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T.A.R. LAZIO, ROMA, SEZ. III - Sentenza 23 settembre 2003 n. 7220
Pres. VISCIOLA, Rel. LO PRESTI

Sicurezza pubblica - collaboratori di giustizia - revoca del programma - per violazione di obblighi comportamentali - denuncia per ricettazione - sufficienza - esclusione

La motivazione del provvedimento di revoca del programma di protezione dei collaboratori di giustizia deve dare atto dell’estrema rilevanza dei fatti contestati al soggetto interessato e delle ragioni per le quali detti fatti implichino la necessità del provvedimento di revoca, nonostante i possibili rischi connessi alla cessazione del programma in ordine a tutti gli interessi involti; non può pertanto essere ritenuto sufficiente il riferimento alla semplice denuncia intervenuta a carico del soggetto, occorrendo piuttosto uno specifico apprezzamento dell’incidenza della condotta criminosa sul piano delle finalità perseguite col programma di protezione

 

LUIGI VIOLA

(Magistrato del T.A.R. Puglia, Sez. di Lecce,
Professore a contratto di diritto dell’economia nell’Università degli Studi di Trieste)

 

Il T.A.R. del Lazio e la revoca del programma di protezione del collaboratore di giustizia: verso un “diritto amministrativo dei collaboratori di giustizia”?

1.La revoca dei benefici concessi ai collaboratori di giustizia – 2. I precedenti giurisprudenziali – 3. La giurisdizione ed il processo speciale in materia di collaboratori di giustizia.

1. La revoca dei benefici concessi ai collaboratori di giustizia.

La semplice denuncia di un collaboratore di giustizia per fatti che, in astratto, potrebbero legittimare la revoca del programma di protezione non è sufficiente a disporre la revoca dei benefici, dovendo essere accompagnata da una motivazione idonea a dimostrare il reinserimento nel circuito criminale o la cessazione delle esigenze di protezione del soggetto.
Il principio è stato affermato dal T.A.R. del Lazio in una decisione originata dalla revoca di un programma di protezione, motivata sulla base della semplice denuncia dell’interessato per fatti di ricettazione (trasporto di un escavatore di provenienza furtiva), danneggiamento e lesioni personali (lite con un automobilista).
È quindi evidente il riferimento all’articolato sistema premiale e di protezione previsto dal d.l. 15 gennaio 1991 n. 8 (conv. in legge 15 marzo 1991 n. 82) ed in particolare, alla possibilità, per la Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione prevista dall’articolo 10, di deliberare un piano provvisorio di protezione e speciali misure di protezione costituite "oltre che dalla predisposizione di misure di tutela da eseguire a cura degli organi di polizia territorialmente competenti, dalla predisposizione di accorgimenti tecnici di sicurezza, dall'adozione delle misure necessarie per i trasferimenti in comuni diversi da quelli di residenza, dalla previsione di interventi contingenti finalizzati ad agevolare il reinserimento sociale nonché dal ricorso, nel rispetto delle norme dell'ordinamento penitenziario, a modalità particolari di custodia in istituti ovvero di esecuzione di traduzioni e piantonamenti" (articolo 13, comma 4° d.l. 8/1991).
Speciali misure di protezione che possono essere revocate "in relazione all'attualità del pericolo, alla sua gravità e alla idoneità delle misure adottate, nonché in relazione alla condotta delle persone interessate e alla osservanza degli impegni assunti a norma di legge" (articolo 13 quater d.l. 8/1991). Ai fini che ci occupano, particolare interesse assume la possibile revoca del programma di protezione determinata dall’inosservanza degli impegni assunti a norma dell'articolo 12, comma 2, lettere b) ed e) del d.l. 8/1991 (mancata sottoposizione ad interrogatori o ad altro atto di indagine; mancata o incompleta dichiarazione dei beni posseduti o controllati e mancato versamento del danaro frutto di attività illecite) o dalla commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale (articolo 13 quater d.l. 8/1991).
Non bisogna però dimenticare che la Commissione ex art. 10 d.l. 8/1991 può comunque valutare, ai fini della revoca delle misure di protezione:
1) l'inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell'articolo 12 (mancata osservanza delle norme di sicurezza; inadempimento degli obblighi di legge; rilascio a terzi di dichiarazioni su fatti oggetto di procedimento o contatti con persone dedite al crimine o altri collaboratori di giustizia);
2) la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione;
3) la rinuncia espressa alle misure;
4) il rifiuto di accettare l'offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa;
5) il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti, nonché ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell'identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate (articolo 13 quater d.l. 8/1991).
Il quadro normativo non sarebbe poi completo ove non si richiamasse la previsione dell’art. 13 quater del d.l. 8/1991 che impone di tener conto, nelle valutazioni relative alla revoca, "del tempo trascorso dall'inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo"; l’ambito valutativo riconosciuto alla Commissione prevista dall’art. 10 del d.l. 8/1991 è poi ulteriormente chiarito dalla previsione dell’articolo 5, comma 5° del d.m. 24 novembre 1994 n. 687 (regolamento recante norme dirette ad individuare i criteri di formulazione del programma di protezione di coloro che collaborano con la giustizia e relative modalità di attuazione) che individua nel reinserimento del soggetto nel circuito criminale o nella cessazione dell’esigenza di protezione le circostanze che legittimano la revoca: "qualora il soggetto interessato non abbia rispettato gli impegni che, a norma dell'art. 12 della legge, ha assunto all'atto della sottoscrizione dello speciale programma di protezione, la commissione può disporne la modifica o la revoca allorché ritenga che, per effetto delle inosservanze, del compimento di fatti costituenti reato o per altra ragione comunque connessa alla condotta di vita del soggetto interessato, non sia più possibile assicurare misure di protezione ovvero queste siano superflue perché le condotte tenute sono di per sé indicative del reinserimento del soggetto nel circuito criminale ovvero del mutamento o della cessazione della situazione di pericolo conseguente alla collaborazione".
La decisione del T.A.R. del Lazio riafferma sostanzialmente la strutturazione del provvedimento di revoca desumibile già da una lettura, anche superficiale, del dettato normativo; in particolare, la decisione ribadisce alcuni punti fermi del provvedimento di revoca costituiti:
1) dall’insufficienza del semplice riferimento alla denuncia all’Autorità giudiziaria di un fatto-reato ai fini della motivazione del provvedimento di revoca;
2) dalla necessità di procedere ad un "autonomo apprezzamento del fatto ai fini del giudizio di sopravvenuta cessazione dei presupposti di fatto e di diritto che, ai sensi dell’art. 13 quater della legge n. 82 del 1991, consentono la revoca o la modifica del programma di protezione";
3) dalla necessità di dare vita ad un giudizio "condotto in maniera particolarmente cauta, tenuto conto della caratterizzazione funzionale dell’ammissione ai programmi di protezione e della estrema rilevanza degli interessi involti";
4) dalla necessità di pervenire, in definitiva, ad un giudizio che, sulla base del compimento di fatti costituenti reato (che assumono, quindi, natura “sintomatica”) dimostri il reinserimento del soggetto nel circuito criminale.
L’accoglimento del ricorso per difetto di istruttoria e di motivazione non ha poi permesso al giudicante di pervenire all’esame della censura subordinata prospettata da parte ricorrente e costituita dall’eccessività della revoca disposta anche nei confronti dei familiari "già autonomamente ammessi al programma di protezione".

2. I precedenti giurisprudenziali.

La ricerca giurisprudenziale non evidenzia molti precedenti giurisprudenziali relativi al “diritto amministrativo dei collaboratori di giustizia”.
La problematica più avvertita sembra essere quella della competenza territoriale, individuata nel T.A.R. per il Lazio sulla base della natura di autorità centrale dello Stato della Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione prevista dall’articolo 10 del d.l. 8/1991: "ai sensi dell’art. 3 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, rientra nella competenza territoriale del T.A.R. per il Lazio, con sede in Roma, la controversia relativa all’atto adottato da autorità centrale dello stato, di esclusione dal programma per la protezione dei collaboratori di giustizia, producendo tale atto l’effetto immediato di impedire la partecipazione al detto programma in tutto il territorio nazionale (1)". La soluzione era vivacemente contestata dal T.A.R. Calabria, Sezione di Reggio che prospettava la possibile incostituzionalità dell’articolo 3, commi 2° e 3° della legge l. 6 dicembre 1971 n. 1034, "atteso che, oltre alla deroga al fondamentale principio della competenza del giudice naturale, dover proporre ricorso in sede centrale, a Roma, da parte di un cittadino residente ed operante in una qualsiasi delle regioni italiane, costituisce ingiustificato ostacolo al diritto di agire in giudizio nonostante il decentramento della giustizia amministrativa (2)".
La relativa questione di costituzionalità era però dichiarata manifestamente inammissibile dalla Corte costituzionale, in quanto proposta da giudice che, una volta proposto il regolamento di competenza, era da ritenersi privo di qualsivoglia potere decisorio in materia di competenza (3).
Un secondo nucleo problematico è poi costituito dai ricorsi in materia di accesso ad atti amministrativi riguardanti i collaboratori di giustizia; accesso negato dai giudici amministrativi con motivazioni che affrontano la problematica in termini generali , oppure affermano espressamente la legittimità della previsione dell’art. 3, comma 1° lett. n) del d.m. 10 maggio 1994 n. 415 (regolamento per la disciplina dei documenti esclusi dall’accesso di competenza del Ministero dell’Interno) in materia di esclusione dall’accesso della documentazione inerente ai collaboratori di giustizia (5).
Decisamente più interessante, ai fini che ci interessano, è poi una decisione del T.A.R. del Lazio che ha affrontato una fattispecie di revoca di un contributo concesso ad un collaboratore di giustizia per il proprio reinserimento sociale, in presenza della dimostrazione dell’utilizzazione della somma in discorso per una finalità diversa: "è legittimo il provvedimento di revoca di un contributo straordinario di due miliardi di lire assegnato ad un collaboratore di giustizia, inserito nel programma di protezione di cui all'art. 10 comma 1 l. 15 marzo 1991 n. 82, per il suo reinserimento sociale mercè un'attività agrituristica, quando risulti che lo stesso, al di là delle risultanze del giudizio penale, abbia stornato parte dei fondi concessigli per un'attività diversa (nella specie, l'acquisto di una villa da utilizzare come abitazione personale e familiare) (6)".

3. La giurisdizione ed il processo speciale in materia di collaboratori di giustizia.

L’esame delle poche decisioni in materia di revoca del programma di protezione o di altri benefici concessi a collaboratori di giustizia non evidenzia una particolare riflessione in ordine alla problematica (potremmo dire, tradizionale nella nostra tradizione giuridica) del riparto di giurisdizione; e si tratta probabilmente di uno di quegli aspetti che avrebbero meritato una trattazione specifica, anche se sintetica.
Al contrario, pare che i giudici amministrativi abbiano decisamente optato per la possibilità di riportare la fattispecie in discorso alla giurisdizione del giudice amministrativo, senza porsi particolari problemi al riguardo.
In realtà, il d.l. 8/1991 contiene una serie di disposizioni espresse in tema di tutela giurisdizionale (si tratta dei commi 2 quinquies, sexies e septies dell’articolo 10, aggiunti dall’articolo 3 della legge 13 febbraio 2001 n. 45); disposizioni che prevedono:
1) l’impossibilità di sospendere ex articolo 21 legge 1034/1971 i provvedimenti della Commissione centrale "con cui vengono applicate le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell'articolo 13, comma 1" (articolo 10, comma 2° quinquies d.l. 8/1991, aggiunto dall’articolo 3 l. 45/2001);
2) la limitazione dell’efficacia dei provvedimenti cautelari assunti dal giudice amministrativo nei confronti dei provvedimenti della Commissione centrale con cui vengono modificate o revocate le speciali misure di protezione ad un periodo non superiore a sei mesi e l’obbligo per il giudice di fissare, anche d’ufficio e con la stessa ordinanza cautelare, l'udienza per la discussione di merito del ricorso che deve avvenire entro i quattro mesi successivi; il dispositivo della sentenza è pubblicato entro sette giorni dalla data dell'udienza con deposito in cancelleria. I termini processuali sono ridotti alla metà (articolo 10, comma 2° sexies d.l. 8/1991, aggiunto dall’articolo 3 l. 45/2001);
3) la sospensione dell’efficacia dei provvedimenti di modifica o revoca delle speciali misure di protezione per tutto il periodo "entro il quale può essere proposto il ricorso giurisdizionale ed in pendenza del medesimo" (articolo 10, comma 2° septies d.l. 8/1991, aggiunto dall’articolo 3 l. 45/2001).
È quindi evidente come, dalle disposizioni in discorso, emerga una chiara opzione per la giurisdizione (forse anche esclusiva) del giudice amministrativo, in un contesto generale che viene ad integrare un vero e proprio rito speciale davanti al Tribunale amministrativo regionale e al Consiglio di Stato.
Del resto, anche l’esame della problematica secondo gli ordinari criteri di riparto della giurisdizione non lascia molti spazi a ricostruzioni dogmatiche tese a giustificare il possibile intervento dell’A.G.O. (si tratta peraltro di problematica che non rimane meramente accademica e che può mantenere una sua validità ai fini dell’individuazione del giudice fornito di giurisdizione nel periodo anteriore all’entrata in vigore della legge n. 45 del 2001).
Nessuno spazio per la giurisdizione del giudice ordinario può ovviamente residuare ove si ravvisi nelle valutazioni della Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione prevista dall’articolo 10 del d.l. 8/1991 in materia di concessione o revoca dei benefici una vera e propria ponderazione di interessi; in questo caso, la ricostruzione della fattispecie in termini di interesse legittimo porta infatti indefettibilmente alla riconduzione delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria di legittimità del giudice amministrativo.
Ma la ricostruzione non si modificherebbe sostanzialmente anche nell’ipotesi in cui si dovesse optare per una ricostruzione della fattispecie in termini di attività vincolata (ricostruzione che potrebbe anche avere una sua validità alla luce, soprattutto, della particolare rilevanza degli interessi in gioco e della finalità primaria di assicurare un regime di protezione ai collaboratori di giustizia).
In questo caso, infatti, la problematica del riparto di giurisdizione dovrebbe essere risolta sulla base del tradizionale orientamento giurisprudenziale (7) che riporta alla giurisdizione dell’A.G.O. le ipotesi in cui il vincolo sia posto esclusivamente a tutela del privato destinatario dell'atto amministrativo e alla giurisdizione del Giudice amministrativo le ipotesi in cui l'assenza di discrezionalità sia prevista a tutela dell'interesse pubblico (8).
Nel caso di specie, la complessiva caratterizzazione della fattispecie e, soprattutto, una semplice riflessione sul valore sostanziale dell’istituto (che non giova solo ai soggetti che fruiscono dei programmi di protezione, ma che costituisce, al contrario, uno dei mezzi più efficaci di lotta alla criminalità organizzata) porta a concludere per l’ipotesi di atto vincolato nell’interesse dell’intera collettività (e non del solo collaboratore di giustizia) dei provvedimenti della Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione prevista dall’articolo 10 del d.l. 8/1991 e, quindi, per la giurisdizione del giudice amministrativo.

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NOTE

1) Cons. St. Sezione IV, 26 marzo 1999, n. 427 in Cons. Stato, 1999, I, 379.
2) T.A.R. Calabria, Sez. Reggio Calabria, 25 febbraio 1999, n. 157 in Foro amm., 1999, 1894.
3) Corte cost. ord. 28 giugno 2000, n. 248 in Foro it., 2000, I, 3658; Guida al dir., 2000, fasc. 34, 110 con nota di STANIZZI; oggi la soluzione potrebbe cambiare per effetto della nuova formulazione dell’articolo 31, comma 5° della legge 1034/1971, come modificato dall’articolo 9, comma 4° della legge 21 luglio 2000 n. 205.
4) Come, ad es., T.A.R. Lazio, Sez. I, 26 novembre 1998, n. 3241 in Trib. amm. reg., 1998, I, 4309; fattispecie relativa all’accesso ad "ogni eventuale notizia riguardante fatti e comportamenti di detenuto collaboratore di giustizia ed i rapporti da questi intrattenuti con i propri familiari nel corso della detenzione".
5) T.A.R. Veneto, Sez. II, 24 dicembre 1997, n. 1888 in Trib. amm. reg., 1998, I, 541.
6) T.A.R. Lazio, Sez. I, 13 dicembre 2001, n. 11467 in Foro amm. 2001, 3282.
7) Sulla questione, si rinvia a VIOLA L. Recenti tendenze della giustizia amministrativa: verso un diverso criterio di riparto della giurisdizione?in Giust. civ., 1996, II, 155 e in Cons. Stato, 1996, II, 309.
8) In questo senso, da ultimo, Cass. Sez. Un. 10 maggio 2001, n. 182; 19 giugno 2000, n. 449 in Dir. ed economia assicuraz., 2000, 931 con nota di DE STROBEL.

 

 

FATTO

Il ricorrente, con provvedimento in data 22 settembre 1998, veniva ammesso allo speciale programma di protezione di cui alla legge n. 82 del 1991 quale genero del collaboratore di giustizia Quaranta Luigi.
In occasione della proroga del programma disposta in favore del Quaranta, la Commissione Centrale ex art. 10 della legge n. 82 del 1991 disponeva invece la revoca delle misure operanti in favore dell’odierno ricorrente, visti i pareri della D.D.A. di Milano in data 17 maggio 2002 e della Direzione Nazionale Antimafia del 22 maggio 2002, considerato che l’Arria era stato colto mentre, unitamente al fratello Francesco, trasportava un escavatore di provenienza furtiva ed era, quindi, stato denunciato per il reato di ricettazione.
Avverso il citato provvedimento è insorto l’odierno ricorrente lamentandone l’illegittimità per violazione dell’art. 5 n. 5 del d.m. 24.11.1994 n. 687, in relazione all’art. 12 della legge 15 marzo 1991 n. 82, e per eccesso di potere.
Assume in sostanza il ricorrente che il fatto addotto dalla Commissione a sostegno della presunta violazione degli obblighi comportamentali connessi al programma di protezione di cui all’art. 12 della legge n. 82 del 1991 sarebbe da ritenersi del tutto insussistente e, comunque, erroneamente apprezzato ai fini del giudizio di sopravvenuta cessazione dei presupposti di ammissione al programma di protezione.
Inoltre, la revoca del programma anche nei confronti dei familiari sarebbe illegittima in quanto trattavasi di familiari già autonomamente ammessi al programma di protezione.
Si è costituita in giudizio l’intimata Amministrazione deducendo l’infondatezza delle censure di ricorso e la legittimità piena del provvedimento impugnato, adottato in presenza dei presupposti di fatto e di diritto previsti dall’art. 13 quater della legge 82 del 1991 in tema di revoca o di modifica delle misure di protezione.
Disposta con ordinanza n. 7255 del 2002 la sospensione cautelare degli effetti del provvedimento, alla pubblica udienza del giorno 19 giugno 2003 la causa è stata rimessa in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
La revoca del programma di protezione nei confronti dell’odierno ricorrente è stata disposta, come si evince dalla motivazione della deliberazione della competente Commissione, in primo luogo in ragione di un presunto episodio delittuoso ritenuto indicativo del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.
E’ accaduto infatti che, in seguito ad un controllo, il ricorrente veniva sorpreso unitamente al fratello Francesco a trasportare un escavatore di provenienza furtiva e veniva quindi denunciato per il reato di ricettazione.
In esito a detta denuncia, e senza che l’amministrazione procedesse ad un autonomo apprezzamento del fatto ai fini del giudizio di sopravvenuta cessazione dei presupposti di fatto e di diritto che, ai sensi dell’art. 13 quater della legge n. 82 del 1991, consentono la revoca o la modifica del programma di protezione, si addiveniva all’estromissione dell’Arria dal già disposto programma di protezione.
Ciò detto, osserva il Collegio che, a fronte della commissione da parte di soggetti ammessi a fruire dello speciale programma di protezione di cui alla citata legislazione di fatti costituenti reato, si realizza la violazione di quegli obblighi comportamentali assunti con l’avvio del programma.
E’ lo stesso art. 13 quater ad attribuire esplicita rilevanza a siffatte violazioni degli impegni assunti ai fini della determinazione di revoca del programma di protezione.
Più in generale la revoca può essere disposta in considerazione della condotta complessivamente tenuta dal soggetto protetto in fase di attuazione del programma di protezione.
L’apprezzamento dei presupposti di fatto e di diritto rilevanti ai fini della revoca del programma deve ovviamente essere condotto in maniera particolarmente cauta, tenuto conto della caratterizzazione funzionale dell’ammissione ai programmi di protezione e della estrema rilevanza degli interessi involti.
La motivazione del provvedimento di revoca deve quindi dare atto dell’estrema rilevanza dei fatti contestati al soggetto interessato e delle ragioni per le quali detti fatti implichino la necessità del provvedimento di revoca, nonostante i possibili rischi connessi alla cessazione del programma in ordine a tutti gli interessi involti.
In particolare, allorquando la revoca venga disposta, come nel caso di specie, non già in considerazione della condotta complessiva del soggetto, bensì esclusivamente in ragione della commissione di specifici fatti costituenti reato, ritiene il Collegio che non sia sufficiente a motivare la determinazione assunta la semplice denuncia intervenuta a carico del soggetto, occorrendo piuttosto uno specifico accertamento della effettività degli stessi e un conseguente apprezzamento dell’incidenza della condotta criminosa sul piano delle finalità perseguite col programma di protezione.
In altri termini soltanto in esito ad un rigoroso accertamento di fatti di reato, incompatibili sul piano funzionale con la caratterizzazione teleologica del provvedimento di ammissione al programma di protezione, in quanto chiaramente indicativi di un reinserimento del soggetto protetto nel circuito criminale, è possibile ritenere integrata la fattispecie di cui all’art 13 quater della legge 82 del 1991 ai fini della revoca del programma.
L’odierno ricorrente è stato denunciato per il reato di ricettazione e la competente Commissione, in un’ottica di quasi automatismo della determinazione, ha provveduto alla revoca del programma di protezione, senza condurre alcun autonomo accertamento sulla effettività del fatto attribuito e sulla rilevanza del medesimo ai fini del giudizio di sopravvenuta cessazione dei presupposti di legge per l’ammissione al programma.
L’insufficienza dell’istruttoria espletata e della motivazione addotta a sostegno del provvedimento di revoca ha trovato conferma nei successivi sviluppi del procedimento penale a carico dell’Arria che si è concluso con l’archiviazione, come risulta dagli atti di causa.
Il provvedimento di revoca risulta poi motivato in relazione, altresì, all’intervenuta querela del ricorrente per i reati di danneggiamento e lesioni, presumibilmente riferita all’episodio, descritto dallo stesso ricorrente nel gravame, della lite con un automobilista.
Anche con riferimento al citato episodio l’istruttoria espletata risulta praticamente inesistente, essendosi limitata l’Amministrazione a prendere atto della querela. Nessun accertamento specifico è stato condotto sui fatti, neanche in sede di procedimento penale, considerato altresì che è intervenuta la remissione della querela.
Gli ulteriori fatti comportamentali riferiti al ricorrente, e indicati negli atti depositati in giudizio dall’Amministrazione resistente, seppure in teoria rilevanti ai fini di quel giudizio di non meritevolezza della condotta complessiva del soggetto protetto che può condurre alla revoca del programma, non hanno costituito oggetto di specifica valutazione ai fini dell’adozione del provvedimento impugnato, considerato che ad essi non viene fatto alcun riferimento in seno alla motivazione.
Conclusivamente il ricorso va accolto, con conseguente pronuncia di annullamento del provvedimento impugnato .
Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione interna prima ter, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Compensa spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa

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