CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – Decisione 26
agosto 2003 n. 4847
Pres. Schinaia Est. De Nictolis
Comune di Salsomaggiore Terme (Avv.ti Cugurra e Romano)
c. La Boscarella s.n.c. (Avv.ti Andreoli, Cremonini e Vacirca), Wind Telecomunicazioni
s.p.a. (Avv.ti Mazzeo e Fiori) e Vodafone Omnitel s.p.a., Blu s.p.a., Tim s.p.a.
e H3G s.p.a. (n.c.) - (riforma in parte T.A.R. Emilia Romagna – Parma, 6 febbraio
2003 n.54 http://www.giustamm.it/private/tar/taremiliaparma_2003-02-06.htm)
1. Ambiente - Impianti per telefonia cellulare - Acquisizione delle aree necessarie mediante espropriazione per pubblica utilita’ - possibilità.
2. Ambiente - Impianti per telefonia cellulare - natura di opere private di pubblica utilita’.
1. E’ legittima una procedura espropriativa attivata da un Comune al fine di consentire la localizzazione e la realizzazione di impianti di telefonia mobile, che dovranno essere realizzati e saranno di proprietà privata, ovvero degli enti gestori di telefonia mobile; il potere espropriativo in capo al Comune discende dalla titolarita’ dei poteri di pianificazione urbanistica al fine della corretta localizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione (art. 8, l. n. 36/2001), in quanto l’espropriazione e’ strumentale alla corretta pianificazione e inserimento nel tessuto urbano di tali opere.
2.Gli impianti di telefonia mobile e le relative opere accessorie, nell’attuale legislazione (l. 22 febbraio 2001 n. 36, art. 2, co. 1, del d.p.r. 19 settembre 1997 n. 318, art. 3 del d.lgs. n. 198/2002, art. 16 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, l. n.166/2002), non sono né opere private in senso stretto, né opere pubbliche, ma opere private di pubblica utilità, trattandosi di impianti di interesse generale, gestiti da soggetti privati con criteri imprenditoriali.
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Nota di commento
L’ente locale puo’ scegliere le aree per localizzare antenne radio e procedere ad espropriarle. Cessa cosi’ il contrasto non solo tra gestori di impianti (Wind, Omnitel, Blu, Tim, H3G) ed il Comune di Salsomaggiore Terme, ma anche, potenzialmente, tra molti privati. Secondo il Consiglio di Stato, il Comune recepisce le esigenze dei gestori, formalizzato in un piano pluriennale; sulla base di tale fabbisogno individua “aree tecnologiche”, scelte su ampia scala attraverso parametri multidisciplinari (paesaggistici, morfologici, sanitari). Le aree individuate sono poi espropriate dal comune, che le attrezza collocandovi adeguate strutture (pali, aree per centraline) e le assegna in uso ai gestori. Questi ultimi versano un corrispettivo e restano soggetti ad oneri pluriennali , non solo economici ma anche di comportamento (ad esempio devono accettare la multigestione, senza ostacolare l’irradiazione altrui). Nel frattempo il legislatore statale aveva emesso il decreto 198/2002, che ha molto irrigidito i rapporti tra Governo ed autonomie locali. La procedura innovativa avra’ ripercussioni anche nei rapporti tra privati, in quanto nelle aree tecnologiche potrebbero essere spostate alcune antenne presenti sui tetti dei condomini o su altri luoghi non graditi al vicinato.
Da segnalare, nel ragionamento della sentenza (che ribalta il primo grado disio dal TAR Parma n.54/2003, http://www.giustamm.it/private/tar/taremiliaparma_2003-02-06.htm), l’uso interpretativo dei sopravvenuti (rispetto ai provvedimenti impugnati) Testi unici sull’edilizia e sulle espropriazioni: le antenne non sono piu’ considerate opere di imprenditori privati, ma sono “opere private di pubblica utilità”, cioe’ impianti di interesse generale gestiti da soggetti privati. La pubblica utilita’ degli impianti di telefonia mobile e delle relative opere accessorie implica: a) la possibilità di utilizzare lo strumento espropriativo, cioe’ l’acquisto d’autorita’ dell’area necessaria per localizzare l’impianto; b) l’obbligo di commisurare l’indennità di esproprio al valore venale dell’area; c) l’impossibilita’ di un intervento urgente, in variante al piano regolatore (com’e’ invece possibile per le opere pubbliche o quelle che fruiscono di finanziamento pubblico); d) la competenza del Comune a pianificare urbanisticamente la localizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione nel tessuto urbano.
Tutto cio’ dovrebbe limitare l’antagonismo tra proprietari di lastrici solari, tetti o luoghi elevati, fino ad oggi corteggiati da imprese di telefonia ma osteggiati da vicini o inquilini degli appartamenti sottostanti, che non tolleravano impianti ritenuti di dubbia salubrita’. Dovrebbe anche cessare la contrapposizione tra imprese di telecomunicazioni, per la ricerca e l’uso in esclusiva dei terrazzi e dei punti migliori per la trasmissione via radio. Infine, dovrebbe trovare calmiere economico l’uso dei luoghi idonei a collocare antenne, in quanto l’intervento del Comune sottrae al libero mercato la contrattazione su spazi per antenne.
All’interno di centri abitati, di aree fortemente urbanizzate, permarranno i problemi, in quanto sara’ difficile procedere con esproprio e sottrarre terrazzi o costruzioni ai privati. Nei centri urbani, quindi, molte antenne sono destinate a rimanere sui tetti privati, almeno fino a quando non emergano serie esigenze sanitarie, che consiglino di spostare impianti esistenti, concentrandoli in uniche collocazioni. Anche utilizzando il nuovo testo unico sulle espropriazioni, vi saranno discussioni in tema di indennizzo spettante ai proprietari espropriati per far posto alle aree tecnologiche, aree che saranno date in locazione a corrispettivi consistenti (sulla base dei parametri correnti per le localizzazioni su proprieta’ private). Chi si vede sottratta un’area da destinare ad antenne radio, non si accontentera’ ne’ del valore agricolo ne’ di quello edificatorio (dovuto per la legge sulle espropriazioni), poiche’ il valore per metro quadro di un’installazione tecnica e’ superiore al valore di un’area suscettibile ad edificazione residenziale. L’area viene infatti utilizzata per finalita’ di riutilizzo economico, ribaltando sui concessionari i costi dell’approntamento del palo e degli accessori, oltre ad un prevedibile utile del Comune.
Nel contempo, tuttavia, potrebbe placarsi il rapporto tra Stato ed enti locali, giunto ad un livello di incandescenza con il decreto cd. Gasparri (decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, sul quale v. V. TRIGGIANI, Il decreto “Gasparri” ed i principi fondamentali di politica ambientale comunitaria, in questa Rivista n. 10-2002). Se si puo’ espropriare l’area idonea ad accogliere le antenne, i Comuni e le Regioni si vedono restituire funzioni urbanistiche e compiti di tutela sanitaria, mentre cessa l’autoritaria sovrapposizione tra impianti e pianificazione urbanistica. Con un’ adeguata pianificazione, non sara’ quindi piu’ necessario usare l’art.3 del decreto Gasparri per imporre ai cittadini di accettare la collocazione delle antenne. Cio’ almeno finche’ non si pronunci la Corte costituzionale, investita con ordinanze n. 160 e 161/2003 del R.O. (su rinvio del TAR Lecce). (poli 53)
FATTO E DIRITTO
1. Il Comune di Salsomaggiore Terme, anche in
considerazione della sua particolare vocazione nel campo termale e in vista
del conferimento del relativo marchio di qualità ai sensi dell’art. 13, l. n.
323/2000, nell’ambito dei poteri di pianificazione urbanistica previsti dall’art.
8, l. n. 36/2001, a tenore del quale i Comuni possono approvare un regolamento
per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti
di telefonia e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici,
individuava un certo numero di siti idonei alla collocazione degli impianti.
Tanto, al fine di evitare la ubicazione degli impianti in modo disordinato e
al di fuori di un programma rispettoso dell’ambiente e della conformazione del
territorio.
Con delibera 12 febbraio 2001, n. 33, il Comune di Salsomaggiore assumeva un
atto di indirizzo in cui si stabilisce tra l’altro che il Comune possa reperire
direttamente, con oneri a carico dei soggetti gestori, le aree interessate dalla
collocazione degli impianti.
Con delibera 6 febbraio 2002, n. 6, il Comune approvava il piano di coordinamento
e autorizzava gli uffici comunali a predisporre i progetti dei siti e gli atti
necessari alla loro realizzazione.
Con nota 4 marzo 2002 il Comune informava i proprietari delle aree individuate
come idonee.
Con delibera 30 maggio 2002, n. 59, il Comune approvava il progetto relativo
a 8 siti attrezzati per la collocazione delle antenne di telefonia mobile e
adottava la relativa variante urbanistica ai sensi dell’art. 1, l. n. 1/1978;
con lo stesso atto veniva integrato il programma triennale delle opere pubbliche.
Tale progetto non riguarda gli impianti di telefonia mobile, bensì i siti attrezzati
per la collocazione degli impianti.
Viene prevista l’espropriazione delle aree da utilizzare per i siti attrezzati,
il mantenimento della proprietà delle aree in capo al Comune, la realizzazione
di tali siti direttamente da parte del Comune, la concessione delle aree a titolo
oneroso ai gestori degli impianti di telefonia mobile.
2. Con ricorso al T.A.R. per l’Emilia – Romagna
– Parma, la società La BOSCARELLA, proprietaria di una delle aree oggetto del
progetto approvato dal Comune, impugnava gli atti sopra indicati.
Il T.A.R. adito con la sentenza in epigrafe ha accolto il primo motivo di ricorso,
ritenendo, in adesione alla tesi della ricorrente, che: la realizzazione da
parte del Comune di un sito attrezzato su cui i gestori di telefonia possano
allestire i propri impianti non costituirebbe un’opera pubblica, sicché insussistente
sarebbe il potere espropriativo in capo al Comune medesimo. Così come gli impianti
di telefonia non sarebbero opere pubbliche, ma opere private, ancorché di interesse
pubblico.
Il T.A.R. ha assorbito i restanti motivi di ricorso.
3. Hanno spiegato appello principale il Comune
di Salsomaggiore e la Wind Telecomunicazioni, deducendo che in base alla normativa
vigente il Comune avrebbe il potere di espropriare aree da destinare a siti
attrezzati per gli impianti di telefonia, aree che rimangono di proprietà pubblica.
Tali siti sarebbero da qualificare come opera pubblica, con la conseguente applicabilità
del procedimento di cui all’art. 1, l. n. 1/1978. Inoltre tali opere andrebbero
qualificate come vere e proprie opere di urbanizzazione.
Entrambi gli appelli, poi, eccepiscono l’inammissibilità per tardività del ricorso
di primo grado, in relazione alle delibere 12 febbraio 2001, n. 33, e 6 febbraio
2002, n. 6.
Tali provvedimenti sarebbero stati portati a conoscenza della società ricorrente
con nota del 4 marzo 2002.
4. Nell’ordine logico delle questioni, va anzitutto
esaminata l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado.
La stessa è infondata.
Invero, il termine per impugnare i provvedimenti amministrativi decorre dalla
loro notificazione, comunicazione, o piena conoscenza.
E’ onere di chi eccepisce la tardività del ricorso provare la data dell’evento
della conoscenza.
Ora, la nota 4 marzo 2002 si limita a citare il provvedimento 6 febbraio 2002,
n. 6 (e non anche il provvedimento n. 33/2001), senza allegarlo e senza riportarne
il contenuto.
Si deve perciò escludere che la nota 4 marzo 2002 equivalga a notificazione,
comunicazione, o comunque piena conoscenza del provvedimento n. 6/2002 e del
provvedimento n. 33/2001.
Né gli appellanti hanno in altro modo dimostrato come e in che data la società
ricorrente in prime cure abbia avuto piena conoscenza di tali atti.
5. Nel merito, il motivo principale dei due
appelli è solo parzialmente fondato.
La sentenza gravata merita riforma laddove esclude la sussistenza del potere
espropriativo del Comune per la realizzazione di siti attrezzati da destinare
ad impianti di telefonia mobile. Deve invece ritenersi corretto l’annullamento
del provvedimento 30 maggio 2002, n. 59, per avere lo stesso seguito illegittimamente
il procedimento di variante urbanistica di cui all’art. 1, l. n. 1/1978.
Ritiene infatti il Collegio che gli impianti di telefonia mobile, e le relative
opere accessorie, non siano da qualificare né come opere private in senso stretto,
né come opere pubbliche, bensì come opere private di pubblica utilità.
Sicché, è consentita l’espropriazione, ma: l’art. 1, l. n. 1/1978, è inapplicabile,
riferendosi solo alle opere pubbliche; l’indennità di espropriazione va commisurata
al valore venale.
A tali conclusioni si perviene alla luce del quadro normativo, sia quello vigente
all’epoca di adozione degli atti impugnati, sia quello sopravvenuto.
5.1. Anzitutto, la l. 22 febbraio 2001, n. 36,
"Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici
ed elettromagnetici", all’art. 8, co. 6, stabilisce, in relazione agli
impianti di telefonia mobile, che "I comuni possono adottare un regolamento
per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti
e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici".
Sussiste dunque senz’altro il potere di pianificazione urbanistica dei Comuni
in relazione agli impianti di telefonia mobile.
5.2. Occorre ora stabilire la natura giuridica
di tali impianti. Il servizio di telefonia mobile è considerato un servizio
pubblico, come si evince dall’art. 2, co. 1, d.p.r. 19 settembre 1997, n. 318,
a tenore del quale: "L'installazione, l'esercizio e la fornitura di reti di
telecomunicazioni nonché la prestazione dei servizi ad esse relativi accessibili
al pubblico sono attività di preminente interesse generale".
Quanto alla natura giuridica degli impianti, rilevante anche ai fini urbanistici
per la loro localizzazione, si tratta di impianti di interesse generale, gestiti
da soggetti privati con criteri imprenditoriali.
Sicché, la qualificazione corretta degli impianti è di opere private di pubblica
utilità.
5.3. Giova in proposito esaminare il contenuto
del d.lgs. 4 settembre 2002, n. 198, non in vigore all’epoca di adozione degli
atti impugnati, ma che ha una portata ricognitiva della precedente elaborazione.
L’art. 3, d.lgs. n. 198/2002, rubricato "Infrastrutture di telecomunicazioni",
distingue: 1) infrastrutture di telecomunicazioni strategiche, come individuate
con la delibera CIPE di cui all’art. 1, l. n. 443/2001; infrastrutture di telecomunicazione
di cui all’art. 4; infrastrutture strumentali di cui agli artt. 7, 8, 9.
Le prime sono opere di interesse nazionale; le seconde sono compatibili con
qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio
comunale; le terze sono assimilate alle opere di urbanizzazione primaria, ma
rimangono di proprietà dei rispettivi operatori.
In particolare l’articolo così dispone:
"1. Le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche
ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 sono
opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure
definite dal presente decreto, anche in deroga alle disposizioni di cui all'articolo
8, comma 1, lettera c), della legge 22 febbraio 2001, n. 36.
2. Le infrastrutture di cui all'articolo 4, ad esclusione delle torri e dei
tralicci relativi alle reti di televisione digitale terrestre, sono compatibili
con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del
territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra
disposizione di legge o di regolamento.
3. Le infrastrutture di cui agli articoli 7, 8 e 9 sono assimilate ad ogni effetto
alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'articolo 16, comma 7, del decreto
del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, pur restando di proprietà
dei rispettivi operatori, e ad esse si applica la normativa vigente in materia".
In particolare, le infrastrutture di cui all’art. 4, sono: infrastrutture per
impianti radioelettrici l'installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti,
di ripetitori di servizi di telecomunicazione, di stazioni radio base per reti
di telecomunicazioni mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione
e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza
dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti
radio a larga banda puntomultipunto nelle bande di frequenza all'uopo assegnate".
L’art. 7, a sua volta, si riferisce ad opere civili, scavi ed occupazioni di
suolo pubblico, strumentali all’installazione di infrastrutture di telecomunicazioni.
L’art. 9 riguarda le "reti dorsali" e prevede che l’approvazione delle stesse
vale anche come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza
dei lavori.
5.4. A sua volta, l’art. 16, d.p.r. 6 giugno
2001, n. 380 (testo unico dell’edilizia, in parte qua ricognitivo del diritto
vigente), non qualifica le infrastrutture di telecomunicazione come opere di
urbanizzazione primaria o secondaria, salvo che per i cavedi e i cavidotti;
dispone, infatti, l’articolo in commento, ai commi 7, 7 bis (introdotto quest’ultimo
dalla l. n. 166/2002), e 8:
"7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi:
strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica,
rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione,
spazi di verde attrezzato.
7-bis. Tra gli interventi di urbanizzazione primaria di
cui al comma 7 rientrano i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio
di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla
base dei criteri definiti dalle regioni. 8. Gli oneri di urbanizzazione secondaria
sono relativi ai seguenti interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell'obbligo
nonché strutture e complessi per l'istruzione superiore all'obbligo, mercati
di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti
sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature
culturali e sanitarie. Nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere,
le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla
distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla
bonifica di aree inquinate".
5.5. Da tali norme si evince la sussistenza
di un interesse generale alla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione,
e delle infrastrutture accessorie; si evince altresì che l’approvazione dei
progetti relativi alle reti dorsali vale come dichiarazione di pubblica utilità.
Ma si evince altresì che le opere in questione non assurgono alla qualificazione
e al regime delle opere pubbliche, in quanto:
sono realizzate da soggetti privati;
sono destinate alla gestione di un servizio con criteri imprenditoriali;
necessitano comunque di un atto di autorizzazione, a differenza delle opere
pubbliche (v. art. 7, t.u. edilizia);
le infrastrutture di telecomunicazione non vengono qualificate come opere pubbliche
né come opere di urbanizzazione;
le infrastrutture accessorie sono assimilate alle opere di urbanizzazione, ma
rimangono di proprietà dei soggetti privati; il che comporta la necessità di
titolo abilitativo, a differenza che per le opere pubbliche di urbanizzazione,
secondo quanto si evince sia dall’3, co. 1, lett. e.2., t.u. edilizia, sia dalla
precedente giurisprudenza che ha sempre ritenuto assoggettate a concessione
edilizia le opere di urbanizzazione primaria e secondaria non realizzate dal
Comune.
5.6. La natura di opere private di pubblica
utilità delle infrastrutture di telecomunicazione trova indiretta conferma pure
nell’art. 3, co. 3, l. 1° agosto 2002, n. 166 "disposizioni in materia di infrastrutture
e trasporti" a norma del quale la procedura di cui all’art. 43, t.u. espropriazioni,
in materia di acquisizione di beni privati senza titolo espropriativo, può trovare
applicazione anche per l’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio
di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze
o che svolgano, anche in base a legge, servizi di interesse pubblico nei settori
di cui al comma 1 (trasporti, telecomunicazioni, acque, energia), con oneri
di esproprio a carico dei soggetti beneficiari.
Ora, la espropriabilità del diritto di servitù (e se del caso l’acquisizione
con la procedura di sanatoria dell’art. 43, t.u. espropriazioni) in favore di
soggetti che svolgono servizi di interesse pubblico nel settore, tra l’altro,
delle telecomunicazioni, non avrebbe necessitato di una espressa previsione
normativa, se si fosse trattato di opere pubbliche; la espressa previsione si
giustifica nell’ottica della natura di opere private di pubblica utilità.
5.7. Anche in relazione al quadro normativo
anteriore al d.lgs. n. 198/2002 e alla l. n. 166/2002, la giurisprudenza aveva
ritenuto che "in assenza di una specifica previsione urbanistica la collocazione
degli impianti di telefonia mobile deve ritenersi consentita sull’intero territorio
comunale, non assumendo carattere ostativo le specifiche destinazioni di zona
(residenziale, verde, agricola, etc.) rispetto ad impianti di interesse generale,
che presuppongono la realizzazione di una rete che dia uniforme copertura al
territorio, in quanto la localizzazione degli impianti nelle sole zone in cui
ciò è espressamente consentito si porrebbe in contrasto proprio con l’esigenza
di permettere la copertura del servizio sull’intero territorio" (C. Stato, sez.
VI, 10 febbraio 2003, n. 673).
Ma aveva tuttavia escluso che tali opere fossero da qualificare come opere pubbliche
o di urbanizzazione, e aveva ritenuto che fossero soggette a concessione edilizia,
in particolare, le stazioni radio base per telefonia cellulare e le relative
antenne, atteso che tali impianti non possono ritenersi urbanisticamente irrilevanti,
non essendo precari e tanto meno privi di impatto estetico ed ambientale (C.
Stato, sez. V, 6 aprile 1998, n. 415).
5.8. Ancora, in base all’art. 231, co. 1, d.p.r.
29 marzo 1973, n. 156, "Gli impianti di telecomunicazioni e le opere accessorie
occorrenti per la funzionalità di detti impianti, semprechè siano esercitati
dallo Stato o dai concessionari, per i servizi concessi ad uso pubblico, hanno
carattere di pubblica utilità".
Sicché, gli impianti di telecomunicazione non sono qualificabili come opere
pubbliche, bensì come opere di pubblica utilità.
Lo stesso art. 231, d.p.r. n. 156/1973, pur consentendo l’espropriazione per
l’acquisizione delle aree necessarie per tali impianti, la considera una estrema
ratio, cui ricorrere quando non sia possibile una acquisizione negoziale: "Per
l'acquisizione patrimoniale dei beni immobili necessari alla realizzazione degli
impianti e delle opere, di cui al primo comma, può esperirsi la procedura di
esproprio prevista dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359, e successive modificazioni
ed aggiunte.
Tale procedura può essere esperita dopo che siano andati falliti, o non sia
stato possibile effettuare, i tentativi di bonario componimento con i proprietari
dei fondi sul prezzo di vendita offerto, da valutarsi da parte degli uffici
tecnici erariali competenti".
5.9. Sicché, sia il quadro normativo in vigore
alla data di adozione degli atti impugnati, sia il d.lgs. n. 198/2002, confermano
che le infrastrutture di telecomunicazione e quelle ad esse accessorie, sono
opere private di pubblica utilità.
Il che implica:
- la possibilità di utilizzare lo strumento espropriativo, che riguarda sia
le opere pubbliche che quelle private di pubblica utilità (come ora confermato
dall’art. 1, co. 1, d.lgs. 2001 , n. 327, testo unico delle espropriazioni immobiliari:
"il presente testo unico disciplina l'espropriazione, anche a favore di privati,
dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili per l'esecuzione di opere
pubbliche o di pubblica utilità", in parte qua confermativo della disciplina
precedente);
- la sottoposizione dell’espropriazione finalizzata a opere private di pubblica
utilità a regole parzialmente difformi rispetto a quelle dettate per le opere
pubbliche:
- anzitutto, l’indennità va commisurata al valore venale (come ora confermato
dall’art. 36, t.u. espropriazioni, confermativo della costante elaborazione
giurisprudenziale, secondo cui il criterio del valore venale si applica alle
espropriazioni a favore di privati, diverse da quelle finalizzate agli interventi
di edilizia residenziale pubblica; cfr. Cass., 7 novembre 1981, n. 5880; Cass.,
sez. un., 25 gennaio 1989, n. 409);
- in secondo luogo, è inapplicabile l’art. 1, l. n. 1/1978, che riguarda solo
le opere pubbliche, o quelle di pubblica utilità che fruiscono di finanziamento
pubblico (v. C. Stato, ad. plen. 25 gennaio 2000, n. 9; solo il testo unico
per le espropriazioni immobiliari, non ancora in vigore, assimila in toto il
procedimento espropriativo per le opere pubbliche e di pubblica utilità, salvo
che per la misura dell’indennità).
5.10. Venendo al caso di specie, occorre considerare
che:
il Comune si è avvalso del procedimento di variante urbanistica di cui all’art.
1, l. n. 1/1978, per acquisire un’area da adibire a sito attrezzato, destinato
a rimanere di proprietà comunale, e da affidare in concessione ai gestori di
telefonia mobile per l’installazione degli impianti necessari; il Comune ha
altresì previsto che gli oneri del procedimento espropriativo fossero a carico
dei soggetti gestori.
Ora, dal complesso quadro normativo si evince che sono opere di pubblica utilità,
e non opere pubbliche, non solo le infrastrutture di telecomunicazione, ma anche
le infrastrutture a queste strumentali.
Sicché, la sola circostanza che il Comune rimane proprietario delle aree espropriate
e che realizza direttamente il sito, non vale a qualificare l’opera come opera
pubblica, in quanto:
l’intervento è finanziato dai soggetti privati interessati;
l’intervento è strettamente strumentale alle infrastrutture di telecomunicazione.
5.11. La sussistenza del potere espropriativo
in capo al Comune per la realizzazione di siffatte opere private di pubblica
utilità discende dalla spettanza, ai Comuni, dei poteri di pianificazione urbanistica
al fine della corretta localizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione
(art. 8, l. n. 36/2001); in tale ottica, l’espropriazione appare strumentale
alla corretta pianificazione e inserimento nel tessuto urbano di tali opere.
Deve invero ritenersi sussistente un potere generale del Comune di espropriare
le aree inedificate, al fine della corretta attuazione del piano regolatore,
ora sancito dall’art. 7, co. 1, lett. a), t.u delle espropriazioni ("Il Comune
può espropriare: a) le aree inedificate e quelle su cui vi siano costruzioni
in contrasto con la destinazione di zona o abbiano carattere provvisorio, a
seguito dell'approvazione del piano regolatore generale, per consentirne l'ordinata
attuazione nelle zone di espansione"), che ha recepito la previsione di cui
all’art. 18, co. 1, l. 17 agosto 1942, n. 1150 ("18. Espropriabilità delle aree
urbane. In conseguenza dell'approvazione del piano regolatore generale i Comuni,
allo scopo di predisporre l'ordinata attuazione del piano medesimo, hanno facoltà
di espropriare entro le zone di espansione dell'aggregato urbano di cui al n.
2 dell'art. 7 le aree inedificate e quelle su cui insistano costruzioni che
siano in contrasto con la destinazione di zona ovvero abbiano carattere provvisorio").
A tale norma generale si aggiunge quella, specifica, di cui al già citato art.
231, co. 1, d.p.r. n. 156/1973, che consente il ricorso alla procedura di esproprio
per l’acquisizione delle aree occorrenti per la realizzazione degli impianti
di telecomunicazione e opere accessorie. Ancora, un argomento si trae dall’art.
6, co. 9, T.U. espropria (in vigore dal 1° luglio 2003) a tenore del quale per
l’espropriazione finalizzata alla realizzazione di opera privata, autorità espropriante
è l’ente che emana il provvedimento da cui deriva la dichiarazione di pubblica
utilità.
Fermo restando che il Comune ben poteva espropriare le aree destinate alla realizzazione
dei siti su cui ubicare gli impianti di telecomunicazione, tuttavia il procedimento
non poteva svolgersi con l’applicazione dell’art. 1, l. n. 1/1978.
Alla luce di quanto esposto, si deve concludere che la sentenza gravata va riformata
nella parte in cui nega la sussistenza del potere espropriativo in capo al Comune,
mentre merita conferma l’annullamento giurisdizionale del provvedimento n. 59/2002,
per aver seguito il procedimento di cui all’art. 1, l. n. 1/1978.
Resta impregiudicata l’applicazione del jus superveniens (d.lgs. n. 198/2002)
in ordine alla compatibilità delle infrastrutture di telecomunicazione con ogni
destinazione di zona dello strumento urbanistico.
6. Passando all’esame degli altri motivi del ricorso di primo grado, che il T.A.R. ha assorbito:
6.1. va respinto il secondo motivo del ricorso di primo grado, fondato sull’erroneo assunto della natura di opera pubblica dell’intervento progettato dal comune;
6.2. è assorbito dall’annullamento del provvedimento n. 50/2002 il terzo motivo del ricorso di primo grado, con cui si deduce l’inidoneità dell’approvazione del progetto (asseritamente solo preliminare) a produrre l’effetto di variante urbanistica di cui all’art. 1, l. n. 1/1978;
6.3. va disatteso il terzo motivo del ricorso di primo grado, relativo ai requisiti della progettazione, fondato sull’erroneo assunto della natura di opera pubblica dell’intervento progettato dal comune;
6.4. va respinto il quarto motivo di ricorso, con cui si lamenta l’omissione dell’avviso di avvio del procedimento relativamente agli atti anteriori al provvedimento n. 59/2002, trattandosi di atti non aventi destinatari agevolmente individuabili; mentre per quanto riguarda l’omissione di avviso di avvio del procedimento in relazione al provvedimento n. 59/2002, la censura è fondata (non avendo la nota 4 marzo 2002, n. 5295, valore di avviso di avvio del procedimento di espropriazione, ma solo di autorizzazione ai tecnici di accedere a terreni privati, allo scopo di progettazione dei siti), ma assorbita dall’annullamento giurisdizionale di tale provvedimento per erronea applicazione della l. n. 1/1978.
7. La novità delle questioni giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(sezione sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso principale e su quello
incidentale in epigrafe, li accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate