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n. 6-1999 - © copyright.

T.A.R. LOMBARDIA-MILANO, SEZ. III - Sentenza 29 giugno 1999, n. 2523 - Pres. Mariuzzo, Est. Arzillo - ITALGAS s.p.a. (Avv.ti A. Quaglia e M.G. Lanero) c. Comune di Cassano D'adda (Avv. B. De Rosa), A.E.M. s.p.a. (Avv. F. Ferrari).

Giustizia amministrativa - Legittimazione attiva - Nel caso di delibera che fa ricorso al sistema della trattativa privata - Legittimazione di tutte le ditte del settore - Sussiste.

Contratti della P.A. - Appalto di servizi - Di servizi pubblici - Affidamento in concessione - Gara pubblica - Necessità - Trattativa privata - Motivazione specifica - Occorre.

Contratti della P.A. - Appalto di servizi - Affidamento a trattativa privata - Presupposti - Individuazione - Speciali circostanze ex art. 267 T.U. n. 1175/1931 - Interpretazione.

Atto amministrativo - Generalità - Principio di proporzionalità - Criteri - Individuazione.

Comune e Provincia - Società miste - Principi affermati in materia di aziende speciali comunali - Applicabilità - Limite territoriale dell'ente - Costituisce un limite all'operatività della società - Ragioni - Riferimento anche agli effetti distortivi sulla libera concorrenza.

(T.U. 14 settembre 1931 n. 1175, art. 267)
(L. n. 142/1990, art. 22)

Le delibere con cui la P.A. dispone la conclusione di un contratto a trattativa privata possono essere impugnate in sede giurisdizionale da tutti gli operatori del settore, che lamentino la violazione della regola della par condicio (1).

Il ricorso, in via ordinaria, alla gara pubblica in materia di concessione è richiesto dai principi generali, in ossequio alle esigenze di imparzialità e trasparenza, nonché - con riferimento alla concessione di servizi pubblici - dall'art. 267 del T.U. n. 1175/31 (2); viceversa, il ricorso alla trattativa privata presuppone una motivazione particolarmente rinforzata, dalla quale risultino non solo le ragioni di deroga alla procedura di asta, ma anche quelle che hanno consigliato di prescindere anche dalla licitazione privata (3).

Per "speciali circostanze", alle quali l'art. 267 T.U. 14 settembre 1931 n. 1175 subordina la deroga alle regole dell'asta pubblica per la concessione di servizi, devono intendersi situazioni che rendano obiettivamente difficile o poco conveniente la selezione del concessionario mediante gara pubblica, anche in considerazione della prestazione d'interesse pubblico che il concessionario è chiamato ad assicurare; e ciò senza che a motivo della scelta della procedura negoziata possa essere invocata una convenienza non rigorosamente comparativa e documentata, ma basata su asserite condizioni di vantaggio e di affidabilità del concessionario (4).

Per verificare se è stato violato il principio di proporzionalità occorre fare riferimento a tre criteri che concorrono a definire il principio in parola, ossia la idoneità al raggiungimento dello scopo, la necessità, e la proporzionalità in senso stretto, da intendersi come non eccessività rispetto all'obiettivo perseguito (5).

L'estensione dell'attività delle aziende speciali comunali fuori del territorio dell'Ente locale che le ha costituite presuppone comunque un collegamento funzionale tra il servizio eccedente l'ambito locale e le necessità della collettività locale, e richiede il rispetto di regole procedimentali e limiti sostanziali posti da norme positive, che disciplinano i moduli convenzionali o consorziali di cui all'art. 5 del D.P.R. n. 902/86 e agli artt. 24 e 25 della legge n. 142/1990; tutto ciò ove sussista la possibilità di un'integrazione funzionale tra le attività, tale da consentire la contemporanea soddisfazione anche delle esigenze della collettività stanziata sul territorio dell'ente che ha costituito l'Azienda (6). Tali principi possono essere estesi anche nel caso di S.p.A. a partecipazione maggioritaria pubblica locale.

Il mezzo di gestione attraverso società miste è riconosciuto dall'art. 22 della legge 142/1990 per i "servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali "; tale finalità del modello societario vale a legittimarne l'esistenza e l'azione, nello specifico campo della gestione dei pubblici servizi, con la conseguenza che una società nata per questo scopo trova nello stesso anche il proprio limite di intervento (7); d'altra parte, la strumentalità dell'attività non è principio ristretto all'ambito di azione delle aziende municipalizzate, ma va affermata anche in relazione alle società di tipo commerciale costituite da Enti territoriali (8).

D'altra parte, va richiamate l'attenzione sull'evidente alterazione della concorrenza, che deriverebbe dall'indiscriminata estensione dell'ambito di operatività delle società a prevalente capitale pubblico locale, le quali godono, tra l'altro, di benefici fiscali e dell'accesso agevolato ai mutui della Cassa Depositi e Prestiti.

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(1) Cons. Stato, Sez. V, 31 dicembre 1998, n. 1996; id., 23 aprile 1998, n. 475; id., 22 marzo 1995, n. 454; T.A.R. Emilia Romagna, Sez. II, 27 gennaio 1998, n. 15; T.A.R. Lazio, Sez. III, 3 luglio 1996, n. 1263.

(2) T.A.R. Lombardia, Sez. III, 23 settembre 1998, n. 2167; cfr. altresì T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia, 20 settembre 1996, n. 918; T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia, 27 ottobre 1992, n. 1138; Cons. Stato, Sez. I, 1 febbraio 1985 n. 130.

(3) T.A.R. Lombardia, Sez. III, n. 2167/98 cit.

(4) T.A.R. Lombardia, I, 23 settembre 1997, n. 550.

(5) Cfr. T.A.R. Lombardia, Sez. III, 5 maggio 1998, n. 922.

(6) Cons. Stato, Sez. V, 6 aprile 1998, n. 432; V, 23 aprile 1998, n. 475; V, 23 aprile 1998, n. 477.

(7) Cons. Stato, Sez. VI, 12 marzo 1990, n. 374.

(8) TAR Liguria II, 8 maggio 1997, n. 134.

 

 

DIRITTO

1. La ricorrente ITALGAS - Società Italiana per il Gas - S.p.A. ha impugnato i seguenti atti adottati dal Comune di Cassano d'Adda:

a) deliberazione del Consiglio comunale n. 48 del 19 maggio 1998, recante l'affidamento all'A.E.M. S.p.A., per un periodo di anni trenta, del servizio di distribuzione del gas metano, unitamente ad altri servizi (manutenzione impianti di illuminazione pubblica e semaforici, gestione calore), previo riesame della precedente delibera n. 26/1998, in esito ad osservazioni dell'Organo Regionale di Controllo;

b) deliberazione n. 346 del 29 maggio 1997, con cui la Giunta comunale di Cassano d'Adda aveva commissionato alla CISPEL LOMBARDIA SERVICES S.r.L. uno studio diretto all'individuazione delle più idonee modalità di gestione di una serie di servizi - distribuzione del gas metano, manutenzione impianti di illuminazione pubblica e semaforici, gestione calore - sino ad allora gestiti in economia;

c) deliberazione n. 26 del 2 aprile 1998 (poi fatta oggetto di osservazioni da parte dell'Organo Regionale di Controllo), con cui il Consiglio comunale di Cassano d'Adda, recependo le indicazioni contenute nello studio elaborato dalla CISPEL, aveva deliberato la cessazione della gestione in economia dei servizi in questione, a decorrere dal 31 dicembre 1998 e il conseguente affidamento dei medesimi in concessione all'A.E.M. S.p.A. di Milano.

2. Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione ad agire da parte della ricorrente, formulata dalla difesa del Comune.

In particolare, si sostiene che la posizione giuridica dell'impresa ricorrente non sia sufficientemente differenziata, attesa la mancanza di precedenti rapporti contrattuali tra la stessa e il Comune di Cassano d'Adda. Il fatto di aver contattato formalmente l'Amministrazione alcuni anni addietro, manifestando la propria disponibilità ad ottenere in gestione il servizio, non rappresenterebbe, in questa ottica, un dato sufficiente a fondare un'autonoma posizione legittimante dell'odierna ricorrente nei confronti dell'affidamento del servizio a trattativa privata all'A.E.M. S.p.A.

Al riguardo, il Collegio aderisce all'autorevole orientamento giurisprudenziale secondo il quale le delibere con cui la P.A. dispone la conclusione di un contratto a trattativa privata possono essere impugnate in sede giurisdizionale da tutti gli operatori del settore, che lamentino la violazione della regola della par condicio (Cons. Stato, Sez. V, 31 dicembre 1998, n. 1996; id., 23 aprile 1998, n. 475; id., 22 marzo 1995, n. 454; T.A.R. Emilia Romagna, Sez. II, 27 gennaio 1998, n. 15; T.A.R. Lazio, Sez. III, 3 luglio 1996, n. 1263).

Questo semplice rilievo elimina la necessità di ulteriori approfondite indagini circa le forme, i tempi e i contenuti dei contatti precedentemente intercorsi tra l'odierna ricorrente e l'Amministrazione, ed è sufficiente di per sé a far ritenere sussistente la legittimazione all'impugnativa.

L'eccezione va pertanto ritenuta infondata.

3. La difesa della controinteressata ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.

Ciò in quanto, essendo insindacabile la scelta di ricorrere al teleriscaldamento mediante l'energia prodotta da una centrale termoelettrica, l'accoglimento del ricorso non rivestirebbe utilità alcuna per Italgas S.p.A., che non potrebbe mai svolgere tale servizio.

Al riguardo - pur restando riservata all'esame del merito la valutazione dei limiti dell'insindacabilità della scelta discrezionale compiuta - è sufficiente osservare che non può essere esclusa l'utilità per la ricorrente di una pronuncia di annullamento, alla quale potrebbe seguire l'indizione di una gara per il servizio distribuzione gas, anche solo temporaneamente e/o limitatamente alla quota non interessata dal teleriscaldamento.

Tale interesse strumentale è sufficiente per la proposizione del gravame.

L'eccezione deve pertanto essere disattesa.

4. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta l'avvenuta violazione della regola, ricavabile dall'art. 267 T.U.F.L., oltre che dall'art. 97 Cost., secondo cui l'affidamento in concessione a terzi dei servizi pubblici locali deve avvenire di norma tramite gara, nel rispetto dei criteri dell'evidenza pubblica.

In particolare, secondo la ricorrente, le argomentazioni addotte dal Comune per giustificare la scelta sarebbero apodittiche, pretestuose ed insufficienti.

In sintesi, la ricorrente contesta il motivo fondamentale della scelta operata dalla delibera impugnata, ossia la ritenuta utilità della progressiva conversione degli odierni impianti di riscaldamento mediante l'adozione di un sistema di teleriscaldamento; opzione da cui discenderebbe, secondo l'Amministrazione, la scelta di affidare il servizio ad A.E.M. S.p.A., la quale dispone in loco di una centrale di produzione elettrica.

La legittimità di questa impostazione viene censurata sotto diversi aspetti:

a) la concorrenza tra più imprenditori avrebbe, in ipotesi, potuto consentire di recuperare il vantaggio insito nella proposta di A.E.M. S.p.A.;

b) il servizio di riscaldamento non coincide con l'intero servizio gas affidato ad A.E.M. S.p.A.;

c) tra l'altro, si prevedono sei miliardi di investimenti sulla rete metano, nonostante l'intenzione di sostituire progressivamente l'impianto in funzione con il sistema basato sul teleriscaldamento;

d) i servizi di illuminazione e semaforici sono comunque estranei all'ambito delle giustificazioni relative al teleriscaldamento;

e) sarebbero comunque state possibili, pur nel rispetto dell'obiettivo auspicato, soluzioni meno radicali e più rispettose della necessità di salvaguardare la concorrenza, ossia:

- affidamento ad A.E.M. S.p.A. del solo servizio di teleriscaldamento, previo scorporo del servizio distribuzione gas;

- affidamento tramite gara del servizio gas metano, con clausola di progressiva dismissione del servizio stesso da parte del

concessionario in relazione alla graduale attivazione del teleriscaldamento da parte di A.E.M. S.p.A..

4.1 La difesa dell'Amministrazione fa presente quanto segue:

a) l'art. 267, comma 1, del T.U. n. 1175/1931 consente il ricorso alla trattativa privata quando speciali condizioni lo consiglino; e la delibera n. 48/1998 motiva puntualmente in ordine alla sussistenza di tali condizioni;

b) il servizio di gas metano non poteva che essere affidato alla stessa azienda che gestirà il servizio di teleriscaldamento, per due ragioni enunciate nella motivazione della delibera:

- la stretta interdipendenza tra i due servizi (man mano che aumentano le utenze servite con teleriscaldamento diminuiscono quelle servite con il metano);

- la concorrenza tra due diversi gestori nuocerebbe agli interessi della P.A., pregiudicando la massima possibile estensione del servizio di teleriscaldamento (ciò in quanto nessuna impresa avrebbe accettato di sostenere i costi di uso e manutenzione degli

impianti di distribuzione del gas, nella prospettiva di una diminuzione della quantità totale di gas distribuito in ragione della metà, a fronte dello sviluppo del teleriscaldamento);

c) la concessione ad A.E.M. S.p.A. degli ulteriori servizi risponde, secondo la valutazione effettuata in delibera, a canoni di efficienza, efficacia ed economicità, trattandosi di servizi complementari affidati ad azienda specializzata;

d) gli investimenti per il rimodernamento dell'impianto gas servono per gli ulteriori usi (es. uso cucina);

e) le opzioni alternative suggerite dalla ricorrente trascendono i profili di mera legittimità ed attengono al merito dell'azione amministrativa, che è insindacabile.

4.2 Anche secondo la difesa della controinteressata, la P.A. avrebbe fornito un'esaustiva motivazione in ordine alla sussistenza delle speciali circostanze, alle quali l'art. 267 del T.U. n. 1175/31 subordina la deroga alle regole dell'asta pubblica.

In questa ottica, da un lato, risultano evidenti i vantaggi del servizio di teleriscaldamento sotto il profilo della sicurezza, del minore inquinamento, dell'economicità delle tariffe; dall'altro, l'attivazione di tale servizio, che presuppone una centrale di produzione del calore, risulta particolarmente giustificata qualora sia già insediata in loco una centrale termoelettrica (nella specie, la centrale AEM), rendendosi in tal modo possibile l'utilizzazione a costi contenuti del "calore di recupero" della produzione di energia elettrica.

Infine, andrebbero considerate le notevoli sinergie che la gestione unitaria del servizio di teleriscaldamento e del servizio gas consentirebbe di ottenere (unicità di utenza, sinergia nella progettazione e nella gestione delle reti, pianificazione delle aree da destinare alle diverse tipologie di servizi).

5. L'esame della prima censura postula anzitutto l'individuazione dei principi di diritto applicabili in subiecta materia.

In proposito, questa Sezione ha già avuto modo di richiamare i seguenti criteri:

- il ricorso, in via ordinaria, alla gara pubblica in materia concessoria è richiesto dai principi generali, in ossequio alle esigenze di imparzialità e trasparenza, nonché - con riferimento alla concessione di servizi pubblici - dall'art. 267 del T.U. n. 1175/31 (T.A.R. Lombardia, Sez. III, 23 settembre 1998, n. 2167; cfr. altresì T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 20 settembre 1996, n. 918; T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 27 ottobre 1992, n. 1138; Cons. Stato, Sez. I, 1 febbraio 1985 n. 130);

- quest'ultima disposizione conferisce carattere di assoluta preminenza al sistema dell'asta pubblica, relegando sia la licitazione privata sia la trattativa privata ad un'ipotesi derogatoria, subordinata ad adeguata motivazione "quando circostanze speciali in rapporto alla natura dei servizi lo consigliano"; in particolare, il ricorso alla trattativa privata presuppone una motivazione particolarmente rinforzata, dalla quale risultino non solo le ragioni di deroga alla procedura di asta, ma anche quelle che hanno consigliato di prescindere anche dalla licitazione privata (T.A.R. Lombardia, n. 2167/98 cit.);

- per "speciali circostanze", alle quali l'art. 267 T.U. 14 settembre 1931 n. 1175 subordina la deroga alle regole dell'asta pubblica per la concessione di servizi, devono intendersi situazioni che rendano obiettivamente difficile o poco conveniente la selezione del concessionario mediante gara pubblica, anche in considerazione della prestazione d'interesse pubblico che il concessionario è chiamato ad assicurare; e ciò senza che a motivo della scelta della procedura negoziata possa essere invocata una convenienza non rigorosamente comparativa e documentata, ma basata su asserite condizioni di vantaggio e di affidabilità del concessionario (T.A.R. Lombardia, 23 settembre 1997, n. 550).

L'applicazione di siffatti principi al caso di specie presuppone un ulteriore, decisivo chiarimento, attinente ai limiti del sindacato giudiziale di legittimità: sia la difesa del Comune (che ritiene che alcune delle censure sollevate in questa sede attengano a profili di merito) sia la difesa della controinteressata (che ritiene incensurabile, in quanto riconducibile alla discrezionalità amministrativa, la scelta del sistema del teleriscaldamento) pongono in evidenza questo problema.

Nel caso in esame, infatti, non si può affermare che la scelta operata dall'Amministrazione sia totalmente immotivata: il procedimento di riesame instaurato dall'Organo Regionale di Controllo ha condotto la P.A. ad enunciare nel testo dell'ultima delibera impugnata la motivazione della scelta.

Ciò nondimeno, il Collegio ritiene di non potersi fermare a questa constatazione di carattere formale, e di dover verificare la fondatezza delle censure proposte, in particolare valutando i profili attinenti alla logicità della scelta, alla coerenza intrinseca e alla ragionevolezza della stessa, in relazione ai principi di imparzialità e buon andamento.

Non si tratta, peraltro, di sostituire un diverso apprezzamento di merito a quello operato dalla P.A. nell'individuazione dei fini da perseguire e del risultato concreto da raggiungere in relazione alla valutazione delle esigenze della popolazione residente. Si tratta, più semplicemente, di valutare se i mezzi impiegati siano coerenti con lo scopo perseguito, oltre che con i principi generali e i criteri di giudizio summenzionati, che attengono notoriamente alla legittimità - intesa in senso non meramente formale - dell'azione amministrativa.

6. Il Collegio ritiene che, alla stregua dei criteri enunciati al punto precedente, il primo motivo di ricorso sia da considerarsi fondato, per le ragioni che di seguito si espongono.

Al riguardo, occorre preliminarmente riconoscere l'insindacabilità della scelta del Comune, considerata nel suo nucleo fondamentale: nucleo che va individuato nella decisione di sviluppare il sistema del teleriscaldamento, alla luce della valutazione dei relativi benefici di carattere ambientale, economico, di sicurezza, tenuto conto della presenza in loco della centrale termoelettrica dell'A.E.M.

Ora, muovendo da questo dato sicuro, balza immediatamente agli occhi un elemento che rivela una contraddittorietà del contenuto della deliberazione impugnata rispetto allo scopo perseguito: l'emendamento Colombo, approvato dal Consiglio, stabilisce di "inserire in convenzione apposita clausola che preveda reali garanzie per l'attuazione del teleriscaldamento entro 10 anni dalla stipula pena la decadenza della convenzione stessa".

Ad avviso del Collegio, tale previsione non è semplicemente inopportuna o generica; essa denota piuttosto un'illegittima ed irragionevole ponderazione degli interessi in gioco, costituendo un significativo sintomo di eccesso di potere.

La normativa vigente consente l'affidamento a trattativa privata solo ove si dimostri rigorosamente la funzionalità della stessa rispetto al perseguimento di un vantaggio specifico; nella specie, la P.A., pur avendo legittimamente valutato l'esigenza del teleriscaldamento, e i peculiari vantaggi derivanti dalla presenza in loco della centrale A.E.M., è pervenuta ad una deliberazione in cui questo fattore specifico viene misconosciuto nei fatti, e l'elemento motivazionale principale viene degradato ad elemento quasi accessorio, in primo luogo sotto il profilo temporale: con ogni evidenza, un periodo di dieci anni appare manifestamente incongruo e irragionevole rispetto alla finalità principale perseguita.

Tra l'altro, è importante osservare che l'emendamento approvato risulta ancor più generico (e meno vincolante in fase attuativa) di quello - non approvato - proposto dal Consigliere Gaiardelli, che era diretto a ottenere da A.E.M. l'impegno a versare 200 miliardi al Comune di Cassano d'Adda in caso di mancata attivazione entro 10 anni di una quota del servizio di teleriscaldamento pari ad almeno il 30% delle utenze locali.

D'altra parte, il dato temporale si rivela ancor più significativo se collegato ad altri aspetti, dai quali risulta ancor più evidente, per altri versi, il difetto di proporzionalità della delibera impugnata rispetto allo scopo perseguito.

Infatti, la P.A. avrebbe potuto adottare soluzioni atte a contemperare diversamente le esigenze in gioco:

- non sottraendo alla procedura di gara l'assegnazione della quota residuale (comunque significativa) di servizio gas metano, nonché degli altri servizi;

- modulando diversamente la transizione - peraltro parziale - dal vecchio al nuovo sistema, senza trascurare del tutto i profili concorrenziali.

Ed è appena il caso di rilevare che la non praticabilità economica di soluzioni alternative non può essere meramente asserita,

ma va verificata nei fatti, alla luce dell'esito della gara esperita, prima di ricorrere alla trattativa privata.

La delibera impugnata appare, pertanto, immotivatamente ed ingiustificatamente eccedente rispetto allo scopo primario perseguito, in quanto si basa sul conferimento attuale e futuro di una serie di servizi ad un soggetto, soltanto in funzione della necessità dello sviluppo (in futuro) del servizio di teleriscaldamento ad opera del medesimo soggetto; e ciò in mancanza di un'analitica considerazione dei profili temporali, nonché di stime quantitative e qualitative, che avrebbero potuto consentire soluzioni più idonee al perseguimento dell'obiettivo finale e, nello stesso tempo, maggiormente rispettose del principio di concorrenza.

Il Collegio ritiene che i profili di illogicità denunciati dalla ricorrente concretino in ultima analisi una violazione del principio di proporzionalità: la deliberazione impugnata individua infatti un mezzo che, sotto certi aspetti, non è pienamente idoneo rispetto allo scopo perseguito, e sotto altri aspetti si rivela ampiamente eccedente rispetto allo stesso, per le ragioni sopra esposte (cfr. TAR Lombardia III, 5 maggio 1998, n. 922, ove sono richiamati i tre criteri che concorrono a definire il principio in parola, ossia la idoneità al raggiungimento dello scopo, la necessità, e la proporzionalità in senso stretto, da intendersi come non eccessività rispetto all'obiettivo perseguito).

Si ribadisce che tali profili non attengono al merito dell'azione amministrativa, bensì ridondano in una vera e propria illegittimità.

Questo giudice non può e non vuole censurare la scelta effettuata individuandone una diversa, o indicando un parametro ottimale di riferimento.

Ferme restando le valutazioni attinenti ai fini, nonché l'opinabilità delle soluzioni tecnico - amministrative astrattamente ipotizzabili, ci si limita a rilevare un manifesto difetto di interna coerenza, ragionevolezza e proporzione, nei vari aspetti della scelta effettuata e del percorso motivazionale seguito dalla P.A.; difetto che risulta agevolmente rilevabile in giudizio, senza

alcuna invasione delle aree riservate alla discrezionalità tecnica, da un lato, e all'ambito delle scelte politico- amministrative, dall'altro.

Tutto ciò in un contesto in cui, alla stregua dei criteri di giudizio richiamati in precedenza, il ricorso alla trattativa privata riveste una connotazione strettamente residuale e postula una rigorosa valutazione comparativa delle diverse ipotesi in campo.

L'accertata illegittimità della valutazione permette di configurare la violazione dell'art. 267 del T.U. n. 1175/1931, a motivo dell'omessa dimostrazione della sussistenza delle circostanze speciali atte a giustificare la deroga all'obbligo di indizione di asta pubblica e la necessità del ricorso alla trattativa privata.

Ne risulta quindi confermata la fondatezza del primo motivo di gravame.

7. Il secondo motivo di gravame, strettamente connesso al precedente, è volto a lamentare il mancato ricorso - da parte della P.A. - ad una gara informale.

Il Collegio, pur nella consapevolezza che questo motivo, presupponendo comunque la legittimità del ricorso alla trattativa

privata, riveste in concreto carattere subordinato rispetto al precedente, ritiene nondimeno di doversi pronunciare sullo stesso.

Viene infatti in rilievo, sotto un ulteriore ma connesso profilo, l'esigenza di non trascurare il principio di concorrenzialità: nel caso di specie, la P.A. avrebbe quantomeno dovuto procedere ad una selezione informale, alla stregua di canoni operativi ormai consolidati (TAR Lombardia, 23 settembre 1998, n. 2167).

Al riguardo valgono, mutatis mutandis, le stesse argomentazioni sviluppate con riferimento al primo motivo di gravame, in quanto l'omesso ricorso alla gara (informale) non risulta congruamente motivato. Il motivo risulta pertanto fondato.

8. Con il terzo e il quarto mezzo di impugnazione, che vanno considerati congiuntamente, la ricorrente censura l'istruttoria condotta dalla P.A. nel caso sub iudice, rilevandone la carenza e la non conformità ai principi di imparzialità e buon andamento.

In buona sostanza, la ricorrente ritiene sussistenti due diversi ma complementari profili di illegittimità:

a) da un lato, la delibera impugnata, adottata dal Consiglio comunale, organo di derivazione politica, non è stata preceduta dalla disamina, quantomeno in veste consultiva, di organi tecnici imparziali (disamina necessaria per valutare le ragioni tecniche poste a fondamento della scelta operata): in tal modo sarebbero stati violati i principi affermati dalla Corte costituzionale, con

particolare riferimento alla composizione delle commissioni di gara;

b) dall'altro, la decisione recepisce la soluzione individuata nello studio di CISPEL LOMBARDIA SERVICES S.r.L.; questo

soggetto, peraltro, parrebbe essere un'emanazione dell'associazione di categoria delle Aziende Speciali degli Enti Locali

(categoria di cui A.E.M. S.p.A., privatizzata solo da pochi mesi, farebbe parte); pertanto, la decisione adottata dal Consiglio, in quanto basata sul parere reso da un soggetto indirettamente interessato alla scelta, sarebbe censurabile per illegittimità sia propria sia derivata (in conseguenza dell'illegittimità dell'affidamento dell'incarico di studio al CISPEL).

8.1 La difesa del Comune osserva:

a) che il principio enunciato dalla Corte costituzionale si riferisce al caso dei pubblici concorsi e che comunque il CISPEL ha svolto un adeguato studio tecnico;

b) che non vi sono elementi probatori tali da evidenziare l'asserito difetto di indipendenza di CISPEL LOMBARDIA SERVICES S.r.L..

Dal canto suo, la difesa della controinteressata pone in evidenza:

- l'ampiezza e l'oggettività dell'elaborato prodotto da CISPEL;

- l'espressa previsione, nello statuto CISPEL, dell'attività di consulenza nella materia in questione;

- l'assoluta indipendenza di CISPEL, che in precedenti occasioni ha sconsigliato l'affidamento del servizio ad aziende speciali,

e che comunque non è legata ad A.E.M. S.p.A. da vincoli particolari.

- il ricorso da parte della P.A. all'ausilio di un soggetto esterno alla propria organizzazione non ne fa venire meno l'imparzialità.

9. L'esame delle censure in questione postula alcune considerazioni preliminari.

Anzitutto, non può essere disconosciuta la facoltà della P.A. di ricorrere alle consulenze esterne, in presenza di determinati presupposti.

In linea di principio, poi, l'ausilio di un soggetto esterno alla propria organizzazione non basta, in via generale, a far venire meno l'imparzialità di un organo pubblico (Cons. Stato, Sez. V, 24 novembre 1997, n. 1357).

Il problema, nella specie, non risiede tanto nell'asserita parzialità della CISPEL LOMBARDIA SERVICES, in quanto emanazione dell'Associazione di categoria delle Imprese Pubbliche Locali della Lombardia. Il Collegio ritiene che questo semplice dato non basti, considerato da solo, a far ritenere illegittimo il conferimento dell'incarico di studio: del resto, nell'esperienza corrente può anche risultare in concreto assai problematico reperire un consulente che sia esperto di un determinato settore e risulti del tutto estraneo ad ogni possibile connessione, anche indiretta, con gli operatori del medesimo.

Né d'altra parte esiste agli atti prova di uno specifico legame tra CISPEL SERVICES S.r.L. ed A.E.M. S.p.A., tale da comportare una situazione di oggettivo e evidente conflitto rispetto alla specifica situazione di fatto.

Ferme restando queste premesse, occorre tuttavia effettuare una valutazione di tipo diverso, attinente al problema della completezza e all'affidabilità dell'istruttoria, che costituisce in realtà l'autentico nucleo delle censure in questione.

Ad avviso del Collegio, in casi come quello di specie, il fatto di richiedere un parere ad un soggetto estraneo non esonera i competenti uffici dell'Amministrazione dal compiere una propria valutazione, la quale possa fungere in un certo senso anche da "filtro", in vista della deliberazione finale del Consiglio.

In questo senso ed in questi limiti le censure sono fondate: il richiamo alla necessità di un'istruttoria tecnica imparziale e completa risulta fondamentale, avuto riguardo alle peculiarità della vicenda in discussione.

In proposito è sufficiente rilevare che il Consiglio comunale si è adeguato all'indicazione proposta da CISPEL, recependo le conclusioni dello studio predisposto, ritenuto esauriente.

Ma in realtà lo studio in questione (all. 2 doc. controinteressata), pur rivelandosi analitico nelle parti concernenti la descrizione

degli impianti e l'inquadramento della materia, risulta poi carente proprio nella parte quarta, avente contenuto propositivo.

In particolare, la società di consulenza, nel proporre lo sviluppo della fonte alternativa (teleriscaldamento), realizzabile con limitato dispendio grazie alla presenza della centrale A.E.M. sul territorio, asserisce che "uno studio tecnico - economico

particolareggiato potrà evidenziare il vantaggio di questa soluzione non solo in termini di inquinamento ambientale, ma anche in termini economici ed organizzativi per l'utenza e per il Comune" (parte quarta, p. 4).

Il Collegio si limita a rilevare che di questo (ulteriore) studio "particolareggiato" non vi è traccia in atti; e ciò rappresenta un significativo sintomo di carenza di adeguata istruttoria.

Ma è ancora più importante rilevare che, anche a voler dare per acquisita la convenienza di questa opzione di fondo, alla luce delle motivazioni fornite dal Comune (ed esaminate nel contesto del primo motivo di gravame), lo studio si rivela apodittico proprio sulla questione decisiva, concernente la verifica delle diverse strade percorribili per il raggiungimento dell'obiettivo della trasformazione del sistema.

In particolare, lo studio non contiene approfondimenti in ordine alla possibilità di un affidamento separato, anche temporaneo, del servizio gas metano, pur riconosciuto "assorbente per valore e dimensioni"; né esso si fa carico di valutare, nel contesto della complessiva ponderazione delle alternative possibili, la misura dei possibili benefici economici derivanti da un sia pur parziale ricorso alla gara pubblica.

Tutto ciò denota un difetto di istruttoria, nella misura in cui la P.A. si è limitata a recepire le indicazioni fornite - e non adeguatamente supportate da elaborazioni tecniche ed economiche - senza integrarle con ulteriori indagini.

Vanno ritenute fondate, in questo senso, le censure proposte dalla ricorrente al riguardo.

La rilevata carenza istruttoria contribuisce anche a chiarire ulteriormente le ragioni della fondatezza del primo motivo di ricorso.

I profili concernenti la logicità della scelta e la coerenza della motivazione si rivelano infatti strettamente intrecciati alle modalità dell'istruttoria: quest'ultima consente infatti di percepire, sotto il profilo dinamico dello svolgimento dell'azione amministrativa, le carenze poi rilevabili nella determinazione finale.

10. Con il quinto e il sesto motivo di gravame, da considerarsi congiuntamente, la ricorrente assume che la controinteressata A.E.M. S.p.A., in quanto Azienda del Comune di Milano, recentemente trasformata in Società a prevalente partecipazione maggioritaria del medesimo Comune, non sarebbe legittimata ad operare liberamente sul mercato, diventando affidataria di servizi di Enti locali diversi da quelli esponenziali delle collettività di riferimento.

In subordine, l'operatività extra moenia andrebbe quantomeno subordinata alla motivata dimostrazione di una comprovata utilità anche per la collettività di riferimento; il che avrebbe comportato, in concreto, un'adeguata istruttoria al riguardo ed un'apposita, concorrente valutazione da parte del Comune di Milano.

10.1 La difesa del Comune e quella della controinteressata negano che sussista un limite territoriale all'operatività delle S.p.A. a partecipazione pubblica locale, in quanto le stesse agiscono nell'esercizio della generale capacità di diritto privato.

10.2 L'esame della questione deve muovere da una premessa: secondo un autorevole orientamento giurisprudenziale, l'estensione dell'attività delle aziende speciali comunali fuori del territorio dell'Ente locale che le ha costituite presuppone comunque un collegamento funzionale tra il servizio eccedente l'ambito locale e le necessità della collettività locale, e richiede il rispetto di regole procedimentali e limiti sostanziali posti da norme positive, che disciplinano i moduli convenzionali o consorziali di cui all'art. 5 del D.P.R. n. 902/86 e agli artt. 24 e 25 della legge n. 142/1990; tutto ciò ove sussista la possibilità di un'integrazione funzionale tra le attività, tale da consentire la contemporanea soddisfazione anche delle esigenze della collettività stanziata sul territorio dell'ente che ha costituito l'Azienda (C.S. V, 6 aprile 1998, n. 432; V, 23 aprile 1998, n. 475; V, 23 aprile 1998, n. 477).

Si tratta allora di verificare se questo orientamento, condiviso dal Collegio, possa essere esteso al caso di specie, in cui viene in rilievo l'operatività di un soggetto che riveste la forma di S.p.A. a partecipazione maggioritaria pubblica locale.

Al riguardo, va segnalata la posizione assunta da TAR Abruzzo, sez. Pescara, 25 luglio 1998, n. 507, secondo cui la S.p.A. a prevalente capitale pubblico locale va considerata a tutti gli effetti come soggetto privato dotato di capacità imprenditoriale e pertanto può svolgere, nei limiti dello statuto, tutte le attività che non le sono espressamente vietate.

Detta posizione si fonda essenzialmente sui seguenti argomenti:

a) secondo la giurisprudenza della Cassazione (S.U. civ. 6 maggio 1995, n. 4989 e 6 maggio 1995, n. 4991), la s.p.a. a capitale pubblico è un soggetto privato che opera in base alla propria autonomia negoziale;

b) la presenza pubblica nel capitale e negli organi societari non incide sul fine di carattere industriale o commerciale della società;

c) è decisiva la considerazione dello statuto, non potendosi ritenere sussistenti limitazioni all'attività sociale che non siano previste nello stesso (ovviamente in mancanza di puntuali divieti legislativi).

10.3 Al riguardo, il Consiglio di Stato in sede consultiva ha ritenuto illegittima l'imposizione di un limite territoriale all'attività svolta dalle società a partecipazione comunale; ciò in quanto tale limite sarebbe in contrasto con quanto affermato dal Consiglio di Stato medesimo, che in tema di servizi pubblici ha configurato il riferimento alla comunità territoriale ed ai suoi interessi come un limite funzionale e non territoriale, e con l'indirizzo espresso dalla Corte costituzionale, che ha considerato il limite territoriale non applicabile all'attività degli Enti territoriali posta in essere con gli strumenti di diritto comune (Ad. gen. 16 maggio 1996, n. 90).

In linea di principio, va condiviso l'assunto della non ammissibilità di limitazioni formali di tipo territoriale.

Ed in punto di fatto è indubbia l'assenza di tali limitazioni nello statuto A.E.M., mentre d'altra parte l'attività oggetto della delibera impugnata rientra pacificamente nell'oggetto sociale (v. in part. art. 4).

Pur tuttavia, ad avviso del Collegio risulta fuorviante condurre la discussione sul terreno dei limiti statutari di carattere formale, rilevanti sul piano civilistico.

Il problema, infatti, come risulta dal summenzionato parere, è di carattere funzionale e non attiene tanto all'individuazione del regime civilistico dell'attività di A.E.M. S.p.A., quanto piuttosto alla legittimità della deliberazione impugnata: quest'ultima, in quanto atto amministrativo, deve essere valutata alla stregua dei canoni del diritto amministrativo, i quali consentono di dare evidenza anche ai limiti di carattere funzionale, come quello rappresentato dal collegamento con la comunità territoriale di riferimento.

Sotto questo aspetto, i criteri elaborati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato con riferimento alle aziende speciali sono tranquillamente applicabili anche al caso di gestione del servizio pubblico in forma societaria.

In particolare, è decisivo osservare, al riguardo, che l'opzione dell'Ente per tale modello di gestione del servizio comporta l'affidamento diretto e privilegiato dello stesso alla società appositamente costituita (Ad. Gen., 16 maggio 1996, n. 90); sotto questo aspetto, non sussiste differenza con l'assunzione diretta tramite azienda speciale, attesa la strumentalità dell'attività della S.p.A. rispetto ai fini perseguiti dal Comune che la costituisce: strumentalità da cui discende la rilevanza delle esigenze della collettività locale.

In senso analogo v. TAR Liguria II, 8 maggio 1997, n. 134, che ha enunciato le seguenti conclusioni, pienamente condivise dal Collegio:

- il mezzo di gestione attraverso società miste è riconosciuto dall'art. 22 della legge 142 per i " servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali ";

- tale finalità del modello societario vale a legittimarne l'esistenza e l'azione, nello specifico campo della gestione dei pubblici servizi, con la conseguenza che una società nata per questo scopo trova nello stesso anche il proprio limite di intervento (C.S. VI, 12 marzo 1990, n. 374);

- la strumentalità dell'attività non è principio ristretto all'ambito di azione delle aziende municipalizzate, ma va affermata anche in relazione alle società di tipo commerciale costituite da Enti territoriali (C.S. n. 1374/96);

- tale conclusione trova conforto dall'esame della normativa riguardante il più formalizzato settore delle società a prevalente capitale privato, settore per il quale il D.P.R. n. 533 del 1996 dispone, all'art. 2 secondo comma, che il bando di selezione del socio indichi, tra l'altro, le modalità di effettuazione del servizio pubblico da gestire " anche con riferimento agli ambiti territoriali

interessati " (principio che non può non valere, a maggior ragione, per la società a prevalente capitale pubblico locale).

10.4 D'altra parte, il Collegio intende richiamare l'attenzione sull'evidente alterazione della concorrenza, che deriverebbe dall'indiscriminata estensione dell'ambito di operatività delle società a prevalente capitale pubblico locale, le quali godono, tra l'altro, di benefici fiscali e dell'accesso agevolato ai mutui della Cassa Depositi e Prestiti.

Questi aspetti non sono privi di rilevanza per l'interprete.

Basti osservare, a tacer d'altro:

- che la tutela della concorrenza rappresenta un aspetto della garanzia del diritto di iniziativa economica di cui all'art. 41 della

Costituzione (art. 1, comma 1 della L. 10 ottobre 1990, n. 287);

- che i principi dell'ordinamento comunitario in materia di disciplina della concorrenza rilevano anche ai fini dell'interpretazione

della normativa interna: l'art. 1, comma 4, della L. n. 287/90 prevede questo canone ermeneutico con espresso riferimento all'interpretazione del titolo I della medesima legge; ma si tratta di un criterio suscettibile di più ampia applicazione, tenuto conto dell'integrazione in atto tra l'ordinamento interno e quello comunitario.

10.5 Le suesposte considerazioni conducono ad accogliere la tesi restrittiva, secondo cui l'operatività extra moenia delle società del tipo cui appartiene A.E.M. S.p.A., ancorché non preclusa in assoluto, resta subordinata a limiti di tipo funzionale, che postulano quantomeno la valutazione, caso per caso, del collegamento delle iniziative intraprese anche con le esigenze della

collettività territoriale di riferimento.

10.6 Alla luce di queste premesse, è agevole rilevare che nella specie non risulta dagli atti l'avvenuta valutazione del

collegamento tra l'attività affidata in concessione ad A.E.M. S.p.A. e la collettività territoriale di riferimento delle stesse.

In questi limiti, le censure prospettate dal ricorrente risultano fondate.

11. Le suesposte considerazioni comportano l'accoglimento del ricorso.

Restano assorbiti il settimo e l'ottavo motivo di gravame.

Conseguentemente occorre annullare la delibera impugnata in via principale (deliberazione C.C. del Comune di Cassano

d'Adda, n. 48 del 19 maggio 1998).

Non è necessario annullare invece gli altri due atti impugnati "per quanto occorra", ossia:

- la deliberazione C.C. n. 26 del 2 aprile 1998 (in quanto sostituita dalla delibera n. 48 /1998, la quale, pur confermando il

dispositivo della precedente delibera ed integrandone la motivazione in esito alla richiesta di riesame, si pone tuttavia come unico punto formale di imputazione degli effetti finali);

- la deliberazione G.C. n. 346 del 29 maggio 1997, con il quale è stato deciso l'affidamento dell'incarico di studio a CISPEL SERVICES S.r.L., in quanto, a prescindere da ogni ulteriore possibile considerazione, non si ravvisa un interesse specifico della ricorrente all'annullamento della stessa (posto che, alla stregua delle considerazioni sviluppate in precedenza, il vizio di difetto di istruttoria riscontrato dal Collegio si ripercuote sull'uso che la P.A. ha fatto di tale studio, e quindi sul provvedimento finale).

12. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico dell'Amministrazione e della controinteressata nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sez. III accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla la deliberazione del Consiglio comunale di Cassano d'Adda, n. 48 del 19 maggio 1998.

Condanna l'Amministrazione e la controinteressata A.E.M. S.p.A., in solido, al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese, dei diritti e degli onorari di giudizio, oltre agli accessori di legge, nella misura di L. 7.000.000 (settemilioni).

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