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n. 11-2003 - © copyright.

T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. III, Sentenza 16 ottobre 2003, n. 4802
Pres. Italo Riggio, Est. Raffaello Sestini - Tumietto Patrizio (rappresentato e difeso da sé medesimo ai sensi dell’art. 86 c.p.c.) c. Il Ministero delle Finanze, in persona del Ministro in carica, ed il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria presso il Ministero delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore (dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano).

Professioni e mestieri – consulenza in materia fiscale - incompatibilita’ con lo status di componente di commissioni tributarie – in caso di studio associato – sussistenza.

Il socio di un’associazione tra professionisti e’ incompatibile con lo status di componente di commissione tributaria. Infatti, anche se la natura della prestazione del professionista e’ personale, ha rilievo la funzione gestionale ed organizzativa del contratto di associazione fra professionisti. Nell’associazione infatti ciascun professionista presta una completa attività di assistenza societaria e commerciale, estesa anche alla assistenza e consulenza tributaria, mentre la ripartizione interna di compiti non esime il singolo professionista, almeno agli occhi dei potenziali clienti, dalla compartecipazione alla complessiva prestazione finale di assistenza, inclusiva della consulenza tributaria (nel caso di specie e’ stata ritenuta sussistente l’incompatibilita’ di un componente di un’associazione professionale rispetto alla carica di giudice tributario) (1).

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(1) Sulla partecipazione di professionisti a commissioni tributarie si segnalano gli orientamenti secondo i quali:

1) la presenza di un parente che sia iscritto ad un albo tenuto in una sede ricompresa nella circoscrizione giurisdizionale della commissione tributaria regionale, ma in luogo diverso dalla sede della commissione medesima, esorbita dal contenuto precettivo dell'art. 8 d.lg n. 545 del 1992: non vi e’ quindi incompatibilita’ in quanto, per quanto riguarda i casi di incompatibilità "formale", vale a dire derivante dalla mera iscrizione del parente del componente della commissione ad un albo che abilita all'esercizio della consulenza tributaria, la norma non consente l'interpretazione estensiva (T.A.R. Piemonte, sez. I, 9 aprile 2003, n. 529).

2) Il deposito delle scritture contabili, eseguito senza il carattere dell'occasionalità, rientra a pieno titolo nella nozione di esercizio "in qualsiasi forma" della consulenza tributaria ovvero dell'assistenza o rappresentanza del contribuente nei rapporti con l'amministrazione finanziaria che l'art. 31 comma 2 l. 27 dicembre 1997 n. 449 dichiara incompatibile con le funzioni di giudice tributario: T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 25 febbraio 2003, n. 372; tuttavia, la tenuta di scritture contabili negli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, antecedenti alla data dell'1 ottobre 2001 o addirittura alla nomina quale componente della commissione tributaria regionale, non puo’ generare causa d'incompatibilità di cui all'art. 8 comma 1 lett. i), d.lg. n. 545 del 1992: T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 18 novembre 2002, n. 4973.

3) L'art. 46 d.P.R. n. 645 del 1994 definisce la consulenza, fra l'altro, come attività prestata "in sede di scelta dei comportamenti (...) più opportuni in relazione alla imposizione fiscale" , sicche’ ne fa parte anche quella che si esplica mediante elaborazione di scritture e dati contabili, insita nel fatto stesso di essere depositari di scritture contabili, con la conseguenza di determinare l'incompatibilità di chi la svolge con la funzione di giudice tributario: T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 25 febbraio 2003, n. 68. In particolare, sugli studi associati, si segnala l’orientamento secondo il quale l'interesse pubblico tutelato dalla disposizione sull'incompatibilità e’ polarizzato non soltanto sulla sostanza sebbene anche sulla doverosa apparenza d'imparzialità richiesta a qualsiasi giudice e a quello tributario in specie, sicche’ la contitolarità dello studio che svolge la consulenza fiscale lascia comunque apprezzare e supporre, in capo alla clientela dello studio, una qualche forma di cointeressenza e di riferibilità dell'attività consulenziale al professionista investito dell'incarico di giudice tributario, quando non costituisca, in certa misura, incentivo a rivolgersi proprio a quello studio professionale associato nella aspettativa (non importa se infondata e meramente congetturale) di potenziali benefici connessi alla presenza nello studio di quel professionista (nella fattispecie, il tribunale ha ritenuto legittima la decadenza di un professionista appartenente ad uno studio associato di consulenza tributaria anche se svolta, la relativa attività, da altro professionista associato): T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 18 novembre 2002, n. 4973. E’ stato anceh ritenuto incompatibile ex art. 8 lett. i) ed m), d.lg. 31 dicembre 1992 n. 545 il consulente del lavoro che curi adempimenti di natura fiscale (tra i quali la redazione di CUD e di modelli 770) e svolga la sua attività professionale presso uno Studio associato, insieme al fratello dottore commercialista che svolge, tra l'altro, abituale attività di assistenza presso una Commissione tributaria ed è abilitato alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali, poiché dall'associazione nello Studio scaturiscono rapporti di debito/credito che recano pregiudizio all'immagine di terzietà e di indipendenza del giudice tributario: T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 15 ottobre 2002, n. 3959. Con la stessa logica si esprime l’orientamento secondo il quale la partecipazione di un professionista-giudice tributario ad una associazione professionale all'interno della quale un altro associato svolga direttamente attività di consulenza tributaria comporta l'imputabilità, in capo al giudice tributario, della consulenza fiscale esercitata dallo studio, ancorché le prestazioni siano state rese da professionisti associati diversi dal giudice: T.A.R. Veneto, sez. I, 14 maggio 2002, n. 1994; T.A.R. Toscana, sez. I, 17 dicembre 2001, n. 1965. Questi orientamenti trovano un’ eco nell’orientamento della Corte di Giustizia UE in tema di collegamento tra professioni, dove si sottolinea che tra professionisti associati vi puo’ essere osmosi di notizie (confermando quindi la ratio dell’incompatibilita’) Corte giustizia CE, 19 febbraio 2002, n. 309 Wouters e altro c. Algemene Raad von Nederlanse Orde von Advocaten Giur. comm. 2003, II, 6 nota SCASSELLATI SFORZOLINI, in tema di collaborazione integrata tra gli avvocati e i revisori dei conti.

 

 

per l’annullamento

del provvedimento del Ministro delle Finanze in data 7 giugno 2000, comunicato alla Commissione Tributaria Regionale di Milano il 3 luglio 2000 e da questa trasmessa all’interessato l’11 luglio 2000, di decadenza dalla carica di componente della Commissione regionale tributaria della Lombardia, con tutti gli atti connessi;

nonché per la condanna

delle amministrazioni intimate al risarcimento dei danni all’immagine, alla professionalità nonché al legittimo interesse a ricoprire la carica di giudice tributario, subiti per effetto dell’illegittimo comportamento delle resistenti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza n. 3680/2000 in data 10 novembre 2000, di accoglimento della domanda incidentale cautelare;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore, alla pubblica udienza del 29 maggio 2003, il Primo Referendario Raffaello Sestini;
Uditi i difensori delle parti come da verbale di udienza;
Considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe l’avv. Tumietto impugna il decreto del Ministro delle Finanze che ha concluso il procedimento per l’accertamento della sua situazione di incompatibilità quale avvocato esperto in diritto societario nell’ambito dello studio “Consulenti associati” di Milano, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 545/1992 come riformato dalla legge n. 449/1997, e che ha conseguentemente disposto la sua decadenza dall’ufficio di giudice tributario, motivando (in conformità a quanto già deliberato dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria), che “…la denunciata contitolarità di studio associato comporta l’imputabilità (…) dell’attività di consulenza tributaria dello studio anche se svolta da altri professionisti in quanto, avvalendosi comunque, i clienti, della consulenza dello studio, risulta lesa la necessaria terzietà ed imparzialità del giudice che non solo deve essere ma anche apparire tale…”
Vengono dedotti, i vizi di eccesso di potere per carenza di istruttoria, motivazione contraddittoria e perplessa, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, nonché di violazione dell’art. 8, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 545/1992 e successive modifiche, in relazione alla genericità della motivazione, che sarebbe sintomo di una frettolosa e lacunosa istruttoria, e che non avrebbe neppure tenuto conto, quanto meno per confutarle, delle argomentate controdeduzioni dell’interessato.
In particolare, sarebbe stato profondamente ingiusto ed illogico disporre la decadenza per ragioni estranee alle eventuali attività di consulenza svolte dall’interessato e riferite, invece, all’oggettiva circostanza della appartenenza ad un medesimo studio associato svolgente tali attività, con una arbitraria ed illogica estensione dell’ambito di applicazione dell’art. 8 del citato d.lgs. n. 545/1992 e successive modifiche, il quale si riferisce espressamente all’ “esercizio”, quindi personale, della consulenza. Il contratto di associazione fra professionisti, si afferma, avrebbe infatti una funzione prettamente gestionale ed organizzativa riguardante la sfera interna del rapporto.
Ugualmente erroneo sarebbe il riferimento alla tenuta di scritture contabili negli anni 1994, 1995 e 1996 (quindi anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina nel 1998), avendo invece l’interessato dimostrato che tali scritture si riferivano a procedure concorsuali seguite in qualità di curatore fallimentare.
Conseguentemente, il ricorrente propone domanda di risarcimento dei danni all’immagine, alla professionalità nonché al legittimo interesse a ricoprire la carica di giudice tributario, che sarebbero conseguiti alla sua illegittima rimozione dall’incarico di giudice tributario.
La questione della esatta delimitazione dei casi di incompatibilità all’esercizio dell’ufficio di giudice tributario, dopo la riforma normativa che ne ampliato l’ambito, è stata più volte sottoposta a questo Tribunale, che ha, fa l’altro, anche ribadito la non configurabilità, nel nostro ordinamento, di una sorta di responsabilità oggettiva, svincolata dall’effettivo (ed incompatibile) svolgimento di consulenza tributaria, dell’interessato.
A giudizio del Collegio deve peraltro restare ben ferma la consapevolezza della necessità di valutare ciascun caso di specie, al fine di valutare se la concreta attività professionale svolta dall’interessato possa configurare, alla luce della vigente disciplina, una situazione di incompatibilità, nel senso della indebita sovrapposizione fra più attività riferite al medesimo soggetto: una di consulenza tributaria in favore degli eventuali clienti ed una di natura giurisdizionale nella medesima materia tributaria, almeno potenzialmente rivolta ai medesimi soggetti e quindi incompatibile, dovendo invece essere necessariamente caratterizzata da requisiti di terzietà ed imparzialità, che risultano pregiudicati anche dalla sola ragionevole prevedibilità di una tale sovrapposizione.
La astratta configurabilità di una generale, anche se potenziale, sovrapposizione di ruoli vale anzi, a giudizio del Collegio, a differenziare la posizione di incompatibilità sanzionata con la decadenza dalle altre pur possibili ma imprevedibili ed episodiche situazioni che non sono ostative all’esercizio della funzione giurisdizionale ma comportano l’attivazione degli istituti, invocati dal ricorrente, dell’astensione e della ricusazione.
Ebbene, dall’esame dello statuto dell’associazione professionale cui il ricorrente aderisce e dell’ulteriore documentazione dallo stesso fornita, la fattispecie qui in esame non sembra poter evitare il predetto giudizio di incompatibilità.
Lo studio risulta infatti costituito da quattro professionisti, ad esso legati da un’attività di lavoro in forma esclusiva e continuativa con riserva all’associazione di emettere le parcelle relative alle prestazioni svolte. L’attività dello studio è diretta a fornire assistenza professionale in materia di diritto societario e commerciale anche attraverso la tenuta delle scritture contabili e l’attività di revisione contabile, indifferentemente ad opera di ciascuno dei professionisti associati. La connessa attività di consulenza ed assistenza ai clienti è invece suddivisa fra i vari professionisti “sulla base delle specifiche qualifiche e capacità professionali”, affidando al ricorrente la consulenza ed assistenza legale e societaria ed agli altri colleghi la consulenza ed assistenza aziendale nonchè la consulenza ed assistenza fiscale, che entra quindi a far parte della ragione sociale dello studio.
Anche se non appare dubbia la natura tuttora personale della prestazione del professionista secondo norme, pur risalenti nel tempo, del nostro ordinamento, nel caso in esame la incompatibilità risulta dalla funzione (invocata dallo stesso ricorrente) prettamente gestionale ed organizzativa del contratto di associazione fra professionisti, che, senza incidere sul rapporto con i potenziali clienti dello studio associato, riguardando solo la sfera interna del rapporto, assicura a ciascuno di essi (qualunque sia il professionista associato cui si rivolge) una completa attività di assistenza societaria e commerciale, estesa anche alla assistenza e consulenza tributaria, secondo una ripartizione interna di compiti che non esime il ricorrente, almeno agli occhi dei potenziali clienti, dalla compartecipazione alla complessiva prestazione finale di assistenza societaria e commerciale, inclusiva della consulenza tributaria.
Il ricorso deve quindi essere respinto, non apparendo né irragionevoli né illogiche le argomentazioni sinteticamente svolte dall’Amministrazione al fine di disporre, al termine di un procedimento amministrativo comunque rispettoso del principio del contraddittorio, la decadenza del ricorrente dall’ufficio di giudice tributario.
Sussistono, comunque, giuste ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sez.III, respinge il ricorso indicato in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Milano, nella Camera di Consiglio del 29 maggio 2003.

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