n. 9-2003 - © copyright.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, sentenza 8 settembre 2003
n. 5032
Pres. Quaranta, Rel.
Corradino
Pizzolo Angelo, Pizzolo Giuliano e Pizzolo Ernesto (avv.ti Eugenio Lequaglie
e Mario Sanino)
c. Frigo Vito (Avv. Luigi Pasetto e Luigi Manzi) Comune di San Bonifacio (avv.ti
Giovanni Sala e Nicolò Paoletti)
1 - Edilizia ed urbanistica – concessione edilizia – ristrutturazione – puo’ comprendere anceh la demolizione e fedele ricostruzione.
2 - Edilizia ed urbanistica –Piano regolatore – prescrizioni – rispetto delle distanze in caso di ricostruzione sull’area di sedime o all’esterno di essa – interpretazione della disgiuntiva “o” - coerenza con legge statale 443/2001 (cd. super Dia) – necessita’
1 - Le ipotesi di abbattimento e ricostruzione possano comprendere anche quelle conseguenti a semplici ristrutturazioni, quindi con demolizione e successiva ricostruzione perfettamente fedele alla superficie coperta, al volume e alla sagoma dell’edificio preesistente.
2 - Qualora le prescrizioni di un PRG prevedano, per le ristrutturazioni, la necessità della ricostruzione sull’area di sedime preesistente “o”, se all’esterno di essa, e cioè all’esterno dell’area di sedime preesistente, il rispetto delle norme generali sulle distanze, la disgiuntiva “o” separa due ipotesi nettamente distinte, in ordine alla imposizione del rispetto delle norme generali sulle distanze, a seconda che la ricostruzione dell’immobile avvenga o meno nel fedele rispetto dell’edificio già esistente. Se la disposizione fosse da intendersi nel senso del necessario rispetto delle norme generali sulle distanze in caso di semplice ristrutturazione, essa si porrebbe in contrasto sia con il concetto di ristrutturazione fatto proprio dal legislatore con la legge 443/01, dove all’art. 1, comma 6, lett. b), si prevede espressamente che le ristrutturazioni edilizie sono “comprensive della demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma”.
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Nota di commento
Nota di commento Il concetto di ristrutturazione presente nel T. U. sull’edilizia
(D.P.R. 06/06/2001, n. 380), applicabile dal 1 luglio 2003, consente la demolizione
e ricostruzione, ma pone problemi circa il concetto di fedelta’. Tale concetto
di fedelta’ non e’presente nella legge statale, bensi’ in norme regionali. Ad
esempio, nell’Allegato alla legge regionale Emilia Romagna 31/2002, nella lettera
f, si parla di fedelta’ a proposito delle ristrutturazioni edilizie, collegando
tale concetto a quello di identita’ di volumetria e sagoma. In Toscana, non
ci si limita ad un aggettivo (“fedele”) per individuare la tipologia agevolata
di ricostruzione, ma si usa il concetto di “sostituzione” edilizia, parlando
altresi’ di “materiali analoghi” e di “stessa collocazione” (art. 4 L.R. 32/2003).
Quindi al di la’ dell’Appennino si usa un aggettivo (fedele) mentre in riva
l’Arno si precisa che tale fedelta’ deve riguardare i materiali e la collocazione.
Tenendo presenti le norme statali e regionali, nell'ambito delle ristrutturazioni
edilizie va tenuta distinta la semplice ristrutturazione (che si verifica ove
gli interventi abbiano interessato un edificio del quale sussistano e, all'esito
degli stessi, rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali,
le strutture orizzontali, la copertura, sicché le modificazioni siano solo interne),
dalla ricostruzione (ravvisabile allorché dell'edificio preesistente siano venute
meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e
l'intervento si traduca nell'esatto ripristino senza alcuna variazione rispetto
alle originarie dimensioni dell'edificio e, in particolare, senza aumenti nè
della volumetria, nè delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma
dell'ingombro). Solo in presenza di tali ultimi aumenti si verte in ipotesi
di nuova costruzione, da considerare tale, ai fini del computo delle distanze
rispetto agli edifici contigui come previsti dagli strumenti urbanistici locali,
nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con
la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni
siano estese anche alle ricostruzioni ovvero, ove una siffatta norma non esista,
solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell'edificio originario.
Questa precisazione deriva dall’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione
(sez. II civile, 26 ottobre 2000, n. 14128) e dal Consiglio di Stato. Qust’ultimo,
nella decisione 1906 del 3.4.2000 (sez. V), sottolinea che la ristrutturazione
soggiace alla normativa urbanistica sostanziale vigente all’epoca di realizzazione
del manufatto oggetto di ripristino e non a quella (successiva) in vigore all’epoca
della richiesta. Lo stesso Giudice, con decisione Sez. V 9 ottobre 2002 n. 5410,
applica i predetti principi a tutte quelle ristrutturazioni in cui la ricostruzione
avvenga non solo in conformita’ e fedelta’ ma altresi’ “in un tempo ragionevolmente
prossimo a quello della demolizione”.
La decisione in rassegna consente di fare il punto su alcune differenze applicative
tra regioni: in Emilia Romagna la Dia e’ obbligatoria (art.8 L. 31/2002), sicche’
non e’ possibile sostituirla con altri tipi di procedure, ma nelle altre Regioni
l’art. 22 del T.U. prevede la sostituibilita’ della Dia con il permesso di costruire.
Anche in Toscana, quindi, come in altre regioni, per una ristrutturazione edilizia
si puo’ operare in due modi: con la Dia oppure, se progettista e committente
non vogliono rischiare, si puo’ cheidere il permesso di costruire. Ancora piu’
complicato e’ il regime della cosiddetta”super Dia” (art. 8 comma 6 L. statale
443/2001), che potrebbe sbloccare molta edilizia nei centri gia’ edificati,
in tutti i casi in cui si voglia intervenire con “stessa volumetria e sagoma”.
In Emilia Romagna i Comuni possono eventualmente introdurre la “super Dia” per
nuove costruzioni oppure rimanere nel regime del permesso di costruire per il
restauro ed il risanamento conservativo, i mutamenti d’uso senza opere e la
ristrutturazione edilizia.
Quanto poi all’interpretazione del Giudice nella lettura della disgiuntiva “o”,
si richiamano precedenti quali Cass. Pen. Sez. V, 4 settembre 1987 n. 538 (Dinacci),
mentre sull’interpretazione di una “e” quale connettivo linguistico in funzione
congiuntiva inclusiva oppure in funzione meramente esemplificativa, si rinvia
a Corte Cost. 22 febbraio 1988 n. 216. (poli53)
FATTO
Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale
per il Veneto, sezione seconda, il sig. Vito Frigo, il quale, in qualità di
proprietario di un immobile confinante con quello di Pizzolo Angelo, Pizzolo
Giuliano e Pizzolo Ernesto, chiedeva l’annullamento della concessione edilizia
n. 8655/98/01 rilasciata dal Comune di S. Bonifacio in data 12.9.01 con la quale
i sigg. Pizzolo venivano autorizzati a compiere lavori di ristrutturazione del
loro immobile, adibito a deposito, mediante demolizione e successiva ricostruzione,
e di realizzazione di un piano interrato.
L’adito Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, con
sentenza in forma abbreviata ai sensi dell’art. 9 della legge n. 205/2000, n.
3070/2002, accoglieva il ricorso ed annullava la concessione edilizia, sulla
base della considerazione che nella specie doveva applicarsi la normativa dettata
in ordine all’edilizia condonata che, avendo natura di norma specifica, prevaleva
sulla generale normativa sulla ristrutturazione urbanistica, imponendo il rispetto,
nell’ipotesi in esame, della normativa di zona.
Avverso la predetta decisione proponevano rituale appello Angelo, Giuliano ed
Ernesto Pizzolo, assumendo, nel merito, l’erroneità della sentenza, sotto diversi
profili:
- Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 26 L. 1034/71, come modificata
dalla legge 205/2000, perché emanata in forma semplificata in mancanza dei presupposti
di legge;
- Acquiescenza del ricorrente al provvedimento impugnato, con conseguente inammissibilità
o improcedibilità del ricorso di primo grado;
- Violazione e/o falsa applicazione della normativa posta dalle N.T.A. del P.R.G.
del Comune di S.Bonifacio. Difetto e/o illogicità nella motivazione;
- Violazione ed erronea applicazione di altre norme tecniche di attuazione del
P.R.G. del Comune di S. Bonifacio con riferimento alle normative sulle distanze
da edifici di altezza inferiore ai tre metri.
Proponeva, altresì, appello principale, nelle forme dell’appello incidentale,
il Comune di S. Bonifacio, deducendo anch’esso, nel merito, l’erroneità della
sentenza per violazione e/o falsa applicazione della normativa posta dalle N.T.A.
del P.R.G. del Comune di S. Bonifacio e per illogicità e insufficienza della
motivazione;
I Pizzolo, con l’adesione del Comune di San Bonifacio, chiedevano, altresì,
con il medesimo ricorso, in via preliminare e cautelare, la sospensione dell’esecutività
della sentenza impugnata.
Il Consiglio di Stato, con ordinanza del 11.10.2002, ha accolto l’istanza cautelare,
sospendendo l’efficacia della sentenza impugnata.
Si è costituito Vito Frigo per resistere all’appello.
Con memoria depositata in vista dell'udienza l’appellante ha insistito nelle
proprie conclusioni.
Alla pubblica udienza del 15 aprile 2003 la causa è stata chiamata e trattenuta
per la decisione, come da verbale.
D I R I T T O
1. Con il primo motivo di ricorso, gli appellanti
deducono la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 26 della l. 1034/71,
come modificata dalla legge 205/2000, perché la sentenza è stata emanata in
forma semplificata in mancanza dei presupposti di legge, sollevando, eventualmente,
questione di costituzionalità di tale norma.
Rilevano che la sentenza in forma semplificata è stata emanata in assenza del
presupposto, richiesto dalla legge, della “completezza del contraddittorio”,
ritenendo soddisfatto tale requisito non con la semplice rituale notificazione
all’amministrazione resistente ed ai controinteressati, ma con la effettiva
partecipazione di tali soggetti all’udienza cautelare in cui è stata pronunciata
la sentenza.
Sul punto, basta osservare come la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez.
VI, n. 546 del 20.01.2002, sez. IV, n. 3929 del 12.07.2002 e n. 3931 del 12.07.2001),ha
più volte precisato che la valida costituzione nel giudizio di primo grado si
ha con la rituale intimazione delle parti interessate.
Né il Collegio ritiene meritevole di accoglimento la richiesta di sospensione
del giudizio con rimessione alla Corte Costituzionale di suddetta normativa
per la violazione degli artt. 24, 103 e 113 Cost., in relazione al diritto di
difesa, all’effettività della tutela giurisdizionale, e all’obbligo di motivazione,
posto che la giurisprudenza ha, più volte, sancito la legittimità costituzionale
della sentenza emessa in forma semplificata. Infatti, la Corte Costituzionale
(cfr. Corte Cost., 10 novembre 1999, n. 427) ha già affermato che la sentenza,
ancorché succintamente motivata, è idonea a definire un giudizio a cognizione
piena, non essendovi alcuna reciproca interdipendenza tra semplificazione della
motivazione e sommarietà della cognizione, e la giurisprudenza amministrativa
(cfr., per tutte, Cons.Stato, sez. V, n. 268 del 26.01.2001) ha ribadito che
la semplificazione della motivazione, nei casi speciali previsti dalla legge,
è strumentale all’esigenza di garantire una ragionevole durata del processo
ai sensi dell’art. 111, comma 2°, Cost., essendo compatibile con il principio
di effettività della tutela giurisdizionale.
2. Con il secondo motivo di ricorso i Pizzolo
lamentano l’acquiescenza del resistente, ricorrente in primo grado, al provvedimento
impugnato, per cui il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato
inammissibile o irrricevibile.
Ciò in quanto con una convenzione intervenuta, in data 13.3.98, tra i Pizzolo
e Vito Frigo, quest’ultimo autorizzava gli odierni appellanti a ristrutturare
il manufatto oggetto del presente giudizio, impegnandosi, in più, a realizzare
lo scavo per la parte interrata dello stesso. Da qui si deduce l’acquiescenza
al provvedimento concessorio che avrebbe dovuto, in seguito, autorizzare questi
lavori.
Tale motivo, risulta, parimenti, infondato.
Infatti, al di là della considerazione che non si ritiene configurabile un’acquiescenza
preventiva ad un provvedimento amministrativo, posto che, alla data della convenzione,
non era stata neanche inoltrata la domanda di concessione edilizia, l’efficacia
dell’accordo è smentita da altre due circostanze. Da un lato, dal fatto che
la convenzione suddetta è stata sottoscritta da Vito Frigo non in proprio ma
in qualità di legale rappresentante della SI-BELLA s.n.c., allora proprietaria
dell’immobile confinante con quello dei Pizzolo, e dalla quale poi il Frigo
lo avrebbe acquistato, per cui l’attuale resistente è soggetto diverso ed estraneo
all’accordo, che non può produrre effetti nei confronti dei terzi in assenza,
come in questo caso, di trascrizione. Per altro verso, dal rilievo che la disciplina
delle distanze legali è sancita da norme poste a tutela delle superiori esigenze
di ordine pubblico ad una ordinata e razionale edificazione, e perciò non soggette
ad essere derogate da accordi pattizi privati (cfr. Cons. Stato, IV Sezione,
n. 3929 del 12.07.2002). I primi I primi due motivi di ricorso vanno, quindi,
disattesi.
3. Risulta fondato, invece, il terzo motivo
di ricorso proposto dall’appellante.
Merita adesione, infatti, la censura con la quale sia il Comune di S.Bonifacio
che Pizzolo Angelo, Giuliano ed Ernesto deducono il difetto di motivazione e
la violazione e/o falsa applicazione delle norme tecniche di attuazione del
p.r.g. da parte della sentenza impugnata.
Come accennato in fatto, il T.A.R. Veneto ha accolto il ricorso ritenendo di
applicare la normativa specifica, e quindi prevalente su quella urbanistica
generale, dettata in materia di edilizia condonata, che impone, in caso di abbattimento
e ricostruzione, il rispetto della normativa di zona. Di qui, anche se sul punto
non vi è espressa pronuncia, conseguirebbe il mancato rispetto, imposto, appunto,
dalla normativa di zona, delle norme generali sulle distanze.
Tale iter argomentativo non è condivisibile.
In ordine all’edilizia condonata, la normativa speciale delle N.T.A. del P.R.G.
del Comune di S.Bonifacio prevede, “in caso di abbattimento e ricostruzione,
il rispetto delle normative e destinazioni di zona”. E le normative di zona
prescrivono (pag. 35 N.T.A.), con riguardo a quella di riferimento del manufatto
in questione, realizzato in zona B di P.R.G., che la ristrutturazione richiesta
avvenga mediante “la ricostruzione sull’area di sedime preesistente o all’esterno
di essa, nel rispetto delle norme generali sulle distanze”.
Si ritiene, anzitutto, contrariamente a quanto affermato dal Comune appellante,
che le ipotesi di abbattimento e ricostruzione possano ricomprendere, come nel
caso di cui si tratta, anche quelle conseguenti a semplici ristrutturazioni,
quindi con demolizione e successiva ricostruzione perfettamente fedele alla
superficie coperta, al volume e alla sagoma dell’edificio preesistente, per
cui il giudice di primo grado ha letto correttamente l’esistenza dei presupposti
di fatto per l’applicazione della normativa di zona. Le conseguenze di tale
assunto, però, basate evidentemente, in assenza di motivazione espressa in proposito,
sull’interpretazione di suddetta normativa, non sono corrette.
In particolare, vale osservare che le prescrizioni di zona prevedono, per le
ristrutturazioni, la necessità della ricostruzione sull’area di sedime preesistente,
come avvenuto nel caso in esame, “o”, se all’esterno di essa, e cioè all’esterno
dell’area di sedime preesistente, il rispetto delle norme generali sulle distanze.
In altri termini è da intendere che la disgiuntiva o separi due ipotesi nettamente
distinte, in ordine alla imposizione del rispetto delle norme generali sulle
distanze, a seconda che la ricostruzione dell’immobile avvenga o meno nel fedele
rispetto dell’edificio già esistente.
Altrimenti, se il rispetto delle norme sulle distanze fosse imposto in entrambe
le ipotesi, non si spiegherebbe il motivo della distinzione. Sarebbe stato sufficiente,
infatti, consentire “la ricostruzione degli edifici nel rispetto delle norme
generali sulle distanze”, oppure, in alternativa, inserire la congiuntiva e
al posto della disgiuntiva o. Va inoltre considerato che se la disposizione
fosse da intendersi nel senso del necessario rispetto delle norme generali sulle
distanze in caso di semplice ristrutturazione, essa si porrebbe in contrasto
sia con il concetto di ristrutturazione fatto proprio dal legislatore con la
legge 443/01, dove all’art. 1, comma 6, lett. b), si prevede espressamente che
le ristrutturazioni edilizie sono “comprensive della demolizione e ricostruzione
con la stessa volumetria e sagoma”, sia con la stessa nozione accolta dalle
N.T.A. del Comune di S.Bonifacio, laddove (pag. 9 N.T.A.) si stabilisce che
“la ristrutturazione definisce anche la possibilità di demolizione e ricostruzione
dell’esistente, purchè ciò avvenga sull’area di sedime e all’interno delle sagome
volumetriche originarie”.
E, a conferma di siffatte considerazioni, non è di scarso rilievo la ulteriore
previsione delle N.T.A. (da pag. 10), secondo cui “… non può essere impedita
solo da ragioni di distanza la ricostruzione all’interno dell’area di sedime
di edifici preesistenti legittimamente demoliti dopo l’approvazione del P.R.G.
ed inequivocabilmente documentati….”, fattispecie nella quale rientra il fabbricato
di cui si controverte, oggetto dei lavori di ristrutturazione nel 2001, dopo
l’approvazione del P.R.G., avvenuta nel 1998, come ampiamente documentato.
Il motivo è, quindi, fondato.
4. Per quanto considerato e assorbito quant'altro i ricorsi in appello vanno accolti.
5. Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.