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Giurisprudenza
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TAR UMBRIA - sentenza 11 settembre 2002 n. 654
Pres. Est. Lignani; Soc. Marinelli s.p.a. (Avv. ti Lanfranco Bricca e Alarico Mariani Marini ) c. Comune di Perugia (Avv. M. Cartasegna).

1) Edilizia ed urbanistica - Contributi di concessione - ritardato pagamento – sanzioni – in caso di richiesta di rateizzazione – legittimita’.

2) Edilizia ed urbanistica - Contributi di concessione - ritardato pagamento – sanzioni – interessi ex art. 1282 cod. civ. per ritardato pagamento – sugli aumenti dovuti a titolo di sanzione – pretesa del comune - legittimita’.

1) E’ dovuto il pagamento degli aumenti del contributo per oneri concessori edilizi, anceh se sia stata chiesta la rateizzazione, qualora il comune abbia accolto tale domanda di rateizzazione dopo la decorrenza dei centoquaranta giorni previsti per la maturazione dell’aumento del 100% del contributo dovuto. Infatti, la rateizzazione sulla somma dovuta per oneri concessori costituisce una facoltà dell’ente locale e l’esercizio favorevole al privato di tale facoltà non implica rinuncia a riscuotere gli aumenti già maturati in relazione al ritardato pagamento di tale somma. La previsione dell’art. 3 della L. n. 47/87 per cui, in caso di rateizzazione, gli aumenti del contributo si applicano solo ai ritardi nella corresponsione delle singole rate, postula infatti che la rateazione sia stata accordata dall’amministrazione prima del decorso dei termini previsti per gli aumenti.

2) In caso di ulteriore ritardo nel pagamento, dopo la scadenza del periodo di tempo previsto per l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 3 L. n. 47/85, degli oneri concessori edilizi, sugli aumenti dovuti per il ritardato pagamento spettano al comune anche gli interessi di legge. Cio’ perche’ l’art.. 1282 c.c., quale disposizione di carattere generale, è applicabile anche alle sanzioni amministrative pecuniarie una volta sorta l’obbligazione ex lege di pagare una certa somma di denaro.

 

 

per l'annullamento
dell'ordinanza 6 giugno 2001, n. 60, del Dirigente dell'unità operativa concessioni edilizie del Comune di Perugia, con la quale è stato ingiunto alla ricorrente il pagamento della somma di lire 1.084.494.261, ai sensi dell'art. 3, secondo comma, lettere b) e c), della legge n. 47/1985;

e per l'accertamento
dell'inesistenza del diritto del Comune di Perugia di applicare alla ricorrente le sanzioni inflitte con l'ordinanza impugnata.

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune;

Visto il ricorso incidentale con domanda riconvenzionale, notificato l'8 ottobre 2001 e depositato il 10 ottobre, con il quale il Comune propone nei confronti della ricorrente Marinelli s.p.a. le seguenti domande:
«a) in via principale: accertare e dichiarare la sussistenza del potere-dovere sanzionatorio nel caso di specie, la data di decorrenza del ritardo nei pagamenti degli oneri di urbanizzazione per cui è vertenza da parte della società Marinelli e, quindi, l'ammontare della sanzione, nella misura determinata nell'ordinanza impugnata ovvero in quella maggiore o minore che sarà ritenuta conforme a legge da parte del Collegio; accertare e dichiarare che sulla sanzione come sopra determinata spettano al Comune di Perugia gli interessi di legge dal giorno dell'esigibilità della stessa e sino al saldo; condannare controparte a corrispondere al Comune di Perugia sanzione ed interessi come accertati;
«b) in via subordinata: nella denegata ipotesi di accoglimento del gravame principale o di accertamento dell'insussistenza del potere sanzionatorio in capo al Comune di Perugia nel caso di specie: accertare e dichiarare che sugli oneri di urbanizzazione pari a Lire 1.184.496.261 spettano al Comune di Perugia gli interessi di legge a far data dal 21 ottobre 1992 (o da data diversa) sino alla concessione della rateazione (27 settembre 2000); condannare controparte a corrispondere detti interessi alla civica amministrazione» in ogni caso con le spese del giudizio, etc.

Viste le memorie difensive e gli atti tutti del giudizio;

Data per letta, alla pubblica udienza del 20 febbraio 2002, la relazione del Presidente Lignani e udite le parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. La presente controversia prende origine da una concessione edilizia rilasciata il 6 dicembre 1988 dal Comune di Perugia all'impresa attuale ricorrente.
Al momento del rilascio della concessione, il Comune aveva ritenuto che non fossero dovuti gli oneri di cui all'art. 3 della legge n. 10 del 1977, ravvisando nella fattispecie l'ipotesi di esenzione di cui all'art. 9. primo comma, lettera f), della stessa legge.
Successivamente, però, con ordinanza n. 52 del 21 ottobre 1992, il Comune ha espresso la volontà di considerare non spettante l'esenzione; ha quantificato in lire 1.927.796.425 l'importo complessivamente dovuto; e ne ha ingiunto il pagamento. Con atto del 19 dicembre 1992 il Comune ha rettificato l'importo complessivo in lire 1.722.007.695, confermando per il resto l'ingiunzione di pagamento.

2. E' seguita una vertenza fra l'impresa ed il Comune, in merito alla questione se gli oneri fossero dovuti o meno. Questo Tribunale amministrativo, che aveva già concesso la sospensiva, ha accolto il ricorso dell'impresa, dichiarando che spettava l'esenzione. In sede di appello, il Consiglio di Stato, sez. V, con decisione 6 dicembre 1999, n. 2061, ha invece dichiarato che gli oneri erano dovuti. Conseguentemente, con nota del 12 gennaio 2000, il Comune ha intimato all'impresa il pagamento.
L'impresa ha contestato il quantum ed ha chiesto una rateazione del pagamento. Relativamente al quantum, il Comune ha infine aderito (il 7 agosto 2000) alla tesi dell'impresa, stabilendo l'importo complessivo in lire 1.184.494.261: e su questo punto non vi è più controversia. La rateazione è stata poi accordata con atto del 27 settembre 2000; e anche su questo punto non vi è più controversia.

3. La controversia, riguarda, invece, le pretese avanzate dal Comune a titolo di sanzione o riparazione per il ritardo nel pagamento.

3.1. In dettaglio, tali pretese riguardano, innanzi tutto, le maggiorazioni di cui all'art. 3 della legge n. 47/85 (maggiorazione del 20% per un ritardo non superiore a 120 giorni, del 50% per un ritardo superiore a 120 ma non superiore a 180 giorni, del 100% per un ritardo superiore a 180 ma non superiore a 240 giorni).
A questo proposito l'amministrazione assume come dies a quo del relativo conteggio la data di pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato, e cioè il 6 dicembre 1999. Esige, pertanto, la maggiorazione del 50% sull'importo di lire 200 milioni, versato a titolo di acconto dall'impresa il 10 aprile 2000; e la maggiorazione del 100% sul residuo di lire 984.494.261, del quale è stata accordata la rateazione quando già erano passati più di 240 giorni dal dies a quo. In totale dunque le maggiorazioni ammontano a lire 1.084.496.261 (esattamente cento milioni meno della sorte).
La pretesa relativa alle maggiorazioni è stata esternata con l'ordinanza impugnata dall'impresa con il ricorso principale; e forma oggetto, altresì, della domanda riconvenzionale di accertamento e condanna (eventualmente, anche per un importo diverso), proposta dal Comune mediante ricorso incidentale.

3.2. In secondo luogo, il Comune esige gli interessi legali (non sulla sorte ma) sulle maggiorazioni, a decorrere dalla data dell'esigibilità e sino al saldo. Questa pretesa, non esternata nell'ordinanza impugnata, è stata avanzata dal Comune con la domanda riconvenzionale.

3.3. In terzo luogo, il Comune richiede gli interessi sulla sorte, a far data dal 21 ottobre 1992 (o da data diversa) sino alla concessione della rateazione (27 settembre 2000). Questa pretesa viene avanzata nella domanda riconvenzionale, ma solo a titolo subordinato, vale a dire in alternativa rispetto alla pretesa alle maggiorazioni.

4. L'impresa, così come si è opposta alla pretesa esternata con l'ordinanza, si oppone alle domande riconvenzionali del Comune.

5. Sulla questione delle maggiorazioni, ci si chiede, innanzi tutto, se in base alla legge esse siano dovute per il solo fatto del ritardo, obiettivamente considerato, o se, al contrario, siano dovute solo per un ritardo "ingiustificato" (o, se si preferisce, non siano dovute nel caso di ritardo "giustificato").
Tale problema si richiama qui, però, solo per completezza, in quanto esso non ha rilevanza effettiva ai fini della presente controversia. Infatti il Comune, pur accennando alla sostenibilità della soluzione più rigorosa, ha mostrato inequivocamente, nei fatti, di far propria la seconda soluzione.
Ed invero il Comune, nell'ordinanza impugnata, assume spontaneamente come dies a quo del conteggio delle maggiorazioni la data della pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato che ha conclusivamente respinto il ricorso dell'impresa - accolto in primo grado da questo TAR - contro l'ordinanza 21 ottobre 1992. In pratica il Comune fa sua la tesi che pendendo la controversia sull'an debeatur il debitore non solo sia legittimato a ritardare il pagamento (in forza, come nella fattispecie, della sospensiva accordata dal TAR e poi della sentenza favorevole di primo grado) ma che tale giustificazione conservi i suoi effetti anche se l'esito finale del giudizio è sfavorevole al debitore, e la fondatezza della pretesa creditoria venga riconosciuta con effetto ex tunc. Su questo punto non vi è controversia e pertanto il Collegio non ha motivo di pronunciarsi.

6. L'impresa però sostiene che il dies a quo per il conteggio delle maggiorazioni non può farsi risalire anteriormente al 7 agosto 2000, data nella quale il Comune ha conclusivamente ridotto la sua petesa all'ammontare di lire 1.184.494.261, sostanzialmente aderendo alle contestazioni dell'impresa. Questa tesi sottintende, in pratica, che il credito in questione non fosse esigibile (e il ritardato pagamento non potesse dar luogo a sanzioni) sino a che non fosse definito il quantum.
Il Collegio osserva che in linea di principio il debitore non si può considerare moroso sino a che il debito non sia (fra l'altro) liquido, ossia determinato nell'ammontare.
Tuttavia nel caso in esame il Comune aveva già liquidato e quantificato la sua pretesa, mediante atti formali (le ordinanze del 1992) contro le quali venne proposto, bensì, ricorso, ma con esito sfavorevole. Trattandosi di controversia in giurisdizione esclusiva, si sarebbe forse potuto anche sostenere (e il Comune ha fatto qualche accenno in questo senso) che il giudicato di rigetto copra, anche nella fattispecie "il dedotto e il deducibile", dunque anche il quantum. Ma sta di fatto che il Comune, dopo la sentenza favorevole del Consiglio di Stato, ha ritenuto di poter accedere ad una rideterminazione del quantum applicando nuovi criteri meno onerosi per la parte privata.
Ciò non significa però che nelle more della rideterminazione l'obbligazione non fosse eseguibile né esigibile. Vi erano le ordinanze del 1992, con le quali l'amministrazione aveva definito la propria pretesa. D'altra parte, mentre duravano le trattative che poi hanno condotto alla nuova e definitiva liquidazione del quantum, il Comune non ha autorizzato l'impresa a differire il pagamento, anzi si è sempre pronunciata in senso contrario; né l'impresa (supposto che a quel punto potesse farlo) ha portato in sede giurisdizionale - eventualmente chiedendo una sospensiva - la sua contestazione sul quantum, ma si è limitata ad una discussione stragiudiziale.
In questa situazione l'impresa poteva scegliere fra due vie: o pagare l'importo richiesto dal Comune, con riserva di ripetere la differenza eventualmente non dovuta (s'intende, con gli interessi); o pagare il minore importo che essa riteneva dovuto, accettando il rischio di dover pagare le maggiorazioni sulla differenza, qualora la maggiore pretesa del Comune avesse a risultare conclusivamente fondata.
Di fatto, invece, l'impresa non ha pagato, nei termini, la somma maggiore chiesta dal Comune, e neppure quella minor somma che essa stessa riteneva dovuta. Peraltro è noto che anche in pendenza di giudizio le somme non contestate sono senz'altro esigibili (cfr. artt. 186-bis e 186-ter c.p.c.). Nel caso in esame, poi, non vi era un giudizio pendente, ma solo una richiesta stragiudiziale di rideterminazione. Sotto questo profilo, dunque, l'applicazione delle maggiorazioni (assumendo come dies a quo la pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato e come base di calcolo l'importo definitivamente liquidato) appare legittima.

7. Sotto altro profilo, l'impresa ricorrente deduce che le maggiorazioni non sono dovute dal momento che il Comune ha concesso la rateazione del pagamento.
In punto di fatto conviene ricordare che il Comune ha concesso la rateazione con data 27 settembre 2000, vale a dire oltre il duecentoquarantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato. Ne consegue che se si ritiene che nelle more maturavano le maggiorazioni, a quella data esse erano già maturate nella misura massima (100%) tranne che per l'acconto di lire 200 milioni, rispetto al quale erano maturate nella misura del 50%.
Ciò posto, nella prospettazione della parte ricorrente si possono distinguere due linee argomentative diverse:
a) la concessione della rateazione è logicamente incompatibile con l'applicazione di qualsivoglia penale o sanzione per il ritardo maturato sino a quel momento;
b) in ogni caso, il tempo intercorso fra la richiesta della rateazione e la sua concessione non va computato come ritardo, ai fini di cui si discute.

7.1. Il Collegio non ritiene accoglibile la prima tesi, perché concedere una rateazione, o, più in generale, una dilazione totale o parziale del debito scaduto è una facoltà del creditore.
Quest'ultimo può esercitarla in qualunque momento (sino a che, ovviamente, il debito non sia estinto) e in particolare anche quando già siano maturati a suo favore interessi e altri simili accessori che abbiano la loro fonte nel ritardo dell'adempimento.
Se questo è vero, ne consegue che la concessione della rateazione non implica di necessità la rinuncia ai crediti accessori già maturati: il creditore potrà anche rinunciarvi, se vuole (si prescinde qui dalla problematica della disponibilità dei crediti della p.a.), ma non vi è incompatibilità logica fra la rateazione e il diritto agli accessori già maturati e l'eventuale rinuncia dovrebbe essere esplicita.
Sotto questo profilo, la censura va respinta.

7.2. Conviene tuttavia aggiungere che non ha alcun rilievo, in senso contrario, la circostanza che l'art. 3, quarto comma, della legge n. 47/85, disponga: «Nel caso di pagamento rateizzato le norme di cui al secondo comma [cioè quelle sulle maggiorazioni]si applicano ai ritardi nei pagamenti delle singole rate».
Questa disposizione, infatti, si riferisce all'ipotesi normale, che è quella in cui la rateazione viene chiesta e accordata prima che siano maturati i termini per le maggiorazioni.

7.3. Quanto alla seconda tesi, che si riferisce allo scomputo del periodo occorso per decidere la rateazione, si osserva che essa sottintende (a) che l'amministrazione creditrice sia tenuta a concedere la rateazione ogni volta che le viene richiesta e alle condizioni stabilite dal debitore; e (b) che il solo fatto di aver chiesto la rateazione sospende, per il debitore, l'obbligo di pagamento, di talché se l'amministrazione ritarda a pronunciarsi, lo fa a proprio danno.
Pare al Collegio che non occorra dilungarsi per dimostrare l'infondatezza dell'una e dell'altra proposizione. Non si ravvisano disposizioni che obblighino i Comuni a consentire la rateazione ogni volta che venga richiesta, ovvero che vietino loro di stabilirne le condizioni (es.: versamento previo di un congruo acconto; prestazione di garanzie). Ne consegue che la richiesta di rateazione, presentata dal debitore, apre una fase di trattative negoziali, in pendenza delle quali l'esigibilità del credito non rimane sospesa.
Secondo ogni logica giuridica, dev'essere cura ed interesse del debitore giungere sollecitamente all'accordo sulle condizioni della rateazione; il tempo impiegato per le trattative va posto a carico del debitore e non del creditore.
Si potrebbe forse giungere a conclusioni contrarie solo nell'ipotesi che il creditore abbia contravvenuto al generale dovere di comportarsi secondo buona fede nel corso delle trattative (art. 1337 cod. civ.) provocando capziosamente il loro prolungamento. Ma ci si può astenere dall'approfondire questo problema, perché la parte ricorrente, a ben vedere, non deduce che vi sia stata tale violazione del dovere di buona fede.

8. Si può dunque concludere nel senso che il ricorso dell'impresa va rigettato; e che correlativamente va accolto il ricorso incidentale del Comune con la domanda riconvenzionale di accertamento del credito per maggiorazioni, nell'importo e con la decorrenza indicati nell'ordinanza impugnata con il ricorso principale.

9. Si può passare ora al secondo capo del ricorso incidentale, con il quale si chiede di «accertare e dichiarare che sulla sanzione [maggiorazione] come sopra determinata spettano al Comune di Perugia gli interessi di legge dal giorno dell'esigibilità della stessa e sino al saldo».
A questo proposito, conviene determinare la natura giuridica (e di riflesso il regime) delle maggiorazioni stabilite dall'art. 3 della legge n. 47 del 1985.
Ad avviso del Collegio, non si tratta di sanzioni amministrative, bensì di penali ex lege, da ricondurre alla figura e alla disciplina delle penali convenzionali, di cui all'art. 1382 e seguenti del codice civile. Ciò si dice in considerazione della natura di obbligazione civile, propria degli oneri di cui alla legge n. 10 del 1977; natura confermata dalla circostanza che le controversie concernenti l'an ed il quantum hanno per oggetto diritti soggettivi, azionabili dall'una e dall'altra parte entro il termine prescrizionale.
Peraltro, se le maggiorazioni di cui all'art. 3 sono riconducibili alla figura della penale, ne consegue che esse rappresentano una liquidazione anticipata e forfettaria del danno derivante dal ritardo, e assorbono perciò sia gli interessi, sia l'eventuale danno ulteriore. Ciò vale, tuttavia, solo fino al giorno della maturazione della penale (o, in questo caso, della maggiorazione); l'eventuale prolungamento del ritardo comporta che, a partire da quel giorno, maturano gli interessi sull'intero credito (Cass., 8 aprile 1998, n. 3641).
Sarebbe infatti illogico se, una volta maturata la penale, l'ulteriore ritardo nel pagamento restasse a carico e a danno del creditore; così come sarebbe incongruo che gli interessi maturassero solo sulla sorte e non anche sulla penale.
Nel caso in esame, gli interessi sulla sorte formano oggetto dell'accordo per la rateazione, tanto è vero che il Comune non propone, in questa sede, una domanda al riguardo. Propone però, come si è visto, una domanda relativamente agli interessi sulla maggiorazione. E il Collegio ritiene che tale domanda sia fondata e meritevole di accoglimento.
Non si esamina, invece, l'ulteriore domanda riconvenzionale, proposta espressamente a titolo subordinato.

10. Alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle somme la cui debenza si è come sopra accertata, accede la condanna alle spese del giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale dell'Umbria rigetta il ricorso principale della Società Marinelli s.p.a.. Accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso incidentale del Comune, e per l'effetto accerta che la società ricorrente è obbligata a pagare al Comune la maggiorazione per cui è causa, con gli interessi a decorrere dalla sua maturazione sino al soddisfo. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle somme come sopra dovute; nonché delle spese del giudizio, che liquida nell'importo di Euri 15.000 (quindicimila), con gli accessori di legge e le spese successive occorrende.

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