. VI, decisione 22 agosto 2003 n.4773
Pres. Giacchetti, Rel. Cafini,
D’Urso (Avv.ti Franco Gaetano Scoca e Antonio Sorice)
c. Consorzio Acquedotti dell’Ausino (ora Azienda Servizi Idrici Integrati dell’Ausino) (Avv.ti Giuseppe Abbamonte e Francesco Accarino), Ministero del Tesoro (Avvocatura dello Stato), I.N.P.D.A.P.

1 - Atto amministrativo – avvio del procedimento – in tema di recupero somme e reinquadramento di pubblico dipendente – necessita’.

2 - Giustizia amministrativa – provvedimento emesso su impulso di ordinanza cautelare – necessita’ di previa comunicazione di avvio del procedimento – necessita’.

1 – Principio consolidato: si vedano Cons. St., Ad. Plen., 12.12.1992, n.20; 30.9.1993, n.11 e, tra la più recenti, Sez.V, 14.2.2003, n.810; Sez.VI 3.7.2002, n.3645; 20.4.2000, n.2443; Comm. Spec., parere 5.2.2001 n.478/2000.

2 – Qualora il giudice amministrativo emetta un’ordinanza cautelare in cui evidenzi un difetto di motivazione del provvedimento impugnato facendo salvi gli ulteriori provvedimenti amministrativi, il successivo provvedimento che esprima la volonta’ dell’amministrazione e’ soggetto alle procedure di comunicazione a norma della legge 241/1990. Cio’ in particolare avviene quando il successivo provvedimento adottato dall’amministrazione abbia un contenuto in massima parte diverso da quello precedentemente emesso (e sospeso dal TAR), dovendosi altresi’ escludere che il ricorrente, sulla base della semplice ordinanza cautelare, abbia avuto già conoscenza di un procedimento che la p.a. non aveva comunque l’obbligo giuridico di emanare in un determinato momento, potendo essa optare per l’attesa della pronuncia sul merito del medesimo giudice.

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E’ necessaria la comunicazione dell'avvio del procedimento (ex art.7 della legge n.241 del 1990 ed art.3 del D.P.R. 30 giugno 1955 n.1544) e’ doverosa nel caso di procedimenti di rideterminazione di retribuzione, richiesta restituzione somme e reinquadramento di pubblico dipendente (peraltro, nel caso in esame, in quiescenza). Cio’ anche al fine di consentire all'interessato di chiedere la rateizzazione del debito entro un periodo di sua scelta e con modalità da concordare per non aggravare ulteriormente il sacrificio impostogli. In particolare, la partecipazione al procedimento, lungi dall’incidere sulla concreta ripetizione dell’indebito (e dunque sull’interesse pubblico a rientrare in possesso delle somme indebitamente erogate), potrebbe evitare al debitore i disagi di una consistente decurtazione delle entrate mensili.

Osservazione di commento alla seconda massima
Il Consiglio di Stato chiarisce il meccanismo delle pronunce adottate con tecnica di remand: in particolare, all’indomani di un provvedimento in tema di inquadramento e recupero stipendi, il ricorrente ha proposto ricorso ed ottenuto una sospensiva che evidenzia difetto di motivazione, facendo salvi gli ulteriori provvedimenti amministrativi. La P.A, nell’adottare tali ulteriori provvedimenti, ha omesso di attivare la procedura di partecipazione ex lege 241/1990, incorrendo nell’attuale decisione di annullamento. La VI Sezione evidenzia l’autonomia tra il primo provvedimento (oggetto di sospensiva cosiddetta “propulsiva”) e la successiva attivita’, agevolata, nell’annullare il provvedimento impugnato, dalla circostanza che l’amministrazione ha adottato, su impulso della ordinanza cautelare, un provvedimento di contenuto “in massima parte diverso” rispetto a quello precedentemente impugnato. Il principio da applicare e’ quindi che, se su impulso del giudice amministrativo la p.a. si ridetermina, occorre ripercorrere la procedura ex lege 241/1990, tutte le volte che non vi sia una mera ripetizione del provvedimento gia’ impugnato. Basta quindi una maggior o diversa motivazione per generare autonomia tra procedimenti e innescare una nuova fase di potenziali osservazioni (con relativo onere di motivazione, qualora le osservazioni non vengano condivise). Piu’ complessa e’ l’affermazione che si legge nel punto b) deal decisione 4773/2003, secondo la quale la p.a. potrebbe (dopo una sospensiva propulsiva): 1) optare per l’attesa della pronuncia sul merito del medesimo giudice, ovvero 2) attivare il procedimento quando lo ritenga opportuno e con le modalità ritenute più congrue. Le affermazioni della Sezione vanno temperate con i principi che impongono alla p.a., dopo una sospensiva, un obbligo di provvedere, se del caso anche in modo assorbente rispetto al precedente orientamento sospeso dal giudice (Cons. Stato, Ad. Plen. 27 febbraio 2003 n. 3 in www.Giust. It. , in tema di prove di esame dopo un’ ammissione con riserva agli orali). Tale obbligo sussiste ed e’ anche coercibile con procedura cautelare.
Inoltre, e’ vero che la p.a. e’ libera nel riadottare il provvedimento impugnato, ma tale liberta’ e’ condizionata dal dictum cautelare, nel senso che il nuovo provvedimento non puo’ ignorare il precedente episodio contenzioso e l’orientamento (anche solo cautelare) del giudice. In altri termini, l’episodio cautelare non puo’ evaporare senza segni, nemmeno quando - come nel caso esaminato – si e’ dinanzi ad una sospensiva che accoglie l’istanza cautelare ritenendo che il provvedimento impugnato “risulta privo di motivazione”. L’amministrazione deve ripartire quanto meno dagli errori gia’ fatti, purgandoli e proseguendo poi con liberta’ tra le varie motivazioni adottabili (e, come oggi ci dice la VI Sezione, rinnovando il procedimento). Potrebbe pensarsi che la legge 241 generi, in questi casi, un aggravamento dei tempi e dei meccanismi, ma e’ meglio perdere 30 giorni prima del provvedimento che trovarsi (come nel caso in esame) a discutere nel 2003 di inquadramenti di dieci anni prima. (poli 1953)

 

 

FATTO

Con la sentenza in epigrafe indicata la Sezione staccata di Salerno del Tribunale amministrativo regionale della Campania ha respinto il ricorso (n.1431 del 1998) proposto dall’attuale appellante - Direttore della II Ripartizione dell’Ufficio tecnico presso il Consorzio Acquedotti dell’Ausino fino al 31.12.1992, data del suo collocamento a riposo - per l’annullamento della deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’ente 22.12.1997 n.107, con la quale si stabiliva, tra l’altro, di annullare i precedenti provvedimenti nn.24/1985 e 20/1989 (coi quali il ricorrente era stato inquadrato, rispettivamente, nella I e II qualifica dirigenziale), reinquadrando il medesimo, ai fini del trattamento pensionistico, nell’VIII q. f. e ponendo a suo carico il recupero dei ratei stipendiali, ritenuti indebitamente percepititi, qualificabili in £. 183.243.908; nonché per l’annullamento della nota della Direzione provinciale del Tesoro di Salerno 3.11.1997, n.44561, della nota 29.1.1998 n.265 di notifica della citata delibera e di tutti gli atti connessi, presupposti e conseguenti.
Il Tribunale amministrativo adito, respingendo le proposte censure di violazione e falsa applicazione degli artt.7 e 8 L. n.241/1990 e del D.P.R. n.1169/1984 nonché di eccesso di potere sotto vari profili, ha ritenuto, in particolare, che al procedimento di cui trattasi - concernente essenzialmente la materia del recupero di somme ritenute indebitamente corrisposte (oltrechè l’annullamento dei due precedenti atti di inquadramento che ad esse avevano dato luogo) - non fossero applicabili gli artt.7 e 8 della legge n.241 del 1990, ritenuti dall’interessato, invece, violati per non essergli stata fatta comunicazione, da parte dell’Amministrazione, dell’avvio del procedimento, considerato necessario in relazione sia all’annullamento dei due menzionati provvedimenti relativi ai più favorevoli inquadramenti che alla conseguente ripetizione degli emolumenti ritenuti non dovuti.
Di tale statuizione, soprattutto, si duole ora l’interessato, rilevando che essa sarebbe incorsa, oltre che nella violazione degli artt.7 e 8 della legge n.241/1990 e del D.P.R. n.1169 del 10.12.1984, in vari vizi di eccesso di potere (difetto di motivazione, illogicità, irragionevolezza, difetto di istruttoria, sviamento, contraddittorietà), avendo, peraltro, fornito una non corretta applicazione dei principi in tema di esercizio del potere di autotutela della P.A. e di affidamento, nonché dei principi in materia di recupero di somme indebitamente erogate ai pubblici dipendenti. Nelle conclusioni, l’appellante chiede che, in accoglimento del suo ricorso, sia annullata e/o riformata, previa sospensione dell’efficacia, la sentenza in epigrafe da ritenersi illegittima alla stregua delle argomentazioni svolte, con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese del giudizio.
Si è costituita l’Amministrazione consortile (ora Azienda servizi idrici integrati Ausino) che si è opposta al ricorso con un’ampia e articolata memoria, controdeducendo specificamente ai rilievi mossi dall’appellante in materia di invio dell’avviso di inizio del procedimento e circa l’annullamento del precedente illegittimo inquadramento e il recupero delle somme corrisposte e percepite, concludendo per la reiezione dell’appello perché ritenuto infondato in fatto e in diritto.
Alla Camera di consiglio fissata per l’esame della istanza cautelare la domanda stessa è stata rinviata all’udienza di merito del gravame.
Con memorie depositate in vista della discussione dell’appello le parti ribadiscono le rispettive tesi insistendo nelle già rese conclusioni.
Successivamente la causa, chiamata alla pubblica udienza del 20 maggio 2003, viene trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con la sentenza appellata la Sezione di Salerno del Tribunale amministrativo regionale della Campania, respingendo le censure di violazione e falsa applicazione di legge (degli artt.7 e 8 L. n.241/1990 e del D.P.R. n.1169/1984) e di eccesso di potere sotto vari profili, proposte nel gravame originario dall’ing. Gaetano D’Urso, ha ritenuto, tra l’altro, che al procedimento di cui trattasi, concernente essenzialmente la materia del recupero di somme precedentemente corrisposte (oltre che l’annullamento di due delibere riferite ai precedenti illegittimi inquadramenti che avevano dato luogo alla corresponsione di tali emolumenti) non fossero applicabili le citate norme della legge n.241 del 1990, dall’interessato considerate invece violate per non essergli stata fatta comunicazione, da parte dell’Amministrazione, dell’avvio del procedimento, necessario, suo avviso, sia con riguardo all’annullamento dei due menzionati provvedimenti di inquadramento, sia in relazione al disposto recupero delle somme predette.
Secondo i primi giudici, infatti, poiché il provvedimento impugnato si sarebbe inserito nel contesto di un procedimento già in itinere - in quanto adottato per ovviare al difetto di motivazione precedentemente riscontrato nell’ordinanza dello stesso Tribunale amministrativo n.1475/97 e del quale l’ing. D’Urso sarebbe stato ben a conoscenza per averlo impugnato, esprimendo così le proprie osservazioni e i propri rilievi - sarebbe stata superflua nel caso in esame un’ulteriore formale comunicazione all’interessato, tramite apposito avviso di avvio del procedimento da parte del Consorzio; e ciò perché era stato comunque già raggiunto nella specie il fine di consentire all’istante l’indicazione di eventuali fatti ed argomenti da porre alla attenzione e alla valutazione dell’autorità amministrativa.
Pertanto, l’omissione di detto avviso, per il Giudice di prime cure, non avrebbe determinato in alcun modo la denunciata illegittimità del procedimento di cui trattasi, non esistendo in capo all’ente consortile alcun obbligo di inviare al ricorrente l’avviso relativo all’ulteriore procedimento di reinquadramento (nell’VIII q.f.) e al conseguente recupero degli emolumenti corrisposti, giacché tale procedimento non sarebbe stato in effetti svolto ex novo, ma sarebbe stato una specie di prosieguo di quello precedente, “adottato per ovviare al difetto di motivazione” riscontrato con la citata ordinanza cautelare in relazione al precedente provvedimento a cui il D’Urso aveva già partecipato.

2. Contro siffatta statuizione l’appellante, denunciando l’error in judicando del Giudice di primo grado, ripropone essenzialmente (con il primo motivo) la censura di violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni (artt.7 e 8 della legge 7.8.1990) concernenti l’obbligo generalizzato che incombe in capo ala P.A. di comunicare l’avvio del procedimento amministrativo ai soggetti interessati e, in particolare, al destinatario diretto del medesimo.

2.1. La censura è fondata. Ritiene, infatti, il Collegio che l’Amministrazione ed il Giudice di prime cure (cui era stata rivolta, con il ricorso introduttivo, espressa denuncia del vizio) abbiano illegittimamente omesso, nel caso in esame, di fare applicazione degli artt.7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n.241, che impongono, come noto, all’Amministrazione stessa di comunicare l'avvio del procedimento, con le modalità previste dalla legge, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti.

2.2. E ciò per le seguenti ragioni.
a) Innanzitutto, perché nel provvedimento del TAR con cui era stata accolta per difetto di motivazione degli atti impugnati, previa riunione dei ricorsi n.2395/96 e n.1049/97, l’istanza cautelare presa in considerazione dalla sentenza appellata, non era ravvisabile alcuna specifica intimazione nei riguardi del Consorzio affinché fosse riavviato il precedente sospeso procedimento, ma vi era soltanto, oltre alla statuizione che “la determinazione assunta risulta(va) priva di motivazione”, una semplice frase di stile, posta generalmente a chiusura del decisum delle pronunce giudiziali, secondo cui debbono essere, ovviamente, “fatti salvi gli ulteriori provvedimenti amministrativi”.
b) Inoltre, perché - anche a volere ammettere che l’atto impugnato con l’originario gravame fosse stato adottato allo scopo esclusivo di sanare i vizi del procedimento riscontrati dal TAR in sede cautelare con riguardo al precedente provvedimento di reinquadramento - nella specie sarebbe stato certamente contrario ai principi di ragionevolezza e logicità dell’azione amministrativa (non avendo i primi giudici statuito alcunché in ordine alle modalità da seguire in sede di eventuale rinnovo o prosecuzione dell’atto precedentemente annullato) considerare che il ricorrente, sulla base della semplice ordinanza cautelare sopra citata, avesse avuto già conoscenza di un procedimento che il Consorzio - come evidenziato nella memoria di parte appellante - non aveva comunque l’obbligo giuridico di emanare in un determinato momento, potendo optare per l’attesa della pronuncia sul merito del medesimo giudice ovvero che poteva comunque attivare quando lo avesse ritenuto opportuno e con le modalità ritenute più congrue.
c) Infine, anche perché gli atti precedentemente impugnati davanti al TAR con i ricorsi nn.2395/96 e 1048/97 avevano un contenuto in massima parte diverso, non riportando le specifiche e puntuali determinazioni contenute invece nella delibera contestata nel ricorso respinto con la sentenza appellata.
Infatti, la deliberazione n.97 del 18.6.1996, che ha genericamente disposto il reinquadramento dell’ing. D’Urso, con effetti ex tunc, nell’VIII q.f. e la nota 27.5.1997, n.1140 diretta alla competente Direzione provinciale del Tesoro (atti impugnati con i ricorsi nn.2395/96 e 1049/97) non contengono alcuna specifica statuizione né in ordine all’annullamento dei precedenti provvedimenti nn.24/85 e 20/89, né circa il recupero dei ratei stipendiali indebitamente percepiti (quantificabili in ben £. 183.243.908), statuizioni queste che costituiscono, invece, il contenuto essenziale della citata delibera n.107/1997.
Più specificamente in quest’ultima delibera si dispone “di annullare, per effetto delle suesposte motivazioni, in sede di autotutela, i propri precedenti provvedimenti nn.24/1985 e 20/1989 e con la limitazione temporale già esposta in narrativa con riferimento al primo dei provvedimenti deliberativi, reinquadrando per ciò stesso l’ing. Gaetano D’Urso, in stato di quiescenza, ai fini del trattamento pensionistico nell’8 q.f. a far data dall’1.1.1983 al 31.12.1992; di porre a carico del dipendente del medesimo, altresì, il recupero dei ratei stipendiali indebitamente percepiti, quantificabili in £. 183.243.908, a far data dall’1.1.1983…”; di porre a carico, altresì, degli Istituti previdenziali il recupero della somma di £. 55.352.416 per pagamento contributi…conseguenti al ripristino del trattamento economico corrispondente all’8 q.f.”.
Trattasi, all’evidenza, di specifiche determinazioni (quelle adottate il 22.12.1997) in massima parte nuove e diverse rispetto a quelle contenute negli atti precedentemente conosciuti dall’interessato ed impugnati nei due succitati ricorsi del 1996-97, sicché appare indubbio che l’Amministrazione non poteva esimersi nel caso che ne occupa dal porle preventivamente a conoscenza dell’interessato attraverso apposito avviso di avvio del relativo procedimento ai sensi dell’art.7 della legge n.241/1990, onde evitare (come in effetti verificatosi) che il procedimento fosse riattivato senza che all’interessato fosse manifestata chiaramente l’intenzione di rinnovare il procedimento viziato.
Ed invero, la necessità della comunicazione dell’inizio del procedimento ai destinatari dell’atto finale è stata prevista in generale dal menzionato art.7 non soltanto per i procedimenti complessi che si articolano in più fasi, ma anche per i procedimenti semplici (che si realizzano direttamente con l’adozione dell’atto finale) i quali comportano in ogni caso una fase istruttoria da parte della stessa autorità emanante.
La portata generale del principio è, del resto, confermata dal fatto che il legislatore stesso (art.7, comma 1, ed art.13 L. 241/1990) si è premurato di apportare delle specifiche deroghe (speciali esigenze di celerità, atti normativi, atti generali, atti di pianificazione e di programmazione, procedimenti tributari) all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, con la conseguenza che negli altri casi deve in linea di massima garantirsi tale comunicazione, salvo che non venga accertata in giudizio la sua superfluità in quanto il provvedimento adottato non avrebbe potuto essere diverso anche se fosse stata osservata la relativa formalità, superfluità da escludere nel caso in esame per quanto sopra esposto (cfr., in tal senso, tra le più recenti, Cons. St., Sez.VI, n.686 del 7.2.2002; n.3645 del 3.7.2002).

2.3. La violazione delle anzidette disposizioni della legge n.241/1990 sussiste ancor più se si considera che trattasi nella specie di procedimento finalizzato, nella sostanza, al recupero di somme che si assumono erroneamente corrisposte, in ordine al quale la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, dalla quale il Collegio non ha motivi per discostarsene, è ferma nel ritenere che l’avviso dell’inizio del procedimento stesso deve essere sempre comunicato preventivamente al dipendente ai sensi dell’art.7 della citata legge n.241/1990, giacché l’atto di recupero in questione non è completamente vincolato, contenendo margini di discrezionalità sul quomodo e sul quando in ordine alla sua adozione; mentre nella specie tale comunicazione non risulta essere avvenuta (cfr., Cons. St., Ad. Plen., 12.12.1992, n.20; 30.9.1993, n.11 e, tra la più recenti, Sez.V, 14.2.2003, n.810; Sez.VI 3.7.2002, n.3645; 20.4.2000, n.2443; Comm. Spec., parere 5.2.2001 n.478/2000).
Ed invero, la relativa questione, rimessa alla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza 9.10.1991 n.628 di questa Sezione, è stata risolta dal Supremo Consesso, già con la citata decisione n.20/1992, nel senso che, in caso di ripetizione di somme erroneamente corrisposte dall’Amministrazione a seguito dell’implicito annullamento in via di autotutela del pregresso provvedimento recante la determinazione della retribuzione in misura maggiore di quella dovuta, il provvedimento, da una parte, deve essere adeguatamente motivato, dovendo l’Amministrazione valutare, al momento dell’annullamento, gli effetti già prodotti dall’atto originario e le situazioni sulle quali ha inciso e, dall’altra, deve essere preceduto dalla comunicazione dell'avvio del procedimento personalmente all'interessato, affinché questi possa intervenire presentando memorie e documenti.
La comunicazione dell'avvio del procedimento, dunque, nel caso oggetto della controversia si rendeva doverosa in applicazione dell'art.7 della citata legge n.241 del 1990 e sarebbe stata, peraltro, anche opportuna, ai sensi dell'ultimo comma dell'art.3 del D.P.R. 30 giugno 1955 n.1544, consentendo all'interessato di chiedere la rateizzazione del debito entro un periodo di sua scelta e con modalità da concordare per non aggravare ulteriormente il sacrificio impostogli.
I principi in questione - che hanno trovato conferma ulteriore, oltre che nella pronuncia successiva della stessa Adunanza Plenaria n.11/1993, anche in altre pronunce della Sezione (cfr., tra le più recenti n.3645/2002 cit.) – devono, in conclusione, trovare applicazione anche nel caso in esame, nel quale è del tutto pacifico che non è stato dato modo all’interessato di partecipare al procedimento e di prospettare così le proprie ragioni anche con riferimento ai tempi ed alle modalità della restituzione delle somme pretese dall’Amministrazione in sede di recupero.
Tale aspetto della questione si connota, peraltro, di particolare gravità se si considera anche il fatto che la decurtazione del trattamento pensionistico, disposta per un rilevante ammontare nel caso in esame, viene ad incidere sulla disponibilità di un ex dipendente pubblico, sicché, anche in punto di fatto, appare evidente che la partecipazione al procedimento, lungi dall’incidere sulla concreta ripetizione dell’indebito (e dunque sull’interesse pubblico a rientrare in possesso delle somme indebitamente erogate), avrebbe potuto, al contrario, evitare al debitore i disagi di una consistente decurtazione delle entrate mensili (cfr., in tal senso dec. n.3645 cit.).

3. Per le assorbenti considerazioni che precedono, l’appello deve essere dunque accolto, e, in riforma della sentenza in epigrafe, deve essere annullato il provvedimento impugnato in primo grado, fatti salvi i successivi provvedimenti dell’Amministrazione.
Le spese dei due gradi del giudizio possono essere compensate sussistendo al riguardo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza della Sezione di Salerno del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sopra menzionata, accoglie il ricorso proposto in primo grado dall’attuale appellante ed annulla il provvedimento oggetto del predetto ricorso, facendo salvi gli ulteriori provvedimenti. Spese compensate.

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