Giustizia amministrativa

Articoli e note

Roberto Garofoli
(Magistrato - Dottore di ricerca in diritto pubblico
dell'economia presso l'Universita di Bari)

La disciplina degli appalti pubblici misti dopo la Merloni-ter (*).

(*) Il presente saggio fa parte di un più ampio lavoro monografico sulla legge Merloni, coordinato da Francesco Caringella, in corso di pubblicazione per i tipi della casa editrice Ipsoa.

SOMMARIO: 1. I rapporti con i principi civilistici in tema di contratti misti. 2. I criteri elaborati dalla normativa comunitaria ed interna previgente: le posizioni della giurisprudenza comunitaria e nazionale. 3. Le novità della "Merloni-ter".

1. I rapporti con i principi civilistici in tema di contratti misti.

Tra le numerose novità introdotte dalla l. n. 415/98 (c.d. Merloni-ter) particolare rilievo assume quella incidente sulla dibattutissima questione afferente all'identificazione della disciplina applicabile agli appalti pubblici c.d. misti.

E' noto, al riguardo, che in generale per contratto misto si intende quello connotato dalla combinazione in un unico schema negoziale di elementi riconducibili a differenti fattispecie contrattuali tipiche, espressamente contemplate cioè dal legislatore: ciò che caratterizza il contratto misto, consentito nel nostro ordinamento in virtù del principio di autonomia contrattuale contemplato dall'art. 1322 c.c., è la circostanza per cui gli elementi dei diversi tipi contrattuali risultano fondersi in un'unica causa, diversamente da quanto si verifica nel collegamento negoziale, caratterizzato, invece, dalla permanenza di una pluralità di distinti contratti che, pur conservando l'individualità propria di ciascun tipo negoziale e pur rimanendo sottoposti alla relativa disciplina, sono tra loro collegati, funzionalmente e con rapporto di reciproca dipendenza, sicché le vicende dell'uno si ripercuotono sull'altro, condizionandone la validità e l'efficacia (1).

La commistione di aspetti corrispondenti agli schemi di più contratti nominati impone, peraltro, la necessità di individuare la disciplina giuridica applicabile: problema risolto in giurisprudenza facendo applicazione di differenti criteri, segnatamente quelli dell'assorbimento o prevalenza, della combinazione e, infine, dell'analogia.

Prioritariamente, la giurisprudenza si avvale della regola della combinazione, in forza della quale trova applicazione, in relazione a ciascun elemento del regolamento contrattuale, la disciplina prevista per il tipo legale cui lo stesso è riferibile.

In via sussidiaria, nel caso cioè di inconiugabilità dei differenti regimi giuridici contemplati per i diversi contratti nominati, soccorre il criterio dell'assorbimento, che impone l'osservanza della disciplina dettata in relazione al tipo legale cui è riconducibile l'elemento al quale, nella fattispecie contrattuale mista, è consentito assegnare carattere principale o "prevalente" (2) : valutazione, questa, da effettuare tenendo nella debita considerazione il profilo funzionale e, pertanto, l'effettiva volontà delle parti e la reale finalità dell'accordo.

Se certo, l'illustrata nozione civilistica di contratto misto può risultare utile nell'inquadrare la figura dell'appalto pubblico c.d. misto, nondimeno non può essere obliterata la necessità di rimarcare le profonde differenze che distinguono quest'ultima fattispecie dalla categoria puramente privatistica.

Per appalto pubblico misto si intende l'ipotesi in cui l'oggetto della procedura di aggiudicazione, e quindi del successivo contratto, è costituito da prestazioni eterogenee, ascrivibili a settori assoggettati a differenti discipline pubblicistiche (lavori, servizi, forniture): la sottoposizione dell'appalto pubblico a discipline, tanto comunitarie quanto nazionali di recepimento, tra loro diverse a seconda della qualificabilità delle prestazioni da aggiudicare in termini di lavori, servizi o forniture impone, in tali casi, di verificare quale dei differenti regimi giuridici debba trovare applicazione.

L'ostacolo, difficilmente sormontabile, che si oppone alla possibilità di considerare pienamente equivalenti la fattispecie in esame, quella cioè dell'appalto pubblico misto, e la figura generale dei contratti misti deriva dalla constatazione della natura squisitamente pubblicistica delle implicazioni che, in punto di regime giuridico, derivano dalla classificazione delle prestazioni da aggiudicare in termini di lavori, servizi o forniture.

Detto in dettaglio, non è possibile trascurare che in relazione a ciascuno dei settori sopra indicati la normativa comunitaria e nazionale dettano regimi giuridici diversi, afferenti a profili spiccatamente pubblicistici, quali quelli delle modalità procedurali da osservare, dei requisiti di qualificazione delle imprese, delle tecniche richieste: da ciò derivano talune peculiarità esclusive della figura degli appalti pubblici c.d. misti, destinate ad imporre -in sede di soluzione dei problemi di individuazione della disciplina giuridica da applicare- un approccio differente da quello che, come illustrato, connota gli indirizzi giurisprudenziali emersi con riferimento alla generale categoria dei contratti misti.

Preliminarmente, non vi è dubbio che la rigorosa osservanza di tali singole discipline esuli dal campo entro cui può legittimamente esplicarsi l'autonomia contrattuale delle parti, ivi compresa pertanto la stessa Amministrazione, cui deve ritenersi del tutto sottratta pertanto la possibilità di scegliere il regime pubblicistico da applicare.

D'altra parte, per quel che concerne i criteri di individuazione della disciplina da osservare, appare con evidenza impraticabile il criterio c.d. della combinazione: il ricorso a tale parametro finirebbe per imporre l'applicazione alla medesima ed unica procedura concorsuale dei differenti regimi giuridici contemplati rispettivamente per l'aggiudicazione degli appalti di lavori, servizi e forniture.

Orbene, se è certamente vero che l'autonomia contrattuale delle parti e della stessa Amministrazione comprende la possibilità, peraltro espressamente ancorata a plurimi referenti di diritto positivo, di aggiudicare appalti aventi ad oggetto prestazioni tipologicamente differenti, non pare francamente che possa la stessa estendersi fino ad implicare la titolarità del potere di disporre dei profili spiccatamente pubblicistici della disciplina, quali quelli afferenti agli itinera procedimentali da seguire o ai parametri di qualificazione delle imprese legittimate a prendere parte alla procedura di evidenza pubblica: ne consegue che, in linea di massima, deve trovare applicazione un'unica normativa, individuata sulla base di criteri che tengano conto dell'effettivo atteggiarsi, in seno al complessivo regolamento contrattuale, delle singole prestazioni e, quindi, del rilievo assunto da ciascuna di queste.

La suesposta perimetrazione dei confini entro i quali può esplicarsi, nella materia che ci occupa, l'autonomia contrattuale non può del resto non riverberarsi anche in sede di individuazione e, soprattutto, di concreta applicazione dei criteri destinati ad indirizzare la scelta del regime giuridico da osservare allorché l'appalto pubblico abbia per oggetto prestazioni tipologicamente differenti, idonee quindi a richiamare le diverse discipline dettate in relazione a più settori.

Ed invero, la rilevata estraneità dei profili spiccatamente pubblicistici della disciplina al raggio di azione dell'autonomia contrattuale e degli apprezzamenti discrezionali dell'Amministrazione, e più in generale della stazione appaltante, non può non avere ripercussioni di rilievo nel momento in cui ci si trova a dover fare concreta applicazione di taluni criteri indicati in sede normativa, segnatamente quelli della prevalenza e dell'accessorietà.

E' noto, al riguardo, che, nell'ambito della dottrina del contratto misto, analoghi parametri di individuazione del regime giuridico da osservare possono essere intesi ed applicati, senza che ciò susciti perplessità, nella loro valenza soggettiva, con la conseguenza che debba attribuirsi rilievo all'effettiva volontà delle parti e, quindi, alla prestazione che le stesse hanno realmente inteso come prevalente. La questione assume invece tutt'altra consistenza con riferimento agli appalti pubblici c.d. misti, sol che si consideri, come ripetutamente rilevato, l'importanza delle differenze di regime giuridico che, in relazione ad importanti profili pubblicistici, connotano i differenti settori degli appalti pubblici e la necessità, pertanto, di non rimettere alla volontà delle parti, con il riferimento al criterio, soggettivamente interpretato ed applicato, della prevalenza, la scelta della disciplina da applicare.

 

2. I criteri elaborati dalla normativa comunitaria ed interna previgente: le posizioni della giurisprudenza comunitaria e nazionale.

Ciò chiarito, è opportuno procedere allo scrutinio dei criteri che la normativa comunitaria e la stessa legislazione nazionale di recepimento apprestano con l'obiettivo di orientare l'individuazione della disciplina applicabile: si esamineranno, quindi, le principali questioni affiorate in giurisprudenza, per poi passare all'analisi dei parametri indicati dal secondo inciso del comma 1 dell'art. 2, come novellato dalla legge n. 415/98.

La direttiva 92/50, relativa agli appalti pubblici di servizi, statuisce due differenti regole di individuazione della disciplina applicabile.

Con riferimento all'ipotesi in cui un contratto di servizi includa dei lavori, la direttiva prevede che questi ultimi "non possono giustificare la classificazione dell'appalto come appalto pubblico di lavori nella misura in cui sono accessori e non costituiscono oggetto dell'appalto" (sedicesimo considerando): analoga disposizione è contenuta nella normativa nazionale di recepimento della suddetta direttiva comunitaria (introdotta con D. Lgs. 157/95) che, con riferimento ai contratti misti che abbiano per oggetto tanto lavori quanto servizi, prevede, all'art. 3, che gli stessi vanno "considerati appalti di servizi qualora i lavori assumano funzione accessoria rispetto ai servizi e non costituiscano l'oggetto principale dell'appalto" (art. 3, comma 3).

La disciplina illustrata adotta, pertanto, il criterio c.d. dell'accessorietà, in forza del quale, ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile, occorre verificare quale sia l'oggetto principale dell'appalto e quali le prestazioni rispetto ad esso accessorie (3).

Analogo parametro è indicato dalla direttiva comunitaria in tema di appalti pubblici di forniture con riferimento all'ipotesi in cui l'appalto preveda "a titolo accessorio lavori di posa ed installazione" (art. 1, direttiva 93/36/CE) (4).

A diversa regola si ispira, invece, la stessa direttiva 92/50 con riguardo alla differente fattispecie dell'appalto pubblico avente ad oggetto sia prodotti di cui alla direttiva sulle forniture che servizi: aderendo al criterio c.d. della prevalenza, prevede, infatti, che si applichi la disciplina sugli appalti di servizi allorché il valore di questi ultimi "superi quello dei prodotti previsti nel contratto" (art. 2), con l'implicita previsione che in caso contrario verrà in rilievo la disciplina sulle forniture (direttiva 83/36) La regola comunitaria è stata recepita dal D. Lgs. n. 157/95 che, all'art. 3, comma 4, stabilisce che i contratti misti forniture- servizi vadano assoggettati alla disciplina prevista per gli appalti di servizi qualora il valore totale degli stessi sia "superiore al valore delle forniture comprese nell'appalto" (art. 3, comma 4).

Il criterio della prevalenza - che assegna rilievo al valore economico di ciascuna delle differenti tipologie di prestazione concorrenti nel delineare l'oggetto dell'appalto- è infine contemplato dalla direttiva n. 531 del 1990, come modificata da quella 93/38 del Consiglio Ce, afferente ai c.d. settori ex esclusi: ed invero, la direttiva prevede che gli appalti misti di servizi e forniture debbano essere considerati come appalti di forniture allorchè il valore complessivo di queste sia superiore al valore dei servizi compresi nello stesso appalto (5).

La sintetica ricostruzione del panorama normativo antecedente al varo della c.d. "Merloni-ter" consente, quindi, di individuare due parametri normativi cui ricorrere al fine di verificare quale sia il regime giuridico applicabile agli appalti pubblici c.d. misti: quello dell'accessorietà che - previsto per le ipotesi degli appalti di lavori e servizi, da un lato, e di lavori e forniture, dall'altro- impone di accertare quale delle diverse prestazioni da aggiudicare debba considerarsi secondaria, ossia funzionalmente strumentale rispetto all'altra, da reputare, pertanto, principale, e quello della prevalenza che, contemplato, invece, in relazione agli appalti di forniture e servizi, è fondato sul raffronto della consistenza economica di ciascuna delle singole prestazioni dedotte nell'accordo contrattuale.

Perplessità sono state espresse in dottrina in merito alla effettiva idoneità del parametro dell'accessorietà -se inteso come implicante la necessità di un giudizio di strumentalità o secondarietà di una prestazione rispetto all'altra- a rappresentare un valido, e soprattutto certo, criterio di individuazione della disciplina applicabile agli appalti pubblici a prestazioni eterogenee: è stato evidenziato, infatti, che non di rado possono profilarsi fattispecie di appalti misti nelle quali la diversa consistenza funzionale delle singole prestazioni corrispondenti a tipi o settori normativi differenti non è "talmente marcata" da consentire all'interprete di individuare con sufficiente certezza - e soprattutto senza ricorrere al canone interpretativo che fa perno sulla ricostruzione della volontà della stazione appaltante- quella cui riconoscere carattere principale (6).

Non si dimentichi, d'altra parte, quanto già rilevato con riferimento alle peculiarità che, connotando la categoria degli appalti pubblici a prestazioni tipologicamente eterogenee, la distinguono da quella puramente privatistica dei contratti misti: si è rimarcato che l'inerenza a profili squisitamente pubblicistici della disciplina dettata in relazione a ciascun settore di appalti ha per conseguenza che l'applicazione dell'una o dell'altra non possa essere in alcun modo rimessa, allorché trattasi di appalti misti, alla libera scelta delle parti, né tanto meno all'apprezzamento della singola stazione appaltante.

Ne consegue una legittima diffidenza nei confronti di criteri, o quanto meno di modalità applicative degli stessi, che finiscano di fatto per far dipendere l'individuazione della disciplina da osservare, non già da parametri oggettivi, e soprattutto inequivocabilmente riscontrabili, ma da valutazioni attente alla volontà delle parti ed alle effettive finalità dalle stesse perseguite con la conclusione del contratto.

Parimenti preoccupante appare l'eventualità che sia rimessa alla stazione appaltante l'individuazione della disciplina da osservare sulla sola scorta di una valutazione del carattere primario della prestazione riconducibile al corrispondente settore: valutazione che, non ancorata a parametri certi ed agevolmente sindacabili, potrebbe apparire del tutto arbitraria.

Ben più rispondente alla illustrata ricostruzione sistematica degli appalti pubblici c.d. misti ed alla rilevata natura indisponibile della disciplina pubblicistica dettata rispettivamente per gli appalti di lavori, servizi e forniture risulta, pertanto, il criterio, oggettivo e di sicura applicazione, della prevalenza, che fa perno sul valore economico delle singole prestazioni: allo stesso, del resto, potrebbe essere ricondotto quello dell'accessorietà, come sostenuto in dottrina muovendo dalla premessa per cui va qualificata accessoria la prestazione non "prevalente", anziché quella legata da un rapporto di strumentalità all'altra prestazione dedotta in contratto (7).

In giurisprudenza, il problema dell'individuazione del regime giuridico applicabile ad appalti pubblici ad oggetto composito si è posta in più occasioni, anche in relazione a fattispecie miste non previste dalle illustrate disposizioni contenute nella disciplina comunitaria ed in quella nazionale di recepimento.

Si pensi, per esempio, alla fattispecie contrattuale presa in considerazione dalla Corte di Giustizia in Gestiòn Hotelera International S.A. (8) , fattispecie avente ad oggetto non semplicemente l'esecuzione di lavori e la cessione di beni, ma un fascio ben più ampio di prestazioni, tra cui l'apertura e la gestione di una casa da gioco, la gestione di un hotel con connessa locazione degli spazi all'uopo necessari, nonché i lavori di ristrutturazione necessari per rendere i luoghi adatti all'esercizio delle attività da affidare in gestione.

Si trattava di fattispecie estranea al campo di operatività della direttiva servizi che, per l'ipotesi in cui debba procedersi all'aggiudicazione di appalti aventi ad oggetto tanto servizi quanto lavori, indica, come ormai noto, il criterio dell'accessorietà, in forza del quale la fattispecie va ascritta al novero degli appalti di servizi, ed assoggettata pertanto alla relativa disciplina, qualora i lavori assumano funzione accessoria non rappresentando l'oggetto principale dell'appalto: ed invero, nel caso sopra illustrato, le prestazioni diverse da quelle qualificabili come lavori erano volte ad apprestare un servizio in favore non già dell'amministrazione, ma del pubblico (9).

Ciononostante, I Giudici di Lussemburgo hanno nell'occasione richiamato il sedicesimo considerando della direttiva servizi, ed il criterio di accessorietà ivi enunciato, evidentemente reputandolo espressione di un principio di carattere generale, suscettibile di applicazione anche a fattispecie diverse da quelle con riferimento alle quali è espressamente utilizzato nelle fonti normative.

Quanto alle modalità di applicazione del criterio in questione, la Corte non è stata nel caso in esame particolarmente esplicita, limitandosi a rimettere al Giudice del rinvio il compito di verificare se i lavori da effettuare nell'hotel e nel casinò abbiano o meno carattere meramente accessorio rispetto all'oggetto principale dell'aggiudicazione: non si rinviene, nell'apparato motivazionale della pronuncia in questione, un chiarimento in merito al concetto di accessorietà ed ai parametri cui attenersi, in sede ermeneutica, nell'accertare quale delle differenti prestazioni da aggiudicare vada ritenuta principale.

Sul versante nazionale, la giurisprudenza amministrativa assegna al criterio dell'accessorietà una valenza per così dire funzionale.

Il problema si è posto, in particolare, in relazione ad ipotesi di aggiudicazione di appalti aventi ad oggetto tanto la gestione di patrimoni immobiliari, quanto l'esecuzione di una cospicua attività di manutenzione dei medesimi complessi immobiliari.

Nel decidere se assoggettare alla disciplina degli appalti di servizi o a quella prevista per gli appalti di lavori queste come altre ipotesi, pure connotate dalla coabitazione di prestazioni tipologicamente ascrivibili all'uno e all'altro settore, infatti, i Giudici amministrativi hanno prevalentemente ritenuto di dover tener conto della reale volontà delle parti e dell'interesse primario della stazione appaltante: interesse frequentemente individuato nella gestione dei patrimoni immobiliari, rispetto alla quale, pertanto, si è ritenuto di riconoscere all'attività manutentoria carattere funzionalmente strumentale e subvalente (10).

Analoga accezione soggettivo-funzionale è assegnata dalla giurisprudenza amministrativa al canone dell'accessorietà utilizzato per provvedere alla qualificazione giuridica di un contratto di fornitura che preveda l'esecuzione di lavori di installazione e posa in opera dei beni: significativa, al riguardo, una sentenza del T.A.R., Friuli Venezia Giulia, di cui è utile ripercorrere brevemente l'itinerario argomentativo (11).

La vicenda amministrativa portata al vaglio del Giudice amministrativo prende le mosse dalla contestazione di un bando con il quale la stazione appaltante aveva indetto una gara per la fornitura e la posa in opera di barriere di sicurezza stradale, prevedendo nel bando l'applicazione dell'art. 21 della legge quadro in materia di lavori pubblici e, segnatamente, l'adozione del criterio del massimo ribasso, con esclusione delle offerte anomale: proprio questa previsione inserita nel bando di gara era contestata dal ricorrente che lamentava l'erronea qualificazione della fattispecie come ipotesi di affidamento di lavori, anziché di forniture, facendo leva sul dato del maggior rilievo economico assunto dal valore dei materiali rispetto a quello della mano d'opera.

Nel rigettare il ricorso e nel condividere la valutazione effettuata dalla stazione appaltante col qualificare come appalto di lavori la suddetta fattispecie, il T.A.R. sottolinea la necessità di tenere conto della "finalità perseguita dalla stazione appaltante": nel caso di specie, in particolare, il fatto che le barriere facciano parte integrante dell'opera autostradale e costituiscano un elemento essenziale della sua funzionalità e non già un semplice accessorio non può che indurre a ritenere, ad avviso del Giudice amministrativo, che l'intento perseguito sia quello "di realizzare un'opera pubblica, o meglio una parte essenziale di un'opera autostradale".

Nella stessa sentenza, inoltre, si rimarca, da un lato, la diversa natura che connota il canone dell'accessorietà rispetto a quello della prevalenza, fondato sul raffronto tra il costo del materiale e quello dell'installazione, dall'altro, la relazione che intercorre tra i due criteri in sede di individuazione della disciplina applicabile: "il giudizio di prevalenza del costo tra il materiale e l'installazione - sostiene il T.A.R.- costituisce un criterio residuale, che soccorre qualora la qualificazione dell'opera sia dubbia".

Il criterio dell'accessorietà è stato da ultimo ribadito da un interessante decisum del T.A.R. Veneto12 il quale, in tema di manutenzione del verde, ha ritenuto che la manutenzione ordinaria degli appalti a verde adiacenti il nastro autostradale e delle aree a verde piantumate sia qualificabile alla stregua di appalto di servizi e non di lavori pubblici. Segnatamente si è nell'occasione puntualizzato che la prestazione in parola si concreta in un servizio rispetto al quale i lavori assumono valenza accessoria. Non si è in particolare ravvisata nella manutenzione in esame alcuna visibile e specifica modifica dello stato dei luoghi ma solo un'attività di conservazione (13).


3. Le novità della "Merloni-ter".

Orbene, siffatta impostazione ermeneutica è ora almeno in parte ribaltata per effetto dell'espressa e chiara indicazione normativa introdotta dalla legge n. 415/1998 (periodo finale del primo comma dell'art. 2) che, intervenendo a scongiurare i suindicati rischi di elusione della disciplina pubblicistica insiti in quella opzione interpretativa e modificando tanto l'art. 2 della legge quadro in materia di lavori pubblici quanto il citato art. 3, comma 3, del D. Lgs. n. 157/1995, sottopone alla disciplina dettata per gli appalti di lavori tanto i "contratti misti di lavori, forniture e servizi" quanto i contratti di forniture e servizi che "comprendano lavori accessori", ogni qualvolta i "lavori assumano rilievo economico superiore al 50 per cento". L'innovazione fa il paio con la modifica introdotta dal comma 75 dell'art. 9 nel testo dell'art. 3 del D.Lgs. n. 157/1995, attraverso l'inserimento dopo le parole "rispetto ai servizi" delle parole "siano complessivamente di importo inferiore al 50% del totale". Il nuovo dettato recita quindi come segue : "Gli appalti che, insieme alla prestazione di servizi, comprendono anche l'esecuzione di lavori, sono considerati appalti di servizi qualora i lavori assumano valenza accessoria rispetto ai servizi, siano complessivamente di importo inferiore al 50 per cento del totale, e non costituiscano l'oggetto principale del contratto". Nessuna modifica viene apportata alla disciplina sulle forniture".

Si tratta di una novità di particolare rilievo, da salutare con convinto favore.

Il parametro fondamentale da utilizzare nell'individuare il regime giuridico da osservare per gli appalti a prestazioni tipologicamente eterogenee, di cui al riscritto art. 2 della "Merloni-ter", è quello, oggettivo, agevolmente sindacabile e, pertanto, più difficilmente eludibile, della prevalenza economica: la decisa intenzione del legislatore del 1998 di apprestare ed imporre un parametro certo traspare, del resto, in modo chiaro dalla stessa formulazione normativa.

Da un lato, infatti, il legislatore si preoccupa di far espresso riferimento, unitamente ai contratti misti di lavori, forniture e servizi, anche ai contratti di forniture e servizi, quando comprendano lavori accessori : non v'è dubbio che l'accessorietà cui ha riguardo il legislatore vada intesa in questo caso nel senso di strumentalità del lavoro rispetto alla prestazione, di volta in volta di fornitura o servizio, destinata ad assumere, in considerazione della complessiva funzione assegnata dalle parti al contratto, natura principale.

Sennonché, il legislatore del 1998 si è preoccupato di evitare che il canone della accessorietà possa essere utilizzato, data la sua intrinseca elasticità, per eludere la disciplina pubblicistica, e, in specie, per invocare l'applicazione del regime giuridico caso per caso preferito dalla stazione appaltante. Lo ha fatto, all'evidenza, affiancando al criterio in questione quello c.d della prevalenza, ancorato a rilevazioni di stampo esclusivamente economico.

Né , d'altra parte, può sostenersi che, così facendo, il legislatore nazionale abbia finito per violare le illustrate disposizioni di origine comunitaria che, per talune fattispecie di appalti a prestazioni eterogenee, ravvisano nel solo criterio dell'accessorietà il parametro cui attenersi in sede di individuazione della disciplina applicabile: non si può trascurare, sul punto, che il canone dell'accessorietà, astrattamente inteso, può rinviare tanto a valutazioni di tipo funzionale-soggettivo che abbiano riguardo, cioè, alla finalità assegnata dalle parti al contratto, sicché è accessoria la prestazione non qualificabile come "principale" alla stregua di un giudizio attento alla complessiva funzione causale dell'accordo contrattuale, quanto a valutazioni di carattere oggettivo-patrimoniale, ancorate al dato inequivoco della consistenza economica delle singole prestazioni, con la conseguenza per cui è da qualificare come accessoria la prestazione "non prevalente".

Orbene, la novità legislativa in esame appare con chiarezza dettata dall'intento di evitare che l'accezione per così dire funzionale-soggettiva del canone dell'accessorietà possa spiegare effetti, comportando l'applicazione della disciplina prevista per gli appalti di fornitura o servizi, anziché quella contemplata per gli appalti di lavori, anche quando questi ultimi abbiano un peso economico superiore a quello oggettivamente attribuibile alle prestazioni di tipo diverso che si intende aggiudicare.

Si può ritenere, cioè, che, nella disposizione in commento, il criterio patrimoniale non è indicato in funzione sostitutiva rispetto a quello dell'accessorietà, ma quale limite oltre il quale non può ammettersi che la sua accezione funzionale-soggettiva prevalga su quella di tipo economico-oggettivo: l'obiettivo correttamente perseguito, e probabilmente centrato, è quello di evitare che una stazione appaltante possa eludere la disciplina sugli appalti pubblici di lavoro facendo perno sul carattere asseritamente primario del servizio o della fornitura, nonostante la componente lavori superi di oltre la metà il valore complessivo del contratto.

Resta da chiarire se, in presenza di una regola talmente precisa volta a chiarire quando gli appalti misti siano da ricondurre nell'alveo di operatività della disciplina in tema di appalti di lavori, possa ammettersi - in ossequio ad un orientamento giurisprudenziale che si andava consolidando prima del varo della "Merloni-ter"- che la stazione appaltante dichiari preventivamente la natura mista della gara e pretenda, quindi, che siano rispettati i requisiti tecnici e finanziari e prestate le garanzie prescritte dalle discipline dettate per i diversi settori di appalto pubblico cui sono riconducibili le differenti prestazioni dedotte in contratto.14

Tale facoltà non può essere esclusa certo allorché i lavori da aggiudicare in seno ad una procedura di gara oggettualmente più complessa non superino la soglia percentuale indicata nel nuovo comma 1 della disposizione in commento (50%).

A ben vedere, d'altra parte, non sembra che sussistano argomenti esegetici insormontabili inconiugabili con l'esercizio di una siffatta facoltà della stazione appaltante anche ove la fattispecie concreta rientri nell'orbita applicativa della disposizione da ultimo citata: né sembra che il riconoscimento di tale possibilità sia in contrasto con l'impostazione teleologica sottesa all'innovazione introdotta con la legge n. 415/98, volta solo ad introdurre un parametro oggettivo che, stemperando i rischi insiti nell'utilizzazione funzionale del criterio di accessorietà, precluda alla stazione appaltante di scegliere il regime giuridico da applicare e di sottrarsi, quindi, a quello corrispondente al diverso settore cui è riferibile la prestazione reputata accessoria.

Con questa ratio dell'intervento legislativo non sembra affatto incompatibile la facoltà della stazione appaltante di imporre preventivamente l'osservanza non solo del regime giuridico di cui il criterio della prevalenza economica indicato dalla disposizione in commento richiede l'applicazione, ma anche di quello dettato per il diverso settore di appalti (forniture o servizi) al quale è riconducibile la prestazione meno rilevante nell'economia complessiva del contratto: tutto ciò a condizione, ovviamente, che tra le diverse disposizioni volte a comporre e plasmare la disciplina per così dire accessoria siano richiamate solo quelle non incompatibili con il regime giuridico principale, imposto cioè dalla legge quadro in materia di lavori pubblici15.

La voglia di oggettività e di semplificazione che trasuda dal rinnovato quadro normativo non è peraltro compiuta. Se infatti si pone mente al ricordato testo dell'art. 3 del D.Lgs n. 157/1995, come modificato dalla legge n. 415/1998, si evince che per gli appalti di servizi e di lavori il legislatore non si è limitato alla semplice sostituzione, per certo più lineare, del criterio della accessorietà con quello della prevalenza economica ma ha proceduto ad un'integrazione dei criteri. La norma recita infatti che detti appalti, pur comprendendo anche l'esecuzione di lavori, sono considerati appalti di servizi qualora "i lavori assumano valenza accessoria rispetto ai servizi, siano complessivamente di importo inferiore al 50 per cento del totale, e non costituiscano l'oggetto principale del contratto".

La disciplina produce allora questi esiti : si applica la normativa sui lavori ove i lavori siano quantitativamente prevalenti; viene in rilievo la disciplina sui servizi ove i servizi siano quantitativamente prevalenti rispetto a lavori accessori. Una zona d'ombra sembra profilarsi ove si verta in tema di lavori quantitativamente subvalenti ma di carattere principale sul versante funzionale: la lettera della norma, nella parte in cui prevede il cumulo delle tre condizioni ivi descritte per determinare l'attrazione nell'alveo degli appalti di servizi, induce a ritenere che la funzione principale dei lavori comporti, anche in caso di subvalenza economica degli stessi, l'applicazione della disciplina sui lavori. L'assunto è corroborato dal rilievo che la "Merloni-ter" si è preoccupata di qualificare come appalto di lavori quello in cui questi ultimi siano, pur se accessori, economicamente prevalenti; è plausibile che sia stata presa in considerazione detta fattispecie in quanto quella in cui i lavori sono principali determina, anche in caso di subvalenza economica dei medesimi, l'applicazione, anche alla luce della rinnovato art. 3, comma 3, del D.Lgs n. 157/1995, della disciplina sui lavori. Una simile ricostruzione sopisce un attimo gli entusiasmi manifestati in precedenza in quanto innesca il riemergere, sia pure nella ridotta ottica descritta, del criterio della accessorietà, con tutte le sue incertezze, come criterio decisivo. Ancora non si può tacere del rammarico per non avere il legislatore del 1998 saputo cogliere l'occasione offertagli per una definitiva semplificazione di una materia che risulta invece complicata per certi versi da una soluzione combinatoria contraddistinta dal mescolarsi dei criteri della prevalenza economica e dell'accessorietà (16).

 

 

NOTE

(1) Cfr. C.M BIANCA, Diritto civile, III, Milano, 1987, 450 e 454.

(2) Cfr., in dottrina, R. SACCO-G. DE NOVA, Il Contratto, vol. II, Torino, 1993, 428 ss.; R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, Milano, 1975, 137 ss. In giurisprudenza cfr., ex plurimis, Cass, sez. II, 23 luglio 1983, n. 5075, in Mass. Giust. civ., 1983, 1799. Per l’applicazione del procedimento analogico cfr. C.M. BIANCA, op. cit., 453, il quale osserva che occorre confrontare "le singole situazioni contrattuali con situazioni simili regolate dalla legge e, tenendo conto della ragione di questa," verificare "di volta in volta quale soluzione normativa appaia più appropriata in relazione al caso concreto".

(3) Ad avviso di M. ZOPPOLATO, in TASSAN MAZZOCCO- ANGELETTI- ZOPPOLATO, Legge quadro sui lavori pubblici (Merloni ter), Milano, 1999, 9, il criterio dell'accessorietà appare ragionevole se si considera che i lavori raggiungono facilmente importi elevati, tanto che la soglia comunitaria per i lavori è oltre 20 volte superiore a quella per i servizi e le forniture. "Pertanto, ben può verificarsi che la componente dei lavori presenti un rilevante ammontare economico, senza anche laddove i lavori stessi hanno natura meramente accessoria e non costituiscono affatto la prestazione più importante del contratto. Sarebbe in tal caso illogico applicare una disciplina eterodossa rispetto a quella relativa allo scopo reale del contratto. L'A., alla nota 13, fa riferimento al cd. "contratto di global service, avente ad oggetto la gestione complessiva del patrimonio dei soggetti pubblici, nel cui ambito ai servizi di gestione vera e propria si affiancano servizi di manutenzione degli immobili, che, pur rilevanti nell'ammontare, non costituiscono certo la componente fondamentale del contratto".

(4) La normativa nazionale di recepimento si limita, sul punto, a prevedere che negli appalti pubblici di forniture devono considerarsi compresi i lavori di installazione (art. 1, D. Lgs. n. 358/92). Il medesimo criterio dell’accessorietà, inteso peraltro nella sua accezione dichiaratamente soggettiva, è utilizzato, inoltre, al fine di distinguere gli appalti di fornitura e posa in opera dagli appalti di lavori, dalla circolare dell’Anas 26 luglio 1996, n. 748, relativa alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 16 maggio 1996, n. 2357, concernente la "fornitura e posa in opera di beni inerenti la sicurezza della circolazione stradale". "Nei casi di appalti di fornitura e posa in opera, per stabilire se si tratti di appalto oppure di semplice fornitura, è decisiva la volontà delle parti contraenti, e cioè:

- se l’elemento determinante è il bene mobile da fornire e la posa in opera è un accessorio che non caratterizza il contratto, trattasi di fornitura;

- ma se il bene mobile è soltanto un elemento del bene complessivo che interessa il committente, non v’è dubbio alcuno che trattasi di appalto di lavori". E’ opportuno far riferimento, al riguardo, ai tre diversi criteri utilizzati, in ambito privatistico, dalla giurisprudenza civile e dalla dottrina nazionale al fine di distinguere tra l’appalto d’opera e la compravendita di cosa futura: si tratta del criterio oggettivo della "prevalenza", che impone il raffronto dei valori economici ascrivibili alle diverse prestazioni dedotte in contratto, sicchè la fattispecie va qualificata come appalto quando il costo dell’elemento lavoro superi quello della fornitura; il criterio della "ordinaria produzione" che, mutuato dalla normativa tributaria, segnatamente dall’art. 1, comma 5, legge 19 giugno 1941, n. 771, in forza del quale "qualunque sia il valore delle materie, merci o prodotti impiegati nella lavorazione, si considerano vendite a fini tributari i contratti con i quali una ditta si obbliga di consegnare cose che costituiscono oggetto della sua ordinaria produzione", sicchè il contratto va, per converso, qualificato come appalto qualora la realizzazione del bene dedotto in contratto imponga al produttore una speciale attività, essendo estraneo alla normale ed ordinaria serie produttiva; quello, infine, "soggettivo", che rimanda all’effettiva volontà delle parti, imponendo un’indagine volta a verificare se le stesse abbiano effettivamente assegnato rilievo preminente all’obbligazione di facere o a quella di dare. Cfr., sul punto, Cass. civ., 2 giugno 1993, n. 6171, in Rep. giur. it., 1993, voce "Appalto privato", n. 24; Cass. Sez. un., 9 giugno 1992, n. 7073, in Giur. it., 1993, I, 1, 1418, con nota di P. FABIANI; Cass. civ., sez. II, 8 settembre 1994, n. 7697, in Giur. it., 1995, I, 1, 1244, con nota di F. CAVALIERE. Per un'ampia disamina dei contratti misti si veda G. GRECO, Contratti misti e appalti comunitari, in Riv. it. dir. pub. com., 1994, 1262.

(5) Con riferimento agli appalti di lavori nei settori prima esclusi, la stessa direttiva 93/38 statuisce che gli stessi "possono comportare inoltre le forniture e i servizi necessari alla loro esecuzione" (art. 1, punto 4, lett. b).

(6) G. GRECO, Contratti <<misti>> e appalti comunitari, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1994, 1262 ss., in part. 1266. L’A. indica, a titolo esemplificativo, una serie di fattispecie in relazione alle quali il criterio dell’accessorietà potrebbe risultare inadeguato, se "inteso come riferentesi a prestazioni meramente strumentali e secondarie rispetto all’oggetto principale del contratto": il "contratto di servizio di mensa con fornitura di cibi precotti; ... un contratto che preveda la fornitura di metano e la manutenzione e gestione degli impianti di riscaldamento in stabili pubblici; ... una convenzione di distribuzione al pubblico di gas o di acqua, previa realizzazione della rete e manutenzione della stessa; ... ferrovie in concessione con costruzione delle linee; ... realizzazione di un impianto di riciclaggio, che comporta sia opere edili, sia fornitura di impianti, ecc.". In tutti questi casi - sostiene l’A. - "il criterio dell’accessorietà non può operare, perché esso presuppone certezza sull’oggetto principale del contratto".

(7) G. GRECO, op. cit., 1266, il quale rileva che, diversamente opinando, quello dell’accessorietà non costituirebbe "un criterio discretivo. Se, infatti, esso presuppone una autonoma individuazione di ciò che costituisce <<l’oggetto dell’appalto>> (...), ecco che lo stesso rinvia ad un altro criterio ermeneutico, che non può essere quello della prevalenza". Contra, in dottrina, G. MORBIDELLI e M. ZAPPOLATO, Appalti pubblici, in M.P. CHITI -G. GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 1997, 213 ss., in part. 225, i quali rilevano che, in sede di applicazione del canone dell’accessorietà, è necessario avvalersi di "tutti i criteri ermeneutici in materia contrattuale, ivi inclusa la ricostruzione della volontà delle parti e della reale finalità dell’accordo". Gli A., d’altra parte, sottolineano l’incertezza che connota siffatto criterio di individuazione del regime giuridico applicabile agli appalti misti, rimarcando, per converso, la preferibilità del canone della prevalenza. "... mentre non sussistono margini di dubbio o interpretativi negli appalti aventi ad oggetto contemporaneamente forniture e servizi, che saranno assoggettati alla disciplina tipica della prestazione di importo superiore, risulta invece rimessa all’interprete l’individuazione della disciplina dei contratti aventi ad oggetto sia lavori che servizi, occorrendo in tal caso individuare quale sia l’oggetto principale dell’appalto e quali le prestazioni ad esso <<accessorie>>".

(8) Sentenza n. 331/92 del 19 aprile 1994, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1994, 1238, con nota di G. GRECO, Contratti <<misti>> e appalti comunitari.

(9) E’ appena il caso di sottolineare, al riguardo, che nell’ambito oggettuale degli appalti pubblici di servizi non possono in alcun modo essere ricondotti i pubblici servizi: ciò per almeno due ragioni, la prima desumibile dalle obiettive caratteristiche che le due fattispecie presentano alla stregua della rispettiva disciplina, la seconda, invece, ricavabile dall’analisi dell’iter di gestazione della direttiva 92/50/Ce. Quanto alla prima, non si trascuri che la direttiva 92/50, che definisce gli appalti pubblici di servizi come "contratti a titolo oneroso" , trova applicazione solo con riferimento ai contratti onerosi per l’amministrazione aggiudicatrice, implicanti, pertanto, un erogazione di denaro da parte della stazione appaltante (c.d. contratti passivi): peculiarità, questa, che non si riscontra, invece, per l’affidamento dei pubblici servizi, normalmente accompagnato dal versamento di un canone effettuato dal gestore in favore dell’amministrazione. D’altra parte, i servizi cui ha riguardo la direttiva 92/50 hanno per oggetto prestazioni rese da terzi in favore dell’amministrazione, attività dunque in alcun modo assimilabili a quelle destinate a costituire il nucleo dei servizi pubblici: è sufficiente pensare, sul punto, alla definizione di servizi pubblici fornita dall’art. 22, comma 1, legge n. 142/90, quali attività assunte e prestate dall’Ente locale, in via diretta o indiretta, a favore della collettività al fine di realizzare "fini sociali e promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali". D’altra parte, gli stessi lavori preparatori della direttiva 92/50 corroborano, se ancora ve ne fosse bisogno, l’assunto della sostanziale diversità intercorrente tra le due figure. Ed invero. l’originaria proposta di direttiva, presentata dalla Commissione al Consiglio il 13 dicembre 1990, estendeva la propria sfera oggettuale fino a ricomprendere anche le concessioni di pubblici servizi definite come contratti conclusi "tra l’amministrazione ed un altro ente di sua scelta in forza del quale l’amministrazione demanda all’ente l’esecuzione di un servizio pubblico di sua competenza e l’ente accetta di svolgere tale attività avendo come corrispettivo il diritto di sfruttare il servizio oppure tale diritto accompagnato da controprestazione pecuniaria". Sennonché, la figura della concessione di servizi, originariamente contemplata dalla proposta di direttiva, non compare più nel testo finale e definitivo della direttiva. Sul punto, cfr. G. GRECO, Contratti "misti" e appalti comunitari, cit., 1268; F. FRACCHIA, Servizi pubblici e scelta del concessionario, in Dir. amm., 1993, 367; G. MORBIDELLI, Società miste, servizi pubblici e opere accessorie, in Riv. trim. app., 1997, 493 ss., in part. 501, nota 10.

(10) T.A.R. Veneto, sez. I, 11 febbraio 1997, n. 363, in Foro amm., 1997, 1997, 2398; T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, 22 maggio 1998, n. 442, inedita. Sulla base del criterio dell’accessorietà, inteso ed applicato in senso funzionale-soggettivo, è stato qualificato come appalto di servizi e non di lavori il contratto avente ad oggetto l’esercizio e la manutenzione degli impianti di riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria, nonchè l’esecuzione di lavori di trasformazione a gas metano e realizzazione di un sistema telematico per la gestione del servizio di riscaldamento: qualificazione in favore della quale, militerebbe, ad avviso del Giudice amministrativo, la circostanza per cui l’oggetto del contratto in questione sarebbe costituito, in misura prevalente, dalla prestazione del servizio rispetto alla quale la realizzazione di eventuali opere assumerebbe una funzione assolutamente marginale, T.A.R. Lazio, sez. II, 15 marzo 1995, n. 445, in Trib. amm. reg., 1995, 1, 1520. Perplessità sono espresse, con riguardo a siffatta applicazione del canone dell’accessorietà, da P. SANTORO, Gli appalti pubblici: nozione comunitaria e tipologie nazionali, in Foro amm., 1998, 1282 ss., in part. 1311, il quale rimarca il rischio che si introduca, in tal modo, "una certa elasticità nella stessa definizione dell’oggetto principale dell’appalto spostando il fulcro dall’esecuzione di lavori con qualsiasi mezzo, ancorchè di manutenzione, alle attività propedeutiche ad essa finalizzata (anagrafe del fabbisogno manutentivo, elaborazione di un programma pluriennale e gestione degli interventi) che il tribunale ascrive ad attività di service dopo aver configurato il contratto come misto per la presenza di prestazioni tra loro autonome; è proprio l’enucleazione di un’attività preliminare e l’abbandono della prevalenza economica hanno consentito di ribaltare l’oggetto rispetto agli interventi di manutenzione. La linea adottata potrebbe preludere alla riedizione della concessione di committenza sotto la specie di un contratto di servizi, con possibile elusione delle direttive qualora si assemblassero servizi non contemplati".

(11) 25 luglio 1996, n. 857, in Riv. trim. app., 1998, 195, con nota di C. GUCCIONE, Appalto d’opera e fornitura con posa in opera: criteri di distinzione.

(12) Sezione I, 17 febbraio 1998, n. 233, in I TAR, 1998, 1375.

(13) E' stata ritenuta irrilevante la mancata indicazione di detta attività di manutenzione nell'allegato al D.Lgs n. 257/1995, in quanto il carattere non tassativo della relativa elencazione è confortato dalla voce generica di cui all’allegato b "altri servizi".

(14) Per alcuni precedenti giurisprudenziali antecedenti alla approvazione della "Merloni-ter", cfr. T.A.R. Veneto, 16 novembre 1995, n. 1354, in Trib. amm. reg., 1996, I, 136, ove si enuncia il principio in forza del quale nei contratti "di fornitura e relativa installazione o posa in opera è legittimo che l’amministrazione ritenga la gara mista applicando sia le regole sulle forniture sia quelle relative all’appalto, ogni qualvolta ravvisi la necessità che nella disciplina di gara non si prescinda dal possesso dei requisiti richiesti per entrambi i tipi di appalto unificati"; T.A.R. Campania, 8 gennaio 1996, n. 10, in Trib. amm. reg., 1996,I, 1300.

(15) In senso contrario opina ZOPPOLATO, cit., 10-11 , a cui dire la prescrizione innovativa può trovare applicazione nei contratti non rientranti nell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria, perché di valore inferiore alla soglia fissata per gli appalti di servizi e di forniture (attualmente 200.000 ECU) o perché concernenti fattispecie escluse dalle relative disposizioni. Il dato della prevalenza quantitativa non può invece valere, secondo l'A., nell'ambito di operatività delle normative comunitarie sui servizi e sulle forniture, che, come si è detto, escludono espressamente la rilevanza dei lavori "accessori" al fine di individuare la disciplina applicabile. Né, soggiunge l'A., in senso contrario può assumere rilievo la modifica del D.Lgs. n. 157/1995, "anch'essa inidonea a scalfire il consolidato principio comunitario desumibile dalle premesse alla direttiva 92/50 e dalla giurisprudenza comunitaria. Anche in presenza della disposizione in esame, pertanto, dovrà individuarsi quale sia la prestazione prevalente nell'appalto, a prescindere (nel caso di contratti misti lavori-forniture o lavori-servizi) dal valore; e, in conseguenza, si dovrà applicare la relativa disciplina e disapplicare le norme interne che pretendano di opporvisi".

(16) Vedi GUCCIONE, cit., 3-4.