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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - sentenza 29 settembre 2003 n. 5566
Pres. Riccio, Rel. Saltelli. MARTELLA CIULLO FRANCESCO (avv. Riccardo Marzo) contro REGIONE PUGLIA, COMUNE DI ACQUARICA DEL CAPO (conferma TAR Puglia, sede di Lecce, sez. II, n. 413 del 6 giugno 1996. 1
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Pubblico impiego – disciplina del rapporto di lavoro – comando- modificazione in senso oggettivo del rapporto di impiego – conseguenze - rapporto organico – continuita’ – rapporto di servizio – modificazione sotto il profilo organizzativo funzionale e gerarchico.

2 - Pubblico impiego – disciplina del rapporto di lavoro – comando- trasferimento- missione – differenze.

1 - La posizione di comando di un pubblico dipendente, pur non comportando alcuna alterazione del rapporto di impiego, ne implica una rilevante modificazione in senso oggettivo, giacché l’impiegato viene destinato a prestare servizio, in via ordinaria e abituale, presso un’amministrazione diversa da quella di appartenenza: pertanto, fermo restando il c.d. rapporto organico (che continua ad intercorrere tra il dipendente e l’ente di appartenenza o di titolarità), si modifica il c.d. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito integralmente, sia sotto il profilo organizzativo – funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nella nuova amministrazione di destinazione, a favore della quale esclusivamente presta la sua opera.

2 - Caratterista peculiare del comando è la temporaneità della nuova destinazione: essa pertanto differisce trasferimento (che postula invece la definitiva assegnazione del dipendente ad un determinato ufficio). La situazione di comando differisce ontologicamente dall’invio in missione che si caratterizza per il fatto che il dipendente è chiamato a svolgere, in favore dell’unica amministrazione di appartenenza (organica e di servizio) la propria ordinaria prestazione lavorativa per un brevissimo arco di tempo in una sede diversa da quella abituale di servizio (appartenente pur sempre alla stessa unica amministrazione): tale peculiarità giustifica l’erogazione della c.d. indennità di missione volta a compensare la maggiore onerosità della prestazione dovuta allo stesso datore di lavoro (nella specie, dipendenti comunali comandati preso la regione chiedevano l’indennita’ di trasferta: la sentenza nega tale diritto, escludendo a presenza di caratteristiche della missione).

 

 

FATTO

Con ricorso giurisdizionale notificato tra il 20 ed il 24 agosto 1992 il signor MARTELLA CIULLO FRANCESCO, dipendente del Comune di Acquarica del Capo, esponeva che:
- per effetto delle delibere del 27 gennaio 1987, n. 27, della Giunta municipale del Comune di Acquarica del Capo, e del 28 gennaio 1987, n. 603, della Giunta regionale della Puglia, insieme al altri sedici dipendenti comunali era stato comandato a prestare servizio presso gli uffici della Regione Puglia a decorrere dal 9 marzo 1987, ai sensi dell’articolo 39, 3° comma, della legge regionale 13 marzo 1980, n. 16;
- con successive delibere del 28 gennaio 1988, n. 27, della Giunta municipale, e dell’8 marzo 1988, n. 1131, della Giunta regionale, era stato disposto il rinnovo del predetto comando, estendendolo ad altri quattro dipendenti;
- la posizione di comando per tutto il predetto contingente di venti unità era stata ulteriormente confermata in virtù della delibera della Giunta regionale n. 990 del 17 marzo 1989, ai sensi dell’articolo 9, commi 11 e 12, della legge regionale 13 aprile 1988, n. 13, che richiamava espressamente l’articolo 39 della legge 13 marzo 1980 n. 16;
- dal 1° aprile 1990, infine, tutto il predetto personale, eccezion fatta per tal De Icco Caterina, era stato inquadrato, a domanda, nei ruoli del personale della Regione Puglia, in applicazione della legge regionale 6 giugno 1989, n. 6.

Ciò precisato, il ricorrente sosteneva che per il periodo dal 9 marzo 1987 al 31 marzo 1990, durante il quale aveva prestato servizio presso gli uffici della Regione in qualità di dipendente comunale comandato, non gli era stata liquidata l’indennità di trasferta, né gli erano stati corrisposti gli altri emolumenti accessori liquidati invece ai dipendenti regionali, e ne chiedeva quindi l’accertamento al Tribunale amministrativo regionale della Puglia, con conseguente condanna della Regione Puglia e del Comune di Acquarica del Capo, ognuno secondo la rispettiva titolarità, al relativo pagamento.
A fondamento di tale pretesa egli deduceva che la posizione di comando non comportava alcuna modificazione del rapporto di impiego con il Comune di Acquarica del Capo e che, pertanto, fino all’inquadramento nei ruoli regionali, avvenuto il 1° aprile 1990, aveva semplicemente svolto la normale prestazione lavorativa dovuta al Comune di Acquarica del Capo in favore dell’amministrazione regionale, senza che alla formale posizione di comandato si accompagnasse un vero e proprio trasferimento presso la struttura organizzativa regionale: tale situazione, quindi, legittimava in suo favore la liquidazione non solo dell’indennità di trasferta, ma anche degli altri emolumenti accessori effettivamente erogati agli altri dipendenti regionali per un elementare principio di giustizia, identiche essendo le prestazioni effettivamente rese.
Nella resistenza degli enti intimati, l’adito Tribunale, con la sentenza n. 416 del 6 giugno 1996, respingeva il ricorso, rilevando, per un verso, l’assoluta inapplicabilità al caso di specie delle invocate leggi regionali 17 luglio 1979, n. 42, e 6 agosto 1973, n. 20, e, per altro verso, negando che le prestazioni rese dal ricorrente presso gli uffici regionali fossero inquadrabili nell’istituto dell’invio in missione.

Avverso tale statuizione ha ritualmente proposto appello l’interessato, chiedendone la riforma alla stregua di tre motivi di gravame.
Con il primo, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della L.R. 13/4/88, n. 13, della L.R. n. 20 del 6/8/73 e della L.R. n. 42 del 17/7/79 – Illogica e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia attinente all’efficacia della stessa L.R. n. 13/88 ed all’applicabilità delle LL.RR. n. 20/73 e n. 42/79, al caso di specie”, l’appellante ha dedotto che le delibere, comunali e regionali, con le quali era stato disposto l’originario comando dei sedici dipendenti comunali e con le quali si era provveduto alla relativa conferma, estendendo la posizione di comando ad altri quattro dipendenti comunali, tra cui figurava anche esso appellante, erano tutte precedenti all’entrata in vigore della legge regionale 13 aprile 1988, n. 13 (avvenuta il 14 maggio 1988), così che erroneamente i primi giudici avevano ritenuto che la predetta posizione di comando fosse regolamentata proprio dall’articolo 9 della predetta legge.
Con il secondo motivo, lamentando “Illogica e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia attinente alla natura del provvedimento di comando”, l’appellante ha sostenuto che il provvedimento di comando, non essendo stato adottato ai sensi dell’articolo 9 della legge 13 aprile 1988, n. 13, non poteva avere l’effetto di un trasferimento, in quanto la prestazione lavorativa espletata in favore dell’ente regionale non aveva né il carattere della permanenza, né quello di definitività; del resto, sempre secondo l’appellante, il provvedimento di comando non era stato preceduto dalla soppressione del relativo posto presso l’ente locale di provenienza, mentre il trasferimento presso gli uffici regionali si era concretizzato solo per effetto dell’applicazione della legge 6 giugno 1989, n. 6, e del conseguente formale inquadramento nei ruoli regionali.
Con il terzo motivo, l’appellante ha, infine, denunciato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 L.R. 13/4/88, n . 13 – Illogica e contraddittoria motivazione sul punto decisivo attinente alla affermata applicazione di detta norma”, in quanto i provvedimenti di comando non erano stati preceduti dalle garanzie previste dal secondo comma dell’articolo 8 della legge 13 aprile 1988, n. 13, non essendo mai intervenuta (se non con nota in data 4 aprile 1989) alcuna comunicazione circa provvedimenti di mobilità esterna; ciò confermava la dedotta provvisorietà della posizione di comando presso gli uffici regionali, in alcun modo assimilabile ad un trasferimento, non essendosi verificate presso il Comune di Acquarica del Capo condizioni di esubero di personale e di soppressione dei posti in pianta organica.
Le amministrazioni intimate non si sono costituite nel giudizio di appello.

D I R I T T O

I. Il sig. MARTELLA CIULLO FRANCESCO, quale dipendente del comune di Acquarica del Capo, rivendica il diritto ad ottenere il pagamento dell’indennità di trasferta e di tutti gli altri emolumenti accessori effettivamente liquidati ai dipendenti regionali, per il periodo dal 9 marzo 1987 al 31 marzo 1990, in cui è stato comandato a prestare servizio presso gli Uffici della Regione Puglia.
Ha pertanto chiesto la riforma della sentenza n. 416 del 6 giugno 1996 con cui il Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sede di Lecce, sezione II, ha inopinatamente respinto la sua domanda, lamentandone l’assoluta erroneità alla stregua di tre motivi di censura, in relazione alla specifica normativa regionale che disciplinava l’istituto del comando al momento dell’adozione dei relativi provvedimenti, e contestando che, nel caso di specie, si sia verificato, attraverso il provvedimento di comando, un suo trasferimento presso gli uffici regionali.
La Regione Puglia ed il Comune di Acquarica del Capo, cui l’atto di appello risulta ritualmente e tempestivamente notificato, non si sono costituiti in giudizio.

II. Al riguardo la Sezione, dato atto della rituale comunicazione al difensore dell’appellante dell’avviso di fissazione dell’udienza di discussione della presente, fatta presso la segreteria del Consiglio di Stato in mancanza di domicilio eletto in Roma, non essendo applicabile al processo amministrativo l’art. 135 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile in ragione della specifica norma contenuta nell’art. 54 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642 (C.d.S., sez. IV, 16 marzo 2001, n. 1553), osserva quanto segue.

II. 1. La posizione di comando di un pubblico dipendente, pur non comportando alcuna alterazione del rapporto di impiego, ne implica una rilevante modificazione in senso oggettivo, giacché l’impiegato viene destinato a prestare servizio, in via ordinaria e abituale, presso un’amministrazione diversa da quella di appartenenza.
In particolare, fermo restando il c.d. rapporto organico (che continua ad intercorrere tra il dipendente e l’ente di appartenenza o di titolarità), si modifica il c.d. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo – funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nella nuova amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera.
Caratteristiche peculiari della posizione di comando sono la temporaneità della destinazione e, dunque, la sua reversibilità, con la conseguenza che essa non può essere confusa con l’istituto del trasferimento (che postula invece la definitiva assegnazione del dipendente ad un determinato ufficio); ciò implica alla posizione di comando del dipendente presso una nuova amministrazione non si accompagna la corrispondente soppressione del posto in organico presso l’amministrazione di provenienza: è stato così affermato che il comando comporta lo spostamento del pubblico dipendente per un periodo non breve in un’altra località e presso altra amministrazione che ne diventa la ordinaria sede di lavoro (C.d.S., sez. IV, 27 aprile 1995, n. 271).
La posizione di comando differisce poi ontologicamente dall’invio in missione che, com’è noto, si caratterizza per il fatto che il dipendente è chiamato a svolgere, sempre in favore della sua amministrazione di appartenenza, la ordinaria prestazione lavorativa per un brevissimo arco di tempo in una sede diversa da quella abituale di servizio (appartenente pur sempre alla stessa amministrazione): proprio tale peculiarità giustifica l’erogazione della c.d. indennità di missione volta a compensare la maggiore onerosità della prestazione dovuta allo stesso datore di lavoro.
Al riguardo la giurisprudenza ha chiarito (C.d.S., sez. V, 21 ottobre 1997, n. 1165) che l’indennità di missione è dovuta soltanto quando l’impiegato sia inviato isolatamente a prestare l’ordinario servizio fuori della sua sede abituale e ciò quando tale spostamento costituisca una temporanea misura organizzativa, intesa a modificare eccezionalmente il normale luogo di effettuazione della prestazione lavorativa.

II. 2. Ciò precisato, la Sezione rileva che i tre motivi di appello, che possono essere trattati congiuntamente, essendo tutti imperniati sulla asserita circostanza che il provvedimento di comando adottato non sarebbe assimilabile ad un provvedimento di trasferimento presso gli uffici della Regione Puglia, sono infondati e devono essere respinti.
E’ sufficiente al riguardo evidenziare che lo stesso appellante ha ammesso di essere stato comandato a prestare servizio presso gli uffici della Regione Puglia in forza di appositi provvedimenti (peraltro mai impugnati), adottati sulla scorta dell’articolo 39 della legge regionale 13 marzo 1980, n. 16, recante “Disposizioni sull’ordinamento dei livelli funzionali e sul trattamento giuridico ed economico dei dipendenti regionali, in attuazione dell’accordo relativo al contratto nazionale dei dipendenti delle regioni, che, al terzo comma, stabilisce “E’ consentito, inoltre, d’intesa con il dipendente interessato, il comando di personale tra le Regioni, tra queste e gli enti locali, per comprovate esigenze connesse a specifiche professionalità e per consentire l’interscambio di esperienze, la formazione e l’aggiornamento professionale”.
E’ pertanto irrilevante la circostanza, enfatizzata dall’appellante, secondo cui i provvedimenti con cui sarebbe stato disposto il suo distacco erano cronologicamente successivi all’entrata in vigore della legge 13 aprile 1988, n. 13, e non potevano essere pertanto disciplinati dall’articolo 9 di quest’ultima: infatti, tale disposizione non regola per la prima volta in assoluto la fattispecie del comando nell’ambito della c.d. mobilità tra enti (già prevista dal citato articolo 39 della legge 13 marzo 1980, n. 16), ma disciplina più accuratamente, nell’evidente perseguimento degli obiettivi di trasparenza, imparzialità e razionalizzazione della spesa pubblica, il procedimento per la corretta individuazione dei posti disponibili da coprire mediante mobilità esterna.
Per effetto del disposto provvedimento di comando, e per l’intera sua durata, fermo restando il rapporto organico con il Comune di Acquarica del Capo (il che esclude la necessità della previa soppressione del posto), l’appellante ha quindi prestato la sua opera abitualmente e ordinariamente nell’ambito dell’organizzazione regionale, essendo sottoposto al relativo (ed esclusivo) potere gerarchico, funzionale e disciplinare: ciò esclude che la prestazione lavorativa sia stata resa in favore del Comune di Acquarica del Capo che, solo in tale evenienza, avrebbe potuto essere astrattamente obbligato al pagamento della c.d. indennità di missione.
Il fatto, poi, che il provvedimento di distacco, secondo la stessa disposizione dell’articolo 39 della legge 13 marzo 1980, n. 16, presuppone l’intesa con il dipendente interessato, e che tale circostanza (peraltro emergente dalla documentazione in atti) neppure è stata oggetto di contestazione, esclude qualsiasi rilievo circa il preteso, ma indimostrato (e per altri versi incomprensibile) asserito affidamento che l’appellante avrebbe fatto sulla sua appartenenza all’amministrazione comunale.
Va infine osservato che il medesimo art. 39 nel richiamare al comma 2 le norme precedenti, richiama anche l'art. 38 che il comma 5, lett. a), esplicitamente esclude la configurabilità della missione.
Infondate e non pertinenti sono le deduzioni volte a dimostrare che, nel caso di specie, non si sarebbe verificato, per effetto del provvedimento di comando, alcun trasferimento definitivo presso la struttura regionale fino al 1° aprile 1990, data di inquadramento del ricorrente nei ruoli regionali.
E’ appena il caso di rilevare, inoltre, che, come correttamente rilevato dai primi giudici, la normativa invocata a sostegno del diritto ad ottenere l’erogazione della predetta indennità è assolutamente errata, riguardando essa esclusivamente i dipendenti regionali, qualifica che l’appellante ha conseguito solo a partire dal 1° aprile 1990, con il formale inquadramento nei ruoli regionali.
Non è dato comprendere, infine, non essendo stato fornito al riguardo alcun elemento, quali sarebbero stati gli altri emolumenti di cui l’appellante ha rivendicato la spettanza.

III. In conclusione, l’appello deve essere respinto.
Non vi è luogo alla pronuncia sulle spese del presente giudizio di appello, stante la mancata costituzione delle amministrazioni
appellate.

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