ANTONIO PURCARO
(Segretario del Comune di Villa d’Almè -Bergamo)
I segretari comunali e provinciali si confrontano
con la riforma del Titolo V della Costituzione.
(Note a margine del XVII congresso nazionale dell’unione nazionale dei segretari comunali e provinciali)
Nella prestigiosa cornice della Sala della Promototeca del Campidoglio in Roma il 19 giugno 2003 si è tenuto il XVII congresso nazionale dell’organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa della categoria dei segretari comunali e provinciali.
Tema principale dell’assise, oltre al rinnovo delle cariche, è stato il confronto della categoria con il nuovo ordinamento costituzionale nato dall’approvazione della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001, con la quale è stato riformato l’intero Titolo V della Carta Costituzionale.
I lavori sono stati animati dagli interventi di esponenti politici di maggioranza e di opposizione e da insigni studiosi del diritto pubblico e del diritto amministrativo. Particolarmente apprezzato dalla platea è stata la presenza e la relazione tenuta dal ministro per gli Affari regionali on.le La Loggia, padre della legge 5 giugno 2003 n.131[1] con la quale sono state poste le fondamenta per l’attuazione della riforma costituzionale e l’adeguamento dell’ordinamento delle autonomie locali al nuovo impianto ispirato al federalismo cooperativo.
La legge 131 contiene infatti la delega al Governo per la correzione del vigente Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali approvato con il decreto legislativo 18 agosto 2000 n.267, che dovrà essere depurato di tutte quelle disposizioni non più in linea con i nuovi principi.
Il Governo dovrà provvedere inoltre ad individuare, procedendo alla loro ricognizione, le funzioni fondamentali degli Enti locali. L’art.118 delle Costituzione riconosce in capo al Comune la titolarità e l’esercizio di tutte le funzioni amministrative con la sola eccezione di quelle che per il loro esercizio richiedano l’intervento della Provincia, della Regione ovvero dello Stato (principio di sussidiarietà verticale).
La legge “La Loggia” detta poi i criteri ai quali il Governo dovrà conformarsi per l’esercizio della delega; tra tali criteri quello che ha destato maggiormente l’attenzione del mondo dei segretari è quello contenuto all’art.2, comma 4, lett.m): “mantenere ferme le disposizioni volte ad assicurare la conformità dell’attività amministrativa alle leggi allo statuto ed ai regolamenti”.
La lettura di questo disposto è stata intesa dalle associazioni di categoria e dalla stampa di settore come “clausola salva segretari”.
Dopo l’entra in vigore della legge costituzionale n.3/2001 alcuni commentatori avevano iniziato a sostenere che l’ampliata autonomia normativa, statutaria e regolamentare, riconosciuta ai comuni ed alla province, era tale da configurare in astratto la possibilità per ogni ente locale di darsi una propria organizzazione che non prevedesse la figura del segretario comunale; tant’è che alcuni enti (il comune di Castel di Tora ed il Comune di Lauro) avevano provocatoriamente approvato modifiche statutarie che andavano nella direzione della soppressione di tale figura dall’ordinamento comunale. La magistratura amministrativa aveva, seppure in fase cautelare, posto rimedio a tale situazione. La vicenda tuttavia non può ancora dirsi conclusa e da diverse parti viene richiesto un chiarimento normativo.
Apparentemente la legge 131, nonostante la stesura non particolarmente chiara della lett.m) del comma 4 dell’art.2, pare aver posto un rimedio a tale contrasto interpretativo.
Un chiarimento definitivo della vicenda potrà solo aversi dopo l’approvazione del nuovo Testo Unico degli enti locali, e più verosimilmente dalle successive pronunce della Corte Costituzionale che sicuramente non mancheranno.
La riforma del Titolo V aveva aperto il dibattito in ordine in capo a quale soggetto riconoscere la competenza in materia di legislazione degli enti locali e quindi dettare la disciplina dei segretari comunali.
L’art.117, comma secondo, lett.p), della Costituzione così riformata assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina della “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province ”; e poiché nessun riferimento espresso alla disciplina degli enti locali è contenuta nel comma successivo dedicato all’ambito della potestà legislativa concorrente (o ripartita) tra Stato e Regione, ha indotto ed induce molti studiosi a propendere per riconoscere quindi alle Regioni, quali soggetti aventi la potestà legislativa residuale la disciplina di ogni altro aspetto riguardante l’ordinamento degli enti locali, comuni e province[2].
Tuttavia a tale interpretazione osta la formulazione del nuovo art.114[3] che sancisce la pari dignità costituzionale nella Repubblica, tra Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni.
Alle Province ed ai Comuni viene inoltre riconosciuta un ampia potestà normativa, statutaria e regolamentare[4].
E’ pur vero che la Costituzione non sancisce una formale “riserva di Statuto” a favore degli enti locali, tuttavia l’elevazione a rango costituzionale dell’autonomia statutaria dei comuni un qualche significato deve pur averlo. Non si può quindi non convenire che il riconosciuto potere normativo di comuni e province, soprattutto in ambito organizzativo, debba necessariamente essere tale da escludere, fatto salvo quanto disposto dallo Stato in esecuzione dell’art.117, comma 2, lett.p), l’ingerenza statale ed in particolar modo regionale. Non sembra quindi più ipotizzabile una legge statale o regionale che detti norme in materia di organizzazione dei comuni e delle province; tali norme sarebbero evidentemente prive di un’adeguata “copertura costituzionale”.
Invero, per un più generale principio di conservazione, a tali norme potrebbe essere riconosciuto il valore di “norme cedevoli” ovvero di norme destinate ad operare finchè i comuni o le province non dispongano diversamente. I consigli comunali e provinciali nell’ambito della propria autonomia potrebbero anche recepire quanto contenuto nella legge dello Stato, ma tale decisione sarebbe il risultato di una genuina volontà locale e non già di una imposizione statale o peggio regionale.
A confortare tale tesi la previsione contenuta all’art.4 della legge n.131 laddove viene chiaramente ribadito che “…. La disciplina dell’organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane è riservata alla potestà regolamentare dell’ente locale ……. Fino all’adozione dei regolamenti degli enti locali, si applicano le vigenti norme statali e regionali …..”.
E’ pur vero che la tutela dell’uniformità dell’azione amministrativa e dell’unità giuridica del sistema delle Autonomie locali, nell’ambito della Repubblica, esige che gli enti locali abbiano una disciplina di base comune; ma tale esigenza sarebbe, secondo tale chiave di lettura, sufficientemente garantita dalla determinazione con legge statale degli organi di governo, del sistema elettorale e delle funzioni fondamentali.
In questo senso gli interventi del prof. De Martin, del prof. Pizzetti e del prof. Bassanini. I Segretari comunali e provinciali, la quale permanenza a servizio delle autonomia locali viene da tutti, Governo, ANCI e mondo accademico, auspicata dovranno necessariamente trovare la fonte della propria legittimazione nel potere normativo delle Autonomie Locali. Saranno gli enti locali, Comuni e Province a richiedere il prezioso apporto dei segretari comunali al processo di sviluppo del governo locale. Sarà la professionalità e la dedizione espressa sul campo dai segretari l’unica garanzia di continuità di questa storica figura. Ricercare la fonte della propria legittimazione nelle pieghe di una legge statale è un’operazione tattica che pecca di una visione strategica circa l’evoluzione dell’ordinamento della Repubblica.
Ad ogni modo, condivisibili ragioni di opportunità “politico-istituzionale” e l’affermarsi di tendenze “neo-centralistiche”, ben potrebbero far prevalere una diversa lettura delle riforma, estensiva dei poteri dello Stato, che possa giustificare la legittimità costituzionale di una norma statale che continui a prevedere l’obbligatorietà, non diversamente derogabile da parte dei comuni e delle province, della presenza della figura del segretario in ogni comune e provincia, delineandone nel contempo le funzioni essenziali.
Tuttavia occorre riflettere sulla collocazione degli statuti comunali e provinciali nel sistema della gerarchia delle fonti del nostro ordinamento giuridico riformato dalla legge costituzionale n.3/2001.
E’ solo attraverso una lettura sistematica della Costituzione che è possibile ricercare una valida soluzione.
Il Legislatore costituzionale ha voluto “tutelare” gli enti locali, Comuni e Provincie, da possibili tendenze neo-centralistiche regionali, riservando espressamente alla legislazione esclusiva dello Stato la disciplina in ordine alla legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, escludendo qualsiasi mediazione regionale in materia, e rimettendo alla potestà regolamentare degli enti locali medesimi la disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
L’autonomia statutaria trova quindi il proprio limite unicamente nei principi fissati dalla Costituzione nonchè nel rispetto delle disposizioni dettate dallo Stato in ordine alla legislazione elettorale, agli organi di governo ed alle funzioni fondamentali.
Tuttavia al lettore attento non può certo sfuggire il disposto contenuto nell’art.97, comma primo, della Costituzione che così recita:”I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
Il richiamo non può che essere alla legge dello Stato. La legge costituzionale di riforma nasce con l’obiettivo di rafforzare ed espandere le Autonomie, tutte le Autonomie. Il raggiungimento di tale obiettivo sarebbe compromesso da interpretazioni della norma tendente ad ampliare la portata della autonomia regionale a pregiudizio della autonomia e della relativa potestà normativa locale. Così come le Regioni autonomamente potranno disporre in materia di organizzazione e svolgimento delle proprie funzioni, allo stesso modo, su un piano distinto, non influenzabile dalle Regioni, gli Enti Locali potranno, nell’esercizio della propria potestà normativa, statutaria e regolamentare, disciplinare la propria organizzazione e lo svolgimento delle proprie funzioni.
La già invocata tutela dell’uniformità dell’azione amministrativa e dell’unità giuridica nell’ambito della Repubblica del sistema delle Autonomie locali, esige che sia lo Stato a farsi carico della disciplina degli aspetti di base della vita dei Comuni e delle Province.
Alla luce della riforma costituzionale, la disciplina dell’organizzazione degli enti locali e dello svolgimento delle relative funzioni, non potrà che riconoscere nella Costituzione e nei suoi principi, nello legge dello Stato, nel proprio Statuto e nei propri regolamenti le uniche fonti normative.
Tale lettura potrebbe trovare la propria ratio nel fatto che il Legislatore costituente laddove ha attribuito alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina degli “organi di governo” e delle “funzioni fondamentali”, abbia inteso includere anche il quomodo del relativo esercizio, facendo quindi salva la possibilità per il legislatore statale di prevedere, ad esempio, la distinzione di competenze tra dirigenza ed organi di governo, ovvero la previsione della figura del segretario comunale e provinciale.
Del resto già la Corte Costituzionale con la nota sentenza n.52 del 1969 aveva avuto modo di riconoscere la compatibilità costituzionale della previsione della figura del Segretario comunale, funzionario statale, legato da un rapporto di servizio con il comune o la provincia.
E’ proprio l’art.4, comma 4, della legge 131 a riservare alla fonte legislativa il compito di assicurare “i requisiti minimi di uniformità” della disciplina dell’organizzazione di Comuni, Province e Città Metropolitane.
Le Autonomie locali non possono certo essere considerate avulse dall’ordinamento generale.
Partendo dalle argomentazioni contenute nella sentenza richiamata alcuni autori, e tra questi il prof. Foà, ritengono di poter trarre, seppure in presenza di una diversa formulazione del testo costituzionale, utili elementi che possano suffragare il mantenimento nell’ordinamento positivo statuale della figura del segretario.
Il Titolo V attuale non sarebbe altro che un più moderno sviluppo dei principi contenuti nell’art.5 della Costituzione[5], disposto non innovato dalla legge costituzionale di riforma.
Quindi, se vigente il combinato disposto art.5 e 128 (ora abrogato)[6] la Corte aveva ritenuto di riconoscere piena cittadinanza all’istituto del segretario comunale e provinciale, non si comprenderebbe il motivo e la ragione per la quale vigente il combinato disposto art.5 e 114 (nuova formulazione) non possa continuarsi ad ammettere la legittimità di una legge che continui a prevedere e disciplinare la presenza uniforme presso ogni ente locale di questa figura.
Particolare attenzione viene posta sul ruolo dell’Agenzia e della Scuola di formazione. L’Agenzia, e la Scuola, organismi a servizio delle Autonomie locali, dovranno sempre più assolvere il delicato compito di garantire agli enti locali, comuni, province, ed in prospettiva comunità montane e Città Metropolitane, funzionari preparati e motivati a gestire il nuovo ruolo.
Occorre poi un chiarimento delle funzioni da affidare alla cura del segretario; non basta battersi per il mantenimento della figura ma occorre principalmente individuare un nocciolo duro di funzioni che devono contraddistinguere la figura del segretario comunale da quella degli altri dirigenti.
Per esempio si potrebbe ipotizzare di affidare alla responsabilità del segretario l’implementazione e la verifica del funzionamento presso ogni ente dei meccanismi di controllo interno in generale e sulla gestione in particolare.
Andrebbe poi valorizzata la funzione di collaborazione giuridico-amministrativa del Segretario chiamato sempre più a confrontarsi con la redazione di atti normativi, statuti e regolamenti locali.
Il Governo, per bocca dei suoi autorevoli rappresentanti intervenuti all’assise dei segretari, enfatizza la funzione di controllo di legittimità.
Cessato il sistema dei controlli ex-post, sostengono il Sottosegretario agli Interni, on.le D’Alì, il Sottosegretario alla Giustizia, on.le Vietti ed il Sottosegretario alla Funzione pubblica on.le Saporito, occorre garantire una verifica ex-ante dell’azione amministrativa degli enti locali.
In maniera un po’ imprecisa si parla di una generica funzione di garanzia della legalità sostanziale, di verifica della conformità dell’azione amministrativa e non già dei singoli atti.
Ma, come intelligentemente rilevato dal prof. Foà, risulta difficile, se non impossibile, riconoscere un significato a tale petizione di principio posto che l’azione amministrativa si esplica per atti; e che quindi il controllo (parere) di legittimità non può che essere espresso atto per atto, seppur prestando attenzione all’intera vicenda.
Alla cura del segretario, non è più posto l'atto puntuale, o meglio il solo atto puntuale, bensì l'azione amministrativa nel suo complesso; tanto in fase di programmazione, quanto in fase di attuazione degli indirizzi e degli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente.
Il Presidente dell’ANCI on.le Domenici ha posto l’accento sulla necessità che il segretario assolva invece ad una più incisivo ruolo di direzione complessiva dell’ente, laddove l’attività di garanzia rappresenta uno strumento e non già il fine dell’agire del segretario.
Occorre superare la dicotomia, presente in verità in pochi enti, in genere di grosse dimensioni, tra la figura del segretario e quella del direttore generale. Ma anche in questo caso dovrà essere la professionalità espressa da segretario ad indurre l’ente locale a riconoscere in capo al segretario medesimo il ruolo di vertice della struttura amministrativa e non già la norma in astratto.
Si potrebbe ipotizzare, in alcuni casi di realtà particolarmente complesse, la possibilità di affiancare al Segretario, definitivamente collocato al vertice della struttura, un direttore-operativo; una figura quindi, quella del direttore operativo, che non si pone, nella direzione generale dell’ente, in alternativa al segretario, bensì che collabora con il segretario al fine del miglior perseguimento degli obiettivi aziendali.
Il rilancio della figura del segretario passa inoltre attraverso l’individuazione di precisi limiti alla costituzione di sedi convezionate.
Lo strumento della convenzione se male applicato determina uno svilimento del ruolo del segretario, il quale da guida dell’azione amministrativa dell’ente degrada inevitabilmente ad un ruolo del tutto marginale nell’organizzazione.
Del resto delle due l’una, o l’ente ha bisogno dell’apporto della professionalità del segretario, ed allora non si comprende per quale motivo debba dividerlo con altri, oppure l’ente non ritiene che tale dirigente possa contribuire al miglior governo dell’ente, ed allora non si comprende per quale motivo l’ente debba, anche se in minima parte, sostenerne l’onere.
Oggetto di particolare esame è stata poi l’indagine sulla costituzionalità del rapporto di fiducia tra “alta dirigenza pubblica”, della quale viene auspicato un maggior raccordo, e organi di governo centrali e locali.
Per il prof. Cassese la previsione della motivazione dei provvedimenti di revoca dei dirigenti e quindi dei segretari, configgerebbe con la pretesa fiduciarietà dell’incarico. Delle due l’una: o la nomina è fiduciaria ed allora non richiede alcuna motivazione neanche la revoca, essendo l’ufficio di natura eminentemente politica, oppure si tratta di un atto di preposizione ad un ufficio di alta direzione amministrativa ed allora trattandosi di scegliere o di determinarne la cessazione anticipata del titolare l’atto richiede inevitabilmente una motivazione in termini oggettivi.
Secondo l’on.le Bassanini, che è intervenuto a confutare quanto esposto da Cassasse in merito alla presunta incostituzionalità del rapporto fiduciario tra governo e dirigenza, tessendone invece le lodi quale strumento necessario per assicurare ai “governanti”, siano essi ministri, presidenti di regione o sindaci, la realizzazione del programma di governo in un sistema che prevede la distinzione tra politica e gestione, occorre, invece, inserire nell’ordinamento dei correttivi in base ai quali la nomina fiduciaria dell’alta dirigenza, centrale e locale (i segretari appunto), da parte dell’organo di governo sia accompagnata da puntuali garanzie per il funzionario dovendo la revoca dell’incarico essere legata esclusivamente al mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati per fatto imputabile al dirigente medesimo.
L’attenzione è dunque stata puntata sulla irreversibilità della scelta operata con la legge n.127 del 1997 di ricondurre in capo ai sindaci ed ai presidenti di provincia la scelta, seppur all’interno di un Albo professionale, del proprio principale collaboratore.
Ipotizzare diverse soluzioni, come quella tra le righe avanzata da Cassasse, di ricondurre la nomina alla competenza dei Consigli, pur suggestive appaiono poco praticabili.
Si apre dunque per i Segretari comunali una nuova fase della loro lunga e gloriosa storia.
La legge di unificazione n.2248 del 1865 aveva previsto la presenza obbligatoria di tale figura in ogni Comune del Regno (la nomina del segretario ed il suo trattamento economico erano di competenza del consiglio comunale).
Il regime fascista con la legge del 1928 provvide alla “statizzazione” dei segretari, i quali dipendenti del Ministero dell’Interno, erano legati da un rapporto di servizio con l’ente locale.
La legge n.127 del 1997 innovava profondamente; il segretario, non più dipendente dello Stato-apparato, ma pur obbligatoriamente presente in ogni comune della Repubblica viene preposto all’incarico con un provvedimento del Sindaco, che lo sceglie tra gli iscritti ad un apposito Albo.
Infine la riforma del titolo V della Costituzione che riconoscendo piena autonomia organizzativa ai Comuni, riconduce ancora di più, il Segretario nell’alveo delle Autonomie Locali.
Il Segretario comunale diventa la cerniera tra l’ordinamento statuale e l’ordinamento delle autonomie locali
La lettura “autonomista” della riforma del Titolo V potrebbe, e c’è da augurarselo, valorizzare la figura ed il ruolo dei Segretari comunali e provinciali, una rinnovata legittimazione “dal basso”, che se accompagnata da una forte professionalità, dedizione, spirito di categoria, non tarderà di certo ad arrivare.
Un’ultima nota: se sono queste le premesse è evidente ed inevitabile che il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro della categoria non potrà che essere siglato dopo che sia stato definito il nuovo assetto. Il nuovo contratto dovrà quindi nascere dal solo e puro confronto tra le organizzazioni sindacali dei segretari e le associazioni esponenziali delle autonomie locali, ANCI e UPI.
[2] "Art.117. - La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
omissis…
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
omissis…
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Omissis…
[3] "Art.114.
La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.
[4] Art.117
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
[5] Art.5 “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali….omissis..”
[6] Art.128 “Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica che ne determinano le funzioni”.