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n. 10-2003 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, 3 ottobre 2003 n. 5745
Pres. Frascione, Rel. Branca Gianluigi Sarteur (Avv.ti Mario Contaldi e Roberto Longhin), c. Comune di Ayas (conferma TAR Valle d’Aosta, 19 giugno 1997 n. 89)

1 - Edilizia ed urbanistica – abusi e condono – possibilita’ di integrazione – rapporto con il parere della Sovrintendenza – subordinazione.

1 - Qualora sia presentata una domanda di condono edilzio in zona vincolata sotto l’aspetto ambientale, cui segua una integrazione contenente una diversa soluzione progettuale, il termine per la formazione del silenzio assenso sulle domande di condono non può decorrere ove non si sia conseguito il parere favorevole dall’autorità preposta alla tutela del vincolo.

 

 

FATTO

Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dal sig. Gianluigi Sarteur avverso il provvedimento in data 23 gennaio 1996 con il quale l’Assessore all’urbanistica del Comune di Ayas ha respinto la domanda di condono edilizio delle opere realizzate sopra la soletta del basso fabbricato sito sul fondo in mappa n. 97 F. 43 del C.T.
Il TAR ha ritenuto che il provvedimento fosse esente dalle illegittimità denunciate, consistenti, secondo l’assunto, nella perplessità della motivazione, posto che non sarebbe chiaro quale parte della domanda del ricorrente è stata respinta.
La doglianza, infatti, faceva riferimento ad una prima richiesta di sanatoria del gennaio 1987, riguardante l’ampliamento del locale seminterrato e un magazzino in assi di legno sopra la soletta, cui fece seguito, nell’ottobre dello stesso anno, una domanda integrativa contenente una diversa soluzione progettuale con edificio a due piani in mattoni.
Si lamentava che il diniego di condono sia stato adottato travisando i pareri della Sovrintendenza per i beni culturali e ambientali e assumendo che gli stessi fossero contrari alla concessione della sanatoria.
Avverso la sentenza il sig. Sarteur ha proposto appello chiedendone la riforma, reiterando le censure già avanzate in prime cure e denunciando ancora il difetto di motivazione della decisione con riguardo alla applicazione in via retroattiva della normativa urbanistica adottata in epoca successiva alla esecuzione dell’abuso.
Il Comune di Ayas non si è costituito in giudizio.
Alla pubblica udienza del 17 giugno 2003 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Deve essere in primo luogo esaminato il motivo di appello con il quale si denuncia che il contenuto del provvedimento impugnato non sarebbe sufficientemente comprensibile, con conseguente eccesso di potere, potendosi dubitare, secondo l’assunto, se sia stato adottato un diniego di condono per le opere come erano state realizzate al gennaio del 1987, o se si sia inteso negare una concessione per il progetto integrativo (costruzione in legno e mattoni di due piani, sopra la soletta) del settembre 1987.
Ritiene il Collegio che la lamentata equivocità non sia ravvisabile, se, come è doveroso, e come hanno ritenuto i primi giudici, l’atto sia valutato alla luce dei provvedimenti della Sovrintendenza ai beni culturali ed ambientali, intervenuti nella procedura.
Tali pareri erano indispensabili ai fini del richiesto condono, poiché la legge regionale n. 48 del 1985 subordinava al giudizio di compatibilità ambientale rimesso alla Sovrintendenza l’assenso comunale all’esecuzione di opere di adeguamento e di completamento di quanto realizzato abusivamente.
Il primo di tali pareri, adottato in data 14 luglio 1987, si riferiva alla realtà della costruzione così come l’appellante l’aveva posta in essere, e come chiedeva che fosse condonata, ossia un ampliamento del seminterrato, e, al di sopra della soletta, una sorta di baracca in legno e lamiera.
La Sovrintendenza si è espressa in quell’occasione, senza possibilità di equivoci, in senso negativo, perché il contesto ambientale non ammetteva la realizzazione di una “baracca”. L’appellante rifiuta tale interpretazione, preferendo parlare di assenso condizionato. Egli stesso, peraltro, sembrò convincersi che, allo stato, la costruzione contrastava con il vincolo ambientale, se si decise a presentare in breve lasso di tempo il progetto integrativo del settembre 1987, che prevedeva un edificio di due piani oltre il seminterrato.
Su questo progetto la Sovrintendenza si è pronunciata in due tempi, una prima volta il 15 marzo 1988, ed una seconda, in risposta ad una richiesta di chiarimenti del Comune, il 29 giugno 1995.
In entrambi i casi il parere, salva la prescrizione di alcune specificate modifiche al piano terra, è stato di segno favorevole alla astratta compatibilità ambientale delle opere come erano state proposte nel progetto integrativo del settembre 1987, ma nel contempo la Sovrintendenza si preoccupava di segnalare che il parere medesimo non poteva eliminare o superare gli eventuali ostacoli alla realizzazione del progetto che fossero derivati dalla normativa urbanistica, che spettava al Comune applicare e far rispettare.
A tale riguardo il Comune, nel provvedimento impugnato, ha raccolto la segnalazione della Sovrintendenza, e ha motivato il diniego di condono osservando che l’art. 23 delle Norme tecniche di attuazione del P.R.G., per le opere abusive ed in contrasto con l’ambiente (leggi, “la baracca”), ammette soltanto opere di manutenzione, e che, d’altra parte, una nuova costruzione non era assentibile per l’assenza di strumenti urbanistici di dettaglio.
Sostiene tuttavia l’appellante che l’Amministrazione non ha concluso il provvedimento relativo alla iniziale domanda di condono, della quale sarebbe ancora incerto l’esito.
La tesi non può essere condivisa.
Il provvedimento, infatti, si richiama alla zonizzazione di P.R.G. ed alla qualificazione attribuita al fabbricato basso F.43 n. 97 come “fabbricato in contrasto con l’ambiente”.
La proposizione successiva afferma, come si è sopra osservato, che a norma dell’art. 23 delle N.T.A.. i fabbricati in contrasto con l’ambiente non possono essere oggetto di interventi di ristrutturazione o sostitutivi o di ricostruzione.
Il progetto presentato nel gennaio 1987, consistendo in un ampliamento del piano seminterrato e nella realizzazione al piano superiore del deposito in assi e lamiere, doveva essere considerato, ai fini del condono come un intervento di ristrutturazione, in sé non condonabile.
Può quindi concludersi che nell’atto impugnato trovi definizione il complessivo procedimento avviato dall’appellante, sia con riguardo al primo abuso, sia con riferimento alla progettata sistemazione integrativa.
Deve poi essere condivisa la sentenza nella parte in cui, in esito alla doglianza dedotta in prime cure, ha affermato che il termine per la formazione del silenzio assenso sulle domande di condono non può decorrere ove non si sia conseguito il parere favorevole dall’autorità preposta alla tutela del vincolo. E si è già visto che sul primo abuso la Sovrintendenza si era espressa in senso negativo.
Ma l’appellante insiste, soprattutto nella memoria, nel censurare il provvedimento e la sentenza sul piano della logicità per aver stravolto lo spirito della normativa in tema di condono, che, secondo l’assunto, in presenza di una acclarata compatibilità ambientale, vieterebbe il diniego di condono.
A tale riguardo, in disparte quanto già osservato circa i rilievi di ordine ambientale presenti nei pareri della Sovrintendenza, l’appellante non considera che le valutazioni astrattamente favorevoli in esse contenute erano formalmente condizionate alla compatibilità dei manufatti e degli interventi con la normativa urbanistica, a proposito della quale l’ufficio si astiene formalmente dall’interloquire. In altri termini il profilo ambientale non era e non è l’unico che il Comune doveva tener presente nella definizione dell’istanza.
Ma neppure condividersi la tesi che sorregge l’intera prospettazione dell’appellante, secondo cui due erano i procedimenti avviati con riguardo al manufatto in questione e che essi dovessero essere valutati separatamente secondo regole diverse.
Va chiarito, in contrario, che il progetto presentato nel settembre ottobre 1987, denominato non caso “integrazione di condono edilizio n. 971/c del 30.01.1087”, venne presentato al precipuo scopo di ottenere il condono richiesto all’inizio del medesimo anno. Ne consegue che l’istanza, sulla quale il Comune doveva pronunciarsi è venuta a caratterizzarsi in dipendenza della modificazione prospettata nel 1987, e pertanto, non si spiega la doglianza circa la applicazione di normative urbanistiche successive agli anni 70, in cui la primitiva costruzione sarebbe stata realizzata.
Sotto altro riguardo, in fine, il richiamo alla mancanza di motivazione circa l’interesse pubblico alla demolizione delle opere abusive, non appare sostenuto da apprezzabili argomenti. Si rammenta che non si verte in materia di esercizio dell’autotutela, ma nella manifestazione di una potestà sanzionatoria interamente vincolata.
In conclusione l’appello deve essere rigettato.
La mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione esonera dalla pronuncia sulle spese.

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