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Giurisprudenza
n. 9-2003 - © copyright

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, Sentenza 8 settembre 2003 n. 5025
Pres. Frascione, rel. Fera
ULSS n. 22 della Regione Veneto (avv.ti Aldo Fichera e Mario Sanino)
c. i dottori Augusto Baraldi, Roberta Gozzi e gli eredi del dott. Giuseppe Sandri (signori Alida Messetti, Maria Fabrizia Sandri, Chiara Sandri e Mario Sandri) (Avv.ti Mario dalla Bernardina e Luigi Manzi).

1 - Stipendi, assegni ed indennita’ - indebita erogazione – e’ atto dovuto – specifica motivazione - necessita’ - esclusione

1 - Nel caso di indebita erogazione di denaro ad un pubblico dipendente, la buona fede non e' di ostacolo all'esercizio da parte dell'amministrazione del diritto di ripetere le relative somme ai sensi dell'art. 2033 c.c., essendo il recupero (con modalità, che non devono essere eccessivamente onerose per il dipendente che subisce il recupero) di regola un atto dovuto e privo di valenza provvedimentale, nell'adozione del quale l'amministrazione stessa non e' tenuta a fornire una specifica motivazione, essendo sufficiente che vengano chiarite le ragioni per le quali il percipiente non aveva diritto alla somma che gli e' stata corrisposta (fattispecie in tema di somme erogate – e recuperate - a partecipanti senza titolo all’ufficio di direzione di una USL).

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Nota di commento
Nello stesso senso della decisione in commento, vedi Consiglio Stato, sez. VI, 10 gennaio 2003, n. 43. I principi che operano in materia escludono che la buona fede del percipiente impedisca di per sè la ripetizione di somme indebitamente erogate ad un dipendente pubblico, imponendo soltanto modalità di recupero tali da non comportare un eccessivo aggravio per la sua posizione (T.A.R. Toscana, sez. I, 27 gennaio 2003, n. 105); infatti, la norma di cui all'art. 52 l. 9 marzo 1989 n. 88 che limita il recupero delle somme indebitamente corrisposte all'ipotesi del dolo del percipiente, è dettata in materia di previdenza sociale e, come norma eccezionale, non può applicarsi in materia di pubblico impiego, in cui l'amministrazione è tenuta alla ripetizione dell'indebito, salvo il rilievo, ai soli fini delle modalità di recupero, della buona fede del soggetto interessato. La rateizzazione deve comunque consentire la duratura percezione di una retribuzione tale da assicurare un'esistenza liAbera e dignitosa (Consiglio Stato, sez. VI, 12 dicembre 2002, n. 6787)
In tema di recupero da parte della pubblica amministrazione di somme indebitamente erogate al proprio dipendente, la buona fede di questi nella percezione delle somme predette è esclusa allorché maggiorazioni retributive siano state erogate con la espressa avvertenza che trattavasi di acconti ovvero in base a titolo immediatamente esecutivo, posto in attuazione prima del suo esame da parte dell'organo di controllo, od anche nel caso in cui l'amministrazione, in un ragionevole periodo di tempo, annulli l'atto erogatore usando del potere di autotutela, poiché tempestivamente convinta dell'errore commesso (Consiglio Stato Ad. plen., 12 dicembre 1992, n. 20; Id. Ad. plen., 30 settembre 1993, n. 11). Su di una ipotesi di esclusione della buona fede, e’ stato ritenuto che un ricercatore universitario, per la sua cultura e il relativo grado di istruzione, ben puo’ rendersi conto della non spettanza degli emolumenti sicché non e’ invocabile il principio di percezione in assoluta buona fede (T.A.R. Abruzzo L'Aquila, 23 ottobre 2002, n. 534).
In materia di trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, vi e’ giurisdizione esclusiva della Corte dei conti sulle controversie che attengono ai suddetti trattamenti sia sotto il profilo dell'an che sotto quello del quantum, ivi comprese quelle relative agli atti di recupero degli assegni di pensione già erogati, senza che possa aver rilievo il fatto che la legittimità dei medesimi atti sia stata contestata sotto il profilo dell'irripetibilità delle somme in quanto riscosse in buona fede o destinate a bisogni alimentari e la suddetta giurisdizione si estende alle controversie che hanno ad oggetto il recupero di somme erogate a titolo di componenti od accessori del trattamento pensionistico e, quindi, anche a quelle concernenti, come nella specie, il recupero dell'indennità integrativa speciale (Consiglio Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6072; T.AA.R. Sicilia Palermo, sez. I, 10 giugno 2002, n. 1494).
Sul termine per impugnare i provvedimenti di recupero, si segnala l’orientamento secondo il quale la ripetizione di emolumenti non dovuti ai propri dipendenti viene disposta, dall'autorità amministrativa mediante atti autoritativi di contenuto provvedimentale, il cui sindacato va proposto a pena di decadenza nel termine perentorio stabilito dalla legge per il promovimento della relativa tutela giurisdizionale, decorrente, secondo quanto previsto dall'art. 21, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, dalla data di avvenuta comunicazione dell'atto di recupero dell'indebito o, comunque, da quella di avvenuta piena conoscenza; infatti, il recupero di somme erroneamente corrisposte dalla p.a. ai propri dipendenti, ancorché doveroso, non si realizza mediante atti vincolati, dovendo la stessa amministrazione, in sede d'annullamento d'ufficio del provvedimento che ha disposto l'erogazione ritenuta indebita, valutare l'affidamento ingenerato nel lavoratore anche in relazione al tempo trascorso dall'originaria liquidazione del trattamento retributivo, al fine della determinazione delle modalità del recupero che, in caso di buona fede del percipiente e di condizioni economiche svantaggiate del medesimo, può essere realizzato con modalità tali da non incidere in misura eccessiva sulle esigenze di vita del debitore (T.A.R. Marche, 9 maggio 2002, n. 372)

 

 

FATTO

Con deliberazione n. 1050 del 24 settembre 1987, il comitato di gestione della unità sanitaria locale n. 26 (ora 22) della Regione Veneto, su sollecitazione del Ministero del tesoro, ha disposto il recupero delle somme erogate ai dottori Giuseppe Sandri, Augusto Baraldi e Roberta Gozzi a titolo di indennità per la partecipazione all'ufficio di direzione. Costoro, ancorché non inquadrati in una qualifica apicale all'epoca non istituita, erano stati preposti a settori indicati dall’articolo 6 della legge regionale 7 marzo 1980 n. 13 e, quindi, inseriti nell'ufficio di direzione.
Gli interessati hanno proposto ricorso davanti al Tar per il Veneto, che ha annullato la deliberazione in questione, sostenendo che " costituiscono membri di diritto dell'ufficio di direzione delle unità sanitarie locali tutti i soggetti ai quali siano state attribuite con provvedimento formale le funzioni di capo servizio, anche in difetto del possesso di una qualifica apicale, a norma dell'antico 78 del d.p.r. n. 761 del 1979."
La ULSS n. 22 ha proposto il presente appello, sostenendo che la decisione del primo giudice è errata, sia per motivi formali, sotto i profitti del difetto, ovvero dell’insufficienza ed incongruenza, della motivazione, e per la violazione del divieto di ultra petizione, sia per motivi di ordine sostanziale. Ad avviso dell’appellante, infatti, la tesi avanzata dai ricorrenti ed accolta dal giudice sarebbe frutto di falsa applicazione degli articoli 8 del d.p.r. 20 dicembre 1979, n. 161, dell'articolo 6 della legge regionale 7 marzo 1980, n. 13, nonché dell'articolo 43 del d.p.r. 25 giugno 1983, n. 348.
L’appellante conclude chiedendo, in riforma della sentenza di cui all’epigrafe, il rigetto del ricorso di primo grado.
Resistono all’appello gli originari ricorrenti, che nel merito contestano la fondatezza delle tesi avversarie e concludono per il rigetto dell’appello.

DIRITTO

L’appello proposto dalla ULSS n. 22 è fondato.
Gli originari ricorrenti avevano impugnato, davanti al Tar del Veneto, il provvedimento mediante il quale il comitato di gestione della unità sanitaria locale n. 26 della Regione Veneto, su impulso del Ministero del tesoro, aveva disposto il recupero delle somme erogate a titolo di indennità di partecipazione all'ufficio di direzione. In tale sede essi avevano sostenuto l'illegittimità del provvedimento di recupero sotto i profili dell'incompetenza del ministero del tesoro, dell'eccesso di potere, in relazione alla omessa verifica dei presupposti per l'esercizio del potere di autotutela, ed infine della violazione di legge, in quanto essi ritengono di aver diritto all'erogazione dell'indennità in questione.
Tutte e tre le censure si dimostrano infondate.
Quanto alla competenza, sta per certo che l'intervento, con il quale il Ministero del tesoro ha sollecitato l'esercizio dei poteri di autotutela da parte degli enti competenti, si colloca al di fuori del procedimento amministrativo in questione, in quanto l'amministrazione dello Stato, pur muovendosi in base ad una esigenza di coordinamento della finanza e degli enti locali accentuata dalla situazione finanziaria deficitaria delle Usl, non è titolare di situazioni giuridiche o di poteri che incidano sull'autonomia dell'ente sanitario e quindi non è parte necessaria del procedimento medesimo. Né dalla fattispecie concreta emergono elementi dai quali si possa ritenere che il comitato di gestione dell'unità sanitaria locale abbia agito, non in base ad una valutazione discrezionale, ma nella, seppur erronea, convinzione di dover eseguire una direttiva vincolante imposta dall’esterno. Pertanto, la circostanza di cui si sono lamentati i ricorrenti, cioè che l’atto di autotutela sia stato adottato dopo che l'amministrazione del tesoro aveva segnalato la necessità di rimuovere una situazione di illegittimità segnalata dal collegio dei revisori dell'ente, non ha inciso sulla competenza che in concreto è stata esercitata dall’organo di gestione dell’unità sanitaria locale.
Quanto alla comparazione degli interessi, ed in particolare alla circostanza che l'amministrazione non avrebbe sufficientemente motivato circa la buona fede di percipienti, giova ricordare come la giurisprudenza di questa sezione sia ferma nell’affermare che: "nel caso di indebita erogazione di denaro ad un pubblico dipendente, la buona fede non e' di ostacolo all'esercizio da parte dell'amministrazione del diritto di ripetere le relative somme ai sensi dell'art. 2033 c.c., essendo il recupero (con modalità, che non devono essere eccessivamente onerose per il dipendente che subisce il recupero) di regola un atto dovuto e privo di valenza provvedimentale, nell'adozione del quale l'amministrazione stessa non e' tenuta a fornire una specifica motivazione, essendo sufficiente che vengano chiarite le ragioni per le quali il percipiente non aveva diritto alla somma che gli e' stata corrisposta." (Consiglio Stato sez. V, 27 marzo 2000, n. 1767).
Secondo il primo giudice, al quesito va data risposta affermativa in quanto "costituiscono membri di diritto dell'ufficio di direzione delle unità sanitarie locali tutti i soggetti ai quali siano state attribuite con provvedimento formale le funzioni di capo servizio, anche in difetto del possesso di una qualifica apicale, a norma dell'articolo 78 del d.p.r. n. 761 del 1979." Se non che, tale interpretazione contrasta in maniera stridente con la lettera della norma, posto che gli articoli 43 del d.p.r. n. 348 del 1983 e 53 del d.p.r. n. 270 del 1987, i quali stabiliscono espressamente che essa spetta solo " al personale facente parte di diritto dell'ufficio di direzione (capi servizio) ", per quel che concerne l'individuazione dei soggetti destinatari dell'indennità, rinviano chiaramente all'articolo 8 del d.p.r. n. 761 del 1979.. Che è altrettanto chiaro nell'affermare che "l'ufficio di direzione di cui all'art. 15 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, è composto da tutti i responsabili dei servizi dell'unità sanitaria locale, previsti dalla legge regionale, sempre che i responsabili ricoprano la posizione funzionale apicale nei ruoli di appartenenza.” Ne consegue che le norme indicate possono essere interpretate solo nel senso che l'indennità in parola spetta non già a tutti componenti dell'ufficio di direzione, ma solo ai suoi membri di diritto, cioè a coloro che ricoprono una posizione apicale nell'ambito del servizio di rispettiva competenza.
Nel caso di specie, è pacifico tra le parti che i ricorrenti non rivestivano una posizione funzionale apicale, per cui ad essi non competeva l'indennità in parola.
Per questi motivi il ricorso in appello deve essere accolto.
Appare tuttavia equo compensare, tra le parti, le spese del grado.

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