CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza
12 novembre 2003 n. 7218
Pres. Quaranta, Est. Buonvino Comune di CALVI (avv. Umberto
DEL BASSO DE CARO)contro Cooperativa CALVI UNO s.r.l. (avv.ti Silvio FERRARA
e Gaetano DEL VECCHIO), NARDONE Gerarda. (conferma TAR Campania, Napoli, Sezione
II, 25 novembre 1996, n. 523)
Edilizia ed urbanistica – concessione edilizia – annullamento – per evitare danni conseguenti ad accessione invertita – illegittimita’
E’ illegittimo il provvedimento di annullamento di una concessione edilizia emesso per evitare il rischio di una accessione invertita dell’area (nella specie si discuteva dell’annullamento della concessione edilizia per la realizzazione di 12 alloggi in diritto di superficie, in avanzata esecuzione, su area occupata di urgenza: il Comune, dopo avere assunto, a partire dal 1988, una serie di determinazioni, mai rimosse dal mondo giuridico, sebbene adottate nell’asserita assenza di validità di un piano di zona di edilizia pubblica, aveva determinato un più che valido e legittimo affidamento, da parte della Cooperativa stessa, in merito alla realizzabilità dell’intervento, concretizzatasi, poi, con il rilascio del contestato titolo edificatorio.
F A T T O
1) - Con la sentenza appellata il TAR ha riunito
e accolto i ricorsi nn. 6062/1995, 8150/1995 e 11388/1995 proposti dalla società
cooperativa qui appellata e, per l’effetto, ha annullato l’ordinanza sindacale
2 giugno 1995, n. 7, prot. 2965 (recante annullamento della concessione edilizia
19 aprile 1994, n. 8), nonché il provvedimento sindacale 5 ottobre 1995, n.
4901 (con il quale si afferma che non esistono i presupposti per adottare ulteriori
provvedimenti ai sensi dell’art. 51 della legge n. 865/1971).
Per il Comune appellante la sentenza sarebbe erronea in quanto sarebbero pienamente
esistiti, nella specie, i presupposti per procedere all’annullamento del citato
titolo edificatorio.
Si è ritualmente costituita in giudizio la società cooperativa appellata insistendo
per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza appellata.
D I R I T T O
1) - Con la sentenza appellata il TAR ha riunito
e accolto i ricorsi nn. 6062/1995, 8150/1995 e 11388/1995 proposti dalla società
cooperativa qui appellata e, per l’effetto, ha annullato l’ordinanza sindacale
2 giugno 1995, n. 7, prot. 2965 (recante annullamento della concessione edilizia
19 aprile 1994, n. 8), nonché il provvedimento sindacale 5 ottobre 1995, n.
4901 (con il quale si afferma che non esistono i presupposti per adottare ulteriori
provvedimenti ai sensi dell’art. 51 della legge n. 865/1971).
L’appello - con il quale il Comune deduce che, nella specie, contrariamente
a quanto ritenuto dai primi giudici, sarebbero sussistiti tutti i requisiti
per procedere al contestato annullamento di concessione edilizia – è infondato.
2) - E, invero, correttamente il TAR ha escluso
che il provvedimento di annullamento di concessione edilizia fosse correttamente
motivato sotto il profilo dell’interesse pubblico e della comparazione con quello
privato.
In presenza, infatti, come nella specie, della realizzazione di una significativa
parte delle opere assentite, non può l’Amministrazione, tornando, dopo oltre
un anno, sul titolo concessorio rilasciato, disporne l’annullamento per semplici
ragioni di ripristino della legalità; e ciò tanto più dopo avere assunto, nel
tempo (e, precisamente, a partire dal 1988), a favore della Cooperativa, una
serie di determinazioni, mai rimosse dal mondo giuridico (sebbene pure esse
adottate nell’asserita assenza di validità del P. di Z.), tali da avere determinato
un più che valido e legittimo affidamento, da parte della Cooperativa stessa,
in merito alla realizzabilità dell’intervento, concretizzatasi, poi, con il
rilascio del contestato titolo edificatorio.
3) - Il provvedimento impugnato dispone, invero,
l’annullamento della “concessione edilizia n. 8 del 19/4/1994 rilasciata alla
cooperativa Calvi Uno” in quanto gli atti deliberativi a favore della Cooperativa
stessa (delibera consiliare 13 aprile 1988, n. 42, recante concessione alla
medesima del diritto di superficie sui lotti siti in P. di Z per la realizzazione
di 12 alloggi; delibera consiliare 2 aprile 1990, n. 16, di approvazione del
progetto per la realizzazione degli alloggi stessi, relativa convenzione tra
Società cooperativa e Comune stipulata l’8 aprile 1992 e regolarmente registrata;
decreto 21 marzo 1992, n. 925, di occupazione d’urgenza delle arre sulle quali
realizzare l’intervento; stato di consistenza in data 11 giugno 1992; concessione
edilizia n. 8/1994 cit.) si erano concretizzati successivamente al periodo di
validità del Piano di zona, approvato nel 1965; e che militavano a favore dell’annullamento
il fatto che il Comune avrebbe potuto subire un danno grave e irreparabile dal
persistere dell’occupazione sine titulo delle aree e che i privati titolari
delle stesse lo avevano già diffidato ad assumere i prestituzione dei fondi
ai legittimi proprietari, senza incorrere in una espropriazione illegittima.
Ebbene, il timore di patire iniziative dei privati i cui fondi sarebbero stati
illegittimamente occupati, avendo rilevanza meramente economica, non è in grado
di supportare utilmente il provvedimento sotto il profilo dell’interesse pubblico,
tanto più che si tratta di un onere verso i detti privati non solo non concretizzato
nei suoi presumibili importi (in proposito, si tenga conto, tra l’altro, del
fatto che, nel vigente PRG, le aree in questione risultano, comunque, collocate
in zona destinata all’EEP e, quindi, comunque soggette a limiti edificatori),
ma anche del tutto eventuale, non risultando supportato da concrete azioni in
sede giurisdizionale proposte avverso le determinazioni amministrative via via
assunte nel tempo dalla P.A.. in danno dei privati stessi.
In ogni caso, avrebbe dovuto essere comparata tale asserita, ma non meglio definita,
esposizione economica anche con quella correlabile, per lo stesso Comune, all’annullamento
del titolo concessorio; questo è, infatti, intervenuto allorché le opere erano
in avanzato stato di realizzazione e sulla base di titoli astrattamente idonei
e risalenti nel tempo e frutto, quindi, di un iter procedurale complesso, le
cui eventuali carenze sarebbe stato preciso onere del Comune stesso prevenire
prima di pervenire all’assentimento delle opere in questione; con conseguente
consolidamento degli affidamenti in capo alla Cooperativa interessata e correlativi
oneri risarcitori in capo all’Amministrazione, correlabili, tra l’altro, sotto
il profilo del danno emergente, ai costi procedurali e progettuali, oltre che
a quello delle opere in effetti già realizzate e, sotto il profilo del lucro
cessante, alle utilità ricavabili dall’intervento edificatorio, inevitabilmente
pregiudicate dalla rimozione della concessione edilizia a favore della stessa
rilasciato, in caso di definitiva sua rimozione.
Ciò tanto più ove si consideri, come già cennato, che la procedura concessoria
era in corso da tempo (1988) e spettava all’Amministrazione farsi carico, prima
di pervenire al rilascio del titolo edificatorio, di avvedersi dell’asserita
decadenza dello strumento attuativo (né dall’atto impugnato viene imputata all’interessato
responsabilità alcuna in merito al rilascio del titolo edificatorio).
E non senza considerare, inoltre, l’illegittimità di una procedura che si è
conclusa con l’annullamento dell’atto terminale, ma non degli atti a monte,
certamente non affetti da radicale nullità, essendo gli stessi semplicemente
annullabili, se tempestivamente impugnati, o rimovibili, all’occorrenza, in
via di autotutela, dalla stessa Amministrazione che, invece, rispetto ad essi,
è rimasta di fatto inerte.
Deve anche rilevarsi, ad ogni buon conto, che la destinazione di zona impressa
all’area in questione dalla pianificazione sopravvenuta nel 1987 era pur sempre
di EEP, sicché non vi è contrasto tra le opere in corso di esecuzione e lo strumento
urbanistico generale; e che, inoltre, l’asserita destinazione a strada di parte
delle aree in quella sede operata (peraltro, dedotta, come elemento ostativo,
dal Comune solo in sede difensiva, ma non richiamata affatto nell’atto impugnato,
con conseguente inammissibile integrazione in giudizio della motivazione dell’atto
impugnato) non inibiva alla P.A. la possibilità di richiedere, per tale parte,
una modificazione progettuale, salva, naturalmente, anche la possibilità di
introdurre una variante, sul punto, allo stesso strumento pianificatorio generale.
Quanto, infine, agli oneri di urbanizzazione di cui il Comune avrebbe dovuto
farsi carico, essi erano agevolmente prospettabili anche prima dell’adozione
del provvedimento impugnato e, comunque, agli stessi non viene fatto riferimento
alcuno nell’atto impugnato, ma solo – e inammissibilmente, anche in questo caso,
trattandosi di integrazione postuma della motivazione – negli atti defensionali.
4) - L’appello è infondato anche laddove censura la sentenza del TAR per avere la stessa condiviso il motivo che si appuntava avverso la mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia. Trattandosi, nella specie, di contrarius actus, tale parere avrebbe dovuto essere acquisito, non trattandosi, tra l’altro, neppure di provvedimento fondato su considerazioni di mero carattere formale, ma su aspetti di rilievo sostanziale, dovendo pur sempre essere verificata la rispondenza del titolo edificatorio alla disciplina urbanistica generale in atto.
5) – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare
infondato e, per l’effetto, deve essere respinto.
Le spese del grado seguono, come di norma, la soccombenza e sono liquidate nel
dispositivo.