A cura di Pasquale ADDESSO[1] e Leonardo MICONI[2].
L’art.33, comma 13-ter, del dl 77/2021 ha introdotto una interessante[3] novella all’art.119 del dl 34/2020 (legge n.77/2020), quest’ultimo riguardante la vasta disciplina delle detrazioni fiscali per gli interventi connessi con l’efficienza energetica e la rigenerazione urbana (Incentivi per l’efficienza energetica, sisma bonus, fotovoltaico e colonnine di ricarica di veicoli elettrici). Disciplina fiscale che ex co.4 del citato art.119[4] ricomprende gli interventi per l'”attenuazione del rischio sismico” sulle costruzioni esistenti (cfr. DM 58/2017 modificato dal DM n.24 del 9.01.2020 e dal DM n.329 del 6.8.2020)[5].
Il dato normativo più rilevante è recato nel primo periodo del comma 13-ter dove il legislatore ha catalogato gli interventi di manutenzione straordinaria funzionali all’efficientamento energetico e rigenerazione urbana, nell’istituto che consente di operare il più celermente possibile: la comunicazione di inizio lavori asseverata ex art.6-bis del dPR n.380/2001 (CILA). Istituto come noto privo di istruttoria preliminare dell’Amministrazione quasi al pari della “edilizia libera” di cui all’art.6 del TUE (cfr. Tab. A, d.lgs. n.222/2016, e Glossario edilizia libera del 2018): a differenza dall’edilizia libera, nella CILA la PA si riserva le prerogative di “conoscenza” degli interventi per intervenire in via di eccezione al verificarsi di determinate circostanze.
Sul punto vale richiamare brevemente che la riforma liberalizzatrice di cui all’art.6 e art.6-bis del dPR 380/2001 era accettabile perché a fronte dei rischi di abusi, postulava l’onere dei controlli a campione[6] cui era tenuta la PA (e lo è ancora). Ciò nell’ottica di contrastare l’elusione dei titoli invece sottoposti a istruttoria come il permesso di costruire (PdC) e la segnalazione certificata di inizio lavori (SCIA). Benché solo il primo sia dotato di formale silenzio assenso (60 giorni ex co.8, art.20, dPR 380/2001), anche la segnalazione certificata è sottoposta ai “provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi” in caso di “carenza dei presupposti”, nei trenta giorni successivi alla presentazione (cfr. co.1, art.22, dPR 380/2001 in combinato disposto con il co.3 e co.6-bis, art.19, L.241/90). Termine quest’ultimo che, per un principio di prudenza, di fatto da luogo a una sorta di silenzio assenso, anche se l’attività edilizia può essere iniziata sin dalla data di presentazione della segnalazione (co.2 L.241/90).
Il tema dei controlli a campione è rilevante anche perché nella CILA confluiscono interventi tecnici non sempre facilmente circoscrivibili laddove questi risultano definiti dall’art.6-bis, co. 1, del dPR 380/2001 solo in via residuale: testualmente gli “interventi non riconducibili all’elenco degli articoli 6, 10 e 22 sono realizzabili previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato” (rispettivamente edilizia libera, SCIA e PdC).
Obbligo di controllo vieppiù rafforzato dal Piano Nazionale Anticorruzione del 2016 (cfr. Parte VI, par.5), ove tra le misure specifiche di contrasto alla corruzione[7] si prevede il sorteggio pubblico a campione in data fissa delle CILA (e non solo) da sottoporre a verifica; gli esiti dovrebbero essere pubblicati nella sezione web Amministrazione Trasparente. Per inciso, dalla consultazione dei PTPCT e dei report annuali dei RPCT[8] di alcuni tra i principali Comuni italiani, non sono emerse informazioni sullo svolgimento dei controlli a campione e del loro esito.[9]
Sempre nel primo periodo della novella risiede una ulteriore novità in merito all’elenco degli interventi tecnici ammessi con la CILA: infatti, gli interventi eseguibili ex art.119, cioè suscettibili di benefici fiscali, ora estesi alla soglia cd. 110%, rientrano sia nella manutenzione straordinaria per quanto attiene la componente energetica, sia nella manutenzione straordinaria pesante allorché riguardino le strutture esistenti ai fini della riduzione del rischio sismico tra cui: interventi di riparazione o locali, interventi di miglioramento e interventi di adeguamento (cfr. norme tecniche par. 8.4, DM 17.01.2018). Sono esclusi solo gli interventi “comportanti la demolizione e ricostruzione degli edifici“ per esplicita indicazione nel primo periodo: sembra pacifico che il riferimento alla demolizione/ricostruzione sia all’interezza di una costruzione esistente, di talché demolizioni parziali con o senza ricostruzione dovrebbero essere ammesse qualora ad es. si debbano ridurre le masse per ridurre le azioni sismiche di domanda, ecc. (riduzione di un solo piano della costruzione o di una sua parte). Oppure si debba eliminare un piano “soffice” con interventi che modificano la sagoma o i prospetti, e così via secondo la grande casistica riscontrabile nella prassi.
Va rimarcato che sono ammessi gli interventi locali sulle costruzioni che comportano anche nessuna classe[10] di riduzione del rischio sismico ex del DM 329/2020 (ALL.B), laddove essi consentono comunque di ottenere una attenuazione del rischio.
Senonché ex art.22 del dPR 380/2001, “gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art.3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell’edificio o i prospetti” rientrano nell’istituto della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). Né si può escludere il PdC. Coerentemente l’art.3, co. 3, DM 58/2017 e ss. mm. e ii. prevede che il progetto degli interventi e l’asseverazione per la riduzione del rischio sismico “devono essere allegati alla segnalazione di inizio attività o alla richiesta del permesso di costruire al momento della presentazione allo sportello unico competente“.
In definitiva, rientrerebbero nel contenitore della CILA postulata nel comma 13-ter interventi invece propri dell’istituto della SCIA e finanche del PdC. Da qui forse l’opportunità di migliorare la formulazione della novella in esame. Certo è che dovranno essere rivisitati i modelli in uso della CILA[11].
Appare perciò lecito parlare di una CILA tertium genus, giustificata dall’interesse pubblico preminente al raggiungimento degli obiettivi di ripresa del PNRR, PNIC e del PNIEC (cfr. art. 1, co.1, dl 77/2021). La straordinarietà della novella è bilanciata, oltre che dal campionamento visto, che rimane immutato, dall’impiego dell’istituto in un arco temporale molto ristretto e appunto in funzione strategica e dunque servente alla ripresa (31 dicembre 2023).
Per inciso, la novità in commento appare accettabile anche sotto un ulteriore profilo: infatti essa fa ricorso al medesimo approccio già sperimentato nel dl 76/2020, convertito in legge 120/2020, laddove le procedure ad evidenza pubblica del d.lgs. 50/2016 basate sulla pubblicazione del bando di gara, hanno lasciato spazio a procedure più rapide per la scelta del contraente: procedure negoziate senza previo bando fino al 31 dic. 2021, termine poi prorogato al 31. dic. 2023 nello stesso dl 77/2021, peraltro ulteriormente semplificate quanto a numero di partecipanti che rimane fisso a 10 fino alla soglia comunitaria (cfr. successivo art.50 del dl 77/2021). Ciò non senza sacrificio della libera concorrenza e tuttavia controbilanciato, per quanto possibile, dal criterio tassativo della rotazione degli inviti. Si tratta pur sempre di una misura limitata nel tempo.
Sotto altro profilo, sembra di rinvenire nel co.13-ter un’anticipazione della riforma al TUE postulata con un disegno di legge dove uno dei punti qualificanti sembra essere la riduzione dei titoli abilitativi (la CILA in commento sembra confluire nella SCIA del disegno di legge): nella CILA del comma 13-ter andranno in effetti ricomprese molti interventi delle definizioni dell’art.3 vigente, con l’effetto di assottigliare ancor di più gli oneri istruttori della PA con il PdC e proseguire nel percorso di demandare la legittimità dell’intervento all’asseverazione del progettista. Con effetti di sostegno al mercato dell’edilizia privata che trarrebbe uno stimolo dalla eliminazione dei tempi istruttori e/o dell’inerzia anche incolpevole degli uffici preposti.
Nel secondo periodo del comma 13-ter, si prevede che il progettista indichi (nella relazione di asseverazione) gli estremi del titolo edilizio che ha consentito la costruzione oppure del provvedimento che lo ha legittimato (cfr. estremi del condono edilizio). In alternativa si potrà attestare che le medesime sono state completate in data antecedente il 1 settembre 1967[12]. E che la CILA “non richiede l’attestazione dello stato legittimo dell’edificio di cui all’art.9-bis, comma 1-bis, del dPR n.380/2001“: nozione quest’ultima introdotta con una novella del dl 76/2020, in realtà di fatto già presente nei regolamenti edilizi[13] e a cui si fa ricorso per immobili assai risalenti nel tempo.
In sostanza, in fase di CILA, il proponente è esonerato dalla allegazione della prova dello stato legittimo dell’edificio, cui si ricorre per attestarne l’esistenza nonostante non si disponga al momento del titolo edilizio. Esonero che si spiega forse con la ratio della norma di rendere compatibile la procedura edilizia – diversamente condizionata dai tempi della ricerca documentale – sottoposta ai benefici fiscali con i tempi assi stretti dei Piani, nonché dalla necessità di non tralasciare l’ammodernamento energetico e/o strutturale di una parte molto rilevante del patrimonio edilizio delle città; ovvero di assicurare una crescita più armonica e uniforme possibili delle condizioni di benessere e al contempo di sicurezza.
Ciò che rileva, evidentemente sopra ogni altra esigenza procedimentale, è la certezza che le attestazioni ante 67 o dello “stato legittimo” non siano basate su false documentazioni e anzi siano producibili in fase di verifica da parte degli uffici preposti che abbiano sorteggiato la CILA. La stessa formula ante 67[14] cd. “notarile” utilizzata nella norma in commento, sembra potersi spiegare con la necessità di comprendere tutto il patrimonio edilizio esistente e al contempo assicurare anche sul piano sociale la parità di trattamento tra i proprietari di beni realizzati a cavallo della legge 765/1967. Nei fatti però, come vedremo meglio nel prosieguo, il controllo della documentazione probante la clausola ante 67 è trasferita al progettista che dovrà asseverare la CILA sottoscritta dal “richiedente”. Il tema del contenimento dei tempi sembra rimanere quindi di difficile superamento.
Il terzo e quarto periodo del comma 13-ter riscrivono le condizioni di decadenza dai benefici fiscali previste all’art.49 del TUE per le costruzioni abusive (assenza del titolo abilitativo, contrasto con il titolo, annullamento ex post del titolo) qualora:
- non si faccia ricorso alla presentazione di una CILA;
- i lavori siano eseguiti in difformità dalla CILA;
- assenza dei riferimenti alla esistenza del titolo abilitativo, ovvero della attestazione ante 67;
- fale attestazioni ex comma 14, art.119, dl 34/2020 (l. 77/2020).
Il primo luogo il riferimento alla CILA sembra dettato a pena di decadenza dal beneficio fiscale, non potendosi fare ricorso ai titoli abilitativi di cui all’art.10 e art.22 del TUE. Ciò è coerente con le finalità della norma laddove sono eliminati i tempi dei possibili controlli e si consente di intervenire ad horas anche in un procedimento già in corso di realizzazione sulla base di altri validi titoli. È da sottolineare che, qualora il progettista volesse cautelarsi facendo ricorso a una SCIA – che comporterebbe la verifica di conformità – si darebbe luogo ad un aggravio del procedimento: infatti la ricerca documentale di quanto necessario agli accertamenti può essere molto difficoltosa, oltre al danno per il committente che non potrebbe accedere ai benefici fiscali. Salvo perfezionare la norma sebbene non si vedano grandi spazi.
Rimangono garantiti i canoni di legalità dell’art.49 del TUE: l’opera su cui si interviene deve essere dotata di un titolo edilizio, anche “presupposto” per gli immobili più risalenti fermo rimanendo che il titolo sussista; inoltre, giammai le CILA possono incidere sulle prerogative proprie degli uffici preposti agli accertamenti tecnici.
Alla ragionevole obiezione[15] secondo cui attraverso la CILA si rischi di autorizzare interventi su immobili privi della conformità edilizia o che si possa perdere in conseguenza di essa, si può argomentare che qualsiasi CILA può risultare ex post inidonea a legittimare un intervento e come tale soggetta alla conseguente dichiarazione di inefficacia del giudice[16]. Nulla toglie che l’autore di un intervento rivelatosi abusivo a seguito dei controlli a campione, sia interessato da un provvedimento o pronuncia di restituzione del beneficio fiscale oltre all’applicazione del normale sistema sanzionatorio del TUE, compresa la rimozione dell’opera o manufatto.
È importante rimarcare che in caso di CILA illegittima, qui nel senso di istituto inidoneo a realizzare l’intervento, le sorti del committente che gode dei benefici fiscali e del progettista si differenziano, diversamente dal principio generale di corresponsabilità disegnato nel TUE. Infatti, proprio dalla tassatività del ricorso alla CILA prevista dal comma 13-ter per siffatti interventi, dovrebbe discendere la assenza di responsabilità del progettista per le difformità pregresse: come detto la CILA non è un titolo nel quale è prevista la verifica di conformità dell’immobile esistente. Criterio questo che non può essere rimosso tout-court dal comma 13-ter pena il venir meno dell’architettura della novella e il contrasto con la nozione di CILA dell’art.6-bis del TUE che, per tale aspetto definitorio, si sussume nella nuova CILA: qui la conformità agli strumenti urbanistico-edilizi è attestata solo con riferimento ai nuovi lavori da compiersi. Diversamente il riferimento alla CILA sarebbe stato privo di senso.
Tornando alla nozione di CILA: il comma 2 dell’art.33 afferma che: “restano in ogni caso fermi, ove dovuti, gli oneri di urbanizzazione“. Orbene, gli oneri di urbanizzazione non sarebbero mai dovuti in caso di CILA ex art.6-bis del TUE (le MdU ammesse sono unicamente quelle senza variazione del carico urbanistico e non sono ammesse modifiche di sagoma o di SUL), sicché l’onerosità prevista dalla nuova CILA appare una conferma del tertium genus. Dunque in siffatta CILA possono ricomprendersi anche gli interventi che comportano oneri di urbanizzazione (anche di sola costruzione) a significare l’ampiezza del neo contenitore e il superamento temporaneo e necessitato del vecchio schematismo. In sostanza sembra che tutto vada letto con il crisma della semplificazione e della speditezza.
Merita ancora qualche breve nota l’intervento sulle costruzioni esistenti. Come accennato, il DM 329/2020, modificando significativamente il DM 58/2017 ha incluso l’accesso ai benefici fiscali anche degli interventi tecnici sulle strutture che non comportino un passaggio (rectius: riduzione) di classe di rischio sismico. La novità così introdotta non è certo una elusione delle norme: anzi la previsione è ancorata proprio alle norme tecniche emanate con DM 17.01.2018 laddove l’aumento di sicurezza, ovvero la mitigazione del rischio sismico, può aversi anche con riparazioni locali[17]. Misura questa di grande rilevanza sociale oltre che economica, proprio per la predominanza del patrimonio edilizio più risalente come quello definito burocraticamente “ante 67”, che è anche quello più bisognoso di un aumento di sicurezza; ambito dove il rischio di sanzioni come la demolizione non sembra possa trovare reale fondamento, ovviamente fuori da casi di beni vincolati dal d.lgs. 42/2004, ecc.
In sede di conversione, sarebbe auspicabile il perfezionamento del campo definitorio della CILA, come pure, sarebbe utile che il RPCT di ciascuna amministrazione effettuasse ricognizioni mirate sull’applicazione delle misure anticorruzione e trasparenza nei processi di verifica campionaria delle CILA: benintesi, ciò anche se la norma in commento appare già efficacemente delineata per gli obietti prefissati dal Governo nel recentissimo dl 77/2021.
Occorre ora verificare se la novella abbia modificato il quadro delle responsabilità del progettista. Infatti sembra emergere un nuovo profilo di responsabilità penale laddove la CILA deve contenere per talune opere risalenti l’attestazione ante 67 (come detto la modellistica in uso dovrà essere modificata in più punti). Mentre nella prassi notarile tale dichiarazione è riservata alla parte venditrice, nella CILA sottoscritta dal “dichiarante” sono contenuti documenti e dichiarazioni asseverati dal progettista. Infatti nelle schede (unificate) della CILA elaborate in sede regionale è previsto che il progettista asseveri “una volta esperiti i necessari accertamenti“.
Come noto il progettista è ritenuto dalla giurisprudenza penale un soggetto esercente un servizio di pubblica necessità (art. 359 c.p. e art. 29, co. 3, dPR 380/2001), quale che sia la categoria di appartenenza, con riferimento alla predisposizione della relazione di accompagnamento della denuncia di inizio attività (odierna SCIA).
L’art. 29, III comma dPR 380/2001 pare configurare la specifica e distinta fattispecie di responsabilità del progettista di una denunzia di inizio attività per l’asseverazione richiesta dal I comma dell’art. 23 TUE. Quest’ultimo, infatti, non è figura elencata nel I comma dell’art. 29 medesimo, cosicché quello del III comma non è un profilo ulteriore di responsabilità, che viene a gravare, in via aggiuntiva, sul progettista: bensì è l’unica responsabilità che sembra individuata a carico del medesimo. Il progettista, in quanto non contemplato tra le figure del I comma, può rispondere, infatti, degli illeciti ivi indicati”- eventualmente ed esclusivamente”- a titolo di concorso.
La differenza tra la posizione del progettista di un intervento soggetto a permesso di costruire e di quello di un’opera sottoposta a DIA (SCIA) è determinata, sostanzialmente, dalla diversa efficacia che ha l’istanza di rilascio del permesso di costruire rispetto alla domanda di inizio attività (F. Salvia 18, 171 ss.; N. Assini-P. Mantini 2, 729; G. Pagliari 20, 303 ss.).
La giurisprudenza penale afferma che commette il reato di falsità ideologica in certificato (art. 481 c.p.), il progettista (in senso generale, cioè non solo quello di un progetto di un intervento assoggettato a DIA) che presenta, ai fini del rilascio del titolo abilitativo edilizio, planimetrie non rispecchianti lo stato dei luoghi (Cass. pen., Sez. V, 8 marzo 2000, in Dir e giust., 2000, 23, 60). Tale orientamento è stato avvalorato dalla Suprema Corte di Cassazione, nella sua più autorevole composizione, secondo cui sono da ritenersi riconducibili all’art. 481 c.p. “tutte le ipotesi di asseverazioni rilasciate da professionisti abilitati, caratterizzate dalla presenza di una norma di legge che anche solo implicitamente conferisca al documento una precisa attitudine probatoria” (da ultimo Cass. pen., Sez. Un., 24 aprile 2002 n. 18056, in Foro it., 2002, II, 407).
Sulla base di quanto concisamente riportato, si può concludere che l’atto di asseverazione obblighi il medesimo progettista a controllare preliminarmente la veridicità della documentazione a supporto anche della dichiarazione ante 67 resa dal dichiarante (altro non è che una surroga dello “stato legittimo dell’edificio”). Ampliandosi così il quadro delle responsabilità penali. Ma ciò può costituire un ostacolo all’applicazione della norma recata nel comma 13-ter qualora l’accertamento risulti dubbio per circostanze oggettive non dipendenti dal dichiarante o dagli uffici preposti, con la penalizzazione di una parte del patrimonio esistente. Ne sembra ragionevole ipotizzare che in tali casi il progettista possa avvalersi di apposita manleva da parte del dichiarante: se la classificazione è dubbia non si dovrebbe intervenire.
La citata disposizione dell’art.23, comma VI, pone inoltre in capo al Dirigente o al Responsabile del Servizio/Ufficio competente, l’obbligo della “comunicazione” all’Ordine professionale competente delle “dichiarazioni non veritiere”, di cui si sia reso responsabile il progettista. Quanto al procedimento disciplinare, lo stesso seguirà le regole proprie di ciascun ordinamento settoriale. “
4-bis.La detrazione spettante ai sensi del comma 4 del presente articolo è riconosciuta anche per la realizzazione di sistemi di monitoraggio strutturale continuo a fini antisismici, a condizione che sia eseguita congiuntamente a uno degli interventi di cui ai commi da 1-bis a 1-septies dell’articolo 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, nel rispetto dei limiti di spesa previsti dalla legislazione vigente per i medesimi interventi.