FRANCESCO CARINGELLA
(Consigliere di Stato)
L'ASSETTO DELEGIFICATO DELLA
NORMATIVA ANTIMAFIA E LA NUOVA DISCIPLINA DEL SUBAPPALTO
(Sintesi del commento all'art. 34 della legge n. 109/1994,
come mod. dalla Merloni ter. Tratto dal Commentario curato da F. Caringella, in corso di
pubblicazione per i tipi della Casa editrice IPSOA - Milano)
I - EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA ANTIMAFIA. STRUMENTI DI CONTRASTO DEL FENOMENO MAFIOSO SUL TERRENO DEI RAPPORTI ECONOMICI CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
Tra gli strumenti di lotta alla diffusione dell'impresa mafiosa e contigua un ruolo di primo piano va sicuramente ascritto alla normativa antimafia in materia di appalti pubblici, volta a contrastare una delle principali metodologie di aggressione ed inquinamento della vita economica, rappresentata per l'appunto dalla violenta o, comunque, imposta penetrazione delle associazioni criminali nelle procedure ad evidenza pubblica destinate all'assegnazione di opere e lavori di ingentissimo rilievo economico. La coscienza legislativa della necessità di affrontare , sul piano economico oltre che su quello squisitamente processual-criminale, la vis espansiva delle cosche mafiose è maturata con notevole e colpevole ritardo rispetto al salto qualitativo compiuto dal queste ultime nell'ottica del pervasivo innesto nel tessuto economico-imprenditoriale e, per conseguenza, dell'emancipazione delle iniziative economiche mafiose dalle fonti delittuose di "sostentamento". Se è vero, infatti, che la prima legge antimafia - con la quale è stata estesa l'applicabilità delle misure preventive personali della sorveglianza speciale o del divieto od obbligo di soggiorno, risale al 1965 (1), solo nel 1982, in forza dell'onda emotiva indotta dall'assassinio del generale Dalla Chiesa, è stata varata la legge Rognoni-La Torre, diretta a dar foggia a strumenti di contrasto complessivamente sussumibili nell'ottica di una strategia globale di lotta, anche per non dire soprattutto sul versante economico, al crimine organizzato (2).
La svolta in parola matura, in prima battuta, con il varo della fattispecie delittuosa dell'associazione di tipo mafioso ex art. 416 bis c.p., nel corpo della quale la caratterizzazione mafiosa di una struttura associativa promana dall'utilizzo della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento che ne deriva "per acquisire, in modo diretto o indiretto, la gestione, o comunque il controllo, di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni , di appalti e servizi pubblici".
E' stata inoltre rivoluzionata la mappa delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale, con l'introduzione del sequestro, della confisca e della cauzione. Si è così dischiusa una nuova ed importante prospettiva di controllo preventivo, che ha spostato il baricentro del controllo dalla persona al patrimonio. Detto mutamento prospettico deriva, nella sostanza, dal dato esperenziale in forza del quale è maturata limpida la consapevolezza di come "il vero tallone d'Achille delle organizzazioni mafiose è costituito dalle tracce che lasciano dietro di sé i grandi movimenti di denaro, connessi alle attività criminose più lucrose"(3). Ha giocato in questa direzione anche la constatazione che "il ricorso alla misura di prevenzione patrimoniale si prospetta come più promettente proprio in una ottica di deterrenza, dal momento che è ragionevole presumere che la possibilità di subire la confisca delle ricchezze illecitamente acquisite- operi da fattore che dissuade dalla stessa realizzazione delle attività delinquenziali destinate a produrle"(4).
Per quel che afferisce al campo degli appalti di opere e lavori pubblici, e più in generale dei rapporti economici con la P.A., il legislatore, modificando incisivamente la disciplina dettata dalla normativa del 1965, ha inteso contrastare la suddetta penetrazione delle associazioni criminali nelle maglie dell'azione amministrativa forgiando una serie di cautele sfocianti nell'adozione di misure di carattere patrimoniale o in decadenze ed effetti interdittivi di carattere economico-patrimoniale, agganciati alla presenza di un procedimento di prevenzione o alla sua conclusione. Si è così introdotta una vasta griglia di divieti, per i soggetti sottoposti a procedimento preventivo, di essere destinatari di provvedimenti autorizzatori e concessori e, soprattutto, di partecipare a procedure volte all'aggiudicazione di appalti, lavori pubblici e contratti similari.
Sempre in detto settore un passo ulteriore è stato compiuto con la legge 19 marzo 1990, n. 55, recante Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione della pericolosità sociale, la quale si è prefissa un obiettivo di moralizzazione dell'azione amministrativa, con particolare riguardo al settore degli appalti pubblici, che va al di là della semplice prevenzione e repressione delle infiltrazioni mafiose, per combattere più radicate e generali patologie amministrative (5). Si può pertanto condividere il rilevo secondo cui, a partire dalla legge del 1990, "appare del tutto riduttivo affermare che unico fine della normativa antimafia sia il controllo della spendita di denaro pubblico per prevenire le infiltrazioni nell'esercizio di attività economiche. Questa è infatti solo una tra le ben più vaste finalità che tale normativa vuole raggiungere e che sono ricollegate ad una più generalizzata moralizzazione del settore, anche a prescindere dalla penetrazione mafiosa" (6).
Come cennato, la normativa in esame, integrata dalla legge n. 356/1992 - di conversione del d.l. n. 306/1992 - e, da ultimo, per quel che afferisce alla delicata tematica della destinazione sociale dei beni sequestrati o confiscati, dalla legge 7 marzo 1996, n. 109, ha ampliato la sfera dei rapporti con la pubblica amministrazione inibiti ai soggetti colpiti da procedimento di prevenzione. L'art. 10, primo comma, della legge n. 575/1965, sostituito dapprima dalla legge Rognoni-La Torre e successivamente dalla legge n. 55/1990, contempla, infatti, il divieto, per le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una misura di prevenzione, di ottenere:
a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio;
b) concessioni di beni pubblici;
c) concessioni di costruzione nonché di costruzione e gestione di opere pubbliche e concessioni di servizi pubblici;
d) iscrizioni negli albi degli appaltatori o dei fornitori di opere e servizi riguardanti la pubblica amministrazione nonché nell'albo nazionale dei costruttori, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri dei commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso;
e) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo, per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati;
f) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo.
Il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina, inoltre, la decadenza di diritto da licenze, autorizzazioni, concessioni ed iscrizioni, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione e relativi subcontratti (art. 10, comma secondo, cit.).
La legge n. 55/1990, nell'ottica dell'anticipazione sempre più esasperata dell'azione preventiva, prevede la possibilità di congelare i rapporti tra soggetto sospettato di appartenenza ad un'associazione mafiosa e pubblica amministrazione in una fase ancora antecedente all'applicazione, in via definitiva , della misura di prevenzione. Nel corso del procedimento di prevenzione, è data, infatti, facoltà al Tribunale, in presenza di motivi di particolare gravità, di disporre in via provvisoria, con provvedimento revocabile ed automaticamente travolto dalla conclusione negativa del procedimento principale, i divieti di cui ai commi 1 e 2 e sospendere l'efficacia delle iscrizioni, delle erogazioni e degli altri provvedimenti di cui sopra. I caratteri di detto provvedimento anticipato di inibizione lo rendono assai affine ad una sorta di anticipazione provvisoria di pena accessoria, con conseguente alimentazione di dubbi di legittimità costituzionale.
Un ulteriore inasprimento della forme di lotta deriva dall'estensione delle decadenze e delle inibizioni in esame anche a soggetti, almeno formalmente, diversi dal soggetto colpito da misura di prevenzione od assoggettato a procedimento preventivo. Il Tribunale provvede, infatti, previo contraddittorio con gli interessati, all'estensione dei divieti e delle decadenze de quibus anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta a misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui il prevenuto sia amministratore o determini in qualsiasi modo le scelte e gli indirizzi (art. 10, quarto comma cit.) (7). In questi casi i divieti sono efficaci per la durata di cinque anni.
Inutile dire che la ratio di siffatta estensione dello status di soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione ad altre persone fisiche ed a persone giuridiche deriva, in linea retta, dalla presunzione che queste ultime operino alla stregua rispettivamente di prestanomi o di schermo formale rispetto all'indiziato di mafia, vero dominus delle attività economiche da neutralizzare (8). In questa prospettiva, la scelta legislativa fissa una presunzione, da verificare alla stregua del principio di ragionevolezza, che, lungi dall'entrare in sé in contrasto con il principio di personalità della responsabilità ex art. 27 Cost., va a toccare soggetti che non possono essere considerati terzi, ed , anzi, concerne direttamente la stessa persona sottoposta a misura di prevenzione , traguardata nelle sue forme esplicative in campo economico. La presunzione assoluta di interposizione cristallizzata dal legislatore è stata appena temperata dall'introduzione di un minimo contraddittorio ai sensi dell'art. 10 quater, comma primo, della legge del 1965, il quale dispone che li Tribunale, prima di adottare il provvedimento estensivo di decadenza o di divieto nei confronti dei terzi ora elencati, li chiami ad intervenire nel procedimento come parti interessate, avvalendosi dell'assistenza del difensore, per svolgere le proprie deduzioni o per chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione.
Un problema interpretativo sorge, peraltro, ai fini della definizione del concetto di convivenza: secondo un'opzione interpretativa, il concetto riguarderebbe qualunque persona, legata o non da rapporti di qualsiasi specie, che di fatto viva sotto lo stesso tetto con il diretto interessato, escluse le situazioni di mera occasionalità della coabitazione derivante da rapporto di ospitalità (9); ad avviso di altra, più garantista, prospettazione, il recupero del significato lessicale del termine, unitamente alla necessità di limitare l'efficacia interdittiva solo a quanti possano essere ragionevolmente ritenuti dei prestanomi dell'interessato, reputa la convivenza come "formazione sociale volta al processo di sviluppo e crescita della persona, proprio della famiglia", connotata dalla abitualità della dimora e dalla "messa in comune di tutto o parte del reddito di lavoro percepito dai singoli componenti l'insieme" (10).
Il D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modifiche dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, aggiungendo il comma 5 bis al citato art. 10 della legge del 1965, ha ulteriormente rafforzato il novero delle preclusioni e delle interdizioni tratteggiate, disponendo che, salvo i casi di semplice rinnovo, l'emanazione dei provvedimenti innanzi esaminati e la stipulazione dei contratti con la P.A. da parte di soggetti sottoposti a procedimenti di prevenzione, non può essere consentita senza preventiva comunicazione all'autorità giudiziaria, la quale può disporre opportuni divieti o sospensioni. All'uopo, i relativi procedimenti sono ipso jure congelati fino a quando il giudice non provvede e, comunque, per un periodo non superiore a venti giorni dalla data in cui la P.A. ha proceduto alla comunicazione. E' evidente l'anticipazione temporale dell'intervento preventivo giurisdizionale, caratterizzato dalla possibilità di soffocare qualunque tipo di iniziativa economico- imprenditoriale sulla base del solo presupposto dell'ipotetica appartenenza ad un'associazione mafiosa. L'area coperta non riguarda più, quindi, i classici comportamenti ante delictum, così come concepiti dal legislatore del 1956 o del 1965, ma impinge su atteggiamenti che del tutto "pre-giudizialmente" si teme abbiano matrice mafiosa (11).
Detto arretramento della soglia del controllo preventivo è compensato dalla valvola di sfogo in forza della quale, decorso un certo periodo di tempo (venti giorni) dalla comunicazione dell'autorità amministrativa a quella giurisdizionale, l'interessato può intraprendere l'attività economica ripromessa, senza essere vincolato ad un'ulteriore attesa dell'espresso pronunziamento del giudice competente. Ne deriva la spericolata traslazione in ambito giudiziario di un istituto tipicamente amministrativo, come quello del silenzio assenso, "surrettizamente riproposto proprio in un settore di confine qual è quello delle misure di prevenzione" (12).
La normativa del 1992 ha inserito inoltre un comma 5 ter, a mente del quale le disposizioni di cui sopra trovano applicazione anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in appello, per uno dei delitti di cui all'art. 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale, tra i quali rientrano i delitti di matrice mafiosa.Si tratta, per la precisione, dei delitti, consumati o tentati, di cui agli artt. 416 bis e 630 c.p., nonché dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni indicate nel predetto art. 416 bis c.p. o per agevolare l'attività delle associazioni ivi previste e dei delitti di cui all'art. 74 del D.P:R. n. 309/1990 (associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti).
Naturali corollari del congelamento delle relazioni economiche tra soggetti sospettati di appartenenza ad associazioni mafiose e pubblica amministrazione, con specifico riferimento al settore degli appalti e lavori pubblici, sono dati , nell'ambito della legge n. 55/1990 e degli interventi normativi posteriori (tra i quali si segnalano sin da ora il D.L. 13/5/1991, n. 152, conv. in legge 12.7.1991, n. 152, in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'azione amministrativa, la legge 11 febbraio 1994, n. 109, come modificata dalla legge 216/1995, in tema di appalti di lavori pubblici, il D.Lgs. 18 aprile 1994, n. 490, attuativo della legge 47/1994, in tema di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia), in particolare:
a) dalla previsione di sanzioni, anche penali, a carico dei pubblici funzionari ed impiegati che non provvedano a disporre il ritiro dei provvedimenti e la cancellazione dagli albi per i soggetti in esame (art. 10 bis, della legge n. 575/1965, introdotto con legge n. 646/1982 e mod dalla legge n. 55/1990) ovvero che stipulino contratti o subcontratti in violazione dei divieti di legge (art. 10 quinquies);
b) dalla subordinazione del rilascio di provvedimenti e della stipulazione dei contratti in parola alla presentazione della cd. certificazione antimafia (ora sostituita dalle cd. cautele antimafia) , ossia di certificazione, rilasciata dalla Prefettura, attestante la pendenza di procedimenti per l'applicazione della misura di prevenzione nonché la sussistenza di provvedimenti che applicano una misura di prevenzione o di condanna e di provvedimenti che dispongono i divieti, le sospensioni e le decadenze di cui si è detto;
c) da un inasprimento, rafforzato da sanzioni penali, dei limiti relativi al
subappalto di opere pubbliche, da sempre costituente mezzo anche sofisticato di
aggiramento del divieto di aggiudicazione di appalti pubblici a favore di soggetti colpiti
da procedimenti o provvedimenti di prevenzione (cfr. art. 18 della legge n. 55/1990, che,
tra l'altro , ha esteso il divieto del subappalto e del cottimo anche ai noli a calo o ai
contratti similari che prevedono l'impiego di manodopera da parte dell'impresa
affidataria; art. 34 della legge n. 109/1994).
II - Ruolo e caratteristiche della certificazione antimafia nella disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 490/1994
Dalle considerazioni articolate emerge che essenziale al fine di escludere la penetrazione delle cosche mafiose nel mondo degli appalti risulta la verifica da parte dell'amministrazione della documentazione attestante la non ricorrenza delle cause impeditive ed ostative precedentemente descritte. Un ruolo centrale riveste l'acquisizione della cd. "certificazione antimafia".
L'originaria connotazione dell'istituto, di cui all'art. 10 sexies della legge del 1965, introdotto dalla legge n. 55/1990, subordinava il rilascio di provvedimenti ampliativi e la stipulazione dei contratti da parte della P.A. alla presentazione, ad opera dell'istante o del richiedente, della cd. certificazione antimafia, ossia di certificazione, rilasciata dalla Prefettura, attestante la pendenza di procedimenti per l'applicazione della misura di prevenzione nonché la sussistenza di provvedimenti che applicano una misura di prevenzione o di condanna ovvero di provvedimenti irrogativi di divieti, sospensioni e decadenze di cui all'art. 10 della legge n. 575/1965.
L'originaria connotazione dell'istituto, di cui all'art. 10 sexies della legge del 1965, introdotto dalla legge n. 55/1990, contemplante la possibilità d rilascio del certificato su istanza del diretto interessato, è stata modificata in profondità con il decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, in attuazione della legge di delega n. 47 del 17 gennaio 1994.
L'istituto della certificazione è stato così sostituto con il sistema delle cosiddette "cautele antimafia", caratterizzato dall'eliminazione del certificato antimafia su richiesta del privato. La nuova disciplina è riassumibile nei termini che seguono.
a) Per i contratti (ivi compresi, secondo taluno, i subcontratti, pur non espressamente citati dalla legge del 1994) di importo inferiore a 50 milioni di lire non è più necessaria alcuna certificazione o dichiarazione sostitutiva (13). Come chiarito dalla circolare PCM del 28 giugno 1990 , alla luce delle finalità generali della normativa antimafia, le cautele non operano neanche per i provvedimenti che non ineriscono all'attività imprenditoriale dei privati, anche se dotati di una precisa finalità economica (es: titoli abilitativi per lo svolgimento di un lavoro autonomo o dipendente senza carattere imprenditoriale; titoli autorizzatori o concessori relativi al perseguimento di un interesse economico estraneo all'impresa).(14) Le cautele non sono richiamate inoltre per i rinnovi che non richiedono l'esplicazione di attività provvedimentale o che si esauriscono in adempimenti periodici dell'interessato. Nonostante l'assenza di una previsione espressa, si ritiene inoltre che non siano necessarie le cautele ove beneficiario dell'atto o contraente sia soggetto a sua volta tenuto alla richiesta di comunicazioni o di informazioni Infine non si applicano le cautele per il rilascio o il rinnovo di licenze ed autorizzazioni rilasciate dall'autorità provinciale di P.S., posto che la stessa autorità accerta direttamente l'esistenza o la sopravvenienza di cause interdittive.
b) Per i contratti di valore compreso tra i 50 milioni ed i 300 o 200 milioni, ovvero le soglie comunitarie, a seconda dei casi, è previsto, con l'abolizione della certificazione cartacea ed un notevole conseguente snellimento burocratico, un sistema di comunicazioni prefettizie da effettuarsi attraverso collegamenti telematici ed informatici tra committenti e Prefettura. Sono al riguardo attivati collegamenti tra Prefetture ed enti pubblici della provincia che consentono la trasmissione a questi ultimi di segnalazioni circa la sussistenza di cause di divieto o sospensione dei procedimenti. In tali casi, peraltro, nessun provvedimento di diniego potrà essere adottato dall'amministrazione se non previa conferma da effettuarsi da parte della Prefettura, anche mediante elenchi cumulativi, entro dieci giorni dalla richiesta nominativa. E' contemplata la praticabilità dell'autocertificazione per i casi di urgenza o di mero rinnovo Le comunicazioni riguardano solo le cause ostative formalizzate dall'art. 10 della legge del 1965 con riferimento alla persona direttamente interessata, articolo richiamato negli allegati al decreto del 1994, non invece i tentativi di infiltrazione mafiosa di cui sub c). La comunicazione ha efficacia trimestrale, e può essere utilizzata per la stipula di più contratti.
c) Per la stipula di contratti superanti le soglie sub b), le amministrazioni sono tenute a richiedere al Prefetto specifiche e complete informazioni, estensibili anche a familiari conviventi e direttore tecnico dei lavori dell'impresa, concernenti, oltre che le cause ostative di cui alla legge del 1965, anche i tentativi di infiltrazione mafiosa . L'informazione costituisce quindi presupposto per la stipula del contratto. In assenza di indicazioni normative, si ritiene non estensibile l'efficacia temporale di tre mesi .(15) Ove le ricerche sortiscano esito positivo in merito alla sussistenza di cause ostative relative al soggetto a terzi collegati ed anche nelle ipotesi in cui emergano notizie attestanti infiltrazioni mafiose nell'impresa, è fissato il divieto di rilascio dell'atto o di stipulazione del contratto o subcontratto.
Quanto alla risposta prefettizia alle richieste di informazioni la legge stabilisce il termine di 15 giorni, con possibilità di proroga di ulteriori 30 giorni in caso di accertamenti di particolare complessità.
Alla luce della fisiologica complessità degli accertamenti, specie in materia societaria , specie in rapporto alla problematica individuazione del concetto di tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui si dirà di qui ad un attimo, si tratta di termine, anche nel caso di proroga, palesemente indeguato, specie se rapportato a quelle previsto per lo svolgimento di indagini giudiziarie.
L'esiguità del dato temporale porta inevitabilmente con sé il carattere sommario dell'accertamento prefettizio. La sommarietà è vieppiù indotta dalla considerazione, avallata dalla dottrina preponderante, secondo cui trattasi di termine perentorio (16).
Come chiarito in sede di circolare ministeriale, il legislatore subordina quindi la stipulazione del contratto non più solo alla formale "non interdizione del soggetto" ma anche all'insussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa sul piano sostanziale. (17) La locuzione "tentativo di infiltrazione mafiosa" presenta invero ampi margini di ambiguità.
Proprio per scongiurare, o quanto meno limitare, un rischio di tal fatta, nell'attesa di un auspicabile intervento chiarificatore del legislatore, il Ministro dell'Interno, con circolare del 14 dicembre 1994, ha indicato elementi sintomatici necessari ai fini dell'individuazione dei fenomeni di infiltrazione di cui trattasi:
a) sussistenza di provvedimento di condanna o di rinvio di giudizio per uno dei delitti di cui all'art. 51, comma 3 bis, del codice di rito penale, ovvero per uno dei delitti di cui agli artt. 648 bis , 648 ter c.p., a carico di uno dei soggetti indicati nelle lettere d) ed e) dell'allegato 4 del D.Lgs. n. 490/1994;
b) sussistenza, a carico dei medesimi soggetti, di provvedimento di condanna o di rinvio a giudizio per il delitto di estorsione o di usura, dal quale risulti il tentativo dell'autore di conseguire indebitamente la titolarità dell'impresa o di quota di essa;
c) adozione, nei confronti delle imprese o delle società interessate, di uno dei provvedimenti di cui all'art. 3 quater della legge n. 575/1965 o sussistenza del relativo procedimento, purché sia stata già notificata agli interessati la richiesta del Procuratore della Repubblica o del Questore;
d) concordanti risultanze, a seguito degli accertamenti disposti a mente dell'art. 1, quarto comma, e dell'art. 1 bis del D.L. 629/1982.
Resta da verificare se i dati sintomatici di cui alla circolare in parola costituiscano un numerus clausus, o se, come pure opina autorevole dottrina, vi sia spazio per altre ipotesi, quali, l'individuazione, all'interno degli organi rappresentativi dell'impresa, di soggetti con pendenze penali per reati tipici della criminalità organizzata o per gravi reati comuni o proposti per l'adozione della sorveglianza,o la sussistenza di rapporti di amicizia dei componenti degli organi di amministrazione con soggetti gravitanti nell'orbita della criminalità organizzata, o l'emersione di situazioni di esposizione debitoria nei confronti di società finanziarie in odore di mafiosità o di controllo attraverso la proprietà della maggioranza delle azioni da parte di società a loro volte infiltrate (18).
Naturale corollario delle cautele antimafia sono i limiti ed i divieti di stipulazione di contratti con soggetti a carico dei quali dalle informazioni emergano elementi ostativi.
Nell'allegato 1 del decreto delegato del 1994 il divieto di stipulazione di contratti o di rilascio di atti è sancito in ipotesi di provvedimento definitivo di applicazione di misura di prevenzione ex art. 10, comma secondo, della legge n. 575/1965, di sentenza definitiva di condanna o di sentenza di appello confermativa di sentenza di condanna di primo grado per reati ex art. 51, comma tre bis, c.p.p., di provvedimento provvisorio del Tribunale di applicazione della misura di prevenzione ex art. 10, comma 3 e 5 bis, della legge 575/1965 e di provvedimento del Tribunale relativo alle persone fisiche e giuridiche di cui all'art. 10, comma quarto, legge cit.
La normativa in esame disciplina inoltre dettagliatamente anche le ipotesi di decadenza e di sospensione.
Resta in ogni caso confermato, superando orientamenti interpretativi ambigui sul punto , che l'effetto interdittivo non deriva dalla sola pendenza del procedimento di prevenzione, ove detta pendenza non sia accompagnata da provvedimento giurisdizionale nei casi tassativamente contemplati dall'art. 10 della legge del 1965 (commi 3 e 5 bis), ossia nei casi di provvedimento per motivi di urgenza del Tribunale o di provvedimento interdittivo del Tribunale emanato nel termine di venti giorni dalla relativa comunicazione da parte dell'amministrazione (19).
In ogni caso, ove i requisiti in tema di legislazione antimafia vengano meno in
corso di esecuzione del contratto, ai sensi del quinto e del sesto comma dell'art. 4 del
decreto delegato del 1994, la P.A. avrà, in casi di lavori di particolare urgenza, non
più l'obbligo (ex artt. 340, 345 della legge n. 2248/1865) ma la facoltà di revocare
l'affidamento, salvo il pagamento delle opere effettuate., alla luce del venir meno di un
requisito genetico condizionante in origine la possibilità di stipulazione.
III - L'avvento del decreto sbloccacantieri (decreto legge 15 marzo 1967m convertito in legge n. 135/1997).
L'art. 15 del d.l. 15 marzo 1997, n. 67, ha aggiunto un ulteriore tassello alla travagliata storia delle procedure in materia di controlli antimafia negli appalti pubblici.(20).
Detta norma non ha scardinato l'intelaiatura di fondo della normativa del 1994, limitandosi ad apportare significativi elementi di correzione al fine di conseguire un'ulteriore semplificazione del regime delle "cautele antimafia".
Per quel che afferisce alla comunicazione, la semplificazione concerne, per il futuro, l'effettiva attivazione del sistema automatizzato che costituisce la nervatura operativa della novella del 1994. Constatata la mancata attivazione dei collegamenti informatici e telematici di cui all'art. 2 del decreto legislativo n. 490/1994, fra le prefetture e le amministrazioni interessate, è stata opportunamente prevista (comma due bis del decreto lgs. 490/1994) l'emanazione, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con quelli dell'industria e della giustizia, di apposito regolamento volto a stabilire le modalità necessarie all'attuazione di un collegamento similare fra Prefetture e camere di commercio, con correlative interrelazioni e possibilità di accesso tra i due sistemi. Le attestazioni della camera di commercio, recanti apposita dicitura stabilita in sede di regolamento ministeriale, sono quindi equiparate alle comunicazioni della prefettura inerenti alla inesistenza di cause di divieto o di sospensione.
Una novità di fondo dell'intervento governativo del 1997, che va a toccare uno dei punti di fondo della normativa del 1994, è data dal riconoscimento, in armonia con l'impostazione anteriore al d. lgs. n. 490/1994, della possibilità, anche per i privati, di richiedere le comunicazioni antimafia (comma due ter dell'art. 2 del decreto legislativo n. 490/1994). L'intento acceleratorio, che anima la riattivazione dell'impulso di parte , è rafforzato anche dall'introduzione della possibilità di rivolgersi alle prefetture del luogo di residenza o sede, con conseguente decongestionamento delle pratiche nelle prefetture dei grossi centri. La presentazione dell'istanza è in ogni caso subordinata alla previa informazione all'amministrazione procedente che, sempre nell'ottica dello snellimento, potrà fornire eventuali diverse disposizioni.
Il decreto n. 67/1997 ha battuto la via dell'accelerazione e dello snellimento, anche con l'ampliamento dello spettro temporale di validità della comunicazione, innalzato da tre a sei mesi. Si raggiunge, in tal modo, la duplice finalità di evitare un sovraffollamento degli uffici per il rilascio di molteplici certificazioni e la possibilità, in omaggio alle indicazioni fornire con circolare del Ministero dell'interno in data 8 gennaio 1996, di utilizzazione della comunicazione per più contratti.
Quanto infine agli adempimenti successivi alla stipula il decreto legge, in parte ripristinando la filosofia dell'abrogato art. 10 sexies della legge n. 575/1965, commi 11°, 15° e 16°, prevede che in caso di protrazione del rapporto oltre il biennio, deve intervenire un rinnovo della comunicazione ogni diciotto mesi (comma due quater dell'art. 2 del d. lgs. n. 490/1994).
Fin qui gli interventi governativi in tema di comunicazione antimafia.
Per quel che invece attiene alle informazioni antimafia, il comma secondo dell'art. 15 del decreto n. 67, confermando l'impostazione dottrinale in merito al carattere perentorio dei termini cristallizzati dal decreto legislativo n. 490/1994, prevede che "anche fuori dei casi di somma urgenza"-prima costituenti l'unica esplicita ipotesi di deroga all'obbligo di acquisizione delle informazioni- "le amministrazioni possono procedere qualora le informazioni non pervengano nei termini previsti In tal caso, i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui al comma uno sono corrisposti sotto condizione risolutiva" (viene così integrato il comma cinque dell'art. 4 del decreto n. 490/1994).
Ora se non vi è dubbio circa l'utilità della previsione in esame al fine di dare un reciso taglio agli snervanti tempi di attesa, che giungevano anche a svariati mesi, con il blocco dei cantieri, riemerge prepotentemente il dubbio relativo alla congruità del termine di legge, da più parti ritenuto insufficiente, anche alla luce dell'estrema complessità dell'enucleazione dei descritti fenomeni di "tentativi di infiltrazione mafiosa".
Il legislatore, in ogni caso, limitandosi alla previsione della condizione risolutiva di cui sopra, nulla dice in merito alla sorte dei contratti e delle concessioni i caso di sopravvenienza di informazione positiva, mentre, come ricordato, in caso di lavori di somma urgenza è prevista la mera facoltà di recedere dal contratto o di revocare l'autorizzazione o la concessione.
L'estensione di detta specifica previsione normativa è tuttavia preclusa, ad avviso di chi scrive, dal carattere anomalo della stessa, evidenziato plasticamente dalla possibilità di tenere in vita un rapporto con soggetto di cui si sospetti in concreto la caratterizzazione mafiosa. Detta anomalia, discutibile in un sistema legislativo connotato per il resto da notevole rigidità, da un lato, impone un'interpretazione particolarmente rigorosa dei casi di urgenza abilitanti al mantenimento in vita del contratto - sostanzialmente da reputarsi ricorrenti solo in caso di eventi calamitosi, e comunque di accadimenti idonei a mettere in concreto a repentaglio l'incolumità pubblica o individuale - dall'altro sconsiglia l'applicazione ai casi diversi dalla somma urgenza, nei quali quindi l'azzeramento del contratto o del provvedimento non potrà non essere doveroso.
III La legge Bassanini (art. 20 della legge n. 59/1997) ed il
regolamento di attuazione (d.P.R. 3 giougno 1998, n. 252)
Il regolamento del 1998 si prefigge, sostituendo la disciplina dettata dal D.M. n. 486/1997 (che ha introdotto la comunicazione informatica della camera di commercio), di dare attuazione alla norma di delegificazione sancita per il procedimento di che trattasi dalla clausola generale di cui all'art. 20 della legge n. 59/1997, come mod. dalla legge n. 127/1997 (21).
Verso la liberalizzazione e la semplificazione
Novità di fondo, in un'ottica liberalizzatrice, è l'ampliamento della fascia esente da certificazione, che passa dagli attuali 50 milioni ai 300 milioni. Detta fascia esente è destinata a fare il paio con quella interessata dalla liberalizzazione, ancora da venire, in materia di albo costruttori, per la quale parimenti il certificato ANC non dovrebbe essere necessario per le gare sotto i 300 milioni.
Durata della documentazione e momento dell'acquisizione
Per quel che concerne la durata della documentazione antimafia (sia comunicazione che informazione), l'art. 2, comma 1, chiarisce che la documentazione (sia comunicazione che informazione) avrà un regime di utilizzabilità di 6 mesi dalla data del rilascio da parte della Prefettura o di altri soggetti (ad esempio la Camera di commercio) Si chiarisce così il dubbio insorto all'indomani della legge n. 135/1997 in merito all'operatività di detto termine anche per le informazioni (richieste per le gare sottosoglia) oltre che per le comunicazioni (necessaire per le gare soprasoglia). 22 Precisa il comma 2 dello stesso articolo che è sufficiente la validità della certificazione al momento dell'acquisizione e non della successiva utilizzazione. Ne consegue che gli atti possono essere adottati ed eseguiti, compresi i relativi pagamenti, in un torno temporale successivo alla scadenza della validità della certificazione in parola.
A sua volta l'acquisizione, al pari di quanto previsto dal D.M. n. 486/1997, deve avvenire per la comunicazione sin dalla fase della partecipazione alla gara di appalto, unitamente al certificato di iscrizione al registro delle imprese23; per l'informazione, per la quale non è possibile richiedere certificato camerale, l'acquisizione avviene la momento dell'aggiudicazione.
Utilizzazione in altri procedimenti
Il regolamento, dissipando anche i dubbi circa l'estensibilità alla materia antimafia delle norme della Bassanini 2, in punto di utilizzabilità delle certificazioni per altri procedimenti attraverso la produzione di copia autentica, prevede (art. 2, comma 1) che tutte le certificazioni (sia comunicazione che informazione) in corso di validità siano utilizzabili anche in altri procedimenti riguardanti gli stessi soggetti. Limitatamente alla sola comunicazione è consentita, anche ove non si tratti degli stessi soggetti, la produzione di copia autentica.
Eliminazione degli adempimenti successivi alla gara
Il d.P.R. n. 225/1998, all'art. 13, dispone l'abrogazione dell'ultimo adempimento documentale previsto in materia , per la fase successiva alla gara, dalla legge n. 135/1997, modificativo dell'art. 2 del D.Lgs n. 490/1994, ossia l'obbligo di rinnovo, per le comunicazioni, almeno ogni 18 mesi per i contratti e rapporti di durata superiore al biennio. L'eliminazione di dette incombenze documentali, ispirata ad una chiara volontà di snellimento operativo, non inficia, ad avviso di chi scrive, l'ultravigenza del principio giurisprudenziale, espressione di un più generale modulo relazionale tra P.A. e privati nella gestione di attività di interesse pubblico, a guisa del quale i requisiti di idoneità devono permanere nel corso dell'esecuzione del contratto non essendo sufficiente la sussistenza in sede di gara. Di qui la facultizzazione per la P.A. (rectius l'obbligo) all'attivazione di controlli relativi.(24).
Regime della certificazione camerale e della comunicazione
Quanto alla certificazione camerale, equiparata alla comunicazione se caratterizzata dalla dicitura antimafia ex art. 9, il d.P.R. del 1998, la normativa, riprendendo il decreto del ministero dell'interno del 1997, all'uopo assorbito (25), dispone l'attivazione di collegamenti telematici tra Prefetture e Camere di commercio e consente agli interessati di ottenere dagli sportelli camerali i certificati con apposita dicitura senza rivolgersi alle Prefetture
La normativa prevede, per le comunicazioni, l'estensione ai contratti fino a 300 milioni, l'attivazione del regime telematico, la disciplina in punto di autocertificazione (limitatamente ai casi di di urgenza , di silenzio assenso ex art. 20 della legge 241/1990 e di denuncia legittimante ex art. 19 della stessa normativa), le ipotesi di certificazione a richiesta e i presupposti per l'operatività della comunicazione cartacea (non operatività dei collegamenti telematici e presenza del certificato camerale senza dicitura antimafia). Rimane invece un miraggio l'altro agognato collegamento on line, quello tra Prefetture e stazioni appaltanti, unico adempimento capace di sgravare realmente i privati dall'onere di procurarsi il certificato con l'ascrizione del peso relativo sui computers delle stazioni appaltanti (26)
La nuova disciplina dell'informazione, con particolare riguardo al tentativo di infiltrazione mafiosa.
Mentre il contenuto della comunicazione rimane sostanzialmente inalterato, rilevanti novità sono introdotte in tema di informazione.
Prima fra tutti va segnalata la parziale diradazione delle nubi interpretative addensatesi in merito alla portata del concetto di tentativo di infiltrazione mafiosa27. Appoggiando la corrente di pensiero propensa ad una lettura restrittiva del concetto in parola, di per sé idonea a dar corpo ad applicazioni disinvolte imperniate su dati estremamente labili, l'art. 10, comma 7, dispone con nettezza che l'accertamento dei tentativi in esame deve obbligatoriamente rinvenire da almeno uno dei seguenti riscontri:
a) provvedimenti applicativi di misure cautelari o che dispongono il giudizio per determinati reati (artt. 629, 644, 648 ter c.p. o 51, comma 3 ter c.p.p.);
b) proposta o provvedimenti di applicazione di taluna delle misure di cui agli artt. 2 bis, 2 ter, 3 bis, 3 quater della legge n. 575/1965 (misure di prevenzione patrimoniali, che vengono pertanto ad assumere rilievo autonomo in materia);
c) accertamenti prefettizi condotti anche avvalendosi dei poteri di accesso ed accertamento delegato dal ministro ovvero richiesti ad altre Prefetture. Merita rilevare che gli accertamenti sono estensibili non solo ai familiari ma a tutti i soggetti diversi dall'interessato ma in grado di condizionare in qualsiasi modo scelte o indirizzi dell'impresa.
Altra novità è la limitazione dell'informazione (cfr. lettere b, c dell'art. 10, comma 1) non più per per una soglia di valore superiore all'attuale limite di 50 milioni ma in caso di sfondamento del tetto dei 300 milioni
Per converso sono previste deroghe per ipotesi di somma urgenza e di decorso infruttuoso del termine per la definizione del procedimento da parte della Prefettura (15 giorni o 45 per il caso di verifiche di particolare complessità), nella quale ipotesi contributi e finanziamenti eventualmente erogati soggiacciono a condizione risolutiva, con recupero obbligatorio dell'importo. La revoca dell'autorizzazione o della concessione, al pari del recesso, sono invece facoltativi, sempre in caso di accertati tentativi di infiltrazione, salvo il pagamento del valore delle opere eseguite ed il rimborso delle spese sostenute..
Non si possono che ribadire in questa sede le perplessità manifestate all'indomani del varo del decreto sbloccacantieri di cui l'attuale regolamento rappresenta la coerente propaggine. Ora, stante l'inequivoco carattere perentorio del termine, va detto che, se la fissazione di precise scadenze temporali mira a dare un reciso taglio agli snervanti tempi di attesa, che giungevano anche a svariati mesi, con il blocco dei cantieri, riemerge il dubbio relativo alla congruità del termine di legge, da più parti ritenuto insufficiente, anche alla luce dell'estrema complessità dell'enucleazione dei descritti fenomeni di "tentativi di infiltrazione mafiosa".
La gravità del dubbio è ispessita dal carattere non obbligatorio della caducazione del rapporto in caso di tardivo esito negativo degli accertamenti de quibus. Diversamente dalla normativa anteatta il legislatore ha infatti sancito il carattere discrezionale della revoca in detta ipotesi, avallando l'anomala possibilità di tenere in vita un rapporto con soggetto di cui si sospetti in concreto la caratterizzazione mafiosa. Detta anomalia, discutibile in un sistema legislativo connotato per il resto da notevole rigidità impone all'Amministrazione una particolare cautela nel giustificare la permanenza di rapporti viziati alla radice dagli elementi inquinanti di cui sopra.
Sul piano processuale, il carattere autonomamente non lesivo porta ad escludere che l'informazione positiva circa la sussistenza dei tentativi di infiltrazione possa essere autonomamente impugnata innanzi al G.A., dovendosi aggredire da parte dell'interessato il provvedimento della P.A. con cui lo si tagli fuori dalla procedura con la negazione della stipulazione ovvero l'atto di revoca (o rescissione) del contratto o, ancora, di recupero dell'agevolazione concessa. Per converso l'informazione resta tagliata fuori dall'autocertificazione, operante per le sole comunicazioni.
Novità in materia di lavori pubblici.
Va infine segnalato che le cause di divieto o sospensione della stipulazione non operano, ove l'infiltrazione riguardi un'impresa diversa dalla mandataria che partecipi ad un'associazione o raggruppamento temporaneo nei confronti delle altre, qualora la predetta impresa mandante sia estromessa o sostituita prima della stipulazione del contratto o della concessione dei lavori. La stessa norma opera per i consorzi non obbligatori.
Merita infine rilevare, come cennato, che l'art. 12, comma 3 del d.P.R. n. 252/1998 prevede la futura emanazione di un decreto delmiistero dell'Interno, in concerto con quelli della Giustizia e dei lavori pubblici in tema di raccordo con le procedure relative alla tenuta dell'albo costruttori.
IV La nuova del subappalto nella legge Merloni ter
a) Generalità
La disamina degli strumenti di contrasto del fenomeno dell'inquinamento mafioso in materia di appalti non sarebbe completo senza un'occhiata alle novità apportate dalla legge legge n. 18 novembre 1998, n. 415 (cosiddetta legge Merloni ter)
Il subaffidamento dell'opera appaltata costituisce infatti da sempre uno strumento di possibile elusione dei divieti previsti dalla legislazione antimafia. Dall'intervento di detta presa di coscienza è derivato un irrigidimento sempre più netto del sistema normativo circa la praticabilità dell'istituto.
La Merloni ter, all'art. 9, commi 65 e seguenti, reca l'ennesima disciplina del subappalto, integrando la normativa dettata dall'art. 18 della legge n. 55/1990, in precedenza già interessata da sostanziosi interventi riformatori.
Non muta nella sostanza la cautela del legislatore verso l'istituto.
Se è infatti vero che il subappalto può rispondere ad un'esigenza pratica, di ordine tecnico ed economico, alla luce di un criterio organizzativo elementare, quale è quello della divisione del lavoro e della speculazione, ancor più significativi si appalesano il rischio di speculazione che consegue all'inserimento di soggetti di pura intermediazione, la rottura dell'elemento fiduciario tra committente ed esecutore dei lavori, e, soprattutto, la possibile elusione delle regole in punto di scelta dei contraenti, con relativa mortificazione dell'interesse alla convenienza del contratto per la p.a., della regola della par condicio tra gli egli aspiranti, e della "perdita di trasparenza circa la destinazione soggettiva della spesa pubblica e di garanzia circa i requisiti tecnici e morali dell'esecutore dei lavori". (28)
b) Requisiti e limiti
Mentre gli artt. 21 e 22 della legge n. 646/1982 subordinavano l'autorizzazione al subappalto semplicemente all'accertamento dei requisiti tecnici dell'appaltatore, dei requisiti per l'iscrizione nell'albo dei costruttori e all'insussistenza di cause di decadenza o di sospensione dall'albo medesimo, lasciando per il resto una certa libertà valutativa alla p.a., l'art. 18 della legge n. 55/1990, in questo da ultimo confermato dalla Merloni ter, ha delimitato l'ambito entro cui è praticabile il subappalto, attraverso una tipizzazione dei requisiti e dei limiti
Quanto ai requisiti, l'affidamento in subappalto è infatti possibile a condizione:
1) che i concorrenti abbiano indicato, all'atto dell' offerta, i lavori o le parti di opere che intendono subappaltare o concedere in cottimo ed abbiano indicato da uno a sei subappaltatori candidati ad eseguire detti lavori (scompare invece con la Merloni ter l'obbligo di preventiva indicazione dell'identità del o dei subappaltatori);
2) l'appaltatore provveda, entro il termine di venti giorni dall'inizio delle rispettive lavorazioni, al deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante (il testo precedente statuiva il termine di 90 giorni dall'aggiudicazione)e dell'attestazione circa il possesso, da parte dei subappaltatore, dei requisiti di cui al punto 3;
3) l'affidatario del subappalto o del cottimo, se italiano o straniero non appartenente alla CE, sia iscritto all'Albo nazionale dei Costruttori per categorie o classifiche di importi corrispondenti ai lavori da realizzare in subappalto o in cottimo, ovvero sia in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente in materia di qualificazione delle imprese;
4) non sussista, nei confronti dell'affidatario del subappalto o del cottimo, alcuno dei divieti previsti dall'art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, con conseguente esito negativo dell'accertamento relativo alle verifiche di cui alla disciplina antimafia di cui ai paragrafi che precedono.
La Legge Merloni ter non ha invece modificato il il limite quantitativo delle opere subappaltabili. Dopo che la legge n. 55/1990 aveva introdotto un limite del 40% ed il D.Lgs. n. 406/1991 aveva adottato un'opzione liberalizzatrice, la legge Merloni, in questo non incisa dalla legge 415/1998, abbracciando una soluzione intermedia, ha fissato la regola generale secondo cui tutte le lavorazioni, a qualsiasi categoria appartengano, sono subappaltabili e affidabili in cottimo, prevedendo un temperamento per quel che afferisce alla categoria o alle categorie prevalenti, la cui quota subappaltabile non può, in ogni caso, superare il 30% (art. 18, comma tre, dell'attuale legge n. 55/1990).
c) L'autorizazione al subappalto
E' da osservare che, nonostante prima della Merloni ter, l'art. 18 della legge 55, come mod. dalla Merloni, non contemplasse apertis verbis la necessità di autorizzazione al subappalto, per le ipotesi ora tratteggiate, la tesi della permanenza della necessità di atto autorizzativo era corroborata dai seguenti rilievi:
a) non è mai stato abrogato l'art. 21 della legge n. 646/1982, che prevede l'ipotesi di reato di subappalto non autorizzato;
b) lo stesso art. 34, comma secondo, della legge n. 109 prevedeva espressamente un'autorizzazione, sia pure da rilasciarsi da parte dell'autorità per la vigilanza sui lavori pubblici;
c) anche leggi successive alla legge Merloni hanno espressamente previsto un'autorizzazione (ad esempio l'art. 4 del decreto legislativo n. 490/1994, in tema di cautele antimafia, e l'art. 2 della legge n. 246/1995 che ha modificato le sanzioni penali a carico di chi abbia posto in essere un subappalto non autorizzato);
d) infine "si può ritenere che il nuovo riferimento all'affidamento, anziché all'autorizzazione, sia dovuto alla nuova struttura del procedimento, che sembra inglobare l'autorizzazione in un più generale concetto di affidamento del subcontratto, concetto che comprende atti successivi all'autorizzazione" (29).
Il problema relativo alla necessità dell'autorizzazione è stato risolto dalla Merloni ter, che la prevede nel nuovo testo del comma 9 dell'art. 18 cit, affidandone, per intuibili ragioni di celerità, la competenza alla stazione applaltante e non all'Autorità di vigilanza.
Quanto alla natura di detta autorizzazione, e soprattutto alla permanenza di effettivi margini di discrezionalità pur dopo la tipizzazione rigorosa dei presupposti per il subaffidamento, la dottrina largamente prevalente reputa che la nuova impostazione legislativa abbia adottato il criterio della doverosità del rilascio dell'autorizzazione in presenza dei requisiti prescritti, trasformando l'autorizzazione in un mero controllo antimafia e consentendo la configurazione di una posizione di diritto soggettivo del privato al subaffidamento (30).
Diversamente si orienta altra parte della dottrina che, nonostante il prosciugamento della sfera di azione della P.A. in base alla nuova formulazione dell'art. 18 della legge n. 55, reputa imprescindibile lo svolgimento, da parte della P.A, di valutazioni in merito alla compatibilità del subappalto specifico con l'appalto complessivamente traguardato, facendo sul punto leva sull'art. 1656 c.c., norma centrale in tema di subappalto pubblici e privato (31).
La Merlini ter, nel modificare il comma 9 della legge n. 55/1990, ha invece risolto in modo testuale il problema relativo all'ammissibilità di autorizzazioni tacite al subappalto. Prima della novella del 1998 al quesito si dava risposta negativa sulla base del rilievo secondo cui non sarebbero configurabili forme di silenzio assenso in materia così nevralgica per l'ordine pubblico. Ora il comma 9 dell'art. 18 prevede invece, in ossequio ad una tendenza liberalizzatrice che pervade l'azione amministrativa tutta, che l'autorizzazione si reputa rilasciata ove l'istanza del privato non abbia risposta entro trenta giorni, termine prorogabile solo una volta ove ricorrano giustificati motivi (32).
Alla luce dei principi generali desumibile dall'elaborazione giurisprudenziale relativa all'art. 20 della legge 241, deve ritenersi ammissibile, nonostante la ridotta discrezionalità, un potere di revoca o di annullamento dell'autorizzazione, quale estrinsecazione del potere generale di autotutela a carattere autoritativo, impugnabile innanzi al giudice amministrativo (33).
d) Le figure affini
Il nuovo comma 12 dell'art. 18, superando le incertezze sottese alla disciplina previgente, perimetra in modo più chiaro le figure sottoposte al regime del subappalto. Rimane fermo il divieto di ulteriore subappalto dell'opera subappaltata al pari del divieto di cessione del contratto, istituto di primo acchito incompatibile con la stessa ratio della scelta procedimentalizzata dell'interlocutore della p.a. secondo stilemi di evidenza pubblica.
e) Le sanzioni penali e civili
Naturale precipitato dell'ostilità legislativa verso il subaffidamento è la previsione di sanzioni penali, in caso di subaffidamento non autorizzato, a carico sia del funzionario che dell'appaltatore e del subaffidatario. Per questi ultimi la norma fondamentale è rappresentata dall'art. 21 della legge n. 646/1982, come modificato da ultimo dall'art. 2 del D.L. 29 aprile 1995, n. 139, convertito nella legge 28 giungo 1995, n. 246, che prevede la sanzione, a carico dell'appaltatore, dell'arresto da sei mesi ad un anno e di un'ammenda non inferiore ad un terzo del valore complessivo dell'opera ricevuta in appalto, e, a carico del subappaltatore e dell'affidatario del cottimo, dell'arresto da sei mesi ad un anno e di un'ammenda pari ad un terzo del valore dell'opera ricevuta in subappalto o in cottimo. Il funzionario è invece assai più pesantemente colpito ai sensi dell'art. 10 quinquies della legge del 1965, n. 575, con la reclusione da due a quattro anni.
Sul piano civilistico, l'art. 21 della legge n. 646/1982 conferisce alla stazione appaltante la facoltà di chiedere la risoluzione -assimilabile alla risoluzione per inadempimento-34 del contratto principale, alla luce della rottura del rapporto fiduciario. Il contratto di subappalto in sé è invece insanabilmente nullo ai sensi dell'art. 1418 c.c. in quanto contrario a norme imperative (35).
f) Uno sguardo all'appalto di forniture
L'identità di ratio ha da ultimo convinto il legislatore a trapiantare la disciplina del subappalto al settore degli appalti di pubbliche forniture. Il nuovo art. 16 del decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358, come modificato da ultimo dal decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 402 (art. 13), ha previsto l'obbligo in sede di capitolato della specificazione dell'onere per il concorrente di indicare le parti delle forniture da subappaltare (ferma restando la responsabilità verso la P.A. del solo fornitore) e, più in generale, l'applicazione della disciplina dettata dall'art 18 della legge n. 55/1990 e succ. mod. Ai posteri la risposta al quesito se si tratti di rinvio fisso alla disciplina vigente al momento del varo della normativa di riforma delle forniture o, come sembra più plausibile alla luce della volontà di tracciare un regime parallelo degli istituti, di rinvio mobile alla disciplina del subappalto modificata in seguito dalla Merloni ter.
NOTE
(1) Legge 31 maggio 1965, n. 575, Disposizioni contro la mafia.
(2) Per approfondimenti sulla legge "Rognoni La Torre", cfr., ex plurimis, AA.VV., l. 13/9/1982, N. 646, Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alle leggi 27/12/1956, n. 1423 , 10/2/1962, n. 57 e 31/5/1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamemtare sul fenomeno della mafia, in Leg. pen., 1986, 558 ss.
(3) Falcone e Turone, Tecniche di indagine in materia di mafia, in AA.VV., Riflessioni ed esperienze sul fenomeno mafioso, a cura del Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 1983, 46.
(4) Fiandaca, Misure di prevenzione (profili sostanziali), voce del Digesto, disc. pubbl., vol. VIII, Torino,1994, 122.
(5) Sul punto, v. Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 28 giugno 1990.
(6) Zgagliardich, Subappalto e leggi antimafia nei lavori pubblici, Milano, 1996, 21.
(7) Tutte le decisioni dei giudici amministrativi in merito all'applicabilità della decadenza di diritto a carico dei familiari esclusivamente per gli atti amministrativi emanati successivamente all'intervenuta decadenza a carico del sottoposto a misura di prevenzione (così, tra le altre T.a.r. Campania, 10 ottobre 1985, n. 500, in CED, CONSTA, , PD., 8691356). appaiono ormai superate per effetto dell'art. 3, comma quarto, della legge 55/1990, il quale, richiamando i divieti e le decadenze di cui ai primi due commi dell'art. 10 della legge del 1965, estende la disciplina a tutte le ipotesi relative a conviventi e ad enti ed associazioni di cui sopra.
(8) Fiandaca, cit., 124.
(9) Molinari-Papadia, Le misure di prevenzione, Milano, 1994, 188.
(10)Guerrini-Mazza, Le misure di prevenzione. Profili sostanziali e processuali, Padova, 1996 188
(11) Curi, Commento all'art.3 della legge 55/1990, in Leg. pen., 1991
(12) Curi, cit, 403.
(13) In assenza di un'indicazione normativa si pone il problema se anche per i subcontratti di valore inferiore ai 50.000.000 di lire sia esclusa ogni cautela antimafia. Per la positiva, la circolare ministeriale del 14.12.1984. Per la negativa, sulla base del rileivo che l'art. 18 del la legge 47/1994 contempla i subcontratti al comma pirmo ma non al comma quinto, vedi Zgagliardich, op. cit., 348.
(14) Circolare ministeriale 14.12.1994 cit.
(15) Solo in casi di estrema urgenza si può stipulare prima della risposta della Prefettura.
(16) E' minoritaria la tesi secondo cui si tratterebbe di termine ordinatorio, pur se temperato dalla possibilità di richiedere il risarcimento del danno in caso di mancato rispetto.
(17) Circolare del Ministero dell'Interno del 14 dicembre 1994, ove si enunciano esaustivamente i presupposti in presenza dei quali si può ravvisare un'ipotesi di infiltrazione mafiosa.
(18) Garsia, La nuova normativa antimafia, in Nuova Rassegna, 1995, 639.
(19) Zgagliardich, op. cit., 268.
(20) Per un esame complessivo della legislazione antimafia in tema di appalti si rinvia a F. Caringella, Legislazione antimafia e appalti pubblici, su Urb. appalti, 4/1997, 1 ss.
(21) Per un esame organico della delegificazione procedimentale nel pacchetto Bassanini si veda F, CARINGELLA, - A CRISAFULLI- G. DE MARZO- F. ROMANO, Il nuovo volto della pubblica amministrazione, Napoli, 1998, parte II.
(22) In effetti l'interpretazione estensiva era da taluni già patrocinata sulla base del diposto della legge n. 127/1997 che etsende a tute le certificazioni il regime semestrale. Peraltro, il D.M. 16.12.1997, n. 486 cit. ha continuato a riferire tale termine alla sola comunicazione.
(23) In questo senso si era già orientata in modo compatto la giurisprudenza amministrativa.
(24) Così G. Zgagliardich, in Edilizia e Territorio, n. 32/1998, 8.
(25) V. sul punto Pagano, cit.
(26) V. in chiave critica su tale omissione V. Uva, in Ediliza e territorio, n. 32-33-/1998, 6.
(27) TAR calabia., sez. reggio calabia, 27 maggio 1996, n. 565, in I TAR , 1996, 2811 ha scorto detta infiltrazione nel raggiungimento di cariche sociali da parte di soggetto legato ad associazione di tipo mafioso, senza che questo tipo di legame abbia dato luogo a provvedimento ai sensi dell'art. 10 della legge del 1965.i
(28) Severini. Commento all'art. 18 della legge n. 55/1990, in Leg. pen., 1991, 479.
(29) Zgagliardich, op. cit., 268.
(30) V. Steccanella, Robaldo, La legge quadro in materia di appalti pubblici, Milano, 1995, 134, nota 4.
(31) Costantini, Il subappalto di opere pubbliche: riflessioni alla luce di una riforma annunciata, in Riv trim. appalti, 1994, 355.
(32) Il venir meno dell'obbligo di preventiva indicazione del subappaltatore ha comportato l'azzeramento della norma a tenore della quale era necessaria l'autorizzazione dell'Autorità di vigilanza in caso di accertata impossibilità ad affidare il subappalto o il cottimo ad uno dei soggetti indicati dall'appaltatore all'atto dell'offerta e di conseguente affidamento ad altri soggetti.
(33) Cons. Stato, sezione IV, 12 maggio 1994, n. 767, in Cons. Stato, 1994, I, 841.
(34) Zgagliardich, op. cit., 599.
(35) Santoro, I contratti pubblici, Rimini, 1990, 164.