TRIBUNALE DI NAPOLI, SEZ. LAVORO, Ordinanza 4 aprile
2003
Pres. Spena, Rel. Cardellicchio
Azienda Ospedaliera A. Cardarelli (avv. Capunzo, Urciuolo, Di Martino)
c. P. (avv. Carro)
1 - Pubblico impiego - Rapporto di lavoro a tempo determinato – Proseguimento del rapporto – trasformazione del rapporto a tempo indeterminato ex art. 5 D.Lgs. n. 368/2001 – Pubbliche amministrazioni – Inapplicabilità della sanzione
1 - Deve escludersi l’applicabilità
dell’art. 5 D.Lgs. n. 368/2001 ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, considerato che, anche successivamente all’intervenuta privatizzazione
del rapporto di lavoro, continua a rimanere ferma l’esigenza che questi ultimi
siano, di regola, selezionati attraverso una procedura concorsuale vincolo che
l’art. 97 Cost. impone alla P.A. nella costituzione di rapporti di pubblico
impiego, anche se in regime privatistico (fattispecie di infermieri con rapporto
di lavoro proseguito per volonta’ dell’amministrazione).
--------------------------------- Nota di commento di MARIO VALENTINO e SIMONA
DI MARTINO Le ragioni della decisione. Il Tribunale ritiene inapplicabile
il regime sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 368/2001 (emanato in attuazione
della direttiva 1999/70/CE), il quale, all’art. 4 stabilisce che “il termine
del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore,
prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni.
In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta
da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale
il contratto è stato stipulato a tempo determinato”. In assenza di questo doppio
presupposto (il consenso del lavoratore e le ragioni oggettive) della proroga
– il cui onus probandi ricade sul datore di lavoro (art. 4 cit., comma 2) –
e in ipotesi di continuazione del rapporto, il successivo art. 5 prevede la
sanzione della conversione del rapporto, originariamente a tempo determinato,
in rapporto a tempo indeterminato. Il Tribunale osserva che, con atto di ricorso
depositato in data 24 febbraio 2003 l’Azienda Ospedaliera A. Cardarelli proponeva
reclamo avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli, in funzione di Giudice
del Lavoro, con cui a seguito dell’accertata nullità del patto di proroga del
rapporto di lavoro a tempo determinato intercorso tra le parti, era stato ordinato
l’immediato ripristino del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. P.Q.M.
Accoglie il reclamo. Annulla l’opposta ordinanza. Compensa
le spese di lite.
Il caso. Alcuni infermieri assunti a tempo determinato da un’
Azienda Ospedaliera, ricevono una richiesta di proroga del rapporto, proseguito
(secondo la ricostruzione da essi prospettata) senza la loro formale accettazione.
Chiedono percio‘ l’applicazione della sanzione di cui all’art. 5 del D.Lgs.
n. 368/2001, con conseguente dichiarazione di accertamento della avvenuta conversione
del loro rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato. Avverso il provvedimento
d’urgenza ex art. 700 c.p.c. (5 febbraio 2003), che aveva dichiarato “la nullità
del patto di proroga e l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato”, propone reclamo l’Azienda. Il Tribunale annulla l’ordinanza.
Il Collegio ribadisce il carattere di specialità che distingue la disciplina
normativa nazionale del pubblico impiego. Sulla base di questa considerazione,
il Giudice della cautela non avrebbe dovuto attestarsi su una dichiarata “tendenziale
generalità dell’ambito applicativo” del D.Lgs. n. 368/2001, bensì verificare
l’eventuale (peraltro nota) esistenza di una normativa speciale, in quanto tale
prevalente anche rispetto alla lex posterior generalis.
Su questa corretta strada ermeneutica, il Tribunale ha inoltre evidenziato l’assenza,
nella fonte normativa di cui si discute, di qualsiasi espresso riferimento “alla
sua applicabilità anche ai rapporti di lavoro svolti alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni”, come invece è accaduto (cfr. art. 10 D.Lgs. n. 61/2000) nel
caso della disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale.
Vale la pena di osservare come l’ordinamento si sia fatto carico della disciplina
normativa della differenziazione tra i rapporti di lavoro, da ultimo, con l’emanazione
del Decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, recante “Norme generali sull’ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, citato nell’ordinanza
di accoglimento del reclamo in relazione al suo art. 36, comma 1, del D.Lgs.
165/2001, il quale dispone che “siano i contratti collettivi nazionali a disciplinare
la materia dei contratti a tempo determinato, dei contratti di formazione e
lavoro, degli altri rapporti formativi e della fornitura di prestazioni di lavoro
temporaneo”, e che “in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti
l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni,
non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato
con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità
e sanzione”.
Rilevante appare tuttavia anche il successivo comma 2, stabilendo che “in ogni
caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego
di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare
la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime
pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”.
Questo divieto assoluto risulta non solo del tutto coerente con le disposizioni
particolari che regolano l’assunzione nel pubblico impiego nell’ordinamento
italiano, ma anzi necessitato dalla disposizione di cui all’art. 97 della Carta
costituzionale, per la quale, notoriamente, “agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni
si accede mediante concorso”.
Come osserva il Tribunale, il divieto in discorso è espressamente contemplato
nel CCNL integrativo del personale non medico del Comparto sanità, il quale
(art. 31) ha previsto che “la proroga o il rinnovo del contratto a termine sono
nulli quando si tratti di assunzioni successive a termine intese ad eludere
disposizioni di legge o del presente contratto”. A questa notazione può anche
aggiungersi che al comma 4 del medesimo articolo citato nell’ordinanza, il CCNL
ribadisce, con la stessa formula utilizzata dal Legislatore del 2001, che “in
nessun caso il rapporto di lavoro a tempo determinato può trasformarsi in rapporto
di lavoro a tempo indeterminato”.
Affermata la “specifica peculiarità” del “corpus normativo che disciplina il
rapporto dei dipendenti da pubbliche amministrazioni”, il Tribunale ha anche
esaminato un eventuale suo contrasto con la Direttiva del Consiglio dell’Unione
Europea del 28 giugno 1999, n. 1999/70, attuativa dell’Accordo-quadro sui contratti
a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali
a carattere generale, rilevando come anche in tale sede era stato previsto che
“l’applicazione dettagliata dei contratti a termine «deve tener conto delle
realtà specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali»” e che
la clausola 5 dell’Accordo dispone che “gli Stati membri, previa consultazione
delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno stabilire a quali
condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato … devono essere
ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato”. La sanzione della automatica
conversione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato non viene
quindi prevista quale “unica sanzione o effetto conseguenti all’illegittima
successione di contratti a termine, in quanto è rimesso alla legislazione degli
Stati membri e alla contrattazione collettiva individuare le condizioni in presenza
delle quali tale effetto si produce”.
L’annotata decisione del Tribunale, già di per sé condivisibile nel suo impianto
motivazionale, trova ulteriore conferma nel consolidato orientamento giurisprudenziale,
per il quale le norme concernenti la conversione del contratto di lavoro a tempo
determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato non trovano applicazione
nell’ipotesi di contratti conclusi dalle pubbliche amministrazioni, in quanto
– nel caso contrario – si lederebbe il principio sancito dall’art. 97 Cost.:
così, T.A.R. Basilicata, 28 agosto 1999 n. 361. Nello stesso solco interpretativo,
si confrontino altresì: Cons. Stato, VI sez., 3 febbraio 2000 n. 644; T.A.R.
Lazio – sez. Latina – 7 giugno 1999 n. 486; Cons. Stato, III sez., parere reso
al Ministero della Sanità il 29 settembre 1998 n. 103; T.A.R. Friuli V.G., 4
giugno 1996 n. 538; T.A.R. Toscana III sez., 16 gennaio 1991 n. 25.
Tale orientamento, formatosi in relazione all’interpretazione sistematica delle
norme della L. 230 del 18 aprile 1962, può sicuramente ritenersi estensibile
anche alla disciplina posta con il D.Lgs. 368/2001, perché con essa non solo
non contrastante (Corte cost. 7 febbraio 2000 n.41), ma addirittura identica
nella formulazione testuale del principio della conversione del rapporto da
tempo determinato a tempo indeterminato (cfr. art. 2, comma 2, L. n. 230/62
e art. 5 D.Lgs. n. 368/2001). I Giudici del palazzo della Consulta, difatti,
motivando l’inammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione
della L. 230/62, con la citata sentenza n. 41/2000, ha affermato che la L. n.
230/62 contiene principi tali da poter considerare, alla luce della lettera
e dello spirito della direttiva 1999/70/CE (recepita in Italia, come detto,
con il D.Lgs. n. 368/2001), l’ordinamento italiano come anticipatamente conformato
agli obblighi derivanti dalla stessa.
Rilevava l’inapplicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 5 del D.Lgs 368/01
in considerazione:
del fatto che il contratto individuale di lavoro a tempo determinato era stato
sottoscritto prima dell’entrata in vigore di tale normativa;
della specialità della disciplina del rapporto di pubblico impiego non suscettibile
di abrogazione da parte di una legge generale successiva e, quindi, della vigenza
del divieto di conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro
a tempo indeterminato, previsto dall’art. 36 D.Lgs 165/2001 e dalla contrattazione
collettiva di settore, in caso di violazione le disposizioni normative inderogabili
in materia di assunzioni.
In via gradata alla ritenuta applicabilità dell’art. 5 comma 2 del D.Lgs 368/01,
sollevava l’eccezione di legittimità costituzionale di tale disposizione per
violazione degli art. 3, 51 e 97 Cost.
Evidenziava, infine, l’esistenza di ragioni obiettive poste alla base della
proroga del termine ed in ogni caso l’assenza del periculum in mora.
Concludeva, in accoglimento del reclamo, per la riforma dell’impugnata ordinanza
o in subordine per la declaratoria di non manifesta infondatezza della prospettata
questione di legittimità costituzionale, il tutto con vittoria delle spese di
lite.
Si costituiva il Sig. Forleo, che premessa l’estensibilità della disciplina
contenuta nel D.Lgs 368/2001 anche ai rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti
e considerata, in ogni caso l’obbligatorietà ed immediata applicabilità della
Direttiva CE n. 70/1999 nei confronti degli Stati membri, ed in considerazione
della ricorrenza, nel caso di specie, delle condizioni normativamente previste
per la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di
lavoro a tempo indeterminato, concludeva, per il rigetto del reclamo anche previa
verifica della costituzionalità dell’art. 36 D.Lgs 165/2001 nella parte in cui
era esclusa l’applicabilità dell’art. 5 del D.Lgs nei confronti dei pubblici
dipendenti o previo rinvio pregiudiziale alla Corte Europea di Giustizia, ai
fini dell’interpretazione della richiamata direttiva comunitaria.
Il reclamo è fondato.
Deve escludersi l’applicabilità dell’art. 5 del D.lvo 368\2001 ai rapporti di
lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
In primo luogo deve evidenziarsi che il decreto legislativo, in questione, non
contiene alcun riferimento alla sua applicabilità anche ai rapporti di lavoro
svolti alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni come, ad es., nel caso
della disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale (art. 10 D.lgs 62\2000),
né tanto meno contempla tali rapporti tra quelli espressamente esclusivi dall’art.
10.
E’ compito dell’interprete, quindi, individuare l’operatività di tale normativa
nell’ambito di rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici, in considerazione
della specialità che caratterizza la relativa disciplina normativa.
Per quanto interessa ai fini del presente giudizio, bisogna evidenziare che
il comma 2 dell’art. 36 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (originariamente
Art. 36, commi 7 ed 8 del d.lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall’art.
17 del d.lgs n. 546 del 1993 e poi dall’art. 22 del d.lgs n. 80 del 1998) dispone
che siano i contratti collettivi nazionali a disciplinare la materia dei contratti
a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti
formativi e della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, in applicazione
di quanto previsto dalla legge 18 aprile 1962, n. 230, dall’art. 23 della legge
28 febbraio 1987, n. 56, dall’art. 3 del decreto legge 30 ottobre 1984, n. 726,
convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall’articolo
16 del decreto legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla
legge 19 luglio 1994, n. 451, dalla legge 24 giugno 1997, n. 196, nonche’ da
ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina.
Espressamente, il comma 2° esclude che la violazione di disposizioni imperative,
riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche
amministrazioni, possa comportare la costituzione di rapporti di lavori a tempo
indeterminato con le medesime amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità
e sanzione.
Questa disciplina è trova ulteriore attuazione attraverso la normativa contrattuale,
cui il legislatore rinvia.
Più precisamente, l’art. 31 del CCNL integrativo per il personale non medico
del comparto sanità del 20 settembre 2001, che sul punto si riporta alla formulazione
dell’art. 41 del CCNL 7 APRILE 1999, ha previsto che “Al di fuori delle ipotesi
di cui al comma 10, la proroga o il rinnovo del contratto a termine sono nulli
quando si tratti di assunzioni successive a termine intese ad eludere disposizioni
di legge o del presente contratto”.
E’, quindi, esclusa l’operatività della sanzione della conversione in rapporto
di lavoro a tempo indeterminato, prevista originariamente dall’art. 2 comma
2 L. 230\62 e successivamente dall’art. 5 D.lvo 368\01.
La ratio di tale deroga deve essere rinvenuta nella circostanza che, anche successivamente
all’intervenuta privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti,
continua a rimanere ferma l’esigenza che questi ultimi siano, di regola, selezionati
attraverso una procedura concorsuale, che da un lato ha la finalità di assicurare
l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione e dall’altro
di evitare il rischio di un ampliamento degli organici dell’amministrazione
al di là della sue effettive necessità, con effetti deteriori per la spesa pubblica.
L’interesse alla conversazione del posto di lavoro è, pertanto, sacrificato
in presenza dei vincoli costituzionalmente rilevanti (art. 97 Cost.) imposti
alla pubblica amministrazione nella costituzione dei rapporti di pubblico impiego,
anche se in regime di privatistico.
Residua, perciò, in favore del lavoratore una tutela esclusivamente risarcitoria.
Deve escludersi, poi, che l’abrogazione di tutte le disposizioni di legge incompatibili
con il D.lvo 368\01, anche non espressamente richiamate nel corpo del decreto
legislativo, disposta dal 1° comma dell’art. 11, possa estendersi anche al cit.
art. 36.
Quest’ultima disposizione rientra nel corpus normativo che disciplina il rapporto
dei dipendenti da pubbliche amministrazioni, e come tale presenta una specifica
peculiarità, in considerazione delle evidenziate e costituzionalmente rilevanti
caratteristiche, che attengono proprio alle modalità di costituzione del rapporto
di lavoro. Costituisce, quindi, una lex specialis e come tale in suscettibile,
di essere tacitamente abrogata da una legge successiva.
Il quadro normativo, così delineato none si pone in contrasto con la direttiva
del Consiglio dell’Unione Europea del 28 giugno 1999, n. 1999\70, attuativa
dell’Accordo quadro sui contratti a tempo determinato, concluso con il 18 marzo
1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP
e UNICE). L’obiettivo della direttiva è il perseguimento del “miglioramento
delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità europea”.
Nel richiamato Accordo Quadro è chiarito che i “contratti a tempo indeterminato
sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i
datori di lavoro e i lavoratori”, e “contribuiscono alla qualità della vita
dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento”. E’ precisato, però,
anche “che i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze,
sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori”.
Pertanto, l’applicazione dettagliata dei contratti a termine “deve tener conto
delle realtà specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali”.
L’utilizzazione “di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni
oggettive è un modo di prevenire gli abusi” ed “in tale determinazione considerando
che le parti sociali sono le più adatte a trovare soluzioni rispondenti alle
esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori, per cui deve essere assegnato
loro un ruolo di spicco nell’attuazione e applicazione del presente accordo”
(punto 12 dell’Accordo).
Per quanto riguarda gli effetti derivanti dall’illegittimo ricorso ai contratti
a termine, la clausola 5 dell’Accordo, che riguarda le misure di prevenzione
degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti
di lavoro a tempo determinato, dispone che “gli Stati membri, previa consultazione
delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno stabilire a quali
condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato … devono essere
ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato”.
La trasformazione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato non
viene prevista, quindi, l’unica sanzione o effetto conseguenti all’illegittima
successione di contratti a termine, in quanto è rimesso alla legislazione degli
Stati membri ed alla contrattazione collettiva, individuare le condizioni in
presenza delle quali tale effetto si produce.
Legittima è, quindi, una diversificazione normativa che tenga conto della evidenziata
specialità del settore del pubblico impiego privatizzato.
Legittimo è, quindi, il ricorso da parte del legislatore e della contrattazione
collettiva a misure diverse dalla trasformazione del rapporto di lavoro.
La finalità di prevenzione degli abusi può, infatti, essere assicurata, anche
se in misura più blanda, anche attraverso forme di tutela di tipo risarcitorio.
L’inesistenza del fumus boni iuris rende superfluo l’esame della sussistenza
del requisito del periculum in mora.
La novità delle questioni integra un giusto motivo per la compensazione integrale
delle spese di lite.