CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, decisione
9 ottobre 2003 n. 6072;
Pres. Frascione, Est. Mastrandrea; ECOSAN s.r.l. (avv. Giuseppe
Sardo) c. ASL n. 8 di Vibo Valentia (avv. Bruno Anello) e nei confronti della
SOGEA di F. Falconieri s.a.s. (n.c.). Conferma Tribunale Amministrativo Regionale
per la Calabria, Catanzaro, II, 9 luglio 2002, n. 1790.
1 - Contratti della P.A. – trattativa privata – procedure negoziali privatistiche – rinegoziazione delle offerte – possibilita’
1 - E’ legittima la rinegoziazione di un’offerta, richiesta da una USL ad un’impresa, all’indomani di una trattativa privata (nella motivazione, si sottolinea che la normativa consentiva ai provveditori dell’Azienda sanitaria (in funzione di buyers) di adottare procedure negoziali privatistiche normalmente in uso presso le aziende private (basate dunque su miglior prezzo, qualità, livello del servizio), con relativa importante dequotazione degli atti amministrativi, a partire dalla delibera a contrarre.
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Breve commento
La sentenza 6072/2003 promuove a buyers i provveditori delle aziende USL, con
potere di rinegoziazione dei prezzi con le imprese concorrenti: tali erano prima
dell’art. 24 L. 289/2002 e tali restano oggi, poiche’ dal 3 ottobre 2003 è stato
ridotto l’obbligo di comunicazione delle trattative private sotto soglia alla
Corte dei Conti e’ venuto meno dall’ottobre 2003. Infatti, l’art. 15 del decreto
legge 269/2003 ha abrogato i commi 1 e 2 dell’art. 24 della legge 289 (finanziaria
per il 2003): l’art. 24 era stato formulato per restringere i margini di discrezionalità
nella gestione delle gare da parte delle amministrazioni pubbliche, prevedendo
una soglia di 50 mila euro per l’applicazione delle modalità di gara proprie
della disciplina comunitaria. In tal modo si intendeva ridurre il ricorso alla
trattativa privata, imponendo a tutte le pubbliche amministrazioni destinatarie
dei D.Lgs 358/1992, forniture, e 157/1995, servizi, di utilizzare la normativa
nazionale di recepimento delle disposizioni comunitarie per gli acquisti di
importo superiore a 50.000 euro. In altri termini, vi era un sostanziale abbassamento
della soglia comunitaria (Arturo Bianco, in Guida Normativa 15.10.2003).
Eccezioni vi erano per gli incarichi di progettazione di opere pubbliche (soglia
di 100.000 euro), i Comuni con meno di 5.000 abitanti, gli acquisti tramite
Consip e le cooperative sociali.
L’abrogazione dei co. 1 e 2 dell’art. 24 L. 289 riporta quindi alla normativa
precedente, con procedure europee applicabili solo ad importi superiori alla
soglia comunitaria (200.000 euro per servizi e forniture dei concessionari e
dei privati sovvenzionati, 162.293 euro per i servizi e le forniture dei ministeri
e delle “amministrazioni centrali, 249.681 euro per i servizi e le forniture
delle amministrazioni aggiudicatrici diverse dalle precedenti).
Prosegue quindi lo “smantellamento” delle disposizioni innovative contenute
nella legge finanziaria in tema di acquisti di beni e servizi, avviato dalla
legge 212/2003, di conversione del Dl n. 143, entrata in vigore nell’agosto
2003. La L. 212 ha infatti disposto la cessazione dell’obbligo di utilizzare
le convenzioni Consip o, in alternativa, i prezzi in esse contenuti come base
d’asta per gli acquisti effettuati direttamente.
Alcuni problemi rimangono. Infatti il comma 5 dell’art. 24 della legge 289/2002
prevede che “anche nelle ipotesi in cui la vigente normativa consente la trattativa
privata, le pubbliche amministrazioni possono farvi ricorso solo in cari eccezionali
e motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato, dandone
comunicazione alla Corte dei Conti”.
La Corte stessa, con delibera 27 febbraio 2003, n.7/CONTR/03 delle Sezioni unite
ha chiarito che detto comma 5 aveva carattere integrativo del comma 1 oggi abrogato,
in una comune logica di estendere il ricorso a procedure aperte di gara. La
Corte dei Conti voleva infatti ricevere comunicazione delle trattative private
e delle acquisizioni in economia, solo al di sopra della soglia di 50 mila euro,
per due ragioni: 1) escludere l’intasamento delle attività di controllo; 2)
perché oltre la soglia di 50 mila euro le procedure di gara dovevano espletarsi
necessariamente in modo il più aperto possibile.
Una volta abrogato il comma 1, al quale il comma 5 si riferiva come norma di
completamento, oggi si ritiene (Luigi Olivieri, Italia Oggi 10 ottobre 2003)
inoperante l’obbligo di comunicazione sotto la soglia comunitaria. Ma piu’ prudentemente,
sembra opportuno mantenere l’invio alla Corte delle trattative private oltre
la soglia dei 50.000 euro, almeno nell’attesa dell’abrogazione del comma 5 della
L. 289/2002
FATTO
1. Con la sentenza impugnata di cui in epigrafe,
emessa in forma semplificata ai sensi dell’art. 26, comma 4, l. 1034/71, come
introdotto dall’art. 9 della legge 21 luglio 2000 n. 205, una volta accertata
la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e sentite sul punto le
parti costituite, il TAR di Catanzaro dichiarava irricevibile il ricorso proposto
dalla società appellante avverso il provvedimento di affidamento, in seguito
a trattativa privata, del servizio di disinfestazione, disinfezione e derattizzazione
del territorio dell’A.S.L. n. 8 di Vibo Valentia, adottato con la delibera n.
12 dell’8 marzo 2002.
In particolare, ad avviso del TAR, era meritevole di accoglimento l’eccezione
di irricevibilità del ricorso formulata dall’Amministrazione resistente, peraltro
rilevabile d’ufficio, in quanto dagli atti sarebbe emerso che il ricorso introduttivo
era stato notificato all’Amministrazione sanitaria in data 5 giugno 2002 (e
alla ditta controinteressata, affidataria del servizio, il giorno precedente,
come da avvisi di ricevimento versati in atti), mentre lo stesso era stato depositato
presso la Segreteria del Tribunale in data 21 giugno 2002 (come dal timbro apposto
sul fascicolo e sull’originale del ricorso medesimo).
Rilevato che il termine per il deposito tempestivo del ricorso scadeva, ai sensi
dell’art. 23-bis della legge n. 1034 del 1971 novellata, il giorno 20 giugno
2002 e verificato che tale giorno non era incluso tra quelli considerati festivi
nel calendario, il TAR calabrese concludeva conseguentemente per la irricevibilità
del ricorso proposto.
2. La società intestata ha interposto l’appello in trattazione avverso la predetta pronunzia, ritenuta manifestamente erronea, ed ha anche riproposto gli originari profili di lagnanza affatto trattati dal Tribunale di prima istanza.
3. L’Azienda sanitaria intimata si è costituita in giudizio per resistere all’appello, ed ha a sua volta sollevato, preliminarmente, svariati profili di inammissibilità del gravame in punto di rito.
4. Con ordinanza della Sezione n. 3588/02 del 28 agosto 2002 è stata sospesa l’efficacia della sentenza di primo grado.
Alla pubblica udienza dell’8 aprile 2003 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello non è meritevole di favorevole
definizione, nei sensi appresso indicati, anche se, pronunziando sul medesimo,
non può, allo stesso modo, essere confermata la declaratoria di irricevibilità
del ricorso introduttivo, siccome erronea.
Risulta, infatti, evidente l’errore in cui sono incappati i primi giudici che,
in punto di fatto, non si sono avveduti della circostanza che il detto ricorso
è stato notificato il 7 giugno 2002 (come da dichiarazione di ricezione della
raccomandata) e non il 5 giugno 2002, e che pertanto lo stesso è stato depositato
in tempo utile, ovvero nel termine dimidiato dei 15 giorni dalla notificazione.
2. Ciò nondimeno, ed in disparte gli ulteriori
profili preliminari di rito sollevati dall’Azienda resistente, il ricorso di
primo grado va dichiarato parzialmente inammissibile, con precipuo riguardo
agli aspetti in cui esso è rivolto a contestare, per mancanza dei presupposti
di legge e di adeguato corredo motivazionale, la determinazione dell’Amministrazione
di provvedere alla scelta del contraente tramite una procedura negoziale, atteso
che, per giurisprudenza pacifica, la partecipazione senza riserve ad una procedura
di trattativa privata da parte di un’impresa offerente rende inammissibile per
acquiescenza l’eventuale reclamo.
In altri termini, la partecipazione (senza specifica riserva), dando seguito
a richiesta della Amministrazione appaltante, ad una trattativa privata preclude
l’incardinamento dell’interesse all’annullamento della procedura per motivi
attinenti all’assenza delle condizioni legittimanti la scelta di tale metodo
di contrattazione, od al difetto di motivazione circa la stessa scelta, atteso
che con il proprio comportamento l’impresa ha sostanzialmente prestato acquiescenza
al provvedimento di indizione della gara e qu???indi all’operato a monte dell’Amministrazione.
3. Ben diverso è, ovviamente, il caso delle
censure rivolte verso le modalità con le quali si è espletata la procedura negoziale,
dove non può essere revocata in dubbio la legittimazione della ditta che ha
comunque formulato un’offerta a sindacare la scelta finale e, prima ancora,
le modalità di conduzione del procedimento, in quanto la partecipazione diretta
al procedimento radica una posizione differenziata tutelabile in sede giurisdizionale
(cfr. Cons. Stato, V, 10 aprile 2000, n. 2079).
Nella fattispecie, può farsi utile riferimento alla terza censura dell’atto
introduttivo, riproposta con il gravame in trattazione, con la quale l’Ecosan
ha lamentato come l’Amministrazione appaltante, nella procedura di valutazione
dei requisiti richiesti e di successivo affidamento del servizio, abbia palesemente
violato i più elementari principi di trasparenza e par condicio dei concorrenti.
Assolutamente illegittima, oltre che illogica, sarebbe in particolare la richiesta
avanzata dalla stazione appaltante nei confronti delle concorrenti di formulare
un’”offerta migliorativa”, e comunque sarebbe in toto affetta da vizi la procedura
di rinegoziazione dei prezzi.
La reclamante ha, per la verità, anche dedotto la manifesta anomalia dell’offerta
della società aggiudicataria, nonché la scarsa chiarezza del criterio di aggiudicazione
concretamente utilizzato.
4. Ma l’appellante, all’evidenza, dimostra di
non aver tenuto nel debito conto della ben pregnante e decisiva circostanza
che la procedura negoziale è stata espletata in ossequio alle particolari norme
di legge che regolano l’attività contrattuale delle Aziende sanitarie per l’acquisizione
di beni e di servizi per importi inferiori alla soglia comunitaria. Occorre
all’uopo fare riferimento, più precisamente, all’art. 3 del d.lg. 19 giugno
1999, n. 229, (c.d. riforma “Bindi”), con cui, riformulando l’art. 3, ed introducendo
il nuovo art. 3, comma 1-ter, nell’ambito del decreto legislativo 502 del 1992,
si è previsto, in particolare, che i contratti di fornitura di beni e servizi
di valore sotto la soglia di rilevanza comunitaria debbano essere appaltati
o contrattati direttamente secondo le norme di diritto privato indicate nell’atto
aziendale di organizzazione e funzionamento (di cui al comma precedente, cioè
articolo 3, comma 1-bis, del decreto legislativo 502/92, come riformulato dal
decreto 229/99; nella specie si tratta della delibera aziendale n. 442 del 28
giugno 2001).
Sembra dunque che le aziende sanitarie siano state chiamate ad operare iure
privatorum relativamente ai contratti di fornitura di beni e di servizi a regime
nazionale e come organismi di diritto pubblico per quelli soggetti al regime
comunitario.
Va detto, per incidens, che le potenzialità “negoziali” di cui si discute hanno
subito un deciso ridimensionamento in virtù dell’entrata in vigore dell’art.
24, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il
2003), che ha ridotto, e non di poco, i margini per l’utilizzazione della trattativa
privata (peraltro, ai sensi del comma 5, espletabile solo in casi eccezionali
e motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato, e dandone
comunicazione alla Sezione regionale della Corte dei Conti), o comunque di forme
negoziali espletate ai fini dell’acquisto di beni e servizi da parte delle Amministrazioni
aggiudicatrici e quindi, per quel che qui interessa, anche da parte degli organismi
di diritto pubblico, essendo stato introdotto l’obbligo, per ragioni di trasparenza
e concorrenza, di espletare procedure aperte o ristrette, con le modalità previste
dalla normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria, anche
quando il valore del contratto è superiore a € 50.000 (pur rimanendo dunque
al di sotto, e non di poco, della soglia comunitaria).
Ciò posto, è nondimeno indubitabile che il quadro legislativo di riferimento
allora vigente avesse ampliato significativamente i margini di operatività dell’Azienda
sanitaria, consentendo ai provveditori (in funzione di buyers) di adottare procedure
negoziali privatistiche normalmente in uso presso le aziende private (basate
dunque su miglior prezzo, qualità, livello del servizio), con relativa importante
dequotazione degli atti amministrativi (a partire dalla delibera a contrarre).
In tale ottica, risulta coerente con i principi affermati che dopo aver ricevuto
le offerte presentate dai fornitori prescelti per essere invitati alla negoziazione,
il provveditore o comunque il responsabile del procedimento, previa valutazione
delle componenti tecniche, procedesse alla contrattazione con le aziende ritenute
idonee ed eventualmente anche alla rinegoziazione delle offerte e che alla fine
trattasse con la ditta la cui offerta era ritenuta più conveniente.
In tale fase, infatti, era possibile ottenere i migliori vantaggi del sistema
di contrattazione privatistica, con la negoziazione di ogni elemento: oggetto,
quantità, termini di pagamento, modalità di consegna, e così via.
Resta inteso che il responsabile del procedimento, durante la negoziazione e
sino all’individuazione dell’interlocutore più conveniente, era chiamato a garantire
riservatezza, lealtà ed equidistanza, nonché la massima conoscibilità delle
regole.
5. Date anche le sopraindicate premesse generali,
le ulteriori doglianze vanno pertanto disattese, perché esse risentono obiettivamente
della mancata considerazione della peculiarità della procedura adottata, ai
sensi di legge, dall’Azienda sanitaria, ed inoltre perché, nei limiti della
sindacabilità della procedura stessa (senza dubbio perfettibile sotto il profilo
della trasparenza), l’azione dell’Amministrazione si svela esente dai vizi denunziati
dalla parte appellante, per come in questa sede riproposti.
Occorre evidenziare, anzitutto, che la ASL aveva fatto espressa riserva, nella
lettera di invito inviata a tutte le ditte, di “rinegoziare i prezzi con le
ditte concorrenti”, non solo quindi con quella che avesse presentato l’offerta
più conveniente.
La censura circa il connotato di anomalia dell’offerta, in disparte l’eccepito
difetto di interesse, è in ogni caso formulata genericamente, non rispecchia
il quadro normativo effettivamente applicabile, e non è inoltre corroborata
dagli elementi di fatto, se solo si rapporta il ribasso dell’offerta proveniente
dalla ditta aggiudicataria con quello proposto dalle ditte concorrenti, compresa
la ditta reclamante (terza classificata).
In ordine, infine, all’asserita violazione dei criteri di aggiudicazione, oltre
a doversi necessariamente rilevare la mancata impugnazione della lex specialis
unitamente all’atto pregiudizievole gravato, gli ampi margini di manovra assentiti
dalla legge e dall’atto aziendale inducono la Sezione a ritenere che l’Amministrazione
era titolata ad individuare l’“offerta migliore”, ai sensi della lettera di
invito, nel maggiore ribasso offerto dalla ditta comunque in possesso dei presupposti
tecnici richiesti.
La censura circa il connotato di anomalia dell’offerta migliore”, ai sensi della
lettera di invito, nel maggiore ribasso offerto dalla ditta comunque in possesso
dei presupposti tecnici richiesti.
6. Alla stregua delle considerazioni che precedono,
l’appello non può dunque essere accolto anche se, pronunziando sul medesimo,
il ricorso di primo grado, più correttamente, in parte va dichiarato inammissibile,
in parte va respinto, nei sensi sopra indicati.
Non mancano, tuttavia, gli estremi, ad avviso del Collegio, per disporre l’integrale
compensazione tra le parti costituite delle spese di lite, relativamente al
presente grado di giudizio.