CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 12 novembre 2003
n. 7236
Pres. Frascione, Est. Pullano; C.O.V.I.M. s.r.l.
(avv.ti Fulvio De Angelis ed Andrea Abbamonte) c. Comune di Castelvorturno (avv.
Vincenzo Colalillo). (conferma T.A.R. Campania-Napoli, Sez. I, n. 4238 del 18.7.2002).
1 - Contratti della p.a. – corrispettivo – domanda di revisione prezzi – giurisdizione amministrativa – sussistenza – titolo della gestione del pubblico servizio – irrilevanza
1 - Qualora sorga contestazione su una domanda di revisione prezzi relativa ad un rapporto di pubblico servizio (raccolta e smaltimento di rifiuti solidi urbani) vi e’ giurisdizione amministrativa a norma dell’art. 33 1 co. Del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (sostituito dall’art. 7 L. 205/2000) senza che assuma rilievo la questione se il gestore del servizio sia o meno concessionario di pubblico servizio: nella norma manca infatti qualsiasi riferimento al rapporto di concessione sicche’ quello che rileva e’ la qualita’ di gestore di pubblico servizio, indipendentemente dal titolo giuridico (provvedimento concessorio o altro) in base al quale avviene la gestione.
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(1) Si veda la nota di commento di Biagio Delfino
FATTO
La soc. COVIM, gestore del servizio di nettezza
urbana nel Comune di Castelvolturno, con ricorso dinanzi al Tar Campania, ha
chiesto che fosse accertato il suo diritto, contestatogli dall’amministrazione
comunale, ad ottenere la revisione dei prezzi della manodopera e dei carburanti,
essendosi verificata la condizione prevista dall’art. 4 del Capitolato speciale,
recepito nel contratto di appalto stipulato con il Comune il 5.9.1994. A sostegno della domanda deduce: L’amministrazione appellata, nel costituirsi in giudizio, ha
contestato la fondatezza dell’appello con argomentazioni che ha, poi, ulteriormente
ribadito in successive memorie. D I R I T T O
Deve essere preliminarmente esaminata la questione di giurisdizione,
sollevata in primo grado dall’amministrazione comunale e ripresa, in termini
diversi, in secondo grado, dall’appellante società COVIM, cui il Comune di Castelvolturno,
con delibera consiliare n. 247 del 29.11.1993, ha, a suo tempo, aggiudicato
l’appalto del servizio di rimozione e smaltimento dei RR.SS.UU. Premesso che non può essere messa in discussione la natura
di pubblico servizio dell’attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi
urbani, peraltro, come tale espressamente previsto già dal R.D. n. 2578 del
1925, è agevole osservare: Nel merito l’appello è infondato.
La controversia concerne il mancato riconoscimento, da parte
dell’amministrazione comunale, dell’adeguamento, reclamato dalla società appellante,
del corrispettivo per l’aumento dei costi, relativi alla manodopera ed al carburante,
che si era verificato durante l’espletamento del contratto dalla stessa stipulato
con il Comune di Castelvolturno dopo che - come si è già ricordato - le era
stato affidato, a seguito di licitazione privata, il servizio di raccolta e
stoccaggio dei R.S.U. comunali.
Dopo avere ricordato, in fatto, che la controversia era stata deferita al giudizio
di un Collegio arbitrale, ai sensi dell’art. 19 del Capitolato speciale, e che
detto Collegio, pur avendo disposto CTU (che aveva quantificato l’importo revisionale
in £. 2.838.648.371 per l’aumento del costo della manodopera e il £. 41.052.200
per l’aumento del costo dei carburanti, relativamente al periodo 5.9.94-31.7.97),
con il lodo depositato il 12.2.2000, aveva dichiarato il proprio difetto di
giurisdizione, ha dedotto, a sostegno della sua domanda, che “la mancata puntuale
contestazione nel procedimento arbitrale circa la spettanza del diritto alla
revisione, vale come riconoscimento del diritto ai fini della individuazione
dei requisiti della certezza ed esigibilità del credito”.
L’amministrazione comunale si è costituita in giudizio ed ha eccepito, in via
preliminare, il difetto di giurisdizione del G.A. per le pretese anteriori all’entrata
in vigore del d.lvo n. 80 del 1998, e, nel merito, ha illustrato i motivi di
infondatezza del ricorso.
Il TAR Campania, con la sentenza impugnata, ha disatteso l’eccezione di difetto
di giurisdizione, rientrando la fattispecie nella previsione di cui all’art.
33 del d.lvo n. 80 del 1980 (controversia in materia di pubblici servizi), ed
ha respinto il ricorso nel merito, condividendo la tesi dell’amministrazione
circa l’infondatezza della pretesa della ricorrente per l’insusistenza del necessario
presupposto della tenuta della “apposita contabilità analitica, dimostrativa
della diversa spesa”, espressamente previsto dall’art. 4 del Capitolato.
Con il presente appello la COVIM chiede l’annullamento della sentenza e, in
via principale, l’accertamento del diritto alla revisione prezzi e alla determinazione
del quantum, previa nomina di un CTU; in subordine, l’accertamento del diritto
alla revisione prezzi e la declaratoria di difetto di giurisdizione per il quantum
ovvero la condanna dell’amministrazione al pagamento di un diverso ammontare
da determinarsi in via equitativa in termini di indebito arricchimento, ai sensi
dell’art.2041 c.c..
1) Error in procedendo e in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art.
33 del d.lvo n. 80/98 e succ. mod. Difetto di giurisdizione del g.a. Violazione
del principio tra il chiesto e il giudicato. Violazione e falsa applicazione
dell’art. 33 della L. 41/86. Non sussisterebbe la giurisdizione del G.A. in
ordine alla determinazione delle somme dovute a titolo di revisione prezzi,
ma solo ed esclusivamente all’accertamento di tale diritto, in quanto la fattispecie
sarebbe riconducibile alla lett. d) e non alla lett. b) dell’art. 33, secondo
comma, del d.lvo n. 80/98.
2) Error in procedendo e in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art.33
del d.lvo n. 80/98 e succ. mod. Difetto di congrua motivazione e di istruttoria,
travisamento dei fatti, errore nei presupposti di fatto e diritto. Violazione
art. 2041 c.c.; del principio dell’affidamento del terzo e della interpretazione
dei contratti secondo canoni di buona fede e ragionevolezza. La documentazione
prodotta conterrebbe una analitica richiesta di revisione dei prezzi e, in ogni
caso, l’onere della predisposizione della predetta contabilità analitica non
ricadeva in capo all’impresa, né l’art. 4 stabiliva termini decadenziali ovvero
modalità specifiche per la richiesta di revisione.
3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del Capitolato speciale di appalto;
dell’art. 33 della L. 28.2.1986 n. 41; eccesso di potere; violazione degli artt.
3 e 7 della L. 7.8.1990 n. 241; error in procedendo; error in iudicando. La
mancata contestazione da parte dell’amministrazione della documentazione allegata
alle richieste di revisione prezzi varrebbe come riconoscimento del diritto
alla revisione, conformemente a quanto previsto dalla delibera comunale n. 58
del 9.8.1991, che forma parte integrante del contratto di appalto, ai sensi
dell’art. 1 del medesimo contratto. Inoltre, l’amministrazione avrebbe dovuto
completare il procedimento di revisione ai sensi degli artt. 3 e 7 della L.
n. 241 del 1990.
4) Nullità della clausola dell’art. 4 del Capitolato speciale di appalto per
contrasto con l’art. 33 della L. 28.2.1986 n. 41. Eccesso di potere; disparità
di trattamento; violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 97 Cost. La revisione
dei prezzi non può essere calcolata valutando la maggiore spesa sostenuta nel
senso di verificare per ogni giorno dell’appalto i costi effettivamente sostenuti.
Una interpretazione siffatta sarebbe in contrasto con i principi fondamentali
della revisione dei prezzi che è parametrica e, quindi, da calcolarsi secondo
le quantità convenzionali previste nell’allegato tecnico del capitolato. Pertanto,
la clausola, ove diversamente intesa, sarebbe nulla per l’impossibilità di dimostrare
la effettiva quantità di mezzi ed operai utilizzati per ogni giornata lavorativa.
5) Nullità della sentenza per contrasto con l’art. 33 della L. 28.2.1986 n.
41. Eccesso di potere. Violazione dei principi in tema di contraddittorio. Violazione
degli artt. 61 e ss c.p.c., omessa e carente motivazione. Violazione degli artt.
2967 e ss. c.c. Il giudice di primo grado non avrebbe considerato la circostanza
che l’amministrazione non aveva mai contestato nel corso dell’espletamento dell’appalto
la qualità del servizio prestato, riconoscendo, così, la congruità del numero
degli operai e dei mezzi impiegati (e cioè la squadra tipo e i mezzi indicati
nell’allegato tecnico).
6) Ulteriore nullità della sentenza per contrasto con l’art. 33 della L. 28.2.1986
n. 41. Eccesso di potere; error in procedendo; error in iudicando. Ricadendo
il rapporto de quo nell’ambito della disposizione di cui all’art. 33 dell L.
n. 41 del 1986, la revisione dei prezzi avrebbe dovuto essere riconosciuta non
già sulla base dell’art. 4 del Capitolato di appalto, ma ai sensi del suddetto
art. 33.
Anche l’appellante ha depositato memoria con la quale ha insistito nelle sue
tesi difensive.
La società appellante, con il primo motivo di appello, nel criticare la sentenza
impugnata nella parte in cui il TAR ha affermato la propria giurisdizione, in
relazione alla formulata domanda di revisione dei prezzi, deduce che, nella
specie, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo solo limitatamente
all’an debeatur e che, pertanto, entro tali limiti avrebbe dovuto essere mantenuta
la sua pronuncia.
Più precisamente sostiene che la fattispecie rientra nella previsione di cui
alla lett. d) del secondo comma dell’art. 33 del d.lvo 31.3.1998 n. 80 (così
come sostituito dall’art. 7 della L. 21.7.2000 n. 205), il quale limita la giurisdizione
del giudice amministrativo alle controversie afferenti le procedure di affidamento
dei servizi pubblici, ossia alla sola fase pubblicistica del rapporto e non
anche alla fase relativa alla sua esecuzione, e che, pertanto, per quanto concerne
la revisione dei prezzi, secondo il noto indirizzo giurisprudenziale, sarebbero
di competenza del giudice amministrativo le questioni relative all’an della
pretesa revisionale, sulla quale il TAR avrebbe dovuto quindi pronunciarsi,
e di competenza del giudice ordinario le controversie relative al quantum del
compenso revisionale.
Le argomentazioni dell’appellante non possono essere condivise.
- che l’art. 33, primo comma, devolve alla giurisdizione del giudice amministrativo
tutte le controversie in materia di servizi pubblici, comprensive - come si
evince anche dalla sentenza della Corte Cost. 11-17 luglio 2000 n. 292, cui
il legislatore si è adeguato modificando l’originario testo dell’articolo in
questione - di quelle aventi ad oggetto tutti i diritti patrimoniali conseguenziali;
- che, l’esemplicazione di cui alla lett. b) del secondo comma, secondo la quale
sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie
“tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici
servizi”, non lascia dubbi sulla giurisdizione, in quanto contrariamente a quel
che ritiene l’appellante, non assume in proposito alcun rilievo la questione
se il gestore sia (o non ) concessionario di un pubblico servizio, poichè nessun
riferimento si rinviene, in seno alla previsione normativa, al rapporto di concessione.
Infatti, secondo la disposizione in esame, quello che rileva è la qualità di
gestore di pubblico servizio, indipendentemente dal titolo giuridico in base
al quale avviene la gestione, per cui deve ritenersi che le controversie tra
amministrazione e gestore di pubblico servizio rientrino nella giurisdizione
amministrativa, quale che sia il modello organizzativo utilizzato per la gestione
e, quindi, indipendentemente dal fatto che il gestore sia investito dell’espletamento
dell’attività per effetto di un provvedimento concessorio.
Le parti avevano, infatti, concordato che il servizio di N.U era aggiudicato
secondo le norme, i patti e le condizioni sancite dal capitolato d’appalto approvato
con gli atti consiliari n. 46/91 e 58/91.
In particolare, l’art. 4 del Capitolato, cui il contratto faceva rinvio ricettizio,
prevedeva, tra l’altro, che “quando durante il periodo di appalto del servizio
dovessero verificarsi aumenti o ribassi del costo della manodopera o dei carburanti
in misura superiore al 5% dei prezzi in vigore all’atto di stipulazione del
contratto di appalto … il Comune è tenuto a corrispondere o recuperare … quanto
risulterà da apposita contabilità analitica dimostrativa della diversa spesa”.
Il primo giudice ha ritenuto corretto il diniego opposto dall’amministrazione
comunale alla domanda dell’appellante, in quanto quest’ultima non aveva osservato
la condizione per la operatività della clausola revisionale, non avendo documentato
i maggiori costi sostenuti mediante apposita contabilità analitica dimostrativa
della diversa spesa; né l’interessata poteva utilmente opporre la circostanza
che il Comune non aveva mai contestato il mancato utilizzo della manodopera
necessaria per la regolare esecuzione del rapporto, in quanto, a parte la considerazione
che sul punto le previsioni del Capitolato erano del tutto generiche, non essendo
stato precisato il numero degli addetti e il monte ore minimo occorrente, era
insormontabile il fatto della mancata predisposizione della suddetta contabilità
analitica.
L’iter argomentativo e le conclusioni cui è giunto il giudice di primo grado
appaiono ineccepibili e si sottraggono alle censure mosse con i dedotti motivi
di appello.
Innanzi tutto va condivisa l’affermazione che l’onere della prova dei fatti
costitutivi della pretesa creditoria incombeva sull’attore e che tale onere
non poteva considerarsi assolto dalla ostensione della contabilità unitaria
tenuta dalla COVIM per l’impiego della manodopera destinata all’esecuzione contemporanea
di altri analoghi appalti presso comuni finitimi, non essendo idonea a dimostrare
l’effettiva destinazione della manodopera (nella sua entità numerica ed oraria)
allo specifico appalto del Comune di Castelvolturno, elementi che era assolutamente
necessario conoscere, in quanto la norma contrattuale non riconosceva un aumento
proporzionale del canone in relazione all’aumento del costo della manodopera
e del carburante, ma il rimborso della maggiore spesa effettivamente sostenuta
per tali voci a causa di detto aumento.
Ed infatti, proprio a questo fine il capitolato imponeva la redazione di una
apposita contabilità analitica, che, pur in assenza di una precisa indicazione
nella norma contrattuale, era onere dell’imprenditore tenere (e non del committente)
e che, in ogni caso, la società avrebbe dovuto predisporre per potersi avvalere
del diritto contrattualmente riconosciuto.
Per tali ragioni il secondo motivo di appello si appalesa infondato.
Parimenti infondato è il terzo motivo.
Secondo la società appellante il Comune di Castelvolturno, in considerazione
di quanto disposto con la deliberazione consiliare n. 58/91, avrebbe riconosciuto
il debito, non avendo contestato la quantificazione dello stesso da essa effettuata.
Al riguardo ricorda che la cit. deliberazione stabilisce, a chiarimento del
meccanismo di revisione dei prezzi di cui all’art. 4 del capitolato, che il
canone sarà soggetto a revisione, in caso di variazione dei costi, conformemente
a quanto previsto dall’art. 33 della L. n. 41/86; indica, inoltre, le modalità
di revisione; fissa la percenutale di variazione (10%) ed individua il parametro
di riferimento nell’incidenza di ciascuna voce sul canone totale, così come
indicata nell’offerta, concludendo che “la richiesta di revisione … avanzata
dalla parte che vi avrà interesse, a mezzo racc.ta a.r., darà luogo all’aggiornamento
del canone nella misura indicata nella richiesta stessa ove l’altra parte non
ne contesti l’esattezza e la regolarità mediante racc.ta a.r. …”.
Tale disposizione, la quale come si è precisato, riguarda il meccanismo di revisione
del canone, non può essere, però, invocata per la differente fattispecie prevista
dall’art. 4 del capitolato speciale, la quale consente alle parti di recuperare
la diversa spesa relativa alla manodopera ed ai carburanti in caso di un aumento
o diminuzione degli stessi pari al 5%.
Il Comune replica, quindi, correttamente che non aveva l’obbligo di contestare
le richieste di pagamento inviate dalla COVIM dal momento che le stesse, essendo
state fatte ai sensi dell’art. 4, non erano idonee ad attivare la particolare
procedura di cui alla deliberazione consiliare n. 58/91, né era tenuto a completare
il procedimento ai sensi degli artt. 3 e 7 della L. n. 241 del 1990, in quanto
tali norme non trovano applicazione in presenza di rapporti contrattuali paritetici,
ma solo nelle procedure in cui l’amministrazione agisce con l’esercizio di una
potestas, e comunque il procedimento di revisione era specificamente disciplinato
dall’art. 4 che ne individuava i presupposti, i limiti e le modalità di svolgimento.
Infondato è anche il quarto motivo con il quale l’appellante eccepisce la nullità
dell’art. 4 del capitolato, qualora la condizione necessaria al maturarsi del
diritto alla revisione dei prezzi (“apposita contabilità analitica dimostrativa
della diversa specie”) dovesse essere intesa come contabilità a misura dei diversi
costi sostenuti pro-die o come una contabilità differenziata da tenersi per
il singolo cantiere di Castevolturno, perché in contrasto con i principi fondamentali
della revisione dei prezzi che è parametrica e, ai sensi dell’art. 1354, secondo
comma, c.c., per l’impossibilità di dimostrare l’effettiva quantità dei mezzi
ed operi utilizzati per ogni giornata lavorativa.
Al riguardo è agevole innanzi tutto osservare che la stessa giurisprudenza richiamata
dalla appellante a sostegno della sua tesi (Cass. civ., Sez. II, 9.2.1995 n.
1453) precisa che la condizione è indeterminabile solo quando risulti oggettivamente
impossibile determinare con la precisione necessaria l’evento dedotto in condizione.
Ora non v’è dubbio che nella fattispecie in esame non può parlarsi di indeterminabilità
oggettiva della condizione, in quanto la COVIM con una contabilità di cantiere
analitica avrebbe potuto agevolmente dimostrare le maggiori spese effettivamente
sostenute per il personale ed i mezzi effettivamente impiegati.
Inoltre, non è ravvisabile alcun contrasto con i principi fondamentali della
revisione dei prezzi, tenuto conto che la norma contrattuale non riguardava
la revisione dei prezzi, come disciplinata dall’art. 33 della L. n. 41 del 1986,
ma il rimborso della maggiore spesa sostenuta per le voci anzidette.
Con una ulteriore censura (quinto motivo) l’appellante lamenta che il TAR avrebbe
ignorato la circostanza che l’amministrazione non aveva mai contestato nel corso
dell’espletamento dell’appalto la qualità del servizio prestato, con ciò ritenendo
quantitativamente congruo il numero di operai ed i mezzi impiegati e cioè la
squadra tipo e i mezzi indicati nell’allegato tecnico.
Anche detta doglianza deve essere disattesa.
Il riferimento alla squadra tipo indicata nell’allegato tecnico è del tutto
incongruente, potendo la società appaltatrice, nell’ambito della propria autonomia
organizzativa, utilizzare un numero di dipendenti inferiori a quello previsto
dalla squadra tipo, purchè la raccolta dei rifiuti fosse svolta in modo corretto.
Pertanto, la mancata contestazione in ordine alla qualità del servizio non può
essere invocata a sostegno della tesi del riconoscimento implicito della utilizzazione
della squadra tipo.
D’altra parte, in proposito, l’amministrazione appellata, incontestatamente
riferisce che il mancato utilizzo della squadra tipo nell’espletamento del servizio
si evince in modo inequivoco dalle stesse tabelle retributive presentate dall’appellante
a dimostrazione del proprio avere, laddove non compare né il direttore tecnico,
né il collaboratore tecnico.
Il sesto motivo - con il quale la COVIM sostiene che la revisione dei prezzi
doveva essere comunque riconosciuta ai sensi dell’art. 33 della L. n. 41 del
1986 - è inammissibile, in quanto non costituisce un motivo di gravame avverso
la sentenza impugnata, ma una domanda nuova proposta per la prima volta in appello,
posto che oggetto del giudizio di primo grado era stata unicamente la domanda
di riconoscimento del diritto al conseguimento dei compensi revisionali ai sensi
dell’art. 4 del capitolato speciale.
In ogni caso appare opportuno precisare che l’unico diritto alla revisione dei
prezzi era quello contrattualmente previsto, in quanto al momento dell’aggiudicazione
dell’appalto, avvenuta, dopo alterne vicende, solo con la deliberazione consiliare
n. 21 del 13.4.1994, l’art. 33 della cit. L. n. 41 del 1986 non era più in vigore,
perché abrogato dall’art. 3 del d.l. 11.7.1992 n. 333 (conv. nella L. 8:8:1992
n. 359).
Ugualmente inammissibile è la subordinata domanda di indennizzo per arricchimento
senza causa, anch’essa formulata per la prima volta in grado di appello.
In proposito l’amministrazione appellata correttamente richiama il costante
indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cass.(Sez. III civ., 29.3.2001 n.
4612, Sez. II civ. 12.6.2000 n. 7979 e 24.5.2000 n. 6810) il quale, pur riconoscendo
che la domanda di illecito arricchimento può essere proposta per la prima volta
in grado di appello, chiarisce che detta facoltà è, però, limitata ai casi in
cui vi è identità dei fatti costitutivi il diritto e non sussiste allorquando
l’originario oggetto del giudizio sia una richiesta di adempimento contrattuale,
trattandosi di domande non intercambiabili e non costituendo articolazioni di
una unica matrice, per cui l’attore, sostituendo la prima alla seconda, non
solo chiede un bene diverso, rispetto all’originario petitum, ma introduce nel
processo gli elementi costitutivi di una nuova situazione giuridica (proprio
impoverimento ed altrui locupletazione) che erano, invece, privi di rilievo
nell’ambito dl rapporto contrattuale.
Per le considerazioni che precedono l’appello va, pertanto, respinto.
Le spese del presente grado del giudizio possono essere compensate.