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n. 12-2011 - © copyright |
PAOLO URBANI
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I principi fondamentali della materia: strumento di bilanciamento degli interessi statali nella disciplina concorrente del governo del territorio
La sent. 309/2011 della Corte Cost. – al di là del suo contenuto specifico – sembra ribadire un punto: anche in tempi di federalismo (demaniale, fiscale) la Repubblica è una e indivisibile ed il legislatore regionale nelle materie di competenza concorrente incontra il limite dei principi fondamentali della materia onde evitare che l’abbandono di regole generali da parte dei pubblici poteri nella pianificazione su tutto il territorio nazionale produca il rischio di favorire ancor più quelle fratture tra territori, regioni, comuni, tra nord e sud che al contrario la legislazione di principio mira a superare attraverso un processo di unificazione delle regole urbanistiche.
Nello specifico il giudice costituzionale (si trattava di DIA relativa a ristrutturazione edilizia con cambio della sagoma soggetta a permesso di costruire) – favorito in questo dalla via già tracciata dalla sent. 303/2003 – ha ribadito che il regime dei titoli abilitativi, quindi le categorie delle opere edilizie da riconnettere ai primi, non è derogabile dal legislatore regionale poiché tale regime rientra tra i principi fondamentali della materia edilizia facente parte integrante del più ampio settore del governo del territorio cui si riconnette anche la materia urbanistica. Già nel 2003 alcune regioni provarono a sostenere, senza successo, che la non menzione dell’edilizia tra le materie di disciplina concorrente, comportava che questa dovesse rientrare tra le competenze residuali di cui al quarto comma dell’art.117Cost. Nel 2011 la Regione Lombardia ha invece sostenuto che la definizione degl’interventi rientrasse tra le norme di dettaglio del TU 380/2001 di talchè, legiferando, questa ne avrebbe potuto tranquillamente modificare i contenuti in rapporto alle tipologie dei titoli abilitativi cui gli interventi sono subordinati.
Riemerge la questione dei principi fondamentali che, per riprendere la migliore dottrina giuridica, sono espressione di valori, scelte di fondo sui fini e sui mezzi, sui diritti dei cittadini, sulle relative garanzie sostanziali e procedimentali. Costituiscono in breve, scelte politiche di civiltà giuridica e sono determinati in funzione degl’interessi della collettività nazionale e non possono che riguardare l’interesse unitario del quale si esige un’attuazione su tutto il territorio nazionale.
Ma è altresi’ noto che mancando le leggi cornice che avrebbero dovuto fissare i principi fondamentali delle discipline concorrenti questi devono essere desunti dalla legislazione statale vigente. E proprio cosi’ si esprime l’art. 2 1 co. del TU 380 sull’edilizia creando, come era prevedibile, il possibile conflitto avanti alla Corte Cost. come nel caso de quo relativo alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Lombardia. Si potrebbe osservare che l’occasione del TU dell’edilizia avrebbe potuto suggerire al legislatore delegato di definire espressamente i principi fondamentali invece di limitarsi ad affermare che “questi sono desumibili dalla disposizioni contenute nel presente TU”. Al contrario, in tema di “valorizzazione” dei beni culturali rientrante nella disciplina concorrente dell’art.117 3 co – il legislatore delegato del Codice dei beni culturali e del paesaggio n.42/2004 non si è sottratto a questo compito poiché (art 7 e 111 e seg.) ha espressamente affermato che il presente codice “fissa i principi fondamentali della materia”. Ma il diverso regime potrebbe essere dipeso dalla differente estensione della delega conferita al legislatore delegato.
Ma se l’enucleazione dei principi fondamentali, nella disciplina delle materie concorrenti, svolge la funzione di contrappeso all’autonomia legislativa regionale, con tutti i rischi che ciò può comportare nel caso di interpretazioni regionali in contrasto con tali principi, non ci si può sottrarre a ragionare sul fatto che la disciplina dell’urbanistica, in quanto conformazione dei suoli, oggetto di profonde innovazioni legislative da parte della gran parte delle regioni, rispetto alle norme originarie della legge del 1942 e della l.10/1977, è esposta oggi agli stessi rischi ed alle stesse censure dei giudici costituzionali, qualora da qualche corte fosse sollevata questione di legittimità costituzionale sul nuovo sistema della pianificazione comunale – piano strutturale ed operativo – sui modelli perequativi (parziali a posteriori o generalizzati), sul trasferimento dei diritti circolatori o sulla loro circolazione.
Finora il giudice amministrativo di prime cure e, in qualche raro caso, il Consiglio di Stato hanno pienamente legittimato le nuove modalità di determinazione dei contenuti del diritto di proprietà attraverso la pianificazione urbanistica di “nuovo conio”, facendosi carico spesso di colmare le “lacune” della legislazione statale, ma già recentemente la Corte Cost. nella sent. 121/2010 giudicando della costituzionalità della l.133/2008 “piano nazionale dell’edilizia abitativa” ha avuto modo, incidentalmente, di affermare che proprio gli aspetti che attengono al trasferimento dei diritti edificatori vanno regolati dal legislatore statale rientrando nell’ambito delle competenze esclusive di cui all’art.117 2 co. lett. l) ordinamento civile.
Torna così d’attualità – semmai l’avessimo obliterato – il tema dei limiti posti al legislatore regionale dai principi fondamentali della materia mentre, da almeno quarant’anni, non sembra che nell’agenda dei governi nazionali si ponga la questione dell’emanazione della legge di principi in materia di governo del territorio (rectius urbanistica) che contribuirebbe non poco a dare un quadro giuridico certo all’azione dei poteri pubblici, degli operatori ed dei privati proprietari.
Roma 29 novembre 2011
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(pubblicato il 7.12.2011)
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