T.A.R. LAZIO, ROMA, SEZ. III - Sentenza
23 settembre 2003 n. 7220
Pres. VISCIOLA, Rel. LO PRESTI
Sicurezza pubblica - collaboratori di giustizia - revoca del programma - per violazione di obblighi comportamentali - denuncia per ricettazione - sufficienza - esclusione
La motivazione del provvedimento di revoca del programma di protezione dei collaboratori di giustizia deve dare atto dell’estrema rilevanza dei fatti contestati al soggetto interessato e delle ragioni per le quali detti fatti implichino la necessità del provvedimento di revoca, nonostante i possibili rischi connessi alla cessazione del programma in ordine a tutti gli interessi involti; non può pertanto essere ritenuto sufficiente il riferimento alla semplice denuncia intervenuta a carico del soggetto, occorrendo piuttosto uno specifico apprezzamento dell’incidenza della condotta criminosa sul piano delle finalità perseguite col programma di protezione
LUIGI VIOLA
(Magistrato del T.A.R. Puglia, Sez. di Lecce,
Professore a contratto di diritto dell’economia nell’Università
degli Studi di Trieste)
Il T.A.R. del Lazio e la revoca del programma di protezione
del collaboratore di giustizia: verso un “diritto amministrativo dei collaboratori
di giustizia”?
1.La revoca dei benefici concessi ai collaboratori di giustizia – 2. I precedenti giurisprudenziali – 3. La giurisdizione ed il processo speciale in materia di collaboratori di giustizia.
1. La revoca dei benefici concessi ai collaboratori di giustizia.
La semplice denuncia di un collaboratore di giustizia per fatti che, in astratto,
potrebbero legittimare la revoca del programma di protezione non è sufficiente
a disporre la revoca dei benefici, dovendo essere accompagnata da una motivazione
idonea a dimostrare il reinserimento nel circuito criminale o la cessazione
delle esigenze di protezione del soggetto.
Il principio è stato affermato dal T.A.R. del Lazio in una decisione
originata dalla revoca di un programma di protezione, motivata sulla base della
semplice denuncia dell’interessato per fatti di ricettazione (trasporto
di un escavatore di provenienza furtiva), danneggiamento e lesioni personali
(lite con un automobilista).
È quindi evidente il riferimento all’articolato sistema premiale
e di protezione previsto dal d.l. 15 gennaio 1991 n. 8 (conv. in legge 15 marzo
1991 n. 82) ed in particolare, alla possibilità, per la Commissione centrale
per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione prevista
dall’articolo 10, di deliberare un piano provvisorio di protezione e speciali
misure di protezione costituite "oltre che dalla predisposizione di misure
di tutela da eseguire a cura degli organi di polizia territorialmente competenti,
dalla predisposizione di accorgimenti tecnici di sicurezza, dall'adozione delle
misure necessarie per i trasferimenti in comuni diversi da quelli di residenza,
dalla previsione di interventi contingenti finalizzati ad agevolare il reinserimento
sociale nonché dal ricorso, nel rispetto delle norme dell'ordinamento
penitenziario, a modalità particolari di custodia in istituti ovvero
di esecuzione di traduzioni e piantonamenti" (articolo 13, comma 4°
d.l. 8/1991).
Speciali misure di protezione che possono essere revocate "in relazione
all'attualità del pericolo, alla sua gravità e alla idoneità
delle misure adottate, nonché in relazione alla condotta delle persone
interessate e alla osservanza degli impegni assunti a norma di legge" (articolo
13 quater d.l. 8/1991). Ai fini che ci occupano, particolare interesse assume
la possibile revoca del programma di protezione determinata dall’inosservanza
degli impegni assunti a norma dell'articolo 12, comma 2, lettere b) ed e) del
d.l. 8/1991 (mancata sottoposizione ad interrogatori o ad altro atto di indagine;
mancata o incompleta dichiarazione dei beni posseduti o controllati e mancato
versamento del danaro frutto di attività illecite) o dalla commissione
di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale
(articolo 13 quater d.l. 8/1991).
Non bisogna però dimenticare che la Commissione ex art. 10 d.l. 8/1991
può comunque valutare, ai fini della revoca delle misure di protezione:
1) l'inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell'articolo 12 (mancata
osservanza delle norme di sicurezza; inadempimento degli obblighi di legge;
rilascio a terzi di dichiarazioni su fatti oggetto di procedimento o contatti
con persone dedite al crimine o altri collaboratori di giustizia);
2) la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo
conseguente alla collaborazione;
3) la rinuncia espressa alle misure;
4) il rifiuto di accettare l'offerta di adeguate opportunità di lavoro
o di impresa;
5) il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti,
nonché ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell'identità
assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate (articolo 13
quater d.l. 8/1991).
Il quadro normativo non sarebbe poi completo ove non si richiamasse la previsione
dell’art. 13 quater del d.l. 8/1991 che impone di tener conto, nelle valutazioni
relative alla revoca, "del tempo trascorso dall'inizio della collaborazione
oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei
quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo";
l’ambito valutativo riconosciuto alla Commissione prevista dall’art.
10 del d.l. 8/1991 è poi ulteriormente chiarito dalla previsione dell’articolo
5, comma 5° del d.m. 24 novembre 1994 n. 687 (regolamento recante norme
dirette ad individuare i criteri di formulazione del programma di protezione
di coloro che collaborano con la giustizia e relative modalità di attuazione)
che individua nel reinserimento del soggetto nel circuito criminale o nella
cessazione dell’esigenza di protezione le circostanze che legittimano
la revoca: "qualora il soggetto interessato non abbia rispettato gli
impegni che, a norma dell'art. 12 della legge, ha assunto all'atto della sottoscrizione
dello speciale programma di protezione, la commissione può disporne la
modifica o la revoca allorché ritenga che, per effetto delle inosservanze,
del compimento di fatti costituenti reato o per altra ragione comunque connessa
alla condotta di vita del soggetto interessato, non sia più possibile
assicurare misure di protezione ovvero queste siano superflue perché
le condotte tenute sono di per sé indicative del reinserimento del soggetto
nel circuito criminale ovvero del mutamento o della cessazione della situazione
di pericolo conseguente alla collaborazione".
La decisione del T.A.R. del Lazio riafferma sostanzialmente la strutturazione
del provvedimento di revoca desumibile già da una lettura, anche superficiale,
del dettato normativo; in particolare, la decisione ribadisce alcuni punti fermi
del provvedimento di revoca costituiti:
1) dall’insufficienza del semplice riferimento alla denuncia all’Autorità
giudiziaria di un fatto-reato ai fini della motivazione del provvedimento di
revoca;
2) dalla necessità di procedere ad un "autonomo apprezzamento
del fatto ai fini del giudizio di sopravvenuta cessazione dei presupposti di
fatto e di diritto che, ai sensi dell’art. 13 quater della legge n. 82
del 1991, consentono la revoca o la modifica del programma di protezione";
3) dalla necessità di dare vita ad un giudizio "condotto in maniera
particolarmente cauta, tenuto conto della caratterizzazione funzionale dell’ammissione
ai programmi di protezione e della estrema rilevanza degli interessi involti";
4) dalla necessità di pervenire, in definitiva, ad un giudizio che, sulla
base del compimento di fatti costituenti reato (che assumono, quindi, natura
“sintomatica”) dimostri il reinserimento del soggetto nel circuito
criminale.
L’accoglimento del ricorso per difetto di istruttoria e di motivazione
non ha poi permesso al giudicante di pervenire all’esame della censura
subordinata prospettata da parte ricorrente e costituita dall’eccessività
della revoca disposta anche nei confronti dei familiari "già autonomamente
ammessi al programma di protezione".
2. I precedenti giurisprudenziali.
La ricerca giurisprudenziale non evidenzia molti precedenti giurisprudenziali
relativi al “diritto amministrativo dei collaboratori di giustizia”.
La problematica più avvertita sembra essere quella della competenza territoriale,
individuata nel T.A.R. per il Lazio sulla base della natura di autorità
centrale dello Stato della Commissione centrale per la definizione e applicazione
delle speciali misure di protezione prevista dall’articolo 10 del d.l.
8/1991: "ai sensi dell’art. 3 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, rientra
nella competenza territoriale del T.A.R. per il Lazio, con sede in Roma, la
controversia relativa all’atto adottato da autorità centrale dello
stato, di esclusione dal programma per la protezione dei collaboratori di giustizia,
producendo tale atto l’effetto immediato di impedire la partecipazione
al detto programma in tutto il territorio nazionale (1)". La soluzione
era vivacemente contestata dal T.A.R. Calabria, Sezione di Reggio che prospettava
la possibile incostituzionalità dell’articolo 3, commi 2° e
3° della legge l. 6 dicembre 1971 n. 1034, "atteso che, oltre alla
deroga al fondamentale principio della competenza del giudice naturale, dover
proporre ricorso in sede centrale, a Roma, da parte di un cittadino residente
ed operante in una qualsiasi delle regioni italiane, costituisce ingiustificato
ostacolo al diritto di agire in giudizio nonostante il decentramento della giustizia
amministrativa (2)".
La relativa questione di costituzionalità era però dichiarata
manifestamente inammissibile dalla Corte costituzionale, in quanto proposta
da giudice che, una volta proposto il regolamento di competenza, era da ritenersi
privo di qualsivoglia potere decisorio in materia di competenza (3).
Un secondo nucleo problematico è poi costituito dai ricorsi in materia
di accesso ad atti amministrativi riguardanti i collaboratori di giustizia;
accesso negato dai giudici amministrativi con motivazioni che affrontano la
problematica in termini generali , oppure affermano espressamente la legittimità
della previsione dell’art. 3, comma 1° lett. n) del d.m. 10 maggio
1994 n. 415 (regolamento per la disciplina dei documenti esclusi dall’accesso
di competenza del Ministero dell’Interno) in materia di esclusione dall’accesso
della documentazione inerente ai collaboratori di giustizia (5).
Decisamente più interessante, ai fini che ci interessano, è poi
una decisione del T.A.R. del Lazio che ha affrontato una fattispecie di revoca
di un contributo concesso ad un collaboratore di giustizia per il proprio reinserimento
sociale, in presenza della dimostrazione dell’utilizzazione della somma
in discorso per una finalità diversa: "è legittimo il provvedimento
di revoca di un contributo straordinario di due miliardi di lire assegnato ad
un collaboratore di giustizia, inserito nel programma di protezione di cui all'art.
10 comma 1 l. 15 marzo 1991 n. 82, per il suo reinserimento sociale mercè
un'attività agrituristica, quando risulti che lo stesso, al di là
delle risultanze del giudizio penale, abbia stornato parte dei fondi concessigli
per un'attività diversa (nella specie, l'acquisto di una villa da utilizzare
come abitazione personale e familiare) (6)".
3. La giurisdizione ed il processo speciale in materia di collaboratori di giustizia.
L’esame delle poche decisioni in materia di revoca del programma di protezione
o di altri benefici concessi a collaboratori di giustizia non evidenzia una
particolare riflessione in ordine alla problematica (potremmo dire, tradizionale
nella nostra tradizione giuridica) del riparto di giurisdizione; e si tratta
probabilmente di uno di quegli aspetti che avrebbero meritato una trattazione
specifica, anche se sintetica.
Al contrario, pare che i giudici amministrativi abbiano decisamente optato per
la possibilità di riportare la fattispecie in discorso alla giurisdizione
del giudice amministrativo, senza porsi particolari problemi al riguardo.
In realtà, il d.l. 8/1991 contiene una serie di disposizioni espresse
in tema di tutela giurisdizionale (si tratta dei commi 2 quinquies, sexies e
septies dell’articolo 10, aggiunti dall’articolo 3 della legge 13
febbraio 2001 n. 45); disposizioni che prevedono:
1) l’impossibilità di sospendere ex articolo 21 legge 1034/1971
i provvedimenti della Commissione centrale "con cui vengono applicate le
speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma
dell'articolo 13, comma 1" (articolo 10, comma 2° quinquies d.l. 8/1991,
aggiunto dall’articolo 3 l. 45/2001);
2) la limitazione dell’efficacia dei provvedimenti cautelari assunti dal
giudice amministrativo nei confronti dei provvedimenti della Commissione centrale
con cui vengono modificate o revocate le speciali misure di protezione ad un
periodo non superiore a sei mesi e l’obbligo per il giudice di fissare,
anche d’ufficio e con la stessa ordinanza cautelare, l'udienza per la
discussione di merito del ricorso che deve avvenire entro i quattro mesi successivi;
il dispositivo della sentenza è pubblicato entro sette giorni dalla data
dell'udienza con deposito in cancelleria. I termini processuali sono ridotti
alla metà (articolo 10, comma 2° sexies d.l. 8/1991, aggiunto dall’articolo
3 l. 45/2001);
3) la sospensione dell’efficacia dei provvedimenti di modifica o revoca
delle speciali misure di protezione per tutto il periodo "entro il quale
può essere proposto il ricorso giurisdizionale ed in pendenza del medesimo"
(articolo 10, comma 2° septies d.l. 8/1991, aggiunto dall’articolo
3 l. 45/2001).
È quindi evidente come, dalle disposizioni in discorso, emerga una chiara
opzione per la giurisdizione (forse anche esclusiva) del giudice amministrativo,
in un contesto generale che viene ad integrare un vero e proprio rito speciale
davanti al Tribunale amministrativo regionale e al Consiglio di Stato.
Del resto, anche l’esame della problematica secondo gli ordinari criteri
di riparto della giurisdizione non lascia molti spazi a ricostruzioni dogmatiche
tese a giustificare il possibile intervento dell’A.G.O. (si tratta peraltro
di problematica che non rimane meramente accademica e che può mantenere
una sua validità ai fini dell’individuazione del giudice fornito
di giurisdizione nel periodo anteriore all’entrata in vigore della legge
n. 45 del 2001).
Nessuno spazio per la giurisdizione del giudice ordinario può ovviamente
residuare ove si ravvisi nelle valutazioni della Commissione centrale per la
definizione e applicazione delle speciali misure di protezione prevista dall’articolo
10 del d.l. 8/1991 in materia di concessione o revoca dei benefici una vera
e propria ponderazione di interessi; in questo caso, la ricostruzione della
fattispecie in termini di interesse legittimo porta infatti indefettibilmente
alla riconduzione delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria di
legittimità del giudice amministrativo.
Ma la ricostruzione non si modificherebbe sostanzialmente anche nell’ipotesi
in cui si dovesse optare per una ricostruzione della fattispecie in termini
di attività vincolata (ricostruzione che potrebbe anche avere una sua
validità alla luce, soprattutto, della particolare rilevanza degli interessi
in gioco e della finalità primaria di assicurare un regime di protezione
ai collaboratori di giustizia).
In questo caso, infatti, la problematica del riparto di giurisdizione dovrebbe
essere risolta sulla base del tradizionale orientamento giurisprudenziale (7)
che riporta alla giurisdizione dell’A.G.O. le ipotesi in cui il vincolo
sia posto esclusivamente a tutela del privato destinatario dell'atto amministrativo
e alla giurisdizione del Giudice amministrativo le ipotesi in cui l'assenza
di discrezionalità sia prevista a tutela dell'interesse pubblico (8).
Nel caso di specie, la complessiva caratterizzazione della fattispecie e, soprattutto,
una semplice riflessione sul valore sostanziale dell’istituto (che non
giova solo ai soggetti che fruiscono dei programmi di protezione, ma che costituisce,
al contrario, uno dei mezzi più efficaci di lotta alla criminalità
organizzata) porta a concludere per l’ipotesi di atto vincolato nell’interesse
dell’intera collettività (e non del solo collaboratore di giustizia)
dei provvedimenti della Commissione centrale per la definizione e applicazione
delle speciali misure di protezione prevista dall’articolo 10 del d.l.
8/1991 e, quindi, per la giurisdizione del giudice amministrativo.
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NOTE
1) Cons. St. Sezione IV, 26 marzo 1999, n. 427 in Cons. Stato, 1999, I, 379.
2) T.A.R. Calabria, Sez. Reggio Calabria, 25 febbraio 1999, n. 157 in Foro amm.,
1999, 1894.
3) Corte cost. ord. 28 giugno 2000, n. 248 in Foro it., 2000, I, 3658; Guida
al dir., 2000, fasc. 34, 110 con nota di STANIZZI; oggi la soluzione potrebbe
cambiare per effetto della nuova formulazione dell’articolo 31, comma
5° della legge 1034/1971, come modificato dall’articolo 9, comma 4°
della legge 21 luglio 2000 n. 205.
4) Come, ad es., T.A.R. Lazio, Sez. I, 26 novembre 1998, n. 3241 in Trib. amm.
reg., 1998, I, 4309; fattispecie relativa all’accesso ad "ogni eventuale
notizia riguardante fatti e comportamenti di detenuto collaboratore di giustizia
ed i rapporti da questi intrattenuti con i propri familiari nel corso della
detenzione".
5) T.A.R. Veneto, Sez. II, 24 dicembre 1997, n. 1888 in Trib. amm. reg., 1998,
I, 541.
6) T.A.R. Lazio, Sez. I, 13 dicembre 2001, n. 11467 in Foro amm. 2001, 3282.
7) Sulla questione, si rinvia a VIOLA L. Recenti tendenze della giustizia amministrativa:
verso un diverso criterio di riparto della giurisdizione?in Giust. civ., 1996,
II, 155 e in Cons. Stato, 1996, II, 309.
8) In questo senso, da ultimo, Cass. Sez. Un. 10 maggio 2001, n. 182; 19 giugno
2000, n. 449 in Dir. ed economia assicuraz., 2000, 931 con nota di DE STROBEL.
FATTO
Il ricorrente, con provvedimento in data 22
settembre 1998, veniva ammesso allo speciale programma di protezione di cui
alla legge n. 82 del 1991 quale genero del collaboratore di giustizia Quaranta
Luigi.
In occasione della proroga del programma disposta in favore del Quaranta, la
Commissione Centrale ex art. 10 della legge n. 82 del 1991 disponeva invece
la revoca delle misure operanti in favore dell’odierno ricorrente, visti i pareri
della D.D.A. di Milano in data 17 maggio 2002 e della Direzione Nazionale Antimafia
del 22 maggio 2002, considerato che l’Arria era stato colto mentre, unitamente
al fratello Francesco, trasportava un escavatore di provenienza furtiva ed era,
quindi, stato denunciato per il reato di ricettazione.
Avverso il citato provvedimento è insorto l’odierno ricorrente lamentandone
l’illegittimità per violazione dell’art. 5 n. 5 del d.m. 24.11.1994 n. 687,
in relazione all’art. 12 della legge 15 marzo 1991 n. 82, e per eccesso di potere.
Assume in sostanza il ricorrente che il fatto addotto dalla Commissione a sostegno
della presunta violazione degli obblighi comportamentali connessi al programma
di protezione di cui all’art. 12 della legge n. 82 del 1991 sarebbe da ritenersi
del tutto insussistente e, comunque, erroneamente apprezzato ai fini del giudizio
di sopravvenuta cessazione dei presupposti di ammissione al programma di protezione.
Inoltre, la revoca del programma anche nei confronti dei familiari sarebbe illegittima
in quanto trattavasi di familiari già autonomamente ammessi al programma di
protezione.
Si è costituita in giudizio l’intimata Amministrazione deducendo l’infondatezza
delle censure di ricorso e la legittimità piena del provvedimento impugnato,
adottato in presenza dei presupposti di fatto e di diritto previsti dall’art.
13 quater della legge 82 del 1991 in tema di revoca o di modifica delle misure
di protezione.
Disposta con ordinanza n. 7255 del 2002 la sospensione cautelare degli effetti
del provvedimento, alla pubblica udienza del giorno 19 giugno 2003 la causa
è stata rimessa in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
La revoca del programma di protezione nei confronti dell’odierno ricorrente
è stata disposta, come si evince dalla motivazione della deliberazione della
competente Commissione, in primo luogo in ragione di un presunto episodio delittuoso
ritenuto indicativo del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.
E’ accaduto infatti che, in seguito ad un controllo, il ricorrente veniva sorpreso
unitamente al fratello Francesco a trasportare un escavatore di provenienza
furtiva e veniva quindi denunciato per il reato di ricettazione.
In esito a detta denuncia, e senza che l’amministrazione procedesse ad un autonomo
apprezzamento del fatto ai fini del giudizio di sopravvenuta cessazione dei
presupposti di fatto e di diritto che, ai sensi dell’art. 13 quater della legge
n. 82 del 1991, consentono la revoca o la modifica del programma di protezione,
si addiveniva all’estromissione dell’Arria dal già disposto programma di protezione.
Ciò detto, osserva il Collegio che, a fronte della commissione da parte di soggetti
ammessi a fruire dello speciale programma di protezione di cui alla citata legislazione
di fatti costituenti reato, si realizza la violazione di quegli obblighi comportamentali
assunti con l’avvio del programma.
E’ lo stesso art. 13 quater ad attribuire esplicita rilevanza a siffatte violazioni
degli impegni assunti ai fini della determinazione di revoca del programma di
protezione.
Più in generale la revoca può essere disposta in considerazione della condotta
complessivamente tenuta dal soggetto protetto in fase di attuazione del programma
di protezione.
L’apprezzamento dei presupposti di fatto e di diritto rilevanti ai fini della
revoca del programma deve ovviamente essere condotto in maniera particolarmente
cauta, tenuto conto della caratterizzazione funzionale dell’ammissione ai programmi
di protezione e della estrema rilevanza degli interessi involti.
La motivazione del provvedimento di revoca deve quindi dare atto dell’estrema
rilevanza dei fatti contestati al soggetto interessato e delle ragioni per le
quali detti fatti implichino la necessità del provvedimento di revoca, nonostante
i possibili rischi connessi alla cessazione del programma in ordine a tutti
gli interessi involti.
In particolare, allorquando la revoca venga disposta, come nel caso di specie,
non già in considerazione della condotta complessiva del soggetto, bensì esclusivamente
in ragione della commissione di specifici fatti costituenti reato, ritiene il
Collegio che non sia sufficiente a motivare la determinazione assunta la semplice
denuncia intervenuta a carico del soggetto, occorrendo piuttosto uno specifico
accertamento della effettività degli stessi e un conseguente apprezzamento dell’incidenza
della condotta criminosa sul piano delle finalità perseguite col programma di
protezione.
In altri termini soltanto in esito ad un rigoroso accertamento di fatti di reato,
incompatibili sul piano funzionale con la caratterizzazione teleologica del
provvedimento di ammissione al programma di protezione, in quanto chiaramente
indicativi di un reinserimento del soggetto protetto nel circuito criminale,
è possibile ritenere integrata la fattispecie di cui all’art 13 quater della
legge 82 del 1991 ai fini della revoca del programma.
L’odierno ricorrente è stato denunciato per il reato di ricettazione e la competente
Commissione, in un’ottica di quasi automatismo della determinazione, ha provveduto
alla revoca del programma di protezione, senza condurre alcun autonomo accertamento
sulla effettività del fatto attribuito e sulla rilevanza del medesimo ai fini
del giudizio di sopravvenuta cessazione dei presupposti di legge per l’ammissione
al programma.
L’insufficienza dell’istruttoria espletata e della motivazione addotta a sostegno
del provvedimento di revoca ha trovato conferma nei successivi sviluppi del
procedimento penale a carico dell’Arria che si è concluso con l’archiviazione,
come risulta dagli atti di causa.
Il provvedimento di revoca risulta poi motivato in relazione, altresì, all’intervenuta
querela del ricorrente per i reati di danneggiamento e lesioni, presumibilmente
riferita all’episodio, descritto dallo stesso ricorrente nel gravame, della
lite con un automobilista.
Anche con riferimento al citato episodio l’istruttoria espletata risulta praticamente
inesistente, essendosi limitata l’Amministrazione a prendere atto della querela.
Nessun accertamento specifico è stato condotto sui fatti, neanche in sede di
procedimento penale, considerato altresì che è intervenuta la remissione della
querela.
Gli ulteriori fatti comportamentali riferiti al ricorrente, e indicati negli
atti depositati in giudizio dall’Amministrazione resistente, seppure in teoria
rilevanti ai fini di quel giudizio di non meritevolezza della condotta complessiva
del soggetto protetto che può condurre alla revoca del programma, non hanno
costituito oggetto di specifica valutazione ai fini dell’adozione del provvedimento
impugnato, considerato che ad essi non viene fatto alcun riferimento in seno
alla motivazione.
Conclusivamente il ricorso va accolto, con conseguente pronuncia di annullamento
del provvedimento impugnato .
Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di
giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio,
sezione interna prima ter, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto,
annulla il provvedimento impugnato.
Compensa spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa