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n. 12-2011 - © copyright

 

ALFONSO CELOTTO

I “pericoli” dell’interpretazione conforme a Costituzione
(in margine a Corte cost., sent. n. 309 del 2011).


1. Non v’è dubbio che il corretto ricorso all’interpretazione conforme a Costituzione, al fine di prevenire i dubbi di costituzionalità, abbia realizzato, nel tempo, quell’auspicata «atmosfera di intensa e reciproca collaborazione» tra Corte costituzionale da un lato e giudici, ordinari e speciali di ogni ordine e grado, dall’altro[1].
Tuttavia, quel che invece ha suscitato maggiori dubbi e perplessità è stato il ricorso eccessivo, inopportuno, scorretto, al criterio in esame.
Si pensi ai molteplici casi in cui i giudici hanno superato i limiti al dovere di interpretazione conforme, sottraendosi alla loro funzione di interpreti e dimostrando di non essere in grado di utilizzare «lo strumentario di cui la tradizione professionale li ha dotati»[2], o alle ipotesi in cui i giudici non sono riusciti a ricavare una norma conforme a Costituzione, non hanno sollevato questione di legittimità costituzionale e hanno finito per applicare una norma di dubbia costituzionalità[3].
Quel che interessa però affrontare in tale sede è il caso in cui il giudice superi il limite del proprio potere di interpretazione conforme. Qualora infatti, nonostante l’irriducibile contrasto normativo tra la disposizione interpretanda e il parametro costituzionale, il giudice decida di ricorrere ad un’applicazione (distorta) dell’interpretazione conforme a Costituzione, anziché sollevare questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte, le conseguenze possono rivelarsi davvero paradossali.


2. La sentenza n. 309 del 2011 della Corte costituzionale consente di riflettere su tale questione, in relazione alla, ormai, nota vicenda sui limiti di volumetria e di sagoma nelle ristrutturazioni edilizie.
Il caso riguardava il rapporto tra la legislazione statale e regionale, in materia edilizia, annoverata, come noto, tra le materie di potestà concorrente.
In particolare, l’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. sull’edilizia), prevede che «nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica» (corsivo aggiunto).
L’art. 27, comma 1, lett. d) della Legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 stabilisce che «nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione parziale o totale nel rispetto della volumetria preesistente fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento della normativa antisismica» (corsivo aggiunto).
L’art. 103 della stessa Legge regionale specifica, peraltro, che «a seguito dell’entrata in vigore della presente legge cessa di avere diretta applicazione nella Regione la disciplina di dettaglio prevista», includendo espressamente l’art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Nessun dubbio nel riconoscere nell’art. 3 del T.U un principio fondamentale e negli artt. 27 e 103 delle disposizione di dettaglio. Appare poi evidente che la legislazione regionale, nel dare attuazione alla disciplina statale, riproduce quasi integralmente le disposizioni del T.U., escludendo, però – in forza del combinato disposto degli artt. 27 e 103 – l’applicabilità del limite di sagoma.
Tale esclusione è stata oggetto di vivaci discussioni.
In giurisprudenza, prima il TAR Brescia, nella sentenza n. 504 del 2008, poi il TAR Milano, nella sentenza n. 153 del 2009, si sono avvalsi dell’interpretazione conforme a Costituzione per escludere che la scelta del legislatore regionale contrastasse con il principio fondamentale di cui al T.U. dell’edilizia. Posto infatti che «il concetto di ristrutturazione previa demolizione come intervento che rispetta sia il volume sia a sagoma dell’edificio preesistente è ben fermo e ripetuto di frequente in giurisprudenza (…) è poco credibile che il legislatore regionale, il quale intendesse abbandonarlo per proporre una innovazione, lo abbia fatto per implicito, senza palesare con termini espressi tale intento»[4]. Ancor più chiaramente, il TAR Brescia, «seguendo il costante insegnamento della Corte costituzionale per cui sin quando è possibile una legge ordinaria va interpretata in modo conforme a Costituzione», riteneva che «il limite della sagoma, attinente ad un principio, nella norma lombarda che non prevede espressamente», dovesse essere ricavato «per via di interpretazione logica e sistematica»[5].
Tale soluzione non appariva affatto condivisibile.
Il mancato richiamo nella legislazione lombarda del limite di sagoma non rappresentava infatti una mera lacuna, superabile in via interpretativa. Posto che l’art. 103 della Legge regionale esclude espressamente l’applicabilità dei limiti di principio di cui all’art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, si riteneva che il ricorso all’interpretazione conforme non fosse né sufficiente, né opportuno per superare la lettera (rectius, il combinato disposto) della disposizione regionale. D’altra parte, è ormai noto, che l’interpretazione conforme a Costituzione non è plausibile quando «contraddice ciò che chiaramente emerge dal testo della disposizione censurata» (Corte cost., sent. n. 28 del 2010). Ecco allora che il disinvolto ed improprio ricorso a tale strumento, eludendo il principio dell’annullamento delle leggi incostituzionali e creando una pericolosa incertezza, aveva suscitato preoccupazione e sgomento.
Neppure gli “audaci” tentativi di difendere l’orientamento seguito dai Tribunali lombardi hanno sortito gli effetti sperati. Non è mancato infatti chi, ritenendo che, in nome di una «naturale» operazione di adeguamento della normativa di dettaglio alla normativa di principio, si potesse escludere, in via interpretativa, l’apparente contrasto tra la normativa statale e regionale, considerava «improbabile» ed «inutile» il ricorso alla Corte costituzionale, «a fronte di una legislazione regionale tanto facilmente adeguabile al principio affermato dalla legge statale»[6]. Tuttavia, tale orientamento è stato presto smentito.
Il legislatore regionale ha provveduto ad emanare una norma di interpretazione autentica dell’art. 27, comma 1, lett. d) della Legge n. 12 del 2005, fugando ogni dubbio in merito al significato da ascrivere ad esso. L’art. 22 della legge regionale n. 7 del 2010 prevede infatti che «nella disposizione di cui all’art. 27, comma 1, lett. d), ultimo periodo, della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 la ricostruzione dell’edificio è da intendersi senza vincolo di sagoma» (corsivo aggiunto).
Viene dunque esplicitata la ratio sottesa alla lettera della legge lombarda, già di per sé, peraltro, troppo chiara e nitida per poter essere superata e corretta in via interpretativa[7].
Reso palese, dunque, l’irriducibile contrasto tra la normativa regionale e quella statale, lo stesso TAR Milano, ormai consapevole che l’evidente antinomia normativa non fosse solubile in via interpretativa, con ordinanza n. 364 del 2010, ha sollevato questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale. Quest’ultima, con sentenza n. 309 del 2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni regionali censurate, rilevando che «l’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, come interpretato dall’art. 22 della legge della Regione Lombardia n. 7 del 2010, nel definire come ristrutturazione edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma, è in contrasto con il principio fondamentale stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di governo del territorio. Parimenti lesivo dell’art. 117, terzo comma, Cost., è l’art. 103 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, nella parte in cui, qualificando come “disciplina di dettaglio” numerose disposizioni legislative statali, prevede la disapplicazione della legislazione di principio in materia di governo del territorio dettata dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 con riguardo alla definizione delle categorie di interventi edilizi».


3. Vero è che spetta alla discrezionalità del giudice scegliere quale argomento ermeneutico utilizzare per trarre norme dalle disposizioni e che, tra i diversi argomenti, l’interpretazione conforme a Costituzione rappresenta la strada maestra per garantire un uso giudiziale della Costituzione, vale a dire, un utilizzo delle norme costituzionali volto a determinare il contenuto di disposizioni legislative incerte o ambigue. Tuttavia, è innegabile che il giudice, pur nell’ampia discrezionalità di cui gode, nel ricorrere a tale strumento, debba rispettare i limiti ad esso connessi. L’operazione di adeguamento non può consentire infatti di superare la lettera della legge, in nome di una presunta lettura costituzionalmente conforme. Tale operazione non solo potrebbe spingere a vere e proprie manipolazioni del diritto, creando destabilizzanti incertezze, ma potrebbe anche compromettere la funzionalità dei meccanismi del sistema di giustizia costituzionale, relativi al controllo e all’annullamento delle norme gerarchicamente inferiori, antinomiche con quelle superiori.

 

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[1] In tal senso si esprimeva P. CALAMANDREI, Corte costituzionale e autorità giudiziaria, in Riv. dir. proc., 1956, 8 e 53 ss.
[2] Così, R. BIN, L’applicazione diretta della Costituzione, le sentenze interpretative, l’interpretazione conforme a Costituzione della legge, Relazione presentata al Convegno annuale dell’Associazione dei costituzionalisti, sul tema “Circolazione dei modelli e delle tecniche del giudizio di costituzionalità in Europa, 19 ss. Sul tema, si vedano, ex plurimis, G. SORRENTI, L’interpretazione conforme a Costituzione, Milano, 2006, 114 ss.; M. RUOTOLO, Interpretazione conforme a Costituzione e tecniche decisorie della Corte costituzionale, pubblicato in www.gruppodipisa.it; 3; E. LAMARQUE, La fabbrica delle interpretazioni conformi a Costituzione, Relazione presentata al Convegno annuale della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dal titolo “La fabbrica delle interpretazioni”, Milano, 19-20 novembre 2009, 4 ss.; F. MANNELLA, Giudici comuni e applicazione della Costituzione, Napoli, 2011, 148.
[3] Sull’argomento, cfr. F. MODUGNO, Sul problema dell’interpretazione conforme a Costituzione, in Giur. it., 2010, 1968.
[4] TAR Lombardia, Milano, sent. n. 153 del 2009.
[5] TAR Lombardia, Brescia, sent. n. 504 del 2008.
[6] In tal senso, cfr. F. MODUGNO, Sul paradosso di (voler dedurre) paradossali conseguenze dell’interpretazione costituzionalmente conforme: il caso dei limiti di “volumetria e sagoma” nella ristrutturazione degli edifici, in Giur. it., 2010, 2017 ss.
[7] Contra, cfr. F. MODUGNO, Sul paradosso di (voler dedurre) paradossali conseguenze dell’interpretazione costituzionalmente conforme: il caso dei limiti di “volumetria e sagoma” nella ristrutturazione degli edifici, cit., 2020, secondo il quale, invece, la lettera della legge lombarda era «talmente poco chiara e nitida da essere stata “superata” e “corretta” nella pacifica applicazione giurisprudenziale».

 

(pubblicato il 14.12.2011)

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