CONSIGLIO DI STATO, SEZ.V - decisione
21 ottobre 2003 n. 6531
Pres. Carboni, Est. D’Ottavi; Luigi Adinolfi (avv. Paolo Di
Martino) c. Comune di Caserta (n.c.).
1 - Silenzio della p.a. – silenzio rifiuto – presupposti – attesa di un comportamento della p.a. conforme al perseguimento degli interessi pubblici – fattispecie di sollecitazione di interventi edilizi repressivi da parte di un vicino.
1 - La tutela garantistica generalizzata avverso il fenomeno del silenzio-rifiuto riguarda non solo i casi in cui l’Amministrazione sia tenuta a corrispondere ad istanze sottopostele dall’amministrato, ma anche l’ipotesi in cui ci si debba comunque attendere dalla p.a. un comportamento conforme al perseguimento degli interessi pubblici cui essa è istituzionalmente deputata. In conseguenza, allorché sia stata accertata in capo al privato istante una posizione qualificata e legittimante, e questi abbia presentato un’istanza circostanziata e specifica, l’Amministrazione sarà tenuta a corrispondere sull’istanza (anche solo per dimostrarne l’eventuale infondatezza di presupposti), in quanto da un lato tale compartecipazione si conforma all’evoluzione in atto dei rapporti tra amministrazione ed amministrato (titolare di una specifica posizione), e dall’altro perché in tale ipotesi il comportamento omissivo assume una connotazione negativa piuttosto evidente. (Nel caso di specie la parte aveva prospettato una non generica situazione di abusività di interventi edilizi, in varie istanze prodotte dal Comune con una legittimazione attiva particolarmente qualificata da un diritto di proprietà su un’area limitrofa. Il giudice di appello ha accolto il ricorso del privato che sollecitava interventi repressivi).
FATTO
L’istante rappresenta che nella sua qualità
di proprietario di un immobile in Caserta alla Via Laviano n.24 – Parco SIA,
con istanza del febbraio 2000 ed atto di diffida del febbraio 2000 richiedeva
l’intervento del Comune di Caserta, quale ente preposto alla vigilanza e repressione
degli abusi edilizi, al fine di eliminare opere abusive di vaste proporzioni
realizzate nel parco SIA; non avendo il Comune provveduto in merito, proponeva
ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania.
Si costituiva in giudizio il Comune che si limitava ad eccepire che l’istante
non era titolare di un interesse legittimo, ma solo di un interesse di fatto
tale da non legittimarlo a produrre ricorso giurisdizionale.
Con la decisione impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto ha ritenuto che il ricorrente
non avesse precisato il titolo e la natura della violazione commessa dall’Amministrazione.
Secondo l’appellante la decisione è ingiusta ed illegittima e ne chiede la riforma
per i seguenti motivi:
“Error in iudicando” con riferimento al titolo e alla natura della violazione
commessa dalla P.A.; il Collegio afferma che il ricorrente ha attivato la procedura
ex art.21 bis legge n.1034/71, senza precisare il titolo e la natura della violazione
commessa dall’Amministrazione. Rileva viceversa l’appellante che il Comune è
l’organo deputato in via primaria al controllo del territorio da un punto di
vista urbanistico ed è l’ente titolare dei poteri repressivi in merito.
Il ricorso lamentava l’inadempienza dell’Amministrazione con riferimento alle
circostanze degli abusi evidenziati nell’istanza del febbraio 2000 e nell’atto
di significazione parimenti notificato al Comune nel febbraio 2002, e si soffermava
poi dettagliatamente sull’obbligo del Comune a corrispondere all’istanza e a
procedere per la refusione degli abusi edilizi. Pertanto è evidente l’errore
in iudicando in cui è caduto il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania.
Rileva poi l’appellante che nel caso in cui la decisione del Tribunale fosse
interpretabile con riferimento all’assenza in radice di una posizione legittimamente
del ricorrente, l’impostazione sarebbe certamente errata.
Infatti, dagli atti di causa, era pacifica ed incontestata la qualità del ricorrente
quale proprietario di un’unità immobiliare all’interno di un parco nel quale
erano stati commessi abusi edilizi di vaste proporzioni; pertanto la legittimazione
del ricorrente a chiedere gli interventi repressivi e ripristinatori del caso
nei confronti del Comune era pacifico. Non si vede, infatti chi altri potrebbe
essere legittimato a richiedere tale intervento se non il ricorrente che è comproprietario
di unità immobiliare ed abita nel Parco SIA. Pertanto, alla luce dell’inerzia
ingiustificata del Comune, il ricorrente era legittimato ad impugnare il silenzio-rifiuto
tramite la speciale procedura di cui all’art.21 bis legge 6 dicembre 1971 n.
1034 istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, come introdotto dalla
legge n.205 del 2000; secondo quanto anche statuito dalla Sezione V del Consiglio
di Stato con la sentenza n.230 del 16 gennaio 2002.
L’appellante conclude per l’accoglimento del ricorso con ogni consequenziale
statuizione di legge.
Alla pubblica udienza del 6 maggio 2003 il ricorso veniva trattenuto in decisione
su conforme istanza degli avvocati delle parti.
DIRITTO
Come riportato nella narrativa che precede con
l’appello in esame viene impugnata la sentenza n.8029/02, del 12 dicembre 2002,
con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Napoli – IV
Sezione, ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante avverso e per
l’annullamento del silenzio-rifiuto serbato dall’appellato Comune di Caserta
sulle diffide presentate dall’appellante medesimo per ottenere l’intervento
del Comune per la repressione degli abusi edilizi perpetrati nel parco SIA.
Come pure considerato in precedenza l’appellante dopo aver dedotto l’error in
iudicando concernente la fondatezza della sua richiesta di intervento del Comune
a reprimere gli abusi evidenziati, reitera nel merito – sia pur rimodulandole
avverso il contenuto dell’impugnata decisione – le censure già prospettate in
primo grado, censure per cui, sotto il profilo della legittimazione attiva,
egli, anche in quanto proprietario di un’unità immobiliare all’interno del parco,
aveva titolo per la proposizione dell’iniziativa giurisdizionale.
Le censure sono fondate e l’appello deve essere accolto per le ragioni e nei
limiti appresso specificati.
Il Tribunale ha ritenuto che la disposizione generale prevista dall’art.21 bis
della legge n.1034/1971 (come innovata dalla legge n.205/2000) sull’impugnabilità
del silenzio-rifiuto serbato dall’Amministrazione, non possa essere interpretata
nel senso di attribuire efficacia garantistica giurisdizionale nei confronti
di qualsiasi richiesta avanzata alla P.A. e rimasta inevasa, perchè la tutela
garantistica generalizzata ed uniforme dell’impugnazione del silenzio-rifiuto
riguarda pur sempre quelle ipotesi in cui tale (tacito) provvedimento (impugnabile)
si sia (giuridicamente) formato, e non indistintamente in tutti i casi in cui
l’Amministrazione non abbia corrisposto alle istanze sottopostele.
L’argomentazione del Tribunale, condivisibile (ma solo in parte) in via generale,
non è comunque rapportabile alla fattispecie.
Sotto il profilo generale ritiene il Collegio che se è vero che la predetta
tutela garantistica generalizzata avverso il fenomeno del provvedimento di silenzio-rifiuto
debba riguardare comunque casi in cui l’Amministrazione sia tenuta a corrispondere
espressamente alle istanze sottopostele, è altrettanto e prevalentemente vero
che il denotato fenomeno negativo del predetto latitante comportamento dell’Amministrazione
(silenzio-rifiuto) sia censurabile quando dall’Amministrazione ci si debba comunque
attendere un comportamento conforme al perseguimento degli interessi pubblici
cui essa è istituzionalmente deputata. In altri termini ritiene il Collegio
che il silenzio-rifiuto, come tale, sia comunque censurabile se da un lato riguardi
l’estrinsecazione di un comportamento (potenzialmente) comunque dovuto da parte
dell’Amministrazione e, dall’altro sia attivato – come nella fattispecie – non
in maniera acritica e generalizzata, ma da chi vanta uno specifico e qualificato
interesse.
Ciò premesso in via generale rileva poi il Collegio che nella fattispecie l’originario
ricorrente-appellante aveva prospettato una non generica situazione di abusività
di interventi edilizi la cui antigiuridicità veniva espressamente specificata
nelle varie istanze prodotte dall’interessato, la cui legittimazione attiva
era poi particolarmente qualificata dalla titolarità di un diritto di proprietà
limitrofo al luogo in cui si sono perpetrati gli abusi denunciati e dalle particolarità
proprie (pure ampiamente qualificate nei menzionati atti di diffida) del Parco
SIA ove tale proprietà (e i contigui abusi) sono localizzati.
Ne deriva ad avviso del Collegio che qualora – come nella fattispecie il comportamento
omissivo (silenzio-rifiuto) dell’Amministrazione sia stigmatizzato da un soggetto
qualificato (in quanto, per l’appunto, titolare di una situazione di specifico
e rilevante interesse che lo differenzia da quello generalizzato di per sé non
immediatamente tutelabile), tale comportamento assuma una connotazione negativa
e censurabile dovendo l’Amministrazione (titolare dei generali poteri-competenze
in materia di controllo e di repressione sull’abusivismo edilizio) dar comunque
seguito (anche magari esplicitando l’erronea valutazione dei presupposti da
parte dell’interessato) all’istanza.
In altri termini ritiene la Sezione che sull’accertata sussistenza (come evidenziato
nella fattispecie) di una posizione qualificata e legittimante, e di un’istanza
circostanziata e specifica relativa a presunte realizzazioni abusive, il Comune
sia tenuto a corrispondere sull’istanza (anche e solo per dimostrarne l’eventuale
infondatezza di presupposti), in quanto da un lato tale compartecipazione si
conforma all’evoluzione in atto dei rapporti tra Amministrazione e amministrato
(titolare di una specifica posizione), e dall’altro perché in tale ipotesi il
comportamento omissivo (spesso causa di un’inerte complicità agevolatrice del
degrado edilizio), assume una sua sindacabile connotazione negativa.
In tale contesto l’appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma dell’impugnata
sentenza, deve essere accolto l’originario ricorso e conseguentemente deve essere
dichiarato l’obbligo del Comune ad esprimersi sull’istanza e la conseguente
diffida proposte dall’originario ricorrente – attuale appellante.
All’ accoglimento dell’ appello seguono le spese di giudizio, che si liquidano
in euro 1500 per il primo grado e in euro 2000 per il grado d’ appello.