TAR EMILIA ROMAGNA, BOLOGNA - sentenza
10 aprile 2003 n. 471
Pres. Perricone, Est. Calderoni
BIOALLERGY SRL MATTEI EMILIO
c. AZIENDA U.S.L. DI FORLI' (avv. Mario DI GIOVANNI),MEDICAL SISTEMS SPA (Avv.ti
Massimiliano IOVINO e RobertoDAMONTE), PHARMACIA & UPJHON SPA e RADIM SPA (n.c.),
1 - Giustizia amministrativa – ricorso – termine per il deposito – controversie in tema di appalto di servizi ex art. 23 bis L. 1034/1971 – riduzione alla meta’ – esclusione – beneficio dell’errore scusabile – assentibilita’.
2 - Contratti della p.a. – trattativa privata
– attuazione mediante gara ufficiosa o mero sondaggio di mercato - rispetto
dei principi di trasparenza e par condicio – necessita’ –
fattispecie di fornitura ospedaliera.
2 - Nell'ambito della trattativa privata, la gara ufficiosa è
una categoria diversa dal mero sondaggio di mercato. Il sondaggio di mercato
tende solo ad acquisire una conoscenza dell'assetto del mercato, dell'esistenza
di imprese potenziali contraenti e del tipo di condizioni contrattuali che sono
disposte a praticare.La gara ufficiosa oltre ad essere (come il sondaggio di
mercato), strumento di conoscenza, implica anche una valutazione comparativa
delle offerte, valutazione che è insita nel concetto stesso di «gara
». La stazione appaltante che decida, nell'ambito di una trattativa privata,
di indire una gara ufficiosa, indipendentemente dalle regole espresse che eventualmente
stabilisca in via di autolimitazione, è tenuta al rispetto dei principi
insiti nel concetto stesso di gara, che sono quelli di trasparenza e par condicio,
perche’ la gara ufficiosa comporta una autolimitazione implicita, costituita
dal vincolo al rispetto dei principi tipici delle gare (nel caso di specie,
in tema di fornitura di sistemi diagnostici ad una USL, illegittimamente una
delle imprese non era stata messa in grado di conoscere l’oggetto dell’appalto
e di fornire direttamente un’offerta economica).
Nota di commento
La decisione della V Sezione richiama in modo sintetico l’Adunanza
plenaria Sentenza 31 maggio 2002 n. 5 (che peraltro ammette la scusabilita’
dell’errore) con commento di G. BACOSI, mentre la sentenza del TAR Bologna
argomenta in modo diffuso sulla ratio che lo induce a considerare tempestivo
il deposito del ricorso avvenuto oltre i 15 giorni dall’ultima notifica.
Sembra quindi opportuno che sul punto torni a decidere la Plenaria, prima che
la massa dei ricorsi e degli appelli improcedibili rappresenti una remora eccessiva
ad una scelta di rotta diversa rispetto alla decadenza del termine per ricorrere
considerata in modo isolato dagli adempimenti dai quali e’ indissolubile.
In aggiunta ai precedenti citati nel corpo delle riportate sentenze, si sottolinea
che Cons. Stato, IV, 536/2002 ha ritenuto tempestivo un appello notificato a
92 giorni dal deposito della sentenza (cioe’ oltre il termine di 60 giorni,
secondo la parte risultante dal dimezzamento ex art. 23 bis comma 2 L. n. 1034
del 1971 del termine di 120 giorni a sua volta fissato dal comma 7 dello stesso
articolo per la proposizione dell’appello avverso sentenza non notificata).
Osserva infatti la IV Sezione che la regola generale sul dimezzamento dei termini
processuali va esclusa nel caso in cui nell’ambito della stessa disciplina
acceleratoria è prevista una disposizione che introduce uno specifico
termine di adempimento: il che è quanto avviene al comma 7 dell’art.
23 bis, ove per la proposizione dell’appello si prevede un termine lungo
“ speciale” di 120 giorni.
FATTO
I. Dall’esposizione svolta in fatto nel
ricorso introduttivo e dagli atti versati in giudizio dalle parti in causa,
risulta che:
• con determinazione 22.7.1999, n. 94, l’A.U.S.L. di Forlì
indiceva - ai sensi dell’art. 26, comma 1, lett. b) Direttiva CEE 93/36
- licitazione privata dell’importo complessivo di lire 5.500.000.000,
suddivisa in lotti, per la fornitura di “sistemi diagnostici per laboratori”,
per il periodo di due anni, eventualmente rinnovabile per un ulteriore anno,
a decorrere dall’1.1.2000 o, comunque, dalla data di aggiudicazione;
• in data 24.2.2000, il Dirigente responsabile comunicava che, come richiesto
dalla Commissione tecnica, non si sarebbe proceduto all’aggiudicazione
del lotto n. 6 - “allergie fase liquida”, per motivi tecnico-organizzativi
e si procedeva, quindi, all’apertura delle buste contenenti le offerte
per i restanti lotti: il tutto come da relativo verbale;
• con deliberazione 28.3.2000, n. 168, l’AUSL disponeva l’aggiudicazione
parziale della fornitura ed in particolare la Ditta ricorrente risultava aggiudicataria
del lotto n. 5 - “allergie fase solida”, alle seguenti, principali
condizioni:
- canone complessivo trimestrale di utilizzo delle apparecchiature: lire 4.950.000.,
oltre IVA;
- canone complessivo annuale di utilizzo delle apparecchiature: lire 19.800.000.,
oltre IVA;
- n. 44.000 determinazioni, per un totale complessivo, per il periodo di due
anni, pari a lire 250.400.000., oltre IVA;
- importo complessivo del lotto n. 5, per un anno: lire 145.000.000., oltre
IVA;
- importo complessivo del lotto n. 5, per due anni: lire 290.000.000., oltre
IVA;
• con nota 28.6.2001, avente ad oggetto “rinegoziazione Delibera
n. 168 del 28.3.2000. Lotto 5”, Bioallergy faceva presente di non aver
ricevuto il pagamento delle fatture emesse sino a quel momento, per un importo
totale di lire 416.150.400; e, con l’augurio di trovare una soluzione
soddisfacente per entrambe le parti, confermava la disponibilità a concedere
un ulteriore sconto, pari al 5% in merce, subordinando tale condizione migliorativa
al pagamento delle fatture emesse fino al 30.10.2000 (per un totale di lire
185.748.000) ed al successivo impegno dell’Ausl di mantenere i tempi di
pagamento entro i 180 giorni dalla fattura;
• riscontrando tale nota con lettera 23 luglio 2001, l’Ausl riteneva
che sussistessero “le condizioni per l’effettuazione del miglioramento
dei prezzi del 5% concordato”;
• in data 6.2.2002, Bioallergy inviava, all’Ausl e al Responsabile
dell’Ufficio, una comunicazione avente ad oggetto “rinnovo del contratto
per la fornitura di sistemi diagnostici – lotto n. 5” ed il seguente,
letterale tenore: “in riferimento alla Sua richiesta di miglioramento
dei prezzi del 23 gennaio u.s. per il rinnovo del Contratto in oggetto fino
al 31.12.2003, e considerando lo sconto già riconosciuto in occasione
della trattativa del 27.06.2001, Le confermiamo la ns. disponibilità
a ridurre da 6.600.000 a 4.000.000. il costo annuo della locazione strumentale
a partire dal 1° mese di rinnovo”;
• con nota 13.8.2002, l’Ausl comunicava a Bioallergy che il contratto
relativo al lotto n. 5, scaduto il 24.5.2002, non le sarebbe stato rinnovato,
in quanto, con delibera n. 394 del 12.8.2002, si disponeva l’aggiudicazione
del lotto alla ditta Medical Systems Italia, che aveva offerto condizioni più
favorevoli; ed intimava, nel contempo, la sollecita sostituzione delle apparecchiature.
II. A sua volta, la suddetta deliberazione n. 394/2002 riporta in premessa la
seguente ricostruzione fattuale:
• con lettere 27.12.2001 e 24.4.2002, il Dirigente Sanitario Responsabile
del Presidio Ospedaliero ha comunicato l’intenzione, alla scadenza dei
contratti relativi alla fornitura di cui si tratta, di:
1. rinnovare i contratti per un ulteriore anno e contestualmente prorogarli
fino all’inizio dell’attività del nuovo Laboratorio Analisi
della c.d. Area Vasta Romagna e comunque non oltre il 30.6.2004;
2. procedere all’accorpamento di alcuni lotti (tra cui il n. 5 ed il n.
6), a favore delle ditte disponibili ad effettuare, in sede di eventuale rinnovo,
l’offerta più economica;
• con lettere 24.4.2002 e 7.5.2002, il Responsabile del Servizio di Farmacia
Ospedaliera ha comunicato il numero delle determinazioni annue previste per
il rinnovo dei contratti relativi ai lotti n. 1, 4, 5, 7, 8, 9, 10, 13, 16 e
30;
• in relazione ai lotti 5 e 6 si dà atto:
- che il lotto n. 6 non era stato assegnato in sede di gara; che per tale lotto
aveva comunque presentato offerta la ditta Medical Systems; che l’accorpamento
dei lotti 5 e 6 era già di fatto stato effettuato dal Responsabile del
laboratorio in capo alla ditta Bioallergy, con ordinativi effettivi corrispondenti
ai quantitativi previsti in gara per entrambi i lotti; che si era ritenuto opportuno
chiedere alle suddette due ditte miglior preventivo per la fornitura dei lotti
5 e 6 unificati;
- che l’offerta più economica era risultata quella della ditta
Medical Systems, con un risparmio di € 30.426, 28;
- che l’operazione di accorpamento dei lotti n. 5 e n. 6 e l’assegnazione
alla ditta Medical Systems, oltre che opportuna dal punto di vista economico,
era da considerarsi in esclusiva, come dichiarato dal Coordinatore Responsabile
del Dipartimento delle Tecnologie con lettera del 5.8.2002.
III. Avverso tale deliberazione, la Società ricorrente deduce le seguenti
censure:
1) violazione dei principi generali in materia di rinnovo, eccesso di potere
per sviamento, nell’assunto che l’AUSL di Forlì, dopo aver
chiesto informalmente alla Bioallergy di presentare una offerta per il rinnovo
del contratto in corso, avrebbe successivamente mutato i termini essenziali
del contratto stesso, per procedere all’instaurazione di un nuovo rapporto
e senza in alcun modo invitare la ricorrente a presentare offerte;
2) violazione dei principi generali in materia di gara, disparità di
trattamento, in quanto alcuna offerta sarebbe mai stata chiesta alla ditta Bioallergy
per i lotti n. 5 e n. 6, tant’è che la sua offerta del 6.2.2002
è anteriore alla data del 24.4.2002, allorché il Responsabile
del presidio ospedaliero maturò l’intenzione di accorpare i lotti
5 e 6; mentre la richiesta a Medical Systems è del 30.4.2002 e la relativa
offerta del 15.7.2002; inoltre, non sarebbero state interpellate le altre due
ditte (intimate nel presente giudizio) che avevano partecipato alla gara per
gli iniziali lotti 5 e 6;
3) eccesso di potere per travisamento, poiché l’offerta 6.2.2002
di Bioallergy sarebbe riferita unicamente al rinnovo per un anno del contratto
relativo al lotto n. 5;
4) eccesso di potere per illogicità e incongruità della motivazione,
non essendo tra loro confrontabili le due offerte, siccome presentate per due
forniture diverse e non sussistendo neppure i presupposti del “diritto
di esclusiva” di Medical Systems, prospettato dall’Azienda USL.
IV. Quest’ultima si è costituita in giudizio il 19 novembre 2002,
eccependo in rito l’irricevibilità del ricorso, per tardività
del suo deposito rispetto al termine dimezzato di cui al secondo comma dell’art.
23 bis legge 1034/1971.
Nel merito, l’Azienda sostiene l’infondatezza del ricorso e ne chiede
la reiezione.
V. Anche la controinteressata Medical Systems si è costituita in giudizio,
eccependo in via preliminare:
- il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, siccome la controversia
instaurata da Bioallergy atterrebbe alla proroga del contratto e dunque alla
sua esecuzione
- analoga tardività del deposito del ricorso
- il difetto di interesse di Bioallergy, in quanto non in grado di fornire all’AUSL
il sistema diagnostico da essa richiesto,
e concludendo per il rigetto del gravame.
VI. In sede di esame della domanda cautelare avanzata da Bioallergy, questa
Sezione ha pronunciato Ordinanza 21 novembre 2002, n. 816, con cui ha premesso:
<che le eccezioni sollevate in rito dalle parti resistenti non paiono in
grado, di precludere la trattazione dell’incidente cautelare, in quanto,
rispettivamente:
a) non è ravvisabile il difetto di giurisdizione di questo Giudice (eccezione
della controinteressata), stante che, in relazione ai lotti n. 5 e n. 6 di cui
si tratta, sia l’impugnata deliberazione n. 394/2002, sia le difese dell’AUSL
di Forlì si esprimono in termini di “nuova aggiudicazione”;
b) circa la tardività (eccepita da AUSL e controinteressata) del deposito
del ricorso, per inosservanza del termine dimidiato applicabile in materia,
va osservato che:
- la relativa questione è tuttora controversa in giurisprudenza, poiché
la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Cons. Stato 31 maggio 2002, n.
5 (richiamata dalla controinteressata) ha stabilito che deve ritenersi ridotto
alla metà unicamente il termine per il ricorso in appello al Consiglio
di Stato e la dottrina che ha commentato tale sentenza si è espressa
nel senso che la decisione in esame non ha, per l’appunto, risolto la
questione del dimezzamento del termine del deposito del ricorso di I grado;
- che, in ogni caso ed anche a voler accedere alla tesi delle parti resistenti,
sussisterebbero, a causa della descritta situazione di incertezza, gli estremi
per il riconoscimento del beneficio dell’errore scusabile, peraltro concesso
anche dalla più volte citata decisione A.P. n. 5/2002>.
Ed ha, quindi, dato corso alla delibazione dell’incidente cautelare, disponendo
incombenti istruttori, consistenti in atti e Relazione illustrativa richiesti
all’AUSL di Forlì.
VI. Successivamente, la ricorrente dimetteva memoria di replica alle costituzioni
avversarie (18.12.2002) e l’Azienda prestava adempimento al predetto ordine
istruttorio (17.12.2002).
Nell’imminenza della nuova Camera di Consiglio, fissata per il 16 gennaio
2003, la controinteressata produceva ulteriore scritto difensivo, in cui ribadiva
le proprie eccezioni e deduzioni.
Alla predetta Camera di Consiglio, veniva assunta l’Ordinanza n. 24, del
seguente tenore:
“Considerato:
a) che le risultanze dei suddetti incombenti conferiscono apprezzabile consistenza
alle censure di disparità di trattamento, travisamento, illogicità
della motivazione dedotte dalla Società ricorrente, per cui sono ravvisabili
i presupposti di cui all’art. 4, comma 3 legge n. 205/2000;
b) che la particolare natura dell’aggiudicazione di cui si tratta (fornitura
biennale) ed il rilevante interesse pubblico ad essa connesso (trattandosi di
sistemi diagnostici per l’effettuazione di esami di laboratorio) escludono,
viceversa, che ricorrano, altresì, i presupposti per disporre la sospensione
del provvedimento impugnato, nelle more della sollecita fissazione della discussione
di merito;
c) che, in conclusione, l’istanza cautelare può essere accolta
nella forma della fissazione della discussione nel merito della causa, per l’udienza
pubblica del 27 marzo 2003, ore 9,00”.
VII. In vista dell’odierna udienza di discussione, Azienda e parte controinteressata
hanno dimesso memorie conclusionali.
Indi, il ricorso è passato in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, il Collegio deve confermare,
in questa sede di merito, gli orientamenti già manifestati dalla Sezione
nella fase cautelare (cfr. le citate Ordinanze n. 816/2002 e n. 24/2003), in
ordine alle principali questioni di rito e di merito che contraddistinguono
la presente controversia: e ciò, per le ulteriori ragioni che saranno
esplicitate in prosieguo.
2. I profili in rito da esaminare sono, in ordine logico, i seguenti :
- la giurisdizione di questo Giudice;
- l’interesse a ricorrere in capo a Bioallergy;
- la ricevibilità del ricorso, sotto il profilo dell’osservanza
del termine per il suo deposito.
3.1. Circa il primo tema, a quanto già osservato in fase cautelare, occorre
aggiungere che, non solo il nomen iuris utilizzato a proposito dei lotti 5 e
6 dall’impugnata deliberazione n. 394/2002, ma anche il criterio dell’effettivo
contenuto dell’atto (recentemente ribadito dall’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato, con decisione 27 febbraio 2003, n. 3) inducono a concludere
che nella specie si controverte, non già della proroga di un contratto
- come sostenuto da Medical Systems -, bensì di una vera e propria aggiudicazione
di nuova fornitura, in quanto tale rientrante nella previsione di cui al comma
1 dell’art. 6 legge 205/2000: in questo senso depongono chiaramente le
circostanze fattuali che il contratto in essere con Bioallergy aveva ad oggetto
un unico lotto (il n. 5), mentre la fornitura aggiudicata a Medical Systems
concerne due lotti accorpati (per l’appunto il 5 ed il 6, inizialmente
non assegnato); e che la durata di detta fornitura è ultrabiennale (dal
24 maggio 2002, data di scadenza del contratto con Bioallergy, al 30 giugno
2004), mentre la fornitura Bioallergy era eventualmente rinnovabile per un ulteriore
anno (cfr. incipit della deliberazione AUSL 28 marzo 2000, n. 168, da questa
dimessa come doc. 1).
A ciò, si aggiunga che la stessa deliberazione impugnata n. 394/2002
distingue nettamente, al capo 1 del dispositivo, i lotti soggetti a rinnovo
da quelli per cui si procede a nuova aggiudicazione, tra cui il 5 ed il 6 di
cui si controverte.
3.2. Inoltre, l’importo cui i suddetti 5 e 6 sono aggiudicati è
superiore, seppur di poco, alla soglia comunitaria in materia, per cui esula
dalla presente controversia tutta la problematica relativa ai c.d. atti di diritto
privato delle AA.SS.LL., in tema di appalti di forniture e servizi sottosoglia,
problematica postasi all’attenzione, soprattutto della dottrina, a seguito
delle innovazioni recate dal D. Lgs. n. 229/1999 e dell’introduzione dell’atto
aziendale: tant’è che, non casualmente, né la suddetta normativa
né l’atto aziendale vengono richiamati nella deliberazione (in
parte qua) impugnata.
3.3. Alla stregua delle considerazioni che precedono, occorre, pertanto, ritenere
la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, conclusione questa
cui è, peraltro ed assai di recente, pervenuto anche il Consiglio di
Stato in una analoga fattispecie di “rinegoziazione” assimilata
a nuova aggiudicazione (Sez. IV, sentenza 25 marzo 2003, n. 1544).
4. L’eccezione di difetto di interesse in capo a Bioallergy è,
invece, da disattendere, in quanto non adeguatamente comprovata: nella menzionata
memoria 18.12.2002, la stessa Bioallergy contesta infatti, adducendo spiegazioni
tecniche, che lo strumento “Immulite 2000” di Medical Systems sia
l’unico in grado di eseguire 12 dosaggi ormonali e che il sistema sia
dotato di esclusività, in quanto alcuni test verrebbero effettuati su
altre macchine del laboratorio.
Orbene, a tali contestazioni Medical Systems non ha affatto replicato nelle
proprie due successive memorie - presentate rispettivamente in vista della Camera
di Consiglio del 16 gennaio 2003 e dell’odierna udienza pubblica - ove
pure l’eccezione di difetto di interesse di Bioallergy viene riproposta,
tuttavia con argomentazioni sempre genericamente incentrate sulla capacità
del proprio sistema diagnostico “di eseguire sia i 12 esami ormonali,
sia gli esami allergologici”: ma siffatta genericità non consente
di ritenere soddisfatto il puntuale onere della prova, gravante sulla parte
che propone eccezioni preliminari di inammissibilità dell’azione
avversaria.
5.1. Quanto all’ultima e più pregnante eccezione di tardività
del (deposito del) ricorso, proposta congiuntamente da entrambe le parti resistenti,
il Collegio intende qui riprendere l’intelaiatura argomentativa già
prospettata in sede cautelare, riconfermandone integralmente l’incipit
e le conclusioni e meglio articolandone e precisandone il passaggio centrale.
In sintesi, il convincimento manifestato nella menzionata Ordinanza n. 816/2002
poggiava sui seguenti snodi:
• la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 5/2002 si riferisce esclusivamente
al dimezzamento del termine per il deposito del ricorso in appello al Consiglio
di Stato, nelle materie indicate dall’art. 23 bis legge 1034/1971;
• la questione relativa al termine del deposito del ricorso di primo grado,
per le medesime materie, è tuttora controversa in giurisprudenza;
• sussistono, in ogni caso, i presupposti per la concessione dell’errore
scusabile.
5.2.1. Il punto di partenza del ragionamento pare, al Collegio, incontrovertibile,
in quanto è la stessa Adunanza Plenaria ad esprimersi in questi termini.
Invero, il capo 3 della decisione n. 5/2002, così, testualmente si apre:
“Può, pertanto, passarsi all’esame della questione prospettata
dall’ordinanza di rimessione della Sezione IV, consistente nello stabilire
se, nello speciale rito introdotto dall’art. 23 bis della legge n. 1034
del 1971, come novellata dalla legge n. 205 del 2000, debba ritenersi dimidiato
(e cioè ridotto a quindici giorni) in forza della disposizione di cui
al medesimo art. 23 bis, comma 2, il termine per il deposito del ricorso in
appello al Consiglio di Stato.
L’Adunanza Plenaria ritiene che a tale quesito debba essere data risposta
positiva e che, di conseguenza, relativamente ai giudizi di cui all’art.
23 bis, comma 1, della legge n. 1034 del 1971, il termine per il deposito dell’appello
debba ritenersi ridotto a quindici giorni.”
Mentre, il medesimo capo 3 prosegue, poi, distinguendo nettamente le disposizioni
di cui al comma 2 dell’art. 23 bis, relative al ricorso di primo grado,
da quelle di cui al comma 7 (concernenti il ricorso in appello) ed unicamente
rilevanti nella fattispecie sottoposta all’Adunanza Plenaria; i relativi
passi, posti in conclusione del capo 3, sono i seguenti:
“L’art. 23 bis, comma 2, della legge n. 1034 del 1971, nel porre
la regola generale del dimezzamento dei termini con riferimento a tutti i giudizi
davanti agli organi di giustizia amministrativa (art. 23 bis, comma 1), e quindi
anche davanti al Consiglio di Stato, pone una eccezione che si riferisce esclusivamente
al ricorso ed al processo di primo grado. A prescindere quindi, dal problema
(su cui si tornerà più avanti) se con il termine "proposizione
del ricorso" si intenda far riferimento anche al deposito del medesimo,
l’eccezione posta dall’art. 23 bis comma 2, riferendosi al giudizio
di primo grado, non può, in ogni caso, riguardare la questione rilevante
nel caso in esame, che attiene al termine per il deposito del ricorso in appello
La presenza di una esplicita disciplina per il termine di proposizione dell’appello,
contenuta nell’art. 23 bis, comma 7, esclude, peraltro, che l’inciso
"salvo quelli per la proposizione del ricorso" contenuto nel comma
2, si riferisca al giudizio di appello.”
5.2.2. Non altrettanto conferente è il brano della decisione n. 5/2002
dell’Adunanza Plenaria, citato nelle memorie delle parti resistenti a
sostegno della propria, convergente eccezione di tardività, perché
esso si riferisce all’applicabilità, in primo e secondo grado,
della generale regola della riduzione a metà dei termini processuali,
senza alcuna specifica presa di posizione sulla questione, che qui rileva, del
dimezzamento o meno del termine anche per il deposito del ricorso di primo grado:
ma, più in generale, non è rinvenibile, nell’intero corpo
della decisione, alcuna espressa statuizione sul punto del termine da osservare
per il suddetto deposito.
5.2.3. Infine, alla medesima conclusione prospettata nell’Ordinanza n.
816/2002 è pervenuta proprio la sentenza n. 9 ottobre 2002, n. 5363 della
IV Sezione del Consiglio di Stato (rassegnata in massima all’odierna udienza
pubblica dalla difesa di Medical Systems), la quale riconosce che il dubbio
inizialmente prospettato dalla stessa Sezione (Ord. di rimessione 10.1.2002,
n. 122) e poi risolto dall’Adunanza Plenaria <riguardava esclusivamente
il regime dell’appello, per la cui “proposizione” l’art.
23 bis reca, come si è visto, una specifica disciplina al comma 7>.
5.3.1. Circa il secondo passaggio della più volte citata Ordinanza n.
816/2002, il Collegio deve, poi, osservare che - se non proprio “controversa”,
come ivi è definita - la questione relativa alla dimidiazione del termine
per il deposito del ricorso di primo grado, nelle materie ex art. 23 bis legge
1034/1971, continua ad essere oggetto di prese di posizioni non univoche da
parte della giurisprudenza, anche del Giudice amministrativo d’appello.
Invero, se è indubbio che risulta quantitativamente prevalente l’orientamento
favorevole a ritenere soggetto a dimidiazione ex art. 23 bis anche il termine
per il deposito del ricorso di primo grado (si vedano, in questo senso, le numerose
decisioni di I e II grado menzionate nella memoria conclusiva dell’AUSL,
tra cui quella 31 maggio 2002, n. 784, resa in forma semplificata dalla Sezione
II di questo T.A.R.; nonché la sentenza IV Sezione 5363/2002, innanzi
citata sub 5.2.3. e sulla quale mostra di fare particolare leva la difesa di
Medical Systems); nondimeno, pochi giorni dopo la citata pronuncia n. 5363/2002,
è stata pubblicata altra decisione della medesima Sezione (18 ottobre
2002, n. 5696), ove, viceversa, si afferma espressamente che:
- “tutti i termini processuali in proposito ordinariamente previsti risultano
… ridotti alla metà, esclusi quelli relativi alla proposizione
del ricorso …: e qui la legge, usando il plurale, impone di ritenere che
debbano essere (nonostante il settimo comma della norma, per l’appello,
parli al singolare di un termine per la proposizione, così presumibilmente
riferendolo alla sola notificazione) i due concernenti la proposizione del gravame
principale da parte del ricorrente, vale a dire, di regola (ma lo stesso dovrebbe
ritenersi per altri ricorsi analoghi, per i quali siano previsti termini differenti
e cioè più lunghi o più brevi) sessanta giorni per la notificazione
e trenta giorni per il deposito del ricorso”;
- “l’evidente ed assoluta eccezionalità della citata disciplina,
(congiunta al palese intento acceleratorio di tutto l’impianto della legge
n. 205/2000) impedisce di estendere la portata della norma in esame al di là
di quanto emerge da un’esegesi rigorosamente letterale della disposizione
stessa, che ben a ragione è stata dunque interpretata in termini restrittivi
dai primi giudici”.
Conseguentemente, la IV Sezione ha confermato la sentenza di primo grado che
aveva respinto “l’eccezione preliminare d’inammissibilità
del ricorso per asserito tardivo deposito dello stesso” (oltre il termine
dimidiato), ma accolto l’altra eccezione preliminare d’improcedibilità
dello stesso, per la riscontrata tardiva costituzione delle due società
ricorrenti dinanzi al TAR (dopo la proposizione di regolamento di competenza),
ritenendo applicabile a tale adempimento processuale la regola del dimezzamento
del termine.
Quest’ultima decisione del Consiglio di Stato è, peraltro, vieppiù
significativa, in quanto ad essere confermata è una sentenza (n. 4366/2001)
della III Sezione del T.A.R. Lombardia, ossia di uno dei Tribunali attestato
sulla non dimidiazione del termine di deposito del ricorso di primo grado (nello
stesso senso si veda, ad esempio anche la successiva pronuncia, della medesima
Sezione III, 18.3.2002, n. 1142, citata da Bioallergy nella memoria difensiva
del 18.12.2002).
Un altro, importante TAR orientato nello stesso senso è, inoltre, quello
della Campania: cfr. Sez. I, 27 marzo 2002 n. 1651, Sez. V, 3 maggio 2002, n.
2505, Sez. V, 27 maggio 2002, n. 3072.
5.3.2. La perdurante mancanza di uniformità nell’attuale panorama
giurisprudenziale non consente, dunque, al Collegio di ritenere, compiutamente
ed una volta per tutte, risolte le antinomie che contraddistinguono ogni singolo
gradino dell’analisi ermeneutica da svolgere sul testo normativo in questione,
con riferimento, cioè:
• ai lavori preparatori;
• al dato testuale;
• al profilo logico-sistematico;
• ai principi generali del processo amministrativo.
Invero, ciascuno di questi elementi presenta caratteri di non sicura univocità
e tali, anzi, da far propendere, se considerati nel loro complesso, maggiormente
a favore della tesi della non dimidiazione del termine per il deposito del ricorso
di primo grado, come si ritiene che possa desumersi dalle osservazioni che seguono.
5.4.1. Sui lavori preparatori si sofferma anche la ricordata sentenza n. 5/2002
dell’Adunanza Plenaria, occupandosi, al termine del capo 3, del mutamento
da singolare a plurale - operato in sede parlamentare - del pronome “quello”
(contemplato nell’originario disegno di legge governativo), cosicché
l’attuale formulazione del comma 2 dell’articolo 23 bis prevede
che “i termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo
quelli per la proposizione del ricorso”.
Dopo aver precisato che tale norma non riguarda il giudizio di appello (unico
oggetto della propria pronuncia), l’Adunanza Plenaria soggiunge che <l’uso
del plurale "quelli" appare dovuto al fatto che il legislatore ha
inteso riferirsi anche al ricorso incidentale nel processo di primo grado, per
il quale sovvengono le stesse esigenze che hanno condotto alla esclusione dalla
regola del dimezzamento del ricorso principale>.
Il complessivo iter logico, al termine del quale l’Ad. Plen. è
pervenuta a tale affermazione, vale a caratterizzare quest’ultima alla
stregua di un sostanziale obiter dictum, in quanto tale sfornito di ulteriore
apparato motivazionale e non costituente, altresì, precipitato di attività
nomofilattica “vincolante” per i futuri giudizi: in realtà,
una diversa opzione ermeneutica risulta altrettanto plausibile se - seguendo
un percorso interpretativo, già affacciato in dottrina (una dottrina,
per inciso, che riunisce in sé anche l’autorevole veste di Giudice
amministrativo d’appello) - si assume a termine di paragone il “precedente
normativo” costituito proprio dall’art. 19 comma 3 D.L. n. 67/1997,
che pure l’Adunanza Plenaria menziona nel nucleo centrale del più
volte citato capo 3 della sua motivazione.
Detta disposizione stabiliva, come è noto, che tutti i termini processuali
sono ridotti alla metà, così come è altrettanto noto che
su di essa è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 427/99,
che ne aveva sancito la costituzionalità, così, aprendo, di fatto,
la strada ad una conferma e ad una estensione della regola sull’abbreviazione
dei termini.
Ciononostante - come sottolinea anche l’A.P. - il legislatore ha optato
per una disciplina più “garantista” della posizione del ricorrente
e più sensibile alle esigenze della sua difesa, eccettuando dalla dimidiazione
dei termini la fase di proposizione del ricorso: ma, se questa è la effettiva
ratio della norma (assicurare, cioè, una più efficace protezione
degli interessi della parte ricorrente), essa si risolve, necessariamente, anche
in un utile criterio interpretativo per risolvere i dubbi riguardanti l’esatto
ambito applicativo della deroga.
Ed in questa prospettiva, appare, evidentemente, più coerente la tesi
secondo cui la riduzione dei termini non si applica né alla notificazione
né al deposito del ricorso.
5.4.2. Nello stesso senso si pone anche l’argomento di carattere lessicale,
secondo cui la norma fa riferimento alla proposizione del ricorso: per la verità,
il dato testuale non corrisponde, di certo, all’intento parlamentare,
sopra evidenziato, e l’ultima stesura della disposizione risente invece,
altrettanto palesemente, dell’urgenza di colmare il vuoto normativo apertosi,
da pochi giorni, per effetto della declaratoria di incostituzionalità
dell’art. 33 del D. Lgs. 80/98 (in materia di giurisdizione esclusiva
del G.A.), intervenuta ad opera della sentenza C. Cost. 17 luglio 2000, n. 292.
La dizione legislativa risulta, infatti, quantomeno ambigua, imprecisa e poco
felice, soprattutto se si tiene conto che, toccando la materia dei termini processuali,
essa dovrebbe, invece, essere chiara, semplice e comprensibile.
Tuttavia, secondo la dottrina (dagli storici maestri processualisti agli attuali
studiosi del diritto e del processo amministrativo) i termini di proposizione
del ricorso coincidono non già con il termine previsto per l’impugnazione,
ma con quelli del deposito del ricorso, dato che quest’ultimo si considera
"proposto" nella stessa data in cui è stato depositato; e nello
stesso senso è, la medesima Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato
(28 luglio 1980, n. 35, in tal senso menzionata anche nella decisione A.P. n.
5/2002), secondo la quale è a questa data che risulta instaurato il rapporto
giuridico processuale ed il giudice risulta investito della controversia.
Inoltre, solo detta data è stata ed è considerata rilevante (dal
legislatore e dalla giurisprudenza) ad altri fini processuali, quali:
- la verifica della competenza dei TT.AA.RR., all’atto della loro istituzione
(cfr. art. 38 legge 1034/1971 e relativa interpretazione giurisprudenziale,
tra cui ad es. Cons. Stato, Sez. VI, 22.10.1987, n. 840);
- la declaratoria di estinzione dei giudizi, ex art. 4 legge n. 87/1994;
- il riparto transitorio di giurisdizione in materia di pubblico impiego, ex
art. 45, comma 17 D. Lgs. 80/98.
In conclusione, la proposizione del ricorso si attua mediante una duplice attività
processuale, che comprende tanto la notificazione quanto il deposito.
5.4.3. Ma vi è un ulteriore elemento di carattere logico-sistematico
che rafforza questa conclusione e che è stato posto in particolare evidenza
dalle citate sentenze T.A.R. Campania n. 2505 e n. 3072 del 2002: vale a dire,
occorre, altresì, tener presente che il termine per il deposito del ricorso
non è solo una mera (ed in verità, non particolarmente complessa:
argomento su cui fanno leva i fautori del termine dimidiato) formalità
demandata al procuratore della parte, ma esso costituisce anche il “dies
a quo” per la decorrenza dei termini concessi per la difesa in giudizio
delle controparti (amministrazioni resistenti ed eventuali controinteressati)
e per la notificazione degli atti di intervento e dei ricorsi incidentali.
Per quanto riguarda, in particolare, quest’ultimo strumento processuale,
il termine per la sua notificazione dipende strettamente dal termine stabilito
per il deposito del ricorso principale, in quanto da tale scadenza decorre il
termine di trenta giorni per la notifica del ricorso incidentale.
Orbene, è matematicamente evidente che, se il termine per il suddetto
deposito è ridotto a 15 giorni, il ricorrente incidentale di primo grado
avrà a sua disposizione, dalla ricevuta notifica, un termine massimo
inferiore (15 + 30 = 45), rispetto a quello ordinario di sessanta giorni concesso
invece dall’art. 23 bis, comma 2 al ricorrente principale.
Una siffatta conseguenza si rivela, allora, non del tutto coerente con l’osservazione
(pur a sua volta “incidentale”) dell’Adunanza Plenaria n.
5/2002, indicata al precedente capo 5.4.1. e secondo la quale il ricorso incidentale
di primo grado deve essere escluso dalla regola del dimezzamento, esattamente
come [e per le stesse esigenze “garantiste riconosciute a] il ricorso
principale.
In definitiva, è difficile non convenire con le citate pronunce del TAR
Campania, laddove esse sottolineano che:
- “il dimezzamento del termine di deposito determinerebbe un certo sbilanciamento
in pregiudizio degli avversari (del ricorrente), ai quali potrebbe mancare un
tempo adeguato per preparare compiutamente le proprie difese ovvero, se del
caso, un ricorso incidentale”;
- “tali considerazioni inducono a ritenere che, anche sul piano logico-sistematico
(oltre che per il tenore letterale della disposizione), la concessione dei termini
ordinari (non abbreviati) per la proposizione del ricorso (ivi compreso quello
per il deposito) è finalizzata a garantire a tutte le parti del giudizio
(e non solo al ricorrente) un lasso temporale sufficiente, almeno nella fase
iniziale del giudizio, per l’impostazione complessiva della causa; il
che è vieppiù importante se si considera che l’utilizzo
degli strumenti previsti per una rapida soluzione delle controversie presuppone
comunque la completezza e correttezza del contraddittorio (cfr., in tema, Cons.
St., sez. V, 13/6/1998, n. 830)”.
5.4.4. Queste ultime considerazioni evidenziano, dunque, anche le ragioni “di
sistema” (di diritto processuale) e di principio (in quanto afferenti
alla “parità delle armi” tra le parti in causa), che militano
a favore della tesi secondo cui “appare quindi ragionevole che il legislatore
abbia voluto far salvo, oltre al termine di sessanta giorni per la notifica
del ricorso, anche quello di trenta giorni per il suo deposito” (cfr.
ancora, il Tar Campania).
5.4.5. Vi è infine un ultimo argomento – collocato all’incrocio
tra i rispettivi canoni di logicità intrinseca della norma e di sua coerenza
con i principi generali – posto in campo da dottrina e giurisprudenza
per sostenere la medesima soluzione interpretativa, favorevole al termine ordinario
di deposito: quello che invoca una sorta di “simmetria concettuale”.
E cioè: una volta che il settimo comma dell’art. 23 bis ha espressamente
stabilito in 30 giorni (e quindi ridotto alla metà) il termine per la
notifica dell’appello nelle materie di cui si tratta, appare logico e
coerente che anche il termine per il suo deposito sia dimidiato a 15 giorni;
viceversa, poiché il comma 2 fa salvo per il ricorso di primo grado il
termine ordinario di notifica (60 giorni), ragioni di simmetria e di logicità
vorrebbero che anche per il deposito continuasse a valere l’ordinario
termine di 30 giorni.
La prima parte di questo ragionamento “simmetrico” figura in una
recente decisione della IV Sezione del Consiglio di Stato (29 novembre 2002,
n. 6526) che si è, per l’appunto, espressa nel senso che “per
l’appello, questa conclusione (del dimezzamento del termine di deposito:
NdE) è avvalorata dalla circostanza che è ridotto della metà
anche il termine breve per la notificazione, sicché sarebbe irragionevole
mantenere il termine ordinario previsto per il deposito (trenta giorni dalla
notificazione)”.
Il mantenimento di analoga simmetria anche per il primo grado avrebbe, altresì,
il pregio di rispondere all’esigenza di semplificazione e chiarezza delle
regole processuali, che costituisce, a sua volta un principio ed un valore dell’ordinamento:
perché la regola che ne risulterebbe per le particolari materie di cui
si tratta (termini ordinari di notifica e deposito del ricorso introduttivo
di primo grado; termini dimidiati di notifica e deposito dell’appello)
sarebbe immediatamente riconoscibile ed applicabile da parte dei diversi attori
del processo (difensori e giudici), con ogni conseguenza decadenziale in caso
di sua inosservanza.
A fronte di tale indubbio beneficio sul fronte delle garanzie del diritto di
difesa tecnica, presidiato dall’art. 24 Cost., non potrebbe, per converso,
ragionevolmente ritenersi che uno slittamento temporale di soli quindici giorni,
in un contesto di complessivo dimezzamento di tutti gli ulteriori termini processuali
di primo e secondo grado, comprometterebbe gravemente le esigenze di celerità,
perseguite dal legislatore nelle particolari controversie di cui si tratta.
5.4.6. In definitiva, se pur occorre dare atto che la prevalente giurisprudenza
amministrativa (specie di appello) è orientata nel senso della dimidiazione
del termine del deposito del ricorso di primo grado, cionondimeno l’attuale
scenario in cui si colloca l’interpretazione e l’applicazione del
comma 2 dell’art. 23 bis continua a essere contrassegnato, oltre che da
un quadro normativo in sé ambiguo, da contrarie voci giurisprudenziali
(di I e II grado) e da posizioni dottrinali alquanto critiche: cosicché,
nel complesso, la situazione risulta caratterizzata da apprezzabili e consistenti
margini di incertezza.
5.4.7. In un contesto di tale complessità, l’elemento decisivo
da tener presente, ai fini della scelta tra le due sole opzioni possibili (ammissibilità/inammissibilità
del ricorso depositato oltre il termine di 15 giorni) risiede, ad avviso del
Collegio, nella considerazione, già enunciata dalla giurisprudenza (Cons.
Giust. Amm. Reg. Sic. 26 febbraio 1987, n. 61), secondo cui, alla luce del principio
di tassatività delle cause di decadenza e di inammissibilità,
non è possibile dichiarare nel giudizio una causa di decadenza, non chiaramente
enunciata nelle norme processuali.
Nel caso del termine del deposito del ricorso di primo grado nelle materie di
cui al primo comma art. 23 bis, l’applicabilità ad esso della regola
della dimidiazione non è, per quanto sin qui esposto, stata chiaramente
enunciata dal legislatore della legge 205; né, a differenza dell’analoga
regola introdotta dl D.L. n. 67/1997 o del caso del deposito del ricorso in
appello, sono, ad oggi, intervenute autorevoli e chiarificatrici pronunce da
parte del massimo Organo di nomofilachia della giustizia amministrativa (le
già citate decisioni A.P. n. 1/2001 e n. 5/2002) e/o della Corte Costituzionale
(sentenza, anch’essa menzionata, n. 427/1999); mentre nemmeno può
dirsi, sempre ad oggi, definitivamente e univocamente consolidato l’indirizzo
interpretativo del giudice amministrativo.
Di conseguenza ed in attesa di siffatti, auspicabili interventi o evoluzioni,
atti a recare certezza nella materia de qua, il deposito del presente ricorso,
dopo 15 giorni dall’ultima notifica ma entro l’ordinario termine
di 30 giorni, non, può, pertanto essere sanzionato da pronuncia di inammissibilità
a carico della parte ricorrente.
5.5. Ma - anche a voler considerare come viceversa necessaria, a pena di inammissibilità,
l’osservanza del termine dimidiato di 15 giorni per il deposito - la medesima
situazione di incertezza, sin qui descritta, consente, comunque, di ritenere
sussistenti, nel caso di specie, i presupposti per la rimessione in termini
di parte ricorrente, come, peraltro, già anticipato in sede cautelare.
E ciò alla stregua dello stesso insegnamento contenuto nella decisione
n. 5/2002 dell’Adunanza Plenaria, che analogo beneficio ha concesso, richiamandosi
al principio generale, già affermato nell’art. 34 del T.U. n. 1054
del 1924 e richiamato nell’art. 34 l. n. 1034 del 1971, per cui:
- “il giudice amministrativo può temperare il rigore della previsione
di un termine di decadenza, ove ritenga che l’errore in cui sia incorso
il ricorrente possa essere ritenuto scusabile”;
- “l’istituto dell’errore scusabile deve ritenersi applicabile
ad ogni tipo di possibile invalidità o irregolarità degli atti
processuali, collegata al mutare della disciplina legislativa, alla difficoltà
obiettiva di interpretazione, od alle innovazioni nella giurisprudenza amministrativa”.
Orbene, se l’Ad Plen. ha ritenuto sussistente la situazione che giustifica
il riconoscimento del sopra richiamato beneficio, in relazione alle obiettive
difficoltà interpretative ed ambiguità connesse al settimo comma
dell’art. 4 della legge n. 205 del 2000; non vi sono ragioni per non assumere
identica statuizione in relazione al secondo comma del medesimo articolo, per
il quale permangono ambiguità e difficoltà interpretative, analoghe
se non maggiori.
5.6. Il Collegio è, anche a questo riguardo, consapevole che neppure
una siffatta conclusione risulta seguita dalla predominante giurisprudenza del
giudice amministrativo d’appello, all’interno della quale convivono
in proposito - pur dopo la più volte richiamata decisione A.P. n. 5/2002
- pronunce di segno contrastante, quali, ad esempio:
- in senso sfavorevole alla concessione del beneficio dell’errore scusabile:
Sez. VI, 1 ottobre 2002, n. 5156 e Sez. IV, n. 5363/2002, già citata;
- ed in senso favorevole, su fattispecie tuttavia coeva al D.L. n. 67/1997,
ma con esplicito richiamo ad A.P. n. 5/2002: Sez. VI, n. 19 del 2003.
Nondimeno, il Collegio ritiene che l’autorevolezza dell’indicazione
proveniente, da ultimo, dalla stessa Adunanza Plenaria con la decisione n. 5/2002
(che, sul punto, segna una discontinuità rispetto alla precedente decisione
n. 1/2001, relativa al D.L. n. 67/1997 e che detto beneficio non riconobbe)
renderebbe, nel caso, ampiamente giustificabile la concessione della rimessione
in termini, quanto al deposito del ricorso.
6.1. Può, così, essere affrontata la trattazione nel merito del
ricorso, che si rivela fondato.
6.2. Invero, alla stregua della ricostruzione in fatto che precede, del contenuto
del provvedimento impugnato e dell’adempimento prestato dall’AUSL
all’incombente istruttorio disposto in fase cautelare, la presente vicenda
si connota per i seguenti tratti decisivi:
a) nella controversa deliberazione n. 394/2002, si richiamano in apertura le
note 27.12.2001 e 24.4.2002 del Dirigente Responsabile del Presidio ospedaliero,
con cui si è manifestata l’intenzione di rinnovare i contratti
relativi ad alcuni lotti della fornitura di sistemi diagnostici e di accorparne
altri; nonché le note, in data 24.4.2002 e 7.5.2002, con cui il Responsabile
del Servizio di Farmacia ospedaliera ha comunicato il numero delle c.d. “determinazioni”
annue previste per i vari lotti, tra cui il n. 5 di cui (anche) si controverte;
b) ciò premesso, la medesima deliberazione dà testualmente atto
“che sono state effettuate, ai sensi delle indicazioni sopraindicate,
intense trattative e rinegoziazioni molto produttive con tutte le ditte interessate”
(tra cui anche Bioallergy e Medical Systems);
c) indi, l’atto direttoriale prosegue affermando che “si è
ritenuto opportuno chiedere sia alla ditta Bioallergy che alla ditta Medical
Systems miglior preventivo per la fornitura dei lotti n. 5 e n. 6 unificati,
onde verificare possibili migliori condizioni contrattuali” e dà
conto, per ciascuna ditta, delle risultanze delle trattative;
d) infine, il provvedimento conclude che l’offerta più economica
risulta quella della ditta Medical Systems e che la relativa assegnazione “oltre
che opportuna dal punto di vista economico è da considerarsi in esclusiva,
in quanto consente una migliore organizzazione e razionalizzazione dell’attività
di laboratorio, in considerazione del fatto che la stessa Medical Systems è
l’unica ditta sul mercato in grado di offrire uno strumento che, da un
punto di vista organizzativo, permette di concentrare i dosaggi immunometrici
sia di tipo ormonale (e precisamente le determinazioni sopraindicate relative
al lotto n. 2, che la ditta Abbott non è in grado di effettuare) sia
di tipo allergologico, diminuendo nel contempo le stazioni di lavoro con razionalizzazione
dei percorsi e delle risorse, come dichiarato dal Coordinatore responsabile
del Dipartimento delle Tecnologie con lettera del 5.8.2002”;
e) a sua volta, nella relazione 9.12.2002 del Dirigente responsabile del Servizio
Attività economali (prodotta in esito al suddetto incombente) si espone
che:
- “la richiesta alla ditta Bioallergy di presentare offerta per i lotti
n. 5 e n. 6 è avvenuta in maniera informale presso la sede del Servizio
per le attività economali e di approvvigionamento”, il tutto ai
fini di una “indagine di mercato” (peraltro, osserva il Collegio,
non risulta meglio precisata la data in cui tale richiesta informale sarebbe
stata avanzata);
- dopodiché, “la trattativa non è proseguita”, “essendo
stato giudicato non conveniente ed opportuno rinnovare il contratto già
scaduto con la ditta Bioallergy, in quanto si erano verificate sul mercato diverse
e migliori soluzioni operative e organizzative” ed essendo stata prescelta
la soluzione tecnica “di non limitarsi all’accorpamento dei lotti
n. 5 e n. 6, bensì estendere tale accorpamento ad una parte dei reagenti
relativi al lotto n. 2”;
- il calcolo dell’importo riferito alla ditta Bioallergy è stato
ricavato sulla base dell’offerta 22.10.99 presentata dalla ditta in sede
di (prima) gara e delle lettere Bioallergy 28.6.2001 e 6.2.2002;
- “in ogni caso, il calcolo è stato indicato in delibera al solo
fine di dimostrare la opportunità e la vantaggiosità dell’assegnazione
della fornitura in esclusiva alla ditta Medical Systems, non per mettere in
concorrenza le due ditte, in quanto era nel frattempo cessato ogni interesse
a rinnovare il contratto già scaduto con la ditta Bioallergy”.
6.3. Riassumendo:
• solo a partire, quantomeno, dalle rispettive note in data 24 aprile
2002, del Responsabile del Presidio ospedaliero e del Servizio di Farmacia ospedaliera,
l’Azienda è venuta in possesso degli essenziali elementi tecnici
(individuazione lotti da rinnovare e da accorpare; quantificazione delle determinazioni
annue), per poter procedere alle trattative con le varie ditte;
• tutte le indicazioni scritte di offerta provenenti da Bioallergy sono
ampiamente anteriori a tale data e sono - come risulta in atti e come non poteva
essere diversamente - riferite esclusivamente al lotto n. 5;
• la nota, con cui il Responsabile del Dipartimento delle tecnologie riscontra
la richiesta - “di indagine di mercato”, “effettuata per le
vie brevi” - del Responsabile Servizio Attività economali, ed afferma
l’esistenza di un solo apparecchio (l’Immulite 2000 della ditta
Medical Systems) in grado di effettuare le determinazioni specificate, risale
al 5 agosto 2002, cioè a data posteriore alla presentazione dell’offerta
di Medical Systems (del 15.7.2002, integrata il 30.7.2002: cfr. pag. 6 deliberazione
n. 394/2002).
6.4. Si possono, a questo punto, trarre, da tali circostanze obiettive, le necessarie
implicazioni giuridiche, e cioé:
I) in relazione all’affidamento dei lotti da accorpare, l’Azienda
ha complessivamente posto in essere, interpellando due ditte per ogni accorpamento
effettuato, una “procedura comparativa, in una forma sostanzialmente riconducibile
a quella della trattativa privata, senza pubblicazione del bando di gara”:
così Cons. Stato, Sez. V, 24 ottobre 2002, n. 5860, per un fattispecie
volta - analogamente alla presente – “ad individuare quale tra le
offerte della precedente affidataria del servizio e della società mista
anzidetta fosse quella più conveniente economicamente”;
II) tale modalità di aggiudicazione ha riguardato anche gli accorpati
lotti 5 e 6, ove sono state poste a raffronto le offerte Bioallergy e Medical
Systems e si è giudicata “più economica” l’offerta
Medical Systems, “con un risparmio di € 30.426, 28”;
III) ebbene, la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, 29/3/2001, n.
1881) si è già posta “la questione di diritto … del
significato e dell'ambito della c.d. autolimitazione che nella trattativa privata
discende dalla indizione di una gara ufficiosa” e consistente nello “stabilire
se:
- la indizione di una gara ufficiosa comporti un mero sondaggio di mercato volto
a conoscere quali sono i potenziali offerenti, senza alcun ulteriore vincolo
in ordine alla scelta del contraente;
- nel corso della gara ufficiosa, la stazione appaltante sia o meno tenuta al
rispetto delle regole logico-giuridiche intrinseche al concetto stesso di gara,
quali quelle di trasparenza e par condicio”;
IV) la soluzione cui è pervenuto il Giudice amministrativo d’appello
è che: “la gara ufficiosa è una categoria diversa dal mero
sondaggio di mercato, pure utilizzabile nell'ambito della trattativa privata.
Il sondaggio di mercato tende solo ad acquisire una conoscenza dell'assetto
del mercato, e dunque dell'esistenza di imprese potenziali contraenti, e del
tipo di condizioni contrattuali che sono disposte a praticare.
La gara ufficiosa oltre ad essere, come il sondaggio di mercato, strumento di
conoscenza, implica anche una valutazione comparativa delle offerte, valutazione
che è insita nel concetto stesso di « gara ».
Ove la stazione appaltante decida, nell'ambito di una trattativa privata, di
indire una « gara ufficiosa » … la stessa, indipendentemente
dalle regole espresse che eventualmente stabilisca in via di autolimitazione,
è tenuta al rispetto dei principi insiti nel concetto stesso di gara,
che sono quelli di trasparenza e par condicio: altrimenti detto, la indizione
di una gara ufficiosa comporta una autolimitazione implicita, costituita dal
vincolo al rispetto dei principi tipici delle gare.
A voler, al contrario, sostenere che la gara ufficiosa non comporta alcun vincolo
al rispetto dei principi di trasparenza e par condicio, verrebbe meno ogni utilità
pratica della gara medesima, il cui significato risulterebbe affatto vanificato.
… Viene dunque positivamente imposto il rispetto della concorrenza anche
quando l'Ente decida di avvalersi della trattativa privata.
Una volta, poi, che si opti per lo strumento della gara ufficiosa, i principi
di trasparenza e par condicio impongono che le imprese partecipanti non siano
costrette a presentare offerte al buio, ma siano invece poste in condizione
di conoscere gli elementi di interesse per la stazione appaltante, alla luce
dei quali modulare le offerte”;
V) siffatti principi, che il Collegio condivide, sono perfettamente aderenti
al caso di specie, in cui, per un verso, la circostanza che la stessa AUSL abbia
confrontato, sino a quantificarne al centesimo il differenziale economico, le
due offerte Bioallergy e Medical Systems vale ad escludere che – a differenza
di quanto sostenuto nelle difese dell’AUSL e nella menzionata relazione
d’ufficio 9.12.2002 – si sia esperita “una mera indagine di
mercato”; e, per l’altro, si sono verificate, in capo alla sola
Bioallergy e non per sua responsabilità, analoghe situazioni di non corrispondenza
tra offerta e conoscenza del reale oggetto della gara e, sempre nei suoi confronti,
palesi violazioni dei principi di concorrenza e par condicio, non essendo, in
realtà, essa mai stata informata degli effettivi contenuti della fornitura
da aggiudicare (lotti n. 5 e n. 6) ed essendosi proceduto, da parte della Amministrazione
aggiudicatrice, ad una artificiosa ricostruzione “a posteriori”
della sua offerta, ricavandola dai parametri economici e dai successivi sconti,
proposti dalla ditta con esclusivo riferimento alla fornitura precedente (lotto
n. 5) e nell’arco di di oltre un biennio;
VI) risultano, di conseguenza, fondate:
- le censure di violazione dei principi generali in materia di gara, travisamento
e disparità di trattamento, dedotte con il secondo e terzo motivo di
ricorso, con cui si fa leva sulle medesime circostanze di fatto sopra evidenziate
(a partire dalla anteriorità della propria offerta 6.2.2002 rispetto
alla data del 24.4.2002, quando il Responsabile del Presidio ospedaliero “maturava
l’intenzione di procedere all’accorpamento dei lotti n. 5 e n. 6”);
e si invoca, anche con richiami giurisprudenziali, il principio della par condicio;
- nonché le censure del primo profilo del quarto motivo, con cui si deduce
che le due offerte non erano tra loro confrontabili e comparabili.
6.5.1. L’ulteriore assunto motivazionale (ed ultimo argomento difensivo
dell’AUSL) contenuto nella deliberazione n. 394/2002 mira a sostenere
che, in realtà, nella specie si sarebbe utilizzato lo strumento dell’affidamento
del servizio in esclusiva.
Assunto motivazionale ed argomento difensivo non reggono per ragioni prima di
tutto “cronologiche”: come detto, Medical Systems ha definitivamente
chiuso la propria offerta il 30 luglio 2002, mentre la nota del Responsabile
del Dipartimento delle tecnologie, che avvalora l’unicità dell’apparecchiatura
Immulite 2000 di Medical Systems, è del successivo 5 agosto 2002: quindi,
anche a voler seguire la tesi dell’Azienda, la trattativa si sarebbe svolta
e conclusa “in esclusiva”, senza che nessuno dei due contraenti
(né l’impresa; né il Dirigente, agente in rappresentanza
della stazione appaltante, cui la predetta nota era indirizzata) sapessero del
carattere, per l’appunto “esclusivo”, dell’apparecchiatura,
attribuitole dall’Azienda.
Stante la palese asincronia dei fatti, sul punto non è, pertanto, necessario
spendere ulteriori parole, in quanto è di palmare evidenza che la preventiva
conoscenza di tale - invero, decisivo - elemento, avrebbe ben potuto diversamente
orientare ciascuna delle due parti nella conduzione della trattativa e nel suo
risultato finale.
Non essendo, invece, tale elemento entrato - per ragioni di tempo - nella trattativa
e nella sua conclusione, esso non può, solamente ora e solamente ex post,
costituire valida giustificazione della stessa.
6.5.2. Ciò che il Collegio non intende, comunque, tralasciare è,
invece, il richiamo alla assoluta eccezionalità - sotto il profilo tanto
del diritto comunitario, quanto di quello interno - del ricorso alla c.d. “scelta
diretta” del contraente, da parte delle Amministrazioni aggiudicatrici.
6.5.3. Sotto il primo profilo, è sufficiente fare rinvio:
- alla recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. V, 10 giugno 2002,
n. 3208), secondo cui la stazione appaltante può, ai sensi degli articoli
6 e 7 del D. Lgs. n. 157/95 sugli appalti di servizi, deliberare di affidare
il servizio a trattativa privata, anche senza preventiva pubblicazione del bando,
ma in questo caso deve spiegare in modo analitico e ragionevole per quale motivo
sussistano i presupposti indicati dalle predette norme, per poter ricorrere
a tale schema di carattere eccezionale;
- alla circolare del Ministro per le politiche comunitarie 6 giugno 2002 n.
8756 (pubblicata sulla G.U. del 31.7.2002 e, dunque, prima dell’adozione
del provvedimento impugnato), ove analoga eccezionalità viene ribadita
finanche per gli appalti sottosoglia.
6.5.4. Sotto il profilo del diritto interno, la giurisprudenza del giudice amministrativo
continua a ribadire (cfr., di recente, TAR Campania-Salerno Sez. II –
Sentenza 4 novembre 2002 n. 1878, nonché la decisione Cons. Stato, Sez.
IV, n. 2728/2000, richiamata da Bioallergy nel quarto motivo di gravame) che
il ricorso alla trattativa privata per l’affidamento di un servizio è
illegittimo ove non siano state indicate, con apposita e congrua motivazione,
le "speciali ed eccezionali circostanze" di cui all’art. 41
co. 1° n. 6 del R.D. 827/1924: il precedente del TAR Salerno è, peraltro,
particolarmente conferente, trattandosi dell’affidamento, da parte di
una Azienda Ospedaliera, della manutenzione di apparecchiature elettromedicali.
6.5.5. Oltre alla sua incongruità per così dire “temporale”,
la motivazione, al riguardo addotta nella deliberazione AUSL n. 394/2002, non
pare, dunque, congrua neppure dal punto di vista del rispetto degli anzidetti
canoni di analiticità e ragionevolezza, in quanto si affida a (insufficienti)
ragioni prevalentemente organizzative e di razionalizzazione, introducendo,
per di più, un elemento estraneo ai lotti 5 e 6 e riferito a “determinazioni”
di altro lotto (il n. 2, già accorpato e affidato), che la relativa aggiudicataria
non sarebbe in grado di effettuare.
6.5.6. Ne consegue la fondatezza anche del secondo profilo del quarto ed ultimo
mezzo di impugnazione, mediante il quale Bioallergy denuncia, per l’appunto,
l’incongruità della motivazione con cui l’Azienda ha prospettato
la sussistenza di una sorta di “diritto di esclusiva” o di “quasi
privativa industriale”.
7. Per le considerazioni che precedono e previo assorbimento delle censure non
esaminate, deve essere accolta la domanda impugnatoria proposta con il ricorso
e, per l’effetto, deve essere annullato il provvedimento in epigrafe,
nella parte contestata e concernente l’aggiudicazione degli accorpati
lotti 5 e 6.
Anche tenuto conto delle soluzioni adottate in relazione ai profili in rito
della controversia, le spese di lite possono essere compensate tra tutte le
parti in causa.