CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza
24 settembre 2003 n. 5445
Pres. Quaranta, Est. Fera; Rossano ed altri (avv. Maurizio
Calò) c. Comune di Torino (Avv. ti Anna Maria Arnone e Massimo Colarizi). Conferma
TAR del Piemonte, sezione prima, 694 dell' 8 ottobre 1996.
1 - Edilizia ed urbanistica – concessione edilizia – titolo per costruire - situazione di comproprieta’ – necessita’ del consenso di tutti i comproprietari – assenza – conseguenza – annullamento del titolo in sede di autotutela.
1 – Poiche’ la concessione edilizia è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla (art.4 della legge 29 gennaio 1977, n. 10 sul regime dei suoli), qualora vi siano piu’ titolari del diritto di costruire, l’istanza di rilascio di concessione puo’ essere presentata da un comproprietario solo quando la situazione di fatto consenta di supporre l’esistenza di un "pactum fiduciae" intercorrente tra gli stessi comproprietari. In conseguenza, qualora sia stata erroneamente ipotizzata l'intesa fra tutti i proprietari, il provvedimento che sia stato rilasciato dall'amministrazione comunale e’ viziato per carenza di pieno titolo ad ottenere l'autorizzazione edilizia. L’annullamento del titolo edilizio che ne consegue è congruamente motivato con la sola enunciazione del vizio che lo inficia
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Nota di commento
(1) La sezione applica principi consolidati in tema di rilascio del titolo edilizio
“salvo i diritti dei terzi”: nel caso esaminato, i terzi non sono i frontisti
o soggetti estranei al titolo concessorio, bensi’ comproprietari che hanno diritto
al corretto regime urbanistico dell’area, opponendosi (nel caso specifico) alla
realizzazione di un cancello sulla loro proprietà. Il pactum fiduciae cui fa
riferimento la sentenza, sgrava in misura consistente la responsabilita’ dell’amministrazione:
quest’ultima, per orientamento giurisprudenziale, puo’ limitarsi a recepire
le dichiarazioni dei richiedenti il titolo edilizio senza effettuare specifici
accertamenti sul regime di proprieta’ (che ad esempio potrebbe anche essere
una usucapione, la cui dimostrazione esige tempi lunghi).
FATTO
Gli attuali appellanti impugnarono davanti al
Tar per il Piemonte l'ordinanza n. 244 del 19 ottobre 1984, con la quale sindaco
di Torino aveva revocato l'autorizzazione edilizia n. 2538 del 15 novembre 1983
per la esecuzione di lavori di chiusura di un passaggio privato mediante la
posa di una cancellata in ferro in Torino via Gradisca n. 50. La ragione della
revoca, esternata nel provvedimento, sta nel fatto che l'autorizzazione, intestata
genericamente "ai proprietari frontisti di via Gradisca n. 50", era stata rilasciata
sul presupposto che tutti i frontisti avessero sottoscritto l'istanza, mentre
successivamente al rilascio era stato scoperto che questa proveniva solo "da
alcuni senza l'assenso dei restanti". L'amministrazione, oltre a rilevare che
"l'interesse pubblico ad una corretta gestione amministrativa non consente il
permanere di un atto viziato da errata valutazione dei presupposti", nella parte
motiva dell’atto aveva precisato di avere recentemente programmato "un piano
che prevede la comunalizzazione dei passaggi privati aventi caratteristiche
idonee, come quello in esame, e rilevato che lo stesso sedime è già stato inserito
in apposito elenco dove sono calendarizzate le singole comunalizzazioni".
Il ricorso è stato respinto dal Tar del Piemonte Gli appellanti ripropongono
le censure disattese dal primo giudice:
1) Errata applicazione dell'istituto della revoca. Eccesso di potere per carenza
assoluta di motivazione.
2) Carenza di presupposti logico giuridici. Eccesso di potere per errore essenziale
e travisamento.
3) Eccesso di potere per contraddittorietà e perplessità.
4) Eccesso di potere per perplessità e sviamento.
Gli appellanti concludono chiedendo, in riforma della sentenza di cui all’epigrafe,
l'annullamento dell'atto impugnato in primo grado.
Resiste all’appello l'amministrazione intimata, che contesta la fondatezza delle
tesi avversarie e conclude per il rigetto dell’appello.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Gli attuali appellanti avevano impugnato in primo grado l'ordinanza con la quale
il Sindaco di Torino ha revocato l'autorizzazione edilizia per la esecuzione
di lavori di chiusura di un passaggio privato mediante posa di una cancellata
in ferro, che essi avevano in precedenza richiesto quali frontisti nella strada
privata. Motivo della revoca è l'errore, scoperto successivamente dal comune,
circa la legittimazione all'esercizio dello ius aedificandi, posto che l’istanza
di rilascio dell'autorizzazione era stata sottoscritta solo da una parte dei
frontisti.
Le censure, prospettate in primo grado e qui riproposte, si muovono lungo una
linea argomentativa che, in primo luogo, nega l'esistenza del vizio di legittimità
e, in secondo luogo, contesta il corretto esercizio dell’autotutela sotto vari
profili di eccesso di potere.
Quanto alla prima questione, giova ricordare come l'articolo 4 della legge 29
gennaio 1977, n. 10, afferma che "la concessione è data dal sindaco al proprietario
dell'area o a chi abbia titolo per richiederla". Espressione questa che, nel
caso in cui il diritto appartenga a più titolari, è stata intesa dalla giurisprudenza
nel senso che l’istanza possa essere presentata da un comproprietario solo laddove
la situazione di fatto consenta di "supporre (l’esistenza di) un "pactum fiduciae"
intercorrente tra gli stessi (comproprietari)" (Consiglio Stato sez. 5 giugno
1991 n. 883).
Ora nel caso di specie, non solo non vi era alcun indizio da cui poter supporre
un'intesa fra tutti i proprietari, ma anzi l'iniziativa di alcuni di essi, una
volta conosciuta dagli altri, è stata vivacemente contesta. Quindi non vi è
dubbio che il provvedimento originariamente rilasciato dall'amministrazione
comunale era viziato perché il richiedente non aveva pieno titolo ad ottenere
l'autorizzazione edilizia.
Quando ai profili di eccesso di potere, giova ricordare come l'annullamento
in sede di autotutela dei provvedimenti che consentono l'esercizio della ius
aedificandi illegittimamente rilasciati è "congruamente motivato con la sola
enunciazione del vizio che li inficia". (Consiglio Stato sez. V, 24 marzo 2001,
n. 1702), specie nell'ipotesi in cui il vizio derivi da " false ed erronee rappresentazioni
del privato” (Consiglio Stato sez. V, 24 marzo 2001, n. 1702). Ora, nel caso
di specie, non ve dubbio che l'errore è derivato dal fatto che gli interessati
nel presentare istanza, da loro sottoscritta con la generica dicitura "i proprietari
frontisti", non avevano evidenziato la circostanza che essi non rappresentavano
la totalità dei comproprietari ma solo una parte degli stessi.
Appare, tuttavia, equo compensare tra le parti le spese del giudizio.