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Giurisprudenza
n. 10-2003 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - 21 ottobre 2003 n. 6529
Pres. Quaranta, Est. Pullano; Immovilli Silvano e Tambolla Carmela (Avv.ti Pierluigi Cassietti e Mario Meneghini) c. Comune di Verbania (Avv.ti Giorgio Santilli ed Enrico Romanelli) e nei confronti del Condominio De Bonis (Avv.ti Fabrizio Gaidano e Mario Contaldi).

Edilizia ed urbanistica - concessione in sanatoria - soggetto legittimato – autore dell’abuso – consenso del proprietario – necessita’ – fattispecie di opera in condominio.

Puo’ chiedere la concessione in sanatoria il “responsabile dell’abuso” (art. 13 l. n°47/1985), prescindendo dalla di lui proprietà del bene sanando. Ma, considerato che la richiesta di sanatoria è pur sempre diretta al rilascio di una concessione o autorizzazione edilizia trova applicazione anche l’art. 4 l. n°10/1977 e, quindi, e’ comunque necessario che il richiedente, per poter usufruire della sanatoria, disponga del titolo per richiederla. L’espressione “responsabile dell’abuso” è stata adottata per comprendere tutte le categorie di soggetti che hanno concorso a realizzare l’abuso, fermo restando che non si puo’ chiedere, senza il consenso del titolare del bene, sul quale insistono le opere e che potrebbe essere del tutto estraneo all’abuso, una concessione che potrebbe risolversi in danno dello stesso. (nel caso esaminato e’ stato escluso che un privato possa ottenrere una concessione in sanatoria senza l’assenso del condominio, per un intervento abusivo che riguardi non solo il fondo del richiedente, ma anche parti comuni condominiali)

 

FATTO

Gli appellanti, a seguito dell’ordinanza dirigenziale del 21.7.1998, con la quale era stato loro ingiunto di demolire le opere edilizie abusivamente realizzate nella loro abitazione sita in via De Bonis n. 3. il 17.9.1998 hanno presentato domanda di concessione in sanatoria per le opere suddette, consistenti nell’avvenuta demolizione di un servizio igienico situato su balcone prospiciente sul cortile interno del condominio, nell’ampliamento di cm. 30 di un balcone esistente, nell’allargamento da mt. 1 a mt. 2,70 di una finestra esistente, nella formazione di una porta di accesso con demolizione di muratura perimetrale di proprietà comune con altro condomino, nella posa in opera di copertura in tegole di coppo portoghese, difforme da quanto previsto nella concessione edilizia n. 160/80, che prevedeva la tipologia in coppo di cotto.
Il Comune di Verbania - dopo avere chiesto agli istanti di produrre documentazione integrativa e, in particolare, anche l’assenso condominiale per le opere indicate nell’istanza di sanatoria realizzate sulle parti comuni o di interesse del condominio, assenso che il condominio ha, però, negato - ha rilasciato la concessione per il ripristino del manto di copertura in tegole di coppo cotto, conformemente a quanto richiesto dagli appellanti nelle more istruttorie del procedimento, mentre la ha negata per le altre opere per il mancato assenso del condominio e del condomino comproprietario del muro perimetrale. Gli interessati con ricorso dinanzi al Tar Piemonte hanno chiesto l’annullamento del diniego di concessione, a loro avviso illegittimo per violazione di legge, vizio di motivazione, eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria.
Il Tar, con l’impugnata sentenza breve ha respinto il ricorso, osservando che i motivi dedotti - con i quali, in particolare, era stata denunciata l’illegittimità della motivazione del provvedimento impugnato, in quanto l’opposizione dell’amministrazione condominiale non avrebbe potuto di incidere sul rilascio di un titolo concessorio - sono infondati, avendo l’amministrazione comunale correttamente sollevato, ai sensi dell’art. 4 della L. 28.1.1977 n. 10, la questione della legittimazione a richiedere la concessione in sanatoria.
Al riguardo ha precisato che, secondo la norma suddetta, “la concessione è data dal sindaco al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla”, e che i ricorrenti non avevano titolo per richiedere l’assenso allo svolgimento dell’attività edilizia, non potendo disporre in via esclusiva delle parti sulle quali insistevano le opere realizzate, essendo in parte di proprietà comune a tutti i condomini o, comunque, tali da alterare il decoro architettonico del condominio e, quanto alla porta aperta sul muro perimetrale, insistendo anche su proprietà altrui.
Gli appellanti, con il ricorso in esame, chiedono l’annullamento della sentenza perché erronea nell’interpretazione delle norme del codice civile che disciplinano l’istituto della comunione e, in ogni caso, perché l’opposizione dell’amministrazione condominiale non avrebbe potuto essere considerata legittimamente incidente sul rilascio della concessione, posto che la questione relativa alle opere eseguite su parti comuni dell’edificio attiene a diritti soggettivi privati dei condomini, rispetto ai quali la giurisdizione spetta al giudice civile.
Si sono costituiti in giudizio l’amministrazione comunale e il condominio, intervenuto ad opponendum in primo grado, i quali, con ampie argomentazioni e riferimenti giurisprudenziali, hanno illustrato i motivi di infondatezza dell’appello.
Il condominio ha anche proposto appello incidentale lamentanto che il Tar avrebbe omesso di pronunciarsi sulla dedotta eccezione di irricevibilità del ricorso.
In prossimità dell’udienza di trattazione del ricorso tutte le parti hanno depositato memoria.

DIRITTO

L’appello incidentale del condominio appellato è infondato.
Il condominio ribadisce l’eccezione, non esaminata in primo grado, di irricevibilità (recte: inammissibilità) dell’originario ricorso, in quanto non sarebbe stato tempestivamente impugnato l’atto presupposto con il quale il Comune di Verbania, al fine di dare corso alla pratica di sanatoria, ha chiesto ai coniugi Immovilli di produrre la dichiarazione di assenso dell’amministrazione condominiale all’esecuzione delle opere previste in sanatoria.
Al riguardo è agevole osservare che l’atto adottato dal comune di Verbania non ha alcun contenuto provvedimentale, trattandosi di un atto meramente interlocutorio, e, quindi, non lesivo di alcuna posizione soggettiva giudizialmente tutelabile.
Passando al merito, la questione che il Collegio è chiamato a risolvere concerne la possibilità, da parte dell’amministrazione comunale, di negare la concessione in sanatoria, chiesta ai sensi dell’art. 13 della L. 28.2.1985 n. 47, per motivi che esulano dall’accertamento di conformità delle opere abusive agli strumenti urbanistici e, in particolare, nel caso in esame, per il mancato assenso dell’amministrazione condominiale, che come si è appena visto, è stato richiesto, ai fini della loro sanatoria, interessando l’abuso parti comuni dell’edificio.
Il Tar, con la sentenza impugnata ha ritenuto legittima la determinazione comunale, osservando che l’amministrazione aveva fatto corretta applicazione dell’art. 4 della L. 28.1.1977 n. 10, il quale enuncia che “…la concessione è data dal Sindaco al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per riceverla…”, in quanto gli interessati non avevano titolo a richiedere l’assenso della p.a. allo svolgimento dell’attività edilizia, che in tutto o in parte si era svolta su aree di cui non avevano la disponibilità esclusiva.
In effetti, sul punto la giurisprudenza, che in passato era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell’attività amministrativa in materia edilizia è quello dell’accertamento della conformità dell’opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi e senza che la mancata considerazione di tali diritti possa in qualche modo incidere sulla legittimità dell’atto, più recentemente (cfr. C.d.S., Sez. V, 15.3.2001 n. 1507) ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili. In proposito ha, pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati (nel caso in esame concernenti la legittimità - o non - della esecuzione, ai sensi dell’art. 1102 c.c., delle opere edilizie che interessano porzioni condominiali comuni), ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente. Ha, pertanto, concluso che, conformemente a quanto previsto dal cit. art. 4 della L. n. 10/77, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato, la scelta dell’amministrzione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento (cfr. in termini, anche C.d.S., Sez. V, 20.9.2001 n. 4972; Tar Toscana 23.11.2001 n. 1651; Tar Emilia Romana-Parma, 21.3.2002 n. 183).
Precisato, quindi, che l’amministrazione può, in sede di rilascio della concessione edilizia, legittimamente richiedere il consenso del comproprietario dell’area interessata dall’intervento edilizio, resta da verificare se tale principio possa trovare applicazione anche nel caso della richiesta di sanatoria ex art. 13.
Secondo gli appellanti l’art. 13 individua nel “responsabile dell’abuso” il soggetto legittimato a richiedere la concessione in sanatoria, anche ai fini di cui al successivo art. 22 (secondo il quale la consessione in sanatoria estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche), prescindendo dalla proprietà del bene sanando.
Ad avviso del Collegio alla norma non può essere data la suddetta interpretazione riduttiva, considerato che la richiesta di sanatoria è pur sempre diretta al rilascio di una concessione o autorizzazione edilizia, come ripetutamente precisato nel primo, secondo e terzo comma, con l’unica differenza che, nell’ipotesi contemplata, si tratta di assentire un progetto edilizio già realizzato, invece che da realizzare.
Non c’è motivo, pertanto, di ritenere che non debba trovare applicazione la regola generale di cui all’art. 4 della L. n. 10/77 e che, quindi, sia comunque necessario che il richiedente, per potere usufruire della sanatoria, disponga del titolo per richiederla.
Né appare in senso contrario rilevante la circostanza che l’art. 13 individui nel “responsabile dell’abuso”, e non già nel titolare del bene, il soggetto legittimato a chiedere la concessione in sanatoria, in quanto in proposito è agevole osservare che il legislatore ha solo adottato un formula idonea a ricomprendere tutte le categorie di soggetti, indicati nell’art. 6, che hanno concorso a realizzare l’abuso, fermo restando che anche detti soggetti, non possono chiedere, senza il consenso del titolare del bene, sul quale insistono le opere e che potrebbe essere completamente estraneo all’abuso ed avere anzi un interesse contrario alla loro sanatoria, una concessione che, in ipotesi, potrebbe risolversi in danno dello stesso.
Parimenti non può obbiettarsi che con ciò si priverebbe il “responsabile dell’abuso” del beneficio di cui all’art. 22, perchè, come è stato correttamente osservato dal condominio resistente, la sanatoria costituisce una eccezione alla regola che impone di non realizzare abusi edilizi, per cui, se l’abuso non può essere sanato, il responsabile ne sopporta le conseguenze che sono riconducibili ad una intenzionale violazione delle norme di ordine pubblico.
Dalle considerazioni suesposte deriva la reiezione dell’appello.
La novità della questione controversa induce tuttavia il Collegio a compensare le spese del presente grado del giudizio.

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