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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 18 dicembre 2003, n. 8340
Pres. Frascione, Est. Corradino; Comune di Pozzuolo del Friuli (Avv. Prof. Giovanni Battista Verbari e Roberto Tonazzi) c. Pravisani Valter (Avv.ti Stefano Placidi e Luciano Di Pasquale).Conferma T.A.R. Friuli – Venezia Giulia 7.6.1999 n. 805

Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - Sospensione cautelare dal servizio – eccedenza rispetto alla sospensione disciplinare successivamente irrogata – restitutio in integrum – diritto

Qualora un dipendente, sottoposto a procedimento penale, sia stato, nelle more, sospeso cautelativamente dal servizio dapprima per gravi motivi, successivamente per pendenza di procedimento penale per reati di particolare gravità, ed in ultimo, fino alla definizione della vicenda penale, quindi con un procedimento disciplinare rimasto dunque per lungo tempo sospeso, fino alla irrevocabilità della condanna penale, ed il Comune abbia riaperto il procedimento disciplinare ed irrogato la sanzione della sospensione della qualifica per sei mesi, spettano al dipendente gli assegni non percepiti durante il periodo di sospensione cautelare dal servizio per il tempo eccedente la sanzione disciplinare irrogata.
Infatti l’art. 97 del D.P.R. n. 3/57 (diritto dell’impiegato sospeso alla restituzione degli assegni non percepiti solo qualora sia stato prosciolto o assolto con sentenza passata in giudicato perché il fatto non sussiste o l’impiegato non lo ha commesso), non è applicabile con carattere di generalità a tutti i casi di sospensione del procedimento disciplinare per procedimento penale. Esso, invece, opera quando il procedimento disciplinare, una volta iniziato, sia rimasto sospeso per la pendenza del procedimento penale e non si è mai concluso per l’intervenuta assoluzione dell’impiegato cautelarmene sospeso, per cui il venir meno della giustificazione della misura cautelare comporta la completa restituito in integrum. Nel caso di eccedenza della sospensione cautelare subita rispetto alla sospensione disciplinare alfine irrogata dopo la sentenza di condanna che ha chiuso il procedimento penale, trova applicazione l’art. 96, che stabilisce la restituito in integrum per il periodo di sospensione cautelare eccedente quello di sospensione dalla qualifica o di altra minor sanzione, con norma di carattere generale, comprendente anche le ipotesi di procedimento penale con successiva condanna, imponendo l’erogazione degli emolumenti non percepiti per la parte non coperta dalla sanzione disciplinare irrogata.

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Breve commento

L’orientamento della Sezione disattende la tesi più rigorista, a mente della quale l’interruzione del rapporto sinallagmatico nel rapporto di servizio dei dipendenti pubblici dovuta alla sospensione cautelare in relazione all’instaurazione di un procedimento penale nei confronti di un dipendente pubblico è conseguenza diretta dell’illecito del dipendente e non è in alcun modo imputabile all’Amministrazione, che ne subisce gli effetti in forza di un fatto esterno al rapporto di servizio, per cui, al di fuori dell’ipotesi specificamente disciplinata dall’art. 97 del D.P.R. 3/57, nei casi di condanna nulla spetterebbe al dipendente sospeso cautelarmente dal servizio per il periodo di durata della sospensione cautelare.

 

 

FATTO

Con sentenza n. 805 del 7.6.99 il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli – Venezia Giulia accoglieva il ricorso con il quale il sig. Pravisani Valter, dipendente del Comune di Pozzuolo del Friuli con la qualifica di vigile urbano, chiedeva l’annullamento della deliberazione n. 209 del 9.6.98 della G.M. di suddetto Comune di rigetto della richiesta di corresponsione degli assegni non percepiti durante il periodo di sospensione cautelare dal servizio per il tempo eccedente la sanzione disciplinare irrogata. Ciò in quanto il sig. Pravisani, sottoposto a procedimento penale conclusosi nel 1996, è stato, nelle more, sospeso cautelativamente dal servizio dapprima per gravi motivi, successivamente per pendenza di procedimento penale per reati di particolare gravità, ed, in ultimo, fino alla definizione della vicenda penale. Divenuta definitiva la condanna penale il Comune riapriva il procedimento disciplinare nei confronti dell’appellante, sospeso in attesa della pronuncia irrevocabile in sede penale, che si concludeva con l’irrogazione della sanzione della sospensione della qualifica per sei mesi.
Avverso la predetta decisione proponeva rituale appello il Comune di Pozzuolo del Friuli, assumendo l’erroneità della sentenza.
Si è costituito, per resistere all’appello, Pravisani Valter.
Con memoria depositata in vista dell'udienza il resistente ha insistito nelle proprie conclusioni.
Alla pubblica udienza del 1.7.2003 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.
L’appellante sostiene l’erroneità della sentenza impugnata sostenendo che quando la sospensione viene disposta in relazione ad un procedimento penale, deve trovare applicazione esclusivamente la normativa dell’art. 97 del T.U. n. 3/57, con la conseguenza che la restituito in integrum è dovuta nelle sole ipotesi ivi previste.
Il motivo è infondato.
Il giudice di primo grado, ricostruendo il rapporto tra gli art. 96 e 97 del D.P.R. n. 3/57, ritiene che la disposizione dell’art. 97, che prevede il diritto dell’impiegato sospeso alla restituzione degli assegni non percepiti solo qualora sia stato prosciolto o assolto con sentenza passata in giudicato perché il fatto non sussiste o l’impiegato non lo ha commesso, non è applicabile con carattere di generalità a tutti i casi di sospensione del procedimento disciplinare per procedimento penale. Esso, invece, opera quando il procedimento disciplinare, una volta iniziato, sia rimasto sospeso per la pendenza del procedimento penale e non si è mai concluso per l’intervenuta assoluzione dell’impiegato cautelarmene sospeso, per cui il venir meno della giustificazione della misura cautelare comporta la completa restituito in integrum.
Il T.A.R., inoltre, considera che l’art. 96, che stabilisce la restituito in integrum per il periodo di sospensione cautelare eccedente quello di sospensione dalla qualifica o di altra minor sanzione, è norma di carattere generale, comprendente anche le ipotesi di procedimento penale con successiva condanna, imponendo l’erogazione degli emolumenti non percepiti per la parte non coperta dalla sanzione disciplinare irrogata.
L’iter argomentativo seguito dal T.A.R. per il Friuli – Venezia Giulia è da condividere, come recentemente ribadito dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio del 2 maggio 2002, n. 4.
Dopo aver illustrato la tesi, ripresa dall’appellante, secondo la quale l’interruzione del rapporto sinallagmatico nel rapporto di servizio dei dipendenti pubblici dovuta alla sospensione cautelare in relazione all’instaurazione di un procedimento penale nei confronti di un dipendente pubblico è conseguenza diretta dell’illecito del dipendente e non è in alcun modo imputabile all’Amministrazione, che ne subisce gli effetti in forza di un fatto esterno al rapporto di servizio, per cui, al di fuori dell’ipotesi specificamente disciplinata dall’art. 97 del D.P.R. 3/57, nei casi di condanna nulla spetterebbe al dipendente sospeso cautelarmente dal servizio per il periodo di durata della sospensione cautelare, l’Adunanza Plenaria conferma il diverso orientamento seguito, ripetutamente affermato dal Consiglio di Stato e anche dalla stessa Adunanza con decisioni n. 8 del 6 marzo 1997 e n. 15 del 16 giugno 1999. Dalla formulazione letterale dell’art. 96, secondo comma, del D.P.R. 3/57, che esplicitamente dispone per la corresponsione di tutti gli assegni non percepiti, escluse le indennità o compensi per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di carattere straordinario, per il tempo eccedente la durata della punizione o per effetto della sospensione nei casi, come quello in esame, in cui sia stata inflitta la sanzione della sospensione dalla qualifica per una durata inferiore al periodo di sospensione cautelare, non si rinviene alcun elemento testuale che consenta all’interprete di non applicarla quando la sospensione cautelare segua un procedimento penale anzicchè l’adozione di una sanzione disciplinare a conclusione di apposito procedimento. La tesi, condivisa dalla Corte dei Conti, secondo cui l’art. 97 cit. recherebbe una eccezione alla regola dettata dall’art. 96 escludendo del tutto il diritto alla corresponsione degli arretrati non percepiti durante il periodo di sospensione cautelare quando sia intervenuta una condanna in sede penale del dipendente, non persuade anche per una ulteriore ragione indicata con chiarezza nella Adunanza Plenaria n. 15 del 16 giugno 1999. Le due norme riguardano, infatti, aspetti diversi del procedimento disciplinare, anche temporalmente. La prima presuppone la conclusione dello stesso e determina gli effetti del provvedimento finale sulla sospensione cautelare, con assorbimento della sanzione inflitta nel periodo di sospensione cautelare e restituzione in integrum per il resto, mentre la seconda regola il comportamento dell’amministrazione in una fase anteriore al procedimento disciplinare quando intervenga una sentenza di proscioglimento pieno del dipendente. In tal caso è prevista la reintegrazione della posizione giuridica ed economica del dipendente per intero, ovvero, quando la formula sia diversa ed anche per il caso di condanna che non comporti destituzione di diritto, l’obbligo della attivazione del procedimento disciplinare. Alla conclusione di tale procedimento riprende vigore la disciplina dell’art. 96 per tutte le ipotesi considerate.
L’argomento logico su cui si regge l’orientamento giurisprudenziale qui condiviso è nella natura cautelare della sospensione di cui si discute, il che comporta la temporaneità della misura e la sua strumentalità rispetto ai provvedimenti chiamati a dare un assetto definitivo al rapporto di servizio, che non possono essere altri rispetto a quelli cui l’ordinamento del pubblico impiego affida questa funzione e, quindi, gli atti conseguenti all’accertamento di responsabilità disciplinari del dipendente.
Un altro argomento che sostiene in modo decisivo la tesi qui accolta riguarda la circostanza che, essendo la sospensione cautelare dal servizio adottata in base ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione, non è corretto ritenere la non imputabilità della interruzione del rapporto sinallagmatico all’Amministrazione medesima, posto che questa valuta i presupposti per l’adozione della misura e ne determina i contenuti.
Tanto precisato in ordine alla questione centrale della controversia, il Collegio ritiene di rigettare anche l’altro motivo di ricorso proposto dall’appellante, secondo il quale l’accoglimento della domanda del ricorrente in primo grado sarebbe stata preclusa dalla circostanza che questi non avrebbe impugnato il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare del 5.12.97, né richiesto la declaratoria di decadenza dell’atto medesimo.
Infatti, il provvedimento disciplinare adottato nei confronti del Pravisani non riguarda affatto l’aspetto delle differenze retributive spettanti al dipendente per il periodo di sospensione cautelare eccedente quella stabilita dal provvedimento stesso, né tantomeno dichiara non possibile la restituito in integrum. Con il provvedimento del 5.12.97 il Sindaco si limita ad adottare la sanzione disciplinare della sospensione della qualifica per sei mesi, senza nulla stabilire in ordine alla ricostruzione della posizione giuridica ed economica dell’odierno appellante per il periodo di sospensione cautelare. Ne consegue che la mancata impugnazione del provvedimento disciplinare non può in alcun modo precludere la proposizione del ricorso avverso la deliberazione di diniego dei benefici in questione. Né può essere ritenuto rilevante il fatto che l’Amministrazione non abbia rivisto, in esito al procedimento disciplinare, i provvedimenti di sospensione cautelare, perché ciò non è richiesto ai fini dell’applicazione degli art. 96 e 97 del T.U. n. 3/57, che anzi presuppongono che tali atti abbiano conservato efficacia.
Per quanto considerato, il ricorso in appello va rigettato.

2. Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare le spese tra le parti.

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