T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, 30 agosto
2003, n. 641
Presidente: Vincenzo Sammarco – Consigliere: Enzo Di Sciascio
- Consigliere relatore: Vincenzo Farina Ricorso proposto: Associazione
Italia Nostra-o.n.l.us - Avv. Gianluigi Ceruti, Matteo Ceruti e Valentina Montecchia
contro: Presidenza del Consiglio dei Ministri - Avvocatura distrettuale dello
Stato; Ministro dell’Interno-Delegato per il coordinamento della Protezione
civile, non costituito in giudizio; Ministero dell’Ambiente e della tutela del
territorio - Avvocatura distrettuale dello Stato; Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia - Avv. Enzo Bevilacqua; Comune di Tolmezzo – Avv. Paolo Persello nei
confronti: società di gestione dell’impianto Alto Tagliamento s.r.l. - Avv.
Roberto Mete e Luca De Pauli; società Cartiere Burgo s.p.a., Avv. Marco Siniscalco
e Riccardo Montanaro.
1 – Protezione civile. Deliberazione dello stato di emergenza socio-ambientale – settore della depurazione delle acque reflue. Potestà discrezionale del Consiglio dei Ministri. Limiti. Motivazione. Necessità.
2. Atto amministrativo - Sanatoria ex lege dei vizi di legittimità di determinati atti amministrativi. Accertamento da parte del giudice amministrativo del potere delle Autorità di emettere i provvedimenti adottati.
1. La deliberazione dello stato di emergenza implica
l'esercizio di un'amplissima potestà discrezionale, che però trova
un limite nell'effettiva esistenza di una situazione di fatto, consistente in
calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità
ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari,
da cui derivi un pericolo in atto o possa derivare un pericolo all'integrità
delle persone ovvero ai beni, agli insediamenti e all'ambiente, e nella ragionevolezza
di questo potere discrezionale, oltre che nella impossibilità di poter
altrimenti fronteggiare la situazione.
Pertanto, la situazione che dà luogo alla dichiarazione dello stato di
emergenza deve risultare in modo irrefutabile, alla stregua dei parametri indicati
dalla legge, e non può essere fronteggiata con mezzi e poteri ordinari.
Con la locuzione “altri eventi” il Legislatore si è basato
su di un criterio oggettivo e cioè l'esistenza di una situazione che
necessita di interventi straordinari, indipendentemente dalla causa che l'ha
determinata: interventi pur sempre mirati alla tutela dell'integrità
della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo
di danni.
2. L’entrata in vigore della Legge 8 aprile 2003, n. 62 - conversione in legge, con modificazioni, del Decreto legge 7.02.2003, n. 15, recante misure finanziarie per consentire interventi urgenti nei territori colpiti da calamità naturali - che prevede, tra l’altro, disposizioni di conferma e di salvezza deì decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, delle ordinanze di protezione civile e dei conseguenti provvedimenti emanati in regime commissariale, sul territorio nazionale, inerenti alle situazioni di emergenza ambientale e relativamente allo stato di inquinamento delle risorse idriche - non impedisce al giudice amministrativo di accertare, la sussistenza dell’attribuzione del potere di emettere i provvedimenti adottati.
“Commissariamenti straordinari solo se la situazione è veramente eccezionale”
di Umberto Fantigrossi
1. La decisione del TAR Friuli Venezia Giulia
in commento (la n. 641/03) è di grande interesse perché a quanto risulta è la
prima sentenza che annulla una dichiarazione dello stato di emergenza effettuata
dal Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 2 comma 1 lettera c) della legge
istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile (la n. 225/92), nonché
i provvedimenti conseguenti.
Nel caso esaminato il potere d’ordinanza era stato utilizzato per fronteggiare
la situazione di uno stabilimento industriale e del connesso impianto di depurazione
che necessitavano di un adeguamento in tempi rapidi, ritenuti non compatibili
con le procedure ordinarie. Il che ingenerava preoccupazioni e timori circa
un possibile blocco della produzione, con ricadute socio economiche sull’intera
economia della zona.
Ad avviso del TAR si tratta di una situazione che non è rapportabile alle situazioni
tipiche previste dalla norma richiamata ed in particolare viene censurata una
motivazione dalla quale non emerge neppure una valutazione di corrispondenza
tra il caso fronteggiato e le situazioni calamitose o comunque tali da non poter
essere affrontati con gli strumenti ordinari predisposti dall’ordinamento.
2. Va ricordato che in effetti la norma richiamata individua, tra gli eventi in relazione ai quali il Consiglio dei Ministri può decidere di deliberare lo stato di emergenza, “calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”. In varie situazioni, anche recenti, la dichiarazione in questione era stata effettuata, senza contestazioni, in presenza di situazioni di pericolo o di grave “crisi” ambientale. Ad esempio si ricordano i casi che hanno condotto alla nomina del Sindaco di Milano come commissario straordinario per la depurazione delle acque e per il traffico cittadino. Al commissariamento straordinario si era giunti anche in relazione al pericolo per la staticità degli edifici del centro storico di Venezia per effetto dell’intenso traffico acqueo lagunare, ed ancora per affrontare i problemi di vivibilità della cittadinanza di Messina per l’attraversamento della città da parte di mezzi pesanti. Ancora più di recente non si è esitato a dichiarare lo stato di emergenza in relazione allo stato in cui si trovano le centrali nucleari italiane (DPCM 14 febbraio 2003 in GU 12.3.2003), pur da tempo dimesse e quindi non più in attività e ciò a fronte del solo timore di un evento - futuro ed incerto - quale un attacco terroristico in un contesto di crisi internazionale.
3. La sentenza pone certamente un giusto freno
ad un utilizzo troppo disinvolto di un istituto che si presta effettivamente
a strumentalizzazioni e può essere a volte impiegato o invocato senza che ve
ne siano i presupposti, solo per aver accesso al commissariamento straordinario
ed ai poteri derogatori.
La sentenza peraltro non nega che la valutazione dei presupposti rivesta i caratteri
della più ampia discrezionalità (come già affermato in giurisprudenza: cfr.
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 2361/2000) e riconosce che con la locuzione
“altri eventi” il legislatore abbia aperto la via ad interventi straordinari
che si possono rendere indispensabili in una situazione che può essere di emergenza
“indipendentemente dalla causa che l’ha determinata”. Deve trattarsi però di
interventi sempre mirati alla tutela dell’integrità della vita, dei beni, degli
insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni.
Sono quindi la natura dei valori e gli interessi in gioco che rappresentano
il criterio di valutazione dei presupposti della dichiarazione dello stato di
emergenza e che possono fornire gli elementi per una motivazione particolarmente
approfondita; la quale quindi non può essere affidata a mere formule di stile,
ma dalla quale deve evincersi che il Governo ha fondatamente raggiunto la consapevolezza
di avere un “dovere” di intervento, non potendosi consentire che la cura di
quei valori e di quei beni rimanga affidata agli strumenti ordinari, pena il
rischio concreto di un evento che, se non ancora verificatosi, avrebbe certamente,
per dimensione e caratteristiche, le connotazioni della “calamità”.
4. La sentenza quindi pur non affrontando direttamente
la questione delle dichiarazioni e dei commissariamenti “preventivi”, offre
utili indicazioni per affrontare anche questo tema delicato.
Una concezione riduttiva dell’istituto in questione, che impedisse di utilizzare
la dichiarazione dello stato di emergenza con finalità precauzionali, sarebbe
del tutto illogica ed in palese contrasto con le finalità più generali di tutti
gli strumenti della protezione civile, oltre che con gli stessi principi di
rango costituzionale relativi alla salvaguardia delle persone ed alla tutela
della salute.
Si rammenti, a conforto di ciò, che nella connessa materia delle ordinanze contingibili
ed urgenti – anch’esse predisposte per far fronte a situazioni di pericolo –
si è affermato che: a) “Il potere di emettere ordinanze contingibili e urgenti
attribuito al Sindaco dall'art. 38 L. 8 giugno 1990 n. 142, presuppone la necessità
di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale
e imprevedibile, cui non si potrebbe far fronte col ricorso agli strumenti ordinari
apprestati dall'ordinamento, senza che, soprattutto in materia di sanità pubblica
e protezione dell’ambiente, possa darsi soverchio rilievo alla durata della
situazione di pericolo, atteso che questa, quale ragionevole probabilità che
l’evento dannoso accada, potrebbe protrarsi anche per un lungo periodo senza
cagionare il fatto temuto; b) Le ordinanze contingibili e urgenti, quando mirino
a preservare la salute pubblica, possono essere adottate non solo per porre
rimedi a danni già verificatisi alla salute, ma anche e soprattutto, alla stregua
dell’art. 32 Cost., per evitare che tali danni si verifichino (Cons. di Stato,
Sez. V, 2 aprile 2003, n. 1678).
Il che sta appunto a significare che né la circostanza che l’evento grave da
affrontare sia solo atteso né che la situazione di pericolo perduri da lungo
tempo sono elementi atti ad impedire il legittimo utilizzo di strumenti giuridici
tipici dell’emergenza.
La sentenza del Tar Friuli – Venezia Giulia ha quindi correttamente censurato
l’uso improprio della dichiarazione dello stato di emergenza, in una situazione,
quale quella di un insediamento produttivo non a norma dal punto di vista della
normativa sulla tutela delle acque e di paventate ricadute occupazionali ed
economiche, nella quale indubbiamente non è dato riscontrare né un connotato
di eccezionalità né un effettivo pericolo per l’incolumità e la sicurezza delle
persone.
FATTO
Con decreto del Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Tolmezzo del 25.1.2002, su richiesta del Pubblico Ministero
presso la procura della Repubblica di Tolmezzo del 21.11.2001, veniva ordinato
“il sequestro preventivo degli scarichi provenienti dalla cartiera Burgo S.p.a.
nonché dal Consorzio Depurazione Acque Alto Tagliamento, confluenti nella fognatura
comunale [……….]”.
Il provvedimento veniva motivato con il fatto che gli scarichi in parola costituivano
“cose pertinenti” a tutta una serie di reati di natura ambientale, contestati
ai responsabili di diversi Enti(Comune di Tolmezzo, Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia, A.S.L. di Tolmezzo, Impianto di depurazione del Comune di Tolmezzo,
Consorzio Depurazione Acque Alto Tagliamento): cose che potevano “in ogni caso
aggravare o protrarre le conseguenze “ dei reati in parola.
La vicenda trae origine dal fatto che, come accertato in sede di inchiesta penale(in
particolare, attraverso apposite consulenze tecniche), conseguente ad una indagine
ispettiva del nucleo operativo ecologico dei Carabinieri, la cartiera BURGO
s.p.a. di Tolmezzo scaricava gran parte dei suoi reflui – produttivi di inquinamento
ambientale e di emissioni maleodoranti - direttamente nel fiume Tagliamento,
senza adeguata depurazione: questo perché la cartiera non era dotata di un proprio
impianto di depurazione, ed i reflui confluivano fino al 1994 nella fognatura
comunale, e successivamente,in parte, in un impianto di depurazione (“Impianto
Consortile di depurazione acque Alto Tagliamento”), e di lì nella fognatura
comunale.
Però, né la fognatura comunale né l’impianto consortile erano in grado di trattare
i reflui della cartiera(in particolare i solfiti): l’impianto consortile non
risultava tecnicamente idoneo perché mal progettato; quanto alla fognatura,
del tutto inidonea alla bisogna, il Giudice penale accertava che una parte consistente
delle acque provenienti dalla rete fognaria comunale veniva artatamente deviata,
tramite una rudimentale ostruzione, posta nel punto di ingresso delle acque
nell’impianto, direttamente e senza alcuna depurazione, nel fiume Tagliamento(il
fiume più importante della Regione, ubicato in posizione centrale rispetto al
territorio regionale).
Questa situazione di grave danno ambientale – sottolineava la magistratura penale
– era conosciuta e tollerata dagli Enti deputati al controllo della regolarità
degli scarichi, ed era frutto di un “disegno preordinato” al fine di favorire
gli interessi della cartiera Burgo (pagg. 8 e 9 della richiesta di sequestro):
come dimostrato da tutta una serie di autorizzazioni, “in deroga” e non, rilasciate
dal Comune di Tolmezzo e dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
La gravità della situazione – precisava il magistrato – era stata denunciata
da un unico soggetto – il dirigente dei servizi tecnici comunali di Tolmezzo,
Sig. Maurizio Zilli, trasferito dopo aver presentato il relativo esposto – il
quale aveva sottolineato il clima di omertà esistente presso l’Amministrazione
comunale (pag. 11 della richiesta di sequestro).
Seguivano gli atti gravati dal presente ricorso, ossia: il decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri 14.2.2002, recante “dichiarazione dello stato di
emergenza socio-ambientale determinatasi nel settore della depurazione delle
acque reflue nel territorio del Comune di Tolmezzo, in provincia di Udine”,
nonché la preventiva deliberazione del Consiglio dei Ministri del 14.2.2002;
l’ordinanza del Ministro dell’Interno-Delegato per il coordinamento della Protezione
civile del 14.2.2002, recante:” Disposizioni urgenti per fronteggiare l’emergenza
socio-ambientale determinatasi nel settore della depurazione delle acque reflue
nel territorio del Comune di Tolmezzo, in provincia di Udine”;il decreto del
15.2.2002 del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia-Commissario delegato
all’emergenza socio-ambientale determinatasi nel settore della depurazione delle
acque reflue nel territorio del Comune di Tolmezzo; il verbale della riunione
della Segreteria tecnica presso il Servizio della Tutela delle Acque Interne
del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio del 14.2.2002.
La dichiarazione dello stato di emergenza era stata richiesta dal Presidente
della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia con la nota prot. n. 17/Sp
del 6.2.2002, indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro
dell’Ambiente.
Il Presidente, dopo aver ripercorso a grandi linee la vicenda che si era conclusa
con il provvedimento di sequestro di cui si è detto, e dopo aver sottolineato
la importanza della cartiera Burgo sotto il profilo economico ed occupazionale,
e l’urgenza di adeguare l’impianto consortile di depurazione di Tolmezzo (danneggiato,
tra l’altro, da due disastrosi eventi alluvionali), ha motivato questa richiesta
con il fatto che i lavori di adeguamento dell’impianto “potranno essere portati
a termine in circa 30 mesi se si potrà beneficiare di procedure d’urgenza in
deroga che consentono il mantenimento in attività della Cartiera Burgo di Tolmezzo
e la più rapida realizzazione delle opere di adeguamento degli impianti di depurazione”.
A sua volta, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14.2.2002
motivava lo stato di emergenza “socio-ambientale” con le “difficoltà di adeguamento
del sistema di depurazione esistente relativamente al trattamento delle acque
reflue”(difficoltà rappresentate anche dal Ministro dell’Ambiente e della tutela
del territorio con la nota in data 12.2.2002 richiamata nel decreto 14.2.2002).
La preventiva deliberazione del Consiglio dei Ministri del 14.2.2002 motivava
lo stato di emergenza con la “crisi determinatasi nel sistema locale di depurazione
delle acque reflue”, e precisava che: “ La deliberazione consentirà l’immediato
avvio di interventi per una rapida soluzione del problema”.
L’ordinanza del Ministro dell’Interno-Delegato per il coordinamento della Protezione
civile del 14.2.2002, poi, richiamava nelle premesse(in particolare) il decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri 14.2.2002 e la nota prot. n. 17/Sp
del 6.2.2002 del Presidente della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia,
sottolineando la circostanza che la situazione di emergenza era riconducibile
alle “difficoltà di adeguamento del sistema di depurazione esistente relativamente
al trattamento delle acque reflue”, nonché allo “stato di blocco dell’occupazione
con gravi ripercussioni sull’intera economia della Carnia”: ciò in relazione
al fatto che la mancanza di provvedimenti urgenti avrebbe provocato la sospensione
dell’”esercizio di attività produttive che comportano scarichi nel sistema fognario
e depurativo del Comune di Tolmezzo”.
Con ordinanza del 20.2.2002, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Tolmezzo disponeva il dissequestro degli scarichi provenienti dalla cartiera
Burgo S.p.a. nonché dal Consorzio Depurazione Acque Alto Tagliamento, confluenti
nella fognatura comunale.
Il provvedimento veniva motivato con la circostanza – che aveva determinato
la “sopravvenuta causa di esclusione dell’antigiuridicità” ed il “caducamento”
del “fumus commissi delicti” - che nel frattempo erano intervenuti gli atti
impugnati con il presente ricorso, ritenuti dal magistrato sostanzialmente legittimi,
e, cioè: il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14.2.2002; la
ordinanza del Ministro dell’Interno-Delegato per il coordinamento della Protezione
civile del 14.2.2002; il decreto del 15.2.2002 del Presidente della Regione
Friuli-Venezia Giulia-Commissario delegato all’emergenza socio-ambientale determinatasi
nel settore della depurazione delle acque reflue nel territorio del Comune di
Tolmezzo; il verbale della riunione del 14.2.2002 della Segreteria tecnica presso
il Servizio della Tutela delle Acque Interne del Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio, ex art. 114 della legge n. 388/2000.
Ciò premesso, a sostegno del gravame la ricorrente ha dedotto i seguenti mezzi:
A.- ILLEGITTIMITA’ DELLA DICHIARAZIONE DELLO
STATO DI EMERGENZA DELIBERATA DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI. 1.VIOLAZIONE DELL’ART.
3 DELLA LEGGE 241/1990-VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 2 E 5 DELLA
LEGGE 225/1992 PER CARENZA ED OMESSA INDICAZIONE DEI PRESUPPOSTI DELLO STATO
DI EMERGENZA.
La ricorrente assume che il decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 14.2.2002 non ha indicato i presupposti legittimanti
la dichiarazione dello stato di emergenza.
2. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.
2 E 5 DELLA LEGGE 225/1992 IN RELAZIONE ALL’INDICAZIONE DEL SEQUESTRO PENALE
QUALE PRESUPPOSTO DELLA DICHIARAZIONE DELLO STATO DI EMERGENZA.
La ricorrente nega la esistenza dei presupposti dello stato di emergenza voluti
dalla legge n. 225 del 1992: non potendo essere considerato un presupposto il
sequestro penale e nel conseguente pericolo di arresto delle attività produttive
della cartiera Burgo.
3. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.
2 E 5 DELLA LEGGE 225/1992- ECCESSO DI POTERE PER CARENZA DEI PRESUPPOSTI –
ECCESSO DI POTERE PER SVIAMENTO DALL’INTERESSE PUBBLICO E DALLA CAUSA TIPICA.
La deducente sostiene che una emergenza di tipo economico, come quella indicata
nell’ordinanza del Ministro dell’Interno-Delegato per il coordinamento della
Protezione civile del 14.2.2002 n. 3182, non è sussumibile nel paradigma della
legge n. 225/1992.
B-ILLEGITTIMITA’ DELL’ORDINANZA DEL MINISTRO
DELL’INTERNO E DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE FRIULI V.G.- COMMISSARIO
DELEGATO.
Gli atti rubricati sarebbero affetti da invalidità derivata, stante la accertata
illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14.2.2002.
I medesimi atti sarebbero, peraltro, viziati sotto i seguenti profili:
4.VIOLAZIONE DELL’ART. 5, COMMA 5, DELLA LEGGE
225/1992- ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’
E CONGRUITA’ TRA I PRESUPPOSTI DELL’EMERGENZA E LE MISURE AUTORIZZATE.
Sarebbe mancata una attenta disamina sul mezzo usato – lo stato di emergenza
– per superare le situazioni di difficoltà evidenziate nei provvedimenti impugnati.
5.VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO GENERALE DELL’ORDINAMENTO
“CHI INQUINA PAGA”- ECCESSO DI POTERE PER SVIAMENTO DALL’INTERESSE PUBBLICO.
I provvedimenti in questione consentirebbero la pacifica prosecuzione dell’inquinamento.
6.VIOLAZIONE DEI PRINCIPI GENERALI DI IMPARZIALITA’
DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA E DI BUONA AMMINISTRAZIONE E DI LEGALITA’- VIOLAZIONE
DEL PRINCIPIO GENERALE DI INDIPENDENZA ED AUTONOMIA DELLA MAGISTRATURA.
La ricorrente censura la nomina del Commissario delegato per l’emergenza nella
persona del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, vale a dire in uno
dei soggetti indagati dal Giudice penale. Si sono costituiti in giudizio – ut
supra - le Amministrazioni intimate ed i controinteressati, chiedendo il rigetto
del gravame.
DIRITTO
1. Il ricorso è diretto alla caducazione:
1) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14.2.2002, recante
“dichiarazione dello stato di emergenza socio-ambientale determinatasi nel settore
della depurazione delle acque reflue nel territorio del Comune di Tolmezzo,
in provincia di Udine”, nonché di ogni altro atto presupposto, collegato, inerente,
conseguente e derivato, ivi compresa la preventiva deliberazione del Consiglio
dei Ministri del 14.2.2002;
2) dell’ordinanza del Ministro dell’Interno-Delegato per il coordinamento della
Protezione civile del 14.2.2002, recante:”Disposizioni urgenti per fronteggiare
l’emergenza socio-ambientale determinatasi nel settore della depurazione delle
acque reflue nel territorio del Comune di Tolmezzo, in provincia di Udine”(l’art.
1 della ordinanza disponeva la nomina del Presidente della Regione Friuli-Venezia
Giulia a Commissario delegato all’emergenza ambientale determinatasi “in relazione
allo scarico delle acque reflue in acque superficiali” nel territorio del Comune
di Tolmezzo), nonché di ogni altro atto presupposto, collegato, inerente, conseguente
e derivato;
3) del decreto del 15.2.2002 del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia-Commissario
delegato all’emergenza socio-ambientale determinatasi nel settore della depurazione
delle acque reflue nel territorio del Comune di Tolmezzo, nonché di ogni altro
atto presupposto, collegato, inerente, conseguente e derivato, ivi compreso
il verbale della riunione del 14.2.2002 della Segreteria tecnica presso il Servizio
della Tutela delle Acque Interne del Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio, richiamato nel suddetto decreto.
2. In rito, il Collegio deve darsi carico di
esaminare, prioritariamente, le eccezioni sollevate dai resistenti.
Il Comune di Tolmezzo, sotto un primo profilo, ha dedotto la inammissibilità
del gravame per difetto di legittimazione e/o interesse, posto che i provvedimenti
impugnati non arrecherebbero alcun nocumento all’ambiente .
La eccezione è infondata.
Se è vero, infatti, che il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
14.2.2002, la preventiva deliberazione del Consiglio dei Ministri del 14.2.2002,
nonché l’ordinanza del Ministro dell’Interno-Delegato per il coordinamento della
Protezione civile del 14.2.2002 n. 3182, non sono suscettibili di arrecare un
pregiudizio diretto ed immediato all’ambiente, trattandosi di atti generali
abbisognevoli di concreti provvedimenti attuativi, il decreto del 15.2.2002
del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia-Commissario delegato all’emergenza
socio-ambientale determinatasi nel settore della depurazione delle acque reflue
nel territorio del Comune di Tolmezzo, (nei riguardi del quale i tre provvedimenti
suindicati fungono da presupposto), crea, secondo la condivisibile prospettazione
attorea, come sarà meglio chiarito più oltre, le condizioni per l’instaurarsi
o, meglio, per il ristabilimento di una situazione di danno ambientale. In particolare,
il decreto presidenziale conferma, sostanzialmente, una parte dei provvedimenti
già autorizzati dal Comune di Tolmezzo (v., in particolare, pag. 7 del decreto
di sequestro), atteso che autorizza “alle attuali condizioni”: la immissione
delle acque di raffreddamento in roggia, le acque di processo e la corrente
a basso grado di inquinamento in fognatura e nell’impianto consortile, nonché
la immissione delle acque trattate dall’impianto consortile in fognatura.
Priva di pregio è anche la eccezione dedotta dal Comune di Tolmezzo e dalla
società CARTIERE BURGO s.p.a., incentrata sulla mancata notifica del ricorso
al Consiglio dei Ministri, cioè all’Organo che ha deliberato lo stato di emergenza:
il ricorso – osserva il Collegio - è stato correttamente notificato al Presidente
del Consiglio dei Ministri, in quanto soggetto posto al vertice dell’Esecutivo.
Non meritano ingresso neppure le eccezioni con le quali la società CARTIERE
BURGO s.p.a. e la società di gestione dell’impianto Alto Tagliamento s.r.l.
hanno dedotto la “sopraggiunta insindacabilità” da parte del giudice amministrativo
degli atti impugnati, in seguito all’entrata in vigore della legge 8 aprile
2003, n. 62 (che ha convertito il decreto legge 7 febbraio 2003, n. 15): legge
che avrebbe disposto una “sanatoria legale” dei provvedimenti impugnati.
Parimenti infondata è l’eccezione con la quale la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia ha dedotto la improcedibilità del gravame per sopravvenuto difetto di
interesse, stante – anche in questo caso - la entrata in vigore della legge
8 aprile 2003, n. 62 .
La legge in parola – osserva il Collegio – è così intitolata: “Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2003, n. 15, recante
misure finanziarie per consentire interventi urgenti nei territori colpiti da
calamità naturali”. Per quello che qui rileva, in sede di conversione del decreto-legge,
l’art. 1-ter. della legge ha disposto che: “1.
Per fronteggiare la persistente, eccezionale ed urgente necessità di superare
l'emergenza ambientale e lo stato di inquinamento delle risorse idriche nel
settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, speciali e speciali pericolosi,
in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei
sedimenti inquinati, nonché in materia di tutela delle acque superficiali e
sotterranee e dei cicli di depurazione nel territorio della Regione siciliana,
ed al fine di perseguire l'elevato livello della salute e dell'ambiente, sono
confermati il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 gennaio
1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 28 gennaio 1999, ed i decreti
del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 dicembre 1999, del 16 giugno
2000 e del 14 gennaio 2002, pubblicati rispettivamente nelle Gazzette Ufficiali
n 300 del 23 dicembre 1999, n. 146 del 24 giugno 2000 e n. 23 del 28 gennaio
2002, con i quali il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato e poi
prorogato, fino al 31 dicembre 2004, lo stato di emergenza ambientale nella
Regione siciliana.
2. Sono confermate la nomina del Presidente della Regione siciliana a Commissario delegato, i poteri e le competenze di cui all'ordinanza del Ministro dell'interno delegato per il coordinamento della protezione civile in data 31 maggio 1999, n. 2983, eccetto quanto previsto agli articoli 3, comma 2, e 5, commi 2, 4, 5 e 6, nonché di cui alle successive ordinanze in data 31 marzo 2000, n. 3048, 21 luglio 2000, n. 3072, 25 maggio 2001, n. 3136, e 22 marzo 2002, n 3190; sono comunque fatti salvi tutti gli effetti derivati dall'attuazione delle ordinanze stesse, nonché le conseguenti attività svolte dall'Ufficio del Commissario delegato - Presidente della Regione siciliana.
3. Le disposizioni di conferma e di salvezza,
di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, si applicano altresì ai decreti
del Presidente del Consiglio dei ministri, alle ordinanze di protezione civile
ed ai conseguenti provvedimenti emanati in regime commissariale, sul territorio
nazionale, inerenti alle situazioni di emergenza ambientale e relativamente
allo stato di inquinamento delle risorse idriche nel settore dello smaltimento
dei rifiuti solidi urbani, speciali e speciali pericolosi, in materia di bonifica
e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché
in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione".
Ciò posto, tutte e tre le eccezioni si appalesano destituite di fondamento in
base alla considerazione essenziale che i provvedimenti impugnati non sono inerenti
a situazioni di “emergenza ambientale”, per le quali sia stato – legittimamente
– dichiarato lo stato di emergenza (come sarà in prosieguo di trattazione dimostrato);
eppertanto, non può trovare applicazione il combinato disposto dei commi 1,
2, 3 dell’art. 1-ter, ove si prevede che:” Le disposizioni di conferma e di
salvezza, di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, si applicano altresì
ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, alle ordinanze di protezione
civile ed ai conseguenti provvedimenti emanati in regime commissariale, sul
territorio nazionale, inerenti alle situazioni di emergenza ambientale e relativamente
allo stato di inquinamento delle risorse idriche nel settore dello smaltimento
dei rifiuti solidi urbani, speciali e speciali pericolosi, in materia di bonifica
e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché
in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione".
Occorre, poi, rilevare che la legge n. 62 del 2003 si riferisce espressamente
a “territori colpiti da calamità naturali”.
La complessa vicenda - ricostruita nella esposizione in fatto - esclude pacificamente
che la causa dei gravati provvedimenti vada ascritta ad una “calamità naturale”
secondo la comune accezione di questi termini.
Diversamente opinando, si verrebbe surrettiziamente ad ampliare senza limiti
il concetto di “calamità naturale”, sino a ricomprendervi situazioni del tutto
avulse da tale concetto, come quella che ha dato origine alla attuale controversia.
La suesposta conclusione , peraltro, tiene conto di quell’insegnamento della
Corte costituzionale, per cui le disposizioni legislative che prevedono la sanatoria
dei vizi di legittimità di determinati atti amministrativi – pur ammissibili
in linea di principio - non impediscono al giudice amministrativo di accertare
(tra l’altro), ” a) la sussistenza dell’attribuzione del potere di emettere
i provvedimenti adottati” (Cfr. la decisione 26 marzo 1987, n. 100, nonchè le
altre decisioni ivi richiamate).
Nel caso di specie, come sarà dimostrato, le Autorità statali(e quindi anche
le Autorità regionali) erano da considerarsi prive del potere di adottare i
gravati provvedimenti, e, segnatamente, l’atto dichiarativo dello stato di emergenza,
per mancanza dei presupposti indefettibili voluti dalla legge.
Quanto alla eccezione della società CARTIERE BURGO s.p.a di sopravvenuto difetto
di interesse in dipendenza della adozione - nelle more del giudizio – del decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 20.12.2002, recante la proroga
dello stato di emergenza (fino al 31.12.2003), il Collegio rileva che, come
risulta dalle memorie degli stessi resistenti, il suddetto decreto è stato impugnato
dalla deducente avanti il T.A.R. del Lazio; in seguito al regolamento di competenza
proposto dalla società di gestione dell’impianto Alto Tagliamento s.r.l., tutte
le parti hanno aderito alla rimessione della causa a questo T.A.R.: ove essa
è attualmente incardinata al n. 287/2003 del R.G.
La avvenuta rituale impugnativa del decreto esclude, pertanto, una situazione
di sopravvenuta carenza di interesse: la quale – può aggiungersi – comunque
non sarebbe ipotizzabile, anche in mancanza del ricorso avverso l’atto di proroga,
perché: 1) è ius receptum quello per cui è ammissibile il ricorso contro gli
atti ad efficacia temporanea (Cfr., ex pluribus, T.A.R. Lazio, II , 12 novembre
2001, n. 9148 e 5 marzo 1997, n. 593); 2) rimarrebbe in ogni caso radicato nella
istante un evidente interesse di natura morale; 3) la eventuale caducazione
giurisdizionale degli atti presupposti in seguito all’accoglimento del ricorso
originario determinerebbe la invalidità derivata di tutti gli atti successivi,
e, in particolare, di ulteriori provvedimenti di proroga dello stato di emergenza.
Circa la questione di costituzionalità, adombrata dalla società di gestione
dell’impianto Alto Tagliamento s.r.l. in modo assai generico, quale mera eventualità
rimessa al giudizio del Tribunale, della legge 8 aprile 2003, n. 62, essa si
appalesa inammissibile nei termini in cui è stata posta; non è, comunque, rilevante,
dato che, come si è detto, la disposizione di cui all’art. 1-ter è insuscettibile
di disciplinare la fattispecie per cui è causa.
Può soggiungersi, che, nell’inconcessa ipotesi della applicabilità della disposizione
in parola, la medesima non si sottrarrebbe a seri sospetti di incostituzionalità,
posto che il legislatore - con formulazione peraltro non perspicua, destinata
a creare problemi interpretativi ed applicativi - ha operato una sorta di sanatoria
generalizzata ed indistinta, mentre la disposizione avrebbe dovuto - alla stregua
della surriferita decisione della Corte costituzionale 26 marzo 1987, n. 100
- essere improntata a ragionevolezza ed adeguatezza, collegandosi, in particolare,
“strettamente alle specifiche particolarità del caso” (o dei casi).
3. Sgombrato il campo dalle eccezioni sollevate
dai resistenti, nel merito il gravame merita condivisione.
Ragioni di economia processuale inducono il Collegio ad esaminare congiuntamente
tutti i mezzi.
Va premesso che con la legge 24 febbraio 1992, n. 225 è stato istituito il Servizio
nazionale della protezione civile, con l'espressa finalità di « tutelare l'integrità
della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di
danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi
» (art. 1, comma 1).
L’art. 2 (“Tipologia degli eventi ed ambiti di competenze”) ha stabilito, in
funzione meramente esplicativa dell’art. 1, comma 1, che: “1. Ai fini dell'attività
di protezione civile gli eventi si distinguono in:
a) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che possono essere fronteggiati
mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti
in via ordinaria;
b) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che per loro natura ed
estensione comportano l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni
competenti in via ordinaria;
c) calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione,
debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”.
Proprio per conseguire le finalità indicate dall’art. 1, comma 1, il comma 2
del medesimo articolo ha previsto un ruolo centrale e fondamentale del Presidente
del Consiglio dei Ministri, al quale è affidato il compito di promuovere e coordinare
tutte le attività di protezione civile delle Amministrazioni statali, centrali
e periferiche, delle Regioni, delle Province, dei Comuni, degli Enti pubblici
nazionali e territoriali e di ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica
e privata presente sul territorio nazionale.
Attraverso tale previsione, il Legislatore ha ritenuto di rispondere alla esigenza
di unicità ed unitarietà di azione, essendosi verificato in occasioni di pregressi
eventi calamitosi il disordinato accavallarsi di interventi, che avevano inciso
sull'effettività dell'azione di protezione civile.
Ciò – è d’uopo sottolineare - senza prevaricazione delle
competenze delle Regioni, delle Province e dei Comuni: l'art. 6 precisa, infatti,
che tali Enti provvedono, secondo i rispettivi ordinamenti e secondo le rispettive
competenze, all'attuazione delle attività di protezione civile.
Per completare il quadro di riferimento, va aggiunto che con l'inserimento nei
compiti di protezione civile anche delle attività di previsione e prevenzione
delle ipotesi di rischio, è stata parimenti soddisfatta l'ulteriore esigenza
di allargamento dell'attività di protezione civile, volta ad eliminare pure
il pericolo di danno alle persone e ai beni (Cfr. Cons. St., I , 21 ottobre
1992, n. 2557).
E' sullo sfondo di tali principi che devono essere esaminate le disposizioni
contenute nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, dirette a precisare
e rendere concretamente attuabile il principio di unicità ed unitarietà della
azione di cui si è detto.
Al comma 1 si prevede, infatti, che, al verificarsi degli eventi indicati nell'art.
2 lett. c), e cioè eventi naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità
ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari,
il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza, determinandone la
durata e la estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità e alla
natura degli eventi.
Il comma 2 stabilisce che per l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti
alla dichiarazione dello stato di emergenza si provvede, nel rispetto di quanto
previsto dagli artt. 12, 13, 14, 15 e 16, anche a mezzo di ordinanze in deroga
ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento:
tali ordinanze – in forza del comma 5 - devono essere motivate ed indicare le
norme cui si intende derogare; esse inoltre, secondo il successivo comma 6,
devono essere pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale e trasmesse ai Sindaci interessati
per essere pubblicate all'albo pretorio del Comune, come previsto dall'art.
47, comma 1, della legge 8 giugno 1990, n. 142.
Il comma 4 - poi - consente al Presidente del Consiglio dei ministri (ovvero
per sua delega al Ministro per il coordinamento della protezione civile) di
avvalersi di commissari delegati, precisando che il provvedimento di delega
deve indicare il contenuto della delega, nonché i tempi e le modalità di esercizio.
Dall'esame dell’ articolo 5 si evince che:
a) l'esercizio del potere di emanare ordinanze in deroga ad ogni normativa vigente
ha come presupposto di legittimità la deliberazione, da parte del Consiglio
dei ministri, dello stato di emergenza ed è finalizzato esclusivamente all'attuazione
degli interventi di emergenza conseguenti proprio alla deliberazione dello stato
di emergenza;
b) le ordinanze in questione possono essere adottate in deroga ad ogni disposizione
di legge, ma devono indicare le principali norme cui si intende derogare e devono
comunque rispettare i principi generali dell'ordinamento; trattandosi di fonti,
sia pur secondarie, dell'ordinamento, esse devono essere quantomeno conoscibili
da tutti i cittadini e se ne prevede, per un verso, la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale e, per altro verso, la pubblicazione all'albo pretorio dei Comuni
interessati allo stato di emergenza;
c) per l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti allo stato di
emergenza si provvede nel rispetto del quadro delle competenze delle Regioni,
delle Province e dei Comuni; tuttavia il Presidente del Consiglio dei ministri
ovvero per sua delega il Ministro per il coordinamento della protezione civile
può avvalersi commissari delegati.
Così come configurata dalla norma – osserva il Collegio - la deliberazione dello
stato di emergenza implica l'esercizio di un'amplissima potestà discrezionale,
che trova un limite – rigoroso, attesi i principi costituzionali in giuoco -
nell'effettiva esistenza di una situazione di fatto, consistente in calamità
naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono
essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari, da cui derivi un pericolo
in atto o possa derivare un pericolo all'integrità delle persone ovvero ai beni,
agli insediamenti e all'ambiente, e nella ragionevolezza di questo potere discrezionale,
oltre che evidentemente nella impossibilità di poter altrimenti fronteggiare
la situazione (Cfr. Cons. St., IV, 19 aprile 2000, n. 2361).
Dunque, la situazione che dà luogo alla dichiarazione dello stato di emergenza
deve risultare in modo irrefutabile, alla stregua dei parametri indicati dalla
legge, e non può essere fronteggiata con mezzi e poteri ordinari: di ciò va
data contezza nella dichiarazione stessa.
Ampiamente discrezionale è anche la facoltà da parte del Presidente del Consiglio
dei ministri, ovvero su sua delega del Ministro per il coordinamento della protezione
civile, di avvalersi di un commissario delegato, il cui limite - anche in questo
caso - è da rinvenirsi nella motivazione circa la ragionevolezza della necessità
di utilizzare tale figura in rapporto alla complessità e alla delicatezza delle
attività che devono essere effettivamente poste in essere per fronteggiare l'emergenza.
Facendo applicazione dei suddetti principi al caso di cui alla attuale controversia,
il Collegio ritiene che - come dedotto dalla istante - l’intervento straordinario
de quo esuli dal paradigma dell’art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
Si è ricordato nella esposizione in fatto che la dichiarazione dello stato di
emergenza era stata richiesta dal Presidente della Giunta regionale del Friuli-Venezia
Giulia con la nota prot. n. 17/Sp del 6.2.2002, indirizzata al Presidente del
Consiglio dei Ministri ed al Ministro dell’Ambiente.
Il Presidente, dopo aver ripercorso a grandi linee la vicenda che si era conclusa
con il provvedimento di sequestro, e dopo aver sottolineato la importanza della
cartiera Burgo sotto il profilo economico ed occupazionale, nonché l’urgenza
di adeguare l’impianto consortile di depurazione di Tolmezzo (danneggiato, tra
l’altro, da due disastrosi eventi alluvionali), ha motivato questa richiesta
con il fatto che i lavori di adeguamento dell’impianto “potranno essere portati
a termine in circa 30 mesi se si potrà beneficiare di procedure d’urgenza in
deroga che consentono il mantenimento in attività della Cartiera Burgo di Tolmezzo
e la più rapida realizzazione delle opere di adeguamento degli impianti di depurazione”.
A sua volta, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14.2.2002
motivava lo stato di emergenza “socio-ambientale” con le “difficoltà di adeguamento
del sistema di depurazione esistente relativamente al trattamento delle acque
reflue”(difficoltà rappresentata anche dal Ministro dell’Ambiente e della tutela
del territorio con la nota in data 12.2.2002 richiamata nel decreto 14.2.2002).
La preventiva deliberazione del Consiglio dei Ministri del 14.2.2002 motivava
lo stato di emergenza con la “crisi determinatasi nel sistema locale di depurazione
delle acque reflue”, e precisava che: “ La deliberazione consentirà l’immediato
avvio di interventi per una rapida soluzione del problema”.
L’ordinanza del Ministro dell’Interno-Delegato per il coordinamento della Protezione
civile del 14.2.2002, poi, richiamava nelle premesse(in particolare) il decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri 14.2.2002 e la nota prot. n. 17/Sp
del 6.2.2002 del Presidente della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia,
sottolineando la circostanza che la situazione di emergenza era riconducibile
alle “difficoltà di adeguamento del sistema di depurazione esistente relativamente
al trattamento delle acque reflue”, nonché allo “stato di blocco dell’occupazione
con gravi ripercussioni sull’intera economia della Carnia”: ciò in relazione
al fatto che la mancanza di provvedimenti urgenti avrebbe provocato la sospensione
dell’ ”esercizio di attività produttive che comportano scarichi nel sistema
fognario e depurativo del Comune di Tolmezzo”.
Le surriferite motivazioni – osserva il Collegio - non sono ricollegabili allo
spettro concettuale delineato dall’ dell’art. 5 della legge 24 febbraio 1992,
n. 225.
Si è detto che con la legge 24 febbraio 1992, n. 225 è stato istituito il Servizio
nazionale della protezione civile, con l'espressa finalità di « tutelare l'integrità
della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di
danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi
» (art. 1 comma 1).
Ciò significa – ripetesi - che la deliberazione dello stato di emergenza implica
l'esercizio di un'amplissima potestà discrezionale che trova un limite – rigoroso,
attesi i principi costituzionali in giuoco - nell'effettiva esistenza di una
situazione di fatto, consistente in calamità naturali, catastrofi o altri eventi
che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri
straordinari, da cui derivi un pericolo in atto o possa derivare un pericolo
all'integrità delle persone ovvero ai beni, agli insediamenti e all'ambiente,
e nella ragionevolezza di questo potere discrezionale, oltre che evidentemente
nella impossibilità di poter altrimenti fronteggiare la situazione.
Detto questo, va osservato che la lett. c) del comma 1 dell'art. 2 della legge
14 febbraio 1992, n. 225 sussume nella tipologia di eventi a cui si ricollega
la predetta normativa, anche « ... altri eventi (oltre le calamità naturali
e le catastrofi) che, per intensità ed estensione debbono essere fronteggiati
con mezzi e poteri straordinari».
Con la locuzione: “altri eventi“ – ritiene il Collegio - il Legislatore si è
basato su di un criterio oggettivo e cioè l'esistenza di una situazione che
necessita di interventi straordinari, indipendentemente dalla causa che l'ha
determinata: interventi – si ribadisce – pur sempre mirati alla tutela dell'integrità
della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo
di danni.
Pertanto, va innanzitutto detto che esula pacificamente dal paradigma della
legge la tutela di beni e di valori diversi da quelli ivi previsti: come potrebbero
essere – per riferirsi al caso di specie, e come meglio si dirà più avanti -
i livelli occupazionali di una determinata azienda, o, tampoco, i livelli occupazionali
afferenti una parte della popolazione regionale, o, ancora, più in generale,
particolari situazioni di natura “socio-economica”.
Secondariamente, non sembra facilmente superabile l’affermazione attorea, avvalorata
anche dai lavori preparatori della legge n. 225 del 1992, secondo cui la locuzione
“altri eventi“ si riferisce esclusivamente ad accadimenti calamitosi.
Ed invero, l’art. 2 di detta legge, rubricato: “Tipologia degli eventi ed ambiti
di competenze”, con il quale sono stati specificati i tipi di evento, è – come
si è visto - strettamente collegato all’art. 1, comma 1, ove si parla espressamente
di “altri eventi calamitosi” (“E’ istituito il Servizio nazionale della protezione
civile, al fine di tutelare l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti
e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali,
da catastrofi e da altri eventi calamitosi”: così l’art. 1, comma 1).
La mancata riproduzione, nell’art. 2, della parola “calamitosi” non appare risolutiva,
dato che questo articolo costituisce, come si è detto, una specificazione dell’art.
1: eppertanto non sarebbe logico, coerente e razionale che l’art. 2 modifichi
- ampliandolo a dismisura - lo spettro concettuale della norma di base.
Inoltre, la stessa collocazione della locuzione “altri eventi“ fa sì che essa
vada letta come una ipotesi residuale rispetto alla categoria delle “calamità
naturali” e delle “catastrofi”: in modo da abbracciare in un unico genus tutti
indistintamente gli “eventi calamitosi” (compresi quelli di origine umana, come
gli incendi, le epidemie, gli inquinamenti, et similia).
Ora, nel caso di cui alla attuale controversia, la motivazione addotta dagli
atti impugnati si fonda su ben altri presupposti rispetto allo schema concettuale
della legge n. 225 del 1992, e, cioè (seguendo le variegate formulazioni degli
atti in parola): sull’urgenza di adeguare l’impianto consortile di depurazione
di Tolmezzo mediante procedure d’urgenza; sullo stato di emergenza “socio-ambientale”
determinato dalle “difficoltà di adeguamento del sistema di depurazione esistente
relativamente al trattamento delle acque reflue”; sulla “crisi determinatasi
nel sistema locale di depurazione delle acque reflue”; sullo “stato di blocco
dell’occupazione con gravi ripercussioni sull’intera economia della Carnia”.
Queste circostanze – ritiene il Collegio – non sono riconducibili al paradigma
delle “calamità naturali, catastrofi” o, tampoco, in quello di “altri eventi”
che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri
straordinari (secondo la lettura che si è data alla locuzione “altri eventi”);
inoltre, il legislatore, come si è appena visto, ha esclusivamente avuto di
mira la tutela dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente
dai danni o dal pericolo di danni: nella fattispecie non risulta sia stata perseguita
la tutela di questi beni e valori, nella parte in cui i gravati provvedimenti
fanno riferimento allo “stato di blocco dell’occupazione con gravi ripercussioni
sull’intera economia della Carnia”; infine, doveva risultare in modo irrefutabile
– e ciò non è avvenuto - che la situazione non poteva essere fronteggiata con
mezzi e poteri ordinari.
Sotto i primi due aspetti, concernenti la non ricorrenza di un “evento” legittimante
il ricorso ai poteri straordinari ex art. 5 della legge n. 225 del 1992, nonché
il mancato perseguimento della tutela prevista dal legislatore, il Collegio
rileva che, anche ammettendosi – per inconcessa ipotesi - che nel paradigma
dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992 vadano ascritte situazioni di emergenza
non ricollegabili ad un pericolo in atto o potenziale all'integrità delle persone
ovvero ai beni, agli insediamenti e all'ambiente, come potrebbe essere la situazione
connessa ad una grave crisi occupazionale, o, più in generale, economica, va
detto che nel caso di specie questa crisi – peraltro del tutto eventuale – è
strettamente connessa (usando le espressioni dei provvedimenti impugnati) alla
urgenza di adeguare l’impianto consortile di depurazione di Tolmezzo mediante
procedure, per l’appunto, d’urgenza, nonché alle difficoltà di adeguamento del
sistema di depurazione esistente, relativamente al trattamento delle acque reflue.
I poteri straordinari deliberati con lo stato di emergenza non sono, però (ovviamente),
diretti a fronteggiare lo “stato di blocco dell’occupazione con gravi ripercussioni
sull’intera economia della Carnia”( l’art. 5 prevede che, al verificarsi degli
eventi indicati nell'art. 2 lett. c) e cioè eventi naturali, catastrofi o altri
eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi
e poteri straordinari, il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza
determinandone la durata e la estensione territoriale, in stretto riferimento
alla qualità e alla natura degli eventi), bensì la situazione che potrebbe determinare
– di riflesso - questo “blocco”.
Per far fronte a questa situazione si è fatto ricorso ai suddetti poteri, trascurando,
oltretutto, di dimostrare la impossibilità di poter altrimenti fronteggiare
la situazione attraverso i poteri ordinari attribuiti dall’ordinamento.
Pertanto, i veri “eventi” fronteggiati con lo stato di emergenza sono stati
quelli riconducibili al degrado ambientale causato dalla vicenda di cui si è
parlato.
Al riguardo, è significativo che il primo e fondamentale atto con cui è stata
iniziato il contestato procedimento, e, cioè, la deliberazione del Consiglio
dei Ministri del 14.2.2002 abbia motivato lo stato di emergenza con la “crisi
determinatasi nel sistema locale di depurazione delle acque reflue”, ed abbia
precisato che: “ La deliberazione consentirà l’immediato avvio di interventi
per una rapida soluzione del problema”.
Quindi, in buona sostanza, si è ricorsi – senza darne una adeguata dimostrazione
– ai poteri extra ordinem per far fronte ad una situazione di natura ambientale,
paventando nel contempo delle possibili ripercussioni negative di questa situazione
sul versante occupazionale.
Sotto il terzo profilo, afferente la mancata dimostrazione del ricorso a poteri
extra ordinem, è a dirsi che, diversamente opinando, qualsiasi situazione che
postula provvedimenti urgenti sarebbe suscettibile di legittimare la dichiarazione
dello stato di emergenza. Se così fosse, verrebbe vulnerata non solo la lettera,
ma anche la ratio della legge n. 225 del 1992.
Ciò non significa che una situazione di difficoltà nel settore della depurazione
e dello smaltimento dei rifiuti, solidi urbani ed assimilabili, speciali, tossici
e nocivi, la quale potrebbe anche dar luogo a responsabilità politiche, amministrative
o penali degli organi istituzionalmente preposti, non incida sulla necessità
di attivare gli interventi di protezione civile, allorquando si sia determinata
una situazione di tale gravità da poter creare danni o pericolo di danni all'integrità
delle persone, ai beni, agli insediamenti o all'ambiente.
Il ricorso al rimedio extra ordinem dello stato di emergenza riposa, però, su
ben altri presupposti.
Nella fattispecie – ritiene il Collegio - si rendeva necessaria una congrua
motivazione circa la impossibilità di poter altrimenti fronteggiare la situazione
evidenziata, o, comunque, questa impossibilità doveva emergere in modo inconfutabile
dagli atti del procedimento, e in particolare dall’ atto dichiarativo dello
stato di emergenza. Questo perché – lo si ribadisce - lo stato di emergenza
implica l'esercizio di un'amplissima potestà discrezionale, che però trova un
limite – rigoroso, attesi i principi costituzionali in giuoco - nell'effettiva
esistenza di una situazione di fatto, consistente in calamità naturali, catastrofi
o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati
con mezzi e poteri straordinari, da cui derivi un pericolo in atto o possa derivare
un pericolo all'integrità delle persone ovvero ai beni, agli insediamenti e
all'ambiente, e nella ragionevolezza di questo potere discrezionale, oltre che
nella impossibilità di poter altrimenti fronteggiare la situazione: situazione
la cui gestione richiede un diverso ordine di funzionamento dei pubblici poteri,
politici ed amministrativi, nonchè una capacità di deroga all’ordinamento vigente.
I ripetuti presupposti della dichiarazione di emergenza nel caso di specie non
sono rinvenibili.
Vanno, conseguenzialmente, annullati: il decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri 14.2.2002, recante “dichiarazione dello stato di emergenza socio-ambientale
determinatasi nel settore della depurazione delle acque reflue nel territorio
del Comune di Tolmezzo, in provincia di Udine”, nonché la preventiva deliberazione
del Consiglio dei Ministri del 14.2.2002; va, inoltre, caducata, per invalidità
derivata, l’ordinanza del Ministro dell’Interno-Delegato per il coordinamento
della Protezione civile del 14.2.2002, recante:”Disposizioni urgenti per fronteggiare
l’emergenza socio-ambientale determinatasi nel settore della depurazione delle
acque reflue nel territorio del Comune di Tolmezzo, in provincia di Udine”.
Ciò posto, è a dire che – come già si è accennato più sopra - mediante l’impugnato
decreto del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia in data 15.2.2002,
sono state poste in essere delle misure suscettibili di ripristinare la situazione
di inquinamento ambientale – anteriore al sequestro penale degli scarichi -
verificatasi in seguito alle vicende di cui si è parlato nella esposizione in
fatto.
A quest’ultimo riguardo, è significativo che la stessa Regione ammetta che la
scelta operata con il decreto in parola: “[….] ha consentito di non peggiorare
comunque la situazione ambientale, consentendo lo scarico dei reflui alle medesime
condizioni”(v. l’atto di costituzione della Regione, pag. 32): con ciò dando
atto, sia pure indirettamente, del perpetuarsi della preesistente situazione
di pregiudizio per l’ambiente.
D’altra parte, non può sottacersi la contraddittorietà dell’approccio regionale
alla vicenda, laddove si sostiene che esiste una “grave situazione di emergenza
socio-economico-ambientale”, ma si parla, nello stesso tempo, di “concrete difficoltà
di adeguamento strutturale dell’insufficiente sistema di depurazione esistente”,
ossia di una ipotesi minore, che di per sé non legittima la dichiarazione dello
stato di emergenza, ancorché correlata a rischi sul versante economico ed occupazionale
(v., passim, l’atto di costituzione in giudizio della Regione e, in particolare,
le pagg. 3 e 4), per poi negare, addirittura, la suindicata situazione di emergenza,
assumendosi, sempre da parte della Regione, che la qualità delle acque del fiume
Tagliamento solo in minima parte (15 Km. su un totale di 158 km. di lunghezza)
“non è buona” (pagg. 39 e ss.).
Tutto ciò è sintomatico della debolezza della posizione regionale, e, più in
generale, della inconsistenza del complessivo impianto concettuale sul quale
si basano i gravati provvedimenti.
Ordunque, l’impugnato decreto del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia
in data 15.2.2002, autorizzando la prosecuzione degli scarichi provenienti dalla
cartiera Burgo S.p.A. di Tolmezzo, dall'impianto di depurazione "Alto Tagliamento”
e dall'impianto di depurazione del Comune di Tolmezzo, ha ricreato le condizioni
di inquinamento ambientale precedenti il sequestro giudiziario.
Il decreto così recita nella parte dispositiva:
“Per la ripresa delle attività produttive della cartiera Burgo S.p.A. di Tolmezzo,la
medesima S.p.A., l'impianto di depurazione "Alto Tagliamento” ed altresì l'impianto
di depurazione del Comune di Tolmezzo sono autorizzati a procedere alle attuali
condizioni con le modalità così indicate dalla Segreteria Tecnica presso il
Servizio della Tutela delle Acque Interne del Ministero dell'Ambiente e della
Tutela del Territorio: "
- le acque di raffreddamento siano immesse in roggia ;
- le acque di processo e la corrente a basso grado di inquinamento vengano avviate
rispettivamente in fognatura e all’impianto consortile nei limiti fissati dalle
attuali prescrizioni;
- le acque trattate dall'impianto consortile siano immesse in fognatura nei
limiti fissati dalle attuali prescrizioni."
La immissioni in roggia delle acque di raffreddamento provenienti dalla cartiera
Burgo nonché la immissione nella fognatura comunale delle acque trattate dall'impianto
consortile erano state autorizzate (annualmente), come si è visto, dal Comune
di Tolmezzo (v. , passim, pagg. 4 ss. del provvedimento di sequestro preventivo).
Si è, però, visto che – come accertato in sede di una inchiesta penale(in particolare
attraverso apposite consulenze tecniche), conseguente ad una indagine ispettiva
del nucleo operativo ecologico dei Carabinieri - la cartiera BURGO s.p.a. di
Tolmezzo scaricava gran parte dei suoi reflui – produttivi di inquinamento ambientale
e di emissioni maleodoranti - direttamente nel fiume Tagliamento, senza adeguata
depurazione: questo perché la cartiera non era dotata (e non risulti sia tuttora
dotata) di un proprio impianto di depurazione; i reflui confluivano fino al
1994 nella fognatura comunale, e successivamente, in parte, in un impianto di
depurazione (“Impianto Consortile di depurazione acque Alto Tagliamento”), e
di lì nella fognatura comunale. Né la fognatura comunale né l’impianto consortile
erano (e sono) in grado di trattare i reflui della cartiera(in particolare i
solfiti): l’impianto consortile non risulta tecnicamente idoneo perché mal progettato;
quanto alla fognatura, del tutto inidonea alla bisogna, il giudice penale accertava
che una parte consistente delle acque provenienti dalla rete fognaria comunale
veniva artatamente deviata, tramite una rudimentale ostruzione, posta nel punto
di ingresso delle acque nell’impianto, direttamente e senza alcuna depurazione,
nel fiume Tagliamento (il fiume più importante della Regione, ubicato in posizione
centrale rispetto al territorio regionale).
Questa situazione di grave danno ambientale – ha sottolineato la magistratura
penale – era conosciuta e tollerata dagli Enti deputati al controllo della regolarità
degli scarichi, ed era frutto di un “disegno preordinato” al fine di favorire
gli interessi della cartiera Burgo (pagg. 8 e 9 della richiesta di sequestro):
come dimostrato da tutta una serie di autorizzazioni, “in deroga” e non, rilasciate
dal Comune di Tolmezzo e dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Al riguardo, vedasi, in particolare, la relazione tecnica in data 18.10.2001
del consulente tecnico nominato dal magistrato penale Ing. Santo Cozzupoli ,
che si sofferma in modo puntuale anche sulle autorizzazione agli scarichi (pagg.
10, 11,12, 13, 14, 15, 17, 25, 26, 27, 28 e 29, passim).
Come si vede agevolmente, l’impugnato decreto del Presidente della Regione Friuli-Venezia
Giulia in data 15.2.2002, in sé e per sé considerato ripristina – ripetesi -
le condizioni che hanno dato luogo alla situazione di inquinamento ambientale.
Il medesimo decreto nonché il verbale della riunione del 14.2.2002 della Segreteria
tecnica presso il Servizio della Tutela delle Acque Interne del Ministero dell’Ambiente
e della Tutela del Territorio, richiamato nel suddetto decreto, vanno annullati
perchè affetti da invalidità derivata, attesa la accertata illegittimità dei
primi tre provvedimenti impugnati, ossia: il decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri 14.2.2002, recante “dichiarazione dello stato di emergenza socio-ambientale
determinatasi nel settore della depurazione delle acque reflue nel territorio
del Comune di Tolmezzo, in provincia di Udine”; la preventiva deliberazione
del Consiglio dei Ministri del 14.2.2002; l’ordinanza del Ministro dell’Interno-Delegato
per il coordinamento della Protezione civile del 14.2.2002, recante:”Disposizioni
urgenti per fronteggiare l’emergenza socio-ambientale determinatasi nel settore
della depurazione delle acque reflue nel territorio del Comune di Tolmezzo,
in provincia di Udine”.
4. In conclusione, alla stregua delle complessive argomentazioni che precedono, il ricorso – assorbiti gli altri mezzi - va accolto e gli impugnati provvedimenti vanno caducati.
5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.