TAR EMILIA ROMAGNA, PARMA - ordinanza
20 novembre 2003 n. 27
Pres. e Rel. Ciccio’; GARULLI CARMELINA (avv. Giuseppe Foglia)
c. Comune di Neviano degli Arduini (n.c.).
Edilizia e urbanistica – condono edilizio – dubbio di costituzionalita’ dell’art. 32 D.L. 269/2003 per contrasto con gli artt. 3, 9, 32, 97 e 117 Cost. – non manifesta infondatezza.
Non e’ manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale delle norme sulla sanatoria edilizia (D.L. 30.09.2003 n. 269, art. 32) per contrasto con gli artt. 3, 9 (2^ co.), 32 (1^ co.), 97 (1^ co.) e 117 (3^ co.) della Costituzione e cioe’ con i principi di eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione, tutela ambientale, competenze regionali concorrenti in materia di governo del territorio. In particolare, con il condono del 2003 lo Stato non detta i principi generali, ma introduce un’eccezione, invadendo una competenza regionale ed esorbitando dalla sua competenza che consiste nella semplice emanazione di principi fondamentali, che non possono essere di dettaglio o addirittura regolamentari.
COMMENTO
DI GUGLIELMO SAPORITO
Con questa tempestiva ordinanza si dubita della legittimita’ costituzionale delle norme sulla sanatoria edilizia convertite in legge con deliberazione del Parlamento coeva. La vicenda che ha generato il contenzioso rischiava di risolversi in una beffa per la parte ricorrente, la quale aveva ottenuto una sentenza favorevole avverso la costruzione realizzata dal vicino, confidando quindi nell’esecuzione del giudicato amministrativo. Proprio perche’ il giudicato e’ limitato ad uno stimolo, verso l’amministrazione, per l’adozione di un corretto provvedimento, nel caso in esame la legge di sanatoria potrebbe provocare seri danni: potrebbe cioe’, senza alcuna verifica dei presupposti di effettiva compatibilita’ urbanistica, consentire il mantenimento dello status quo. Il tutto, con una sostanziale perdita di credibilita’ del meccanismo amministrativo e giurisdizionale. Il dubbio di legittimita’ costituzionale e’ articolato su piu’ prospettive, alcune delle quali richiamano i precedenti della Corte Costituzionale (citati nel corpo dell’ordinanza), che in occasione di precedenti sanatorie edilizie hanno posto limiti ad ogni intervento di mera indulgenza nei confronti dei costruttori abusivi. Il TAR giudica quindi di mera facciata i richiami che il Decreto Legge 269 contiene all’attivita’ di pianificazione e di riordino (commi 6, 9, 11, 33, 34, 42 dell’art. 32), spingendosi a definire la sanatoria un “sistema moralmente discutibile per reperire subito e comunque risorse finanziarie”. In effetti, solo potenziando fortemente il riordino e la riqualificazione del territorio potrebbe trovarsi una giustificazione alla sanatoria, prevedendo linee dettagliate di eliminazione degli abusi che contrastano con la pianificazione: uno sforzo che in scala ben piu’ piccola, lo stesso art. 32 fa con riferimento al problema dell’accesso al mare (art. 32, co. 16) garantito in modo assoluto.
per ottenere l’esecuzione del giudicato di cui
alla sentenza n. 177 del 10/04/2001 con la quale, in accoglimento del ricorso
n. R.G. 752/96, si annullava la sanzione pecuniaria di € 868,33 (L. 1.681.326)
disposta con ordinanza sindacale n. 23 del 12/07/1996 del Comune di Neviano
degli Arduini a carico di Garulli Carmelina, per un abuso edilizio;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la memoria prodotta dalla ricorrente in data 26/09/2003 a sostegno delle
proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Udito alla camera di consiglio del 18/11/2003 l’avv. Foglia per la ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso proposto ai sensi del combinato
disposto dell’art. 27, 1° comma, n. 4 della legge 6/12/1971, n. 1034, dell’art.
27, n. 4, del R.D. 26/6/1924, n. 1054 e dell’art. 90 del R.D. 17/8/1907, n.
642, Carmelina Garulli ha chiesto a questa Sezione che venga disposta, anche
a mezzo della nomina di un commissario, l’ottemperanza al giudicato di cui alla
sentenza n. 177/2001, che ha accolto il ricorso n. 752/96, disponendo l’annullamento
di sanzione pecuniaria per abuso edilizio (esecuzione di opere in parziale difformità
della concessione edilizia n. 270 del 13/12/1996) in luogo della doverosa misura
demolitoria.
Lamentava la ricorrente che il Comune era rimasto sostanzialmente inerte, nonostante
l’atto di diffida e di costituzione in mora ritualmente notificato, con assegnazione
di un termine per l’esecuzione della sentenza.
Il Comune, al quale il ricorso era stato comunicato da questo Ufficio ai sensi
di legge faceva pervenire la comunicazione del 3/4/2003, n. 3464, con la quale
si faceva presente l’immediato avvio del procedimento di esecuzione coattiva
del giudicato e di demolizione a cura dell’Amministrazione.
La ricorrente, da ultimo, lamentava che dopo tale avvio del procedimento di
demolizione nessuna ulteriore attività era stata compiuta dal Comune, così di
fatto premiandosi una strategia dilatoria, e frustandosi ogni legittima aspettativa
di tutela della sua situazione soggettiva pretensiva.
DIRITTO
Osserva la Sezione che nelle more del giudizio di ottemperanza è stato emanato il D.L. 30/09/2003, n. 269 (in G.U. n. 229 del 2/10/2003 – suppl. ord. n. 157/L) recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici, il quale fra l’altro, all’art. 32, formula una complessa normativa “per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali”.
Tale articolo dispone, per quanto qui interessa:
1) al primo, secondo e terzo comma il rilascio del titolo abilitativo edilizio
in sanatoria delle opere esistenti non conformi alla disciplina vigente, nelle
more dell’adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato
con D.P.R. 6/6/2001, n. 380, in conformità al titolo V della Costituzione come
modificato dalla legge costituzionale 18/10/2001, n. 3, e comunque fatte salve
le competenze delle autonomie locali sul governo del territorio (sostanzialmente
peraltro tale autonomia viene contenuta negli angusti termini nel rispetto delle
condizioni, dei limiti e delle modalità del rilascio del titolo abilitativo
sanante);
2) dal quattordicesimo al ventitreesimo comma la sanabilità, con alcuni limiti,
oneri e autorizzazioni, delle opere abusive costruite nelle aree demaniali o
patrimoniali dello Stato, anche se soggette a vincoli; 3) la proroga temporale
delle disposizioni in materia di sanatoria contenute nei capi IV e V della legge
28/2/1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente
modificate dall’art. 39 della legge 23/12/1994, n. 724, e successive modificazioni
e integrazioni, proroga che consente la sanatoria delle opere abusive ultimate
entro il 31/3/2003 entro taluni limiti quantitativi, soggettivi, tipologici
e attinenti da ultimo alle aree vincolate sui quali esse insistono, con decorrenza
dei termini previsti dalle disposizioni prorogate a far tempo dalla data di
entrata in vigore del decreto legge; con applicazione per quanto compatibile
della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 39 della legge n. 724 del 1924; con salvezza
dei diritti dei terzi; con possibilità delle Regioni di disciplinare il procedimento
relativo al rilascio del titolo abilitativo in sanatoria e di aumentare l’oblazione
e gli oneri di concessione; con minuta descrizione, peraltro, del procedimento
di sanatoria e della sua conclusione e dei suoi effetti; con una modifica della
disciplina condonistica relativamente alle aeree vincolate (dal venticinquesimo
al quarantanovesimo comma).
Orbene, appare rilevante notare, per quanto
riguarda la presente controversia, che:
a) l’abuso commesso da Garulli Regina, come osservato dalla sentenza di cui
si chiede l’esecuzione, consiste in sovralzo della falda del tetto dell’immobile,
con costruzione di una mansarda; nell’apertura di tre finestre; nella posa in
opera di una grondaia e di un comignolo sovrastante le ragioni della ricorrente,
senza alcun rispetto delle distanze legali all’immobile di quest’ultima: trattasi
di abusi consistenti e non condonabili ai sensi dell’art. 13 della legge n.
47/1985, e ascrivibili alla tipologia di cui alla tab. C), n. 1, allegata al
D.L. n. 269/2003 (opere in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio
e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici);
b) nelle more del procedimento di sanatoria e fino alla scadenza dei termini
fissati dall’art. 35 della legge n. 47/1985 (come sopra rilevato, richiamati
e prorogati a far tempo dalla data in vigore del decreto legge, unitamente a
tutte le disposizioni che li contengono, da quest’ultimo decreto) dovrebbe operare
la sospensione del procedimento amministrativo sanzionatorio e del presente
procedimento giurisdizionale, ex art. 44 della legge n. 47/1985.
Premesso, quindi, che la predetta normativa è senza dubbio applicabile al caso
qui in esame, ritiene il Collegio che vi siano fondati dubbi per sostenerne
la sua non conformità ai principi costituzionali.
Vero è che, come osservato dalla Corte costituzionale (v. soprattutto le sentenze
nn. 369/1988, 169/1994, 416/1995, 427/1995 e 256/1996), le norme sul condono
prendono atto di una situazione di illegalità di massa che si intende ricondurre,
per esigenze di carattere economico-sociale e contemporaneamente per esigenze
di bilancio che spingono a ricercare spasmodicamente pronte risorse finanziarie,
nell’alveo del diritto, con attribuzione ad una fattispecie mediatrice (l’autodenuncia)
dell’efficacia di estinzione dell’illiceità; ma le stesse sentenze sottolineano
che tale esercizio del potere di clemenza deve avere carattere di eccezionalità
e di chiusura di un’epoca, perché in caso contrario non si giustificherebbe
il contrasto insito nella natura per così dire premiale dell’abusivismo con
il comportamento della maggioranza dei cittadini onesti e osservanti la legge,
con conseguente violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e
di buona amministrazione.
Deve tenersi conto, inoltre, che una rottura del menzionato carattere eccezionale
della misura condonistica attenuerebbe le remore della generalità dei soggetti
alla commissione di abusi, per speranza ed anzi per la certezza che in un prossimo
futuro tale misura sarebbe senz’altro riadottata e, per altro verso, ingenererebbe
nei pubblici poteri un senso di sfiducia, di inutilità delle misure repressive
e di inammissibile lassismo, a sua volta, per effetto perverso, generatore di
ulteriori illeciti urbanistico-edilizi.
In particolare la Corte, con la sentenza n. 416/1995, sia pure ribadendo che
la riapertura dei termini del condono, nei limiti dell’eccezionalità sopra evidenziata,
non sembrava confliggere con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza,
non ha legittimato l’equazione fra carenza di controllo e nuova necessità di
condono, preannunciando sostanzialmente un eventuale giudizio di incostituzionalità
qualora in futuro fosse stata emanata una nuova legge al riguardo, soprattutto
(come di fatto è ora avvenuto) nella forma della mera riapertura dei termini
precedentemente scaduti, sia pure in un contesto – del tutto insufficiente,
anche per la scarsità delle risorse stanziate – di misure di riqualificazione
del territorio.
Né sembra poter giustificare un siffatta e rinnovata misura la semplice considerazione
delle esigenze di natura finanziaria, che ormai ricorrono in modo del tutto
ordinario e permanente, anche se non si tenga conto delle ingenti risorse (che
fra l’altro bilanciano le entrate del condono) necessarie agli Enti locali per
oneri urbanizzativi e misure di inserimento delle costruzioni abusive nel contesto
dei piani regolatori.
In particolare, la Corte ha osservato che sarebbe stato inevitabile un giudizio
negativo nel caso di altra reiterazione della norma sul condono, soprattutto
con ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento
del commesso abuso edilizio, anche perché la gestione del territorio sarebbe
stata certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o
ricorrente possibilità di condono sanatoria con conseguente convinzione di impunità.
Un’eccezione non può quindi risolversi in un principio.
Inoltre, rilevante è la considerazione – come sopra accennato – che il condono
realizza un sistema ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei cittadini
rispettosi delle leggi, che si vedono privare di quei beni che anch’essi avrebbero
potuto costruire violando le norme, e che dall’altro sarebbero costretti, soprattutto
in mancanza delle specifiche situazioni di diritto soggettivo, esse sole salvaguardate
dalla legislazione condonistica, a subire il degrado urbanistico prodotto dall’illegalità
edilizia, riemersa con ostentazione e legalizzata con rischio che in futuro
si producano le condizioni per un ulteriore degrado.
La normativa censurata non sembra poi violare soltanto i principi di eguaglianza,
ragionevolezza, buona amministrazione e di tutela ambientale, ma anche le competenze
regionali concorrenti in materia di governo del territorio stabilite dall’art.
117, 3° comma, della Costituzione (v. al riguardo, la sentenza n. 303/2003 della
Corte costituzionale).
Infatti, come è stato ben osservato anche dalla dottrina, con il condono lo
Stato non detta principi generali (che sono a lui riservati) ma introduce un’eccezione,
invadendo una competenza regionale, anche se ai primi commi dell’art. 32 il
D.L. n. 269/2003 si preoccupa di dichiararle salve.
Al riguardo, mentre non è ben chiaro il riferimento (che non sembra pertinente
alla materia in esame) all’adeguamento delle norme regionali alle disposizioni
di cui al D.P.R. n. 380/2001, che infatti fissa principi e non già eccezioni
– a meno che non si consideri la possibilità di una disciplina ricorrente e
anzi permanente del condono che possa assorgere ai caratteri di principio –,
le statuizioni condonistiche sono estremamente precise e dettagliate, e fissano
in modo esaustivo ogni aspetto della materia, per cui il riferimento alla competenza
regionale per il “rispetto delle condizioni dei limiti e delle modalità del
rilascio del titolo abilitativo sanante” non può che limitarsi di fatto, nonostante
la ridondanza dell’espressione, che ad aspetti di semplice dettaglio del procedimento.
Sembra pertanto che il legislatore statale abbia esorbitato dalla sua competenza
che consiste nella semplice emanazione dei principi fondamentali, che non possono
essere di dettaglio o addirittura regolamentari. Né può fondatamente affermarsi
che nella specie si tratta di principi generali dell’ordinamento giuridico e
di riforma fondamentale economico-sociale: si tratta invece soltanto di introduzione
di un sistema moralmente discutibile per reperire subito e comunque risorse
finanziarie.
Infine, sembra indubbio che il condono (come nel caso qui in esame) sia suscettibile
di introdurre di deroghe, e quindi limitate varianti, ai piani regolatori, che
vengono contraddetti, sanandosi costruzioni del tutto contrarie alle disposizioni
in essi contenuti, con invasione delle competenze al riguardo del legislatore
regionale e degli Enti locali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna,
Sezione staccata di Parma, ritenuta d’ufficio rilevante e non manifestamente
infondata la questione di costituzionalità dell’art. 32 del D.L. 30/09/2003,
n. 269, per contrasto con gli artt. 3, 9, 2° comma, 32, 1° comma, 97, 1° comma,
117, 3° comma, della Costituzione:
- sospende il giudizio in corso;
- ordina la trasmissione di questa ordinanza e degli atti del giudizio alla
Corte Costituzionale;
- ordina la notificazione di questa ordinanza alle parti in causa e alla Presidenza
del Consiglio dei Ministri e la sua comunicazione ai Presidenti dei due rami
del Parlamento.