Brevi riflessioni sulla
applicabilità della Merloni ter in Sicilia
in materia di incarichi di
progettazione
La questione dell’applicabilità diretta ed incondizionata in Sicilia della L. 415/98 (c.d. Merloni ter) modificativa della L. 109/94, grazie al lungo protrarsi del "silenzio" del legislatore regionale (a cui, pare, proprio in questi giorni si stia cercando di porre rimedio), ha lasciato ampi interrogativi cui occorre trovare sollecita risposta.
L’originario testo della L. 109/94 , all’art. 1 (non modificato dalla successiva normativa di riforma), prevedeva che "le disposizioni della presente legge costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale e princìpi della legislazione dello Stato ai sensi degli statuti delle regioni a statuto speciale e dell'articolo 117 della Costituzione, anche per il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato".
La Corte Costituzionale con sentenza n. 482 del 7 novembre 1995 ha dichiarato parzialmente illegittima detta disposizione.
La Regione Sicilia, dettando le norme volte all’adeguamento della norma statale, all’art. 1 della L.R. 10.1.1995 n° 10, e successive modifiche, ha così disposto:
"la Regione provvede ad adeguare la propria legislazione sui lavori pubblici ai principi fondamentali introdotti in materia dalla normativa statale di riforma economico - sociale, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della medesima.
2. Fino a quando non entrerà in vigore la legge regionale di adeguamento di cui al comma 1, continuano ad applicarsi integralmente le disposizioni delle leggi regionali in vigore".
(omissis)
4. Sono abrogati i commi 1, 2 e 5 dell'articolo 2 della legge regionale 7 giugno 1994, n. 19, nonchè il comma 3 dello stesso articolo ad eccezione di quanto vi è previsto circa l'immediata applicazione nella Regione degli articoli 35 e 36 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modifiche ed integrazioni".
Detti ultimi due articoli non concernono la materia degli incarichi di progettazione ed attività connesse .
Il termine di cui al comma 1 della norma appena richiamata, per effetto dell’art. 11, comma 1, della L.R. 3/98, è stato prorogato al 31.12.1998.
Inoltre, ai sensi dell’art. 1 della L.R. 4/96, è stato stabilito che "fino all'adeguamento della legislazione regionale alla normativa statale in materia di lavori pubblici continua ad applicarsi la vigente normativa regionale con le modifiche di cui al presente titolo."
Ulteriore circoscritto rinvio alla L. 109/94 è presente all’art 9 della L.R. 22/96 in riferimento all’anticipazione del prezzo d’appalto.
Infine, in ordine alla specifica materia della progettazione è stato stabilito, all’art. 4 della L.R. 4/96 (ovviamente successiva alla legge 109/94), la modifica parziale di disposizioni regionali precedenti.
Come è dato evincere dalla normativa richiamata, il principio espresso dal legislatore siciliano consiste nella necessità di recepimento di una normativa volta a regolare la materia dei lavori pubblici di derivazione statale.
Detto orientamento, in linea di principio, va condiviso.
Le norme di riforma economico-sociale, essendo deputate principalmente ad armonizzare la disciplina nazionale in determinati settori di intervento statale, costituiscono, come è pacificamente riconosciuto, un limite anche all’attività legislativa primaria conferita alla Regione Sicilia nelle materie di cui all’art. 14 dello Statuto.
Il problema che si pone, quindi, è quello del rapporto tra dette norme e la competenza legislativa esclusiva affidata alle Regioni a Statuto speciale.
Il Giudice delle Leggi con la decisione richiamata, proprio in riferimento alla L. 109/94, ha chiarito che detta normativa "tocca un settore che, negli aspetti disciplinati dalla riforma - tempi e costi certi e prefissati, procedure trasparenti, netta separazione, anche per gli aspetti tecnici (da progettazione a collaudo), fra Amministrazione committente ed esecutore - assume importanza nazionale e richiede l'attuazione di principi uniformi, comportanti, tra l'altro, omogeneità e chiarezza delle procedure, uniforme qualificazione dei soggetti, libera concorrenza degli operatori in un mercato senza restrizioni regionali, nonché soggezione ad un organismo indipendente di vigilanza e garanzia; pertanto, ricorrono, nel caso gli elementi per riconoscere alla legge nel suo complesso i caratteri della normativa fondamentale di riforma economico-sociale".
Detta qualificazione è espressamente contenuta, come già si è fatto cenno, nell’art. 1 della legge in esame.
Secondo la Suprema Corte, però, la qualificazione di una legge o di alcune disposizioni come principi "fondamentali della legislazione statale o come norme fondamentali di riforme economico-sociali" non può ricollegarsi ad "apodittiche affermazioni del Legislatore, dovendo trovare rispondenza nella natura effettiva delle disposizioni, quale si desume dal loro contenuto normativo" (Corte Cost. 26.2.90 n° 85).
In altri termini, "l'autoqualificazione non è determinante per ritenere che singole disposizioni normative siano effettivamente principi o norme fondamentali di riforma economico-sociale, dovendo essere sempre valutato, in ciascun caso, il carattere sostanziale delle norme cui il legislatore attribuisce tale qualifica" (Corte Cost. 7.11.1995 n° 482 cit.).
Dal superiore assunto, è stato fatta derivare l’incostituzionalità, per violazione delle norme (art. 117 Cost. e disposizioni corrispondenti degli statuti speciali) che sanciscono rispettivamente, in materia di lavori pubblici, l'autonomia legislativa concorrente delle Regioni a statuto ordinario e primaria di quelle a statuto speciale) dell'art. 1 secondo comma L. 11 febbraio 1994 n. 109 nella parte in cui dispone che costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale e principi della legislazione dello Stato tutte " le disposizioni della presente legge ", anziché solo " i principi desumibili dalle disposizioni della presente legge " (Corte Cost., ult. cit.).
Sempre secondo la Corte, "la qualificazione del legislatore non può, quindi, assumere valore precettivo, tale da attribuire alle norme una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza. Essa costituisce, piuttosto, un'esplicita indicazione dell'intenzione del legislatore ed acquista valore sintomatico delle caratteristiche delle disposizioni".
Per altro, l’enunciazione dei principi non può essere limitata soltanto alla palese rappresentazione degli stessi, in quanto questi possono essere desunti dalla disciplina di dettaglio, che ad essi si ispira o che necessariamente li implica e presuppone.
Non tutte le disposizioni, né il compiuto tenore letterale, costituiscono quindi " norme fondamentali di riforma economico-sociale " e " principi della legislazione dello Stato ", ma solo i nuclei essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono, per i principi enunciati o da esse desumibili.
Dalle premesse deriva che la legge in esame, "nel suo complesso", non costituisce "un vincolo per la legislazione regionale".
Contrariamente alla pressoché unanime giurisprudenza (cfr, ex multis, Corte Cost. 8.5.1995 n° 153; C.G.A. – Sezioni Riunite – 11.6.1996 n° 105; C.G.A. – Sez. Consultiva – 24.2.1998 n° 127; Cass. Civ. I, 9.4.1997, n° 3077), secondo la quale, fermo restando l’esercizio della successiva potestà legislativa "esclusiva", alla sopravvenuta normazione nazionale espressiva dei principi in esame occorre attribuire una provvisoria efficacia "abrogratrice rispetto alla incompatibile normativa regionale preesistente, è stato ritenuto che dalla cogenza dei principi di riforma economico-sociale, derivi non già l’indiscriminata immediata applicabilità degli stessi nell’ambito regionale, ma la necessità di una normativa regionale di recepimento ossequiosa dei predetti principi (cfr. T.A.R. Palermo 12.5.1998 n° 881).
Al di là di una precisa posizione sull’argomento, è possibile concludere, però, che l’inserzione "automatica" di detti principi (in quanto contenuti in normazione compiutamente svolta), potrà essere concepibile senza dubbio alcuno nelle aree prive di particolare e specifico intervento legislativo regionale.
Ciò posto, occorre coerentemente verificare se, nella fattispecie in esame, le norme di rilievo concretizzino ( e in che misura) principi di riforma economico-sociale.
E’ bene rammentare che la disciplina di dettaglio, per effetto del superamento della nozione di autoqualificazione, non può ritenersi vincolante dovendosi in ciascun caso distinguere correttamente tra principi ed altre norme.
In particolare, "la distinzione dei principi e del nucleo essenziale della nuova disciplina dalle prescrizioni di dettaglio vale anche per l'attività di progettazione e per la definizione dei progetti (artt. 16 e 17 della legge n. 109 del 1994, sostituiti dagli artt. 5 quinquies e 5 sexies del decreto legge n. 101 del 1995).
La legge distingue nettamente, nella definizione tecnica del progetto, quello preliminare dal definitivo e dall'esecutivo. Questa articolazione è essenziale per assicurare, con il progetto esecutivo, l'eseguibilità dell'opera ed è ritenuta indispensabile per rendere certi i tempi ed i costi di realizzazione.
Risponde ad una scelta di principio anche la preferenza per la redazione dei progetti da parte di uffici tecnici delle stesse Amministrazioni aggiudicatrici o di altre Pubbliche amministrazioni, assicurandosi in ogni caso la netta separazione tra il momento della progettazione e quello della esecuzione dell'opera.
La distinzione tra principio e disciplina di dettaglio opera anche nelle disposizioni, relative alla direzione dei lavori (art. 27) ed ai collaudi (art. 28). L'esigenza fondamentale è di assicurare il netto distacco dell'esecuzione dell'opera, rimessa all'imprenditore, dalle attività riservate all'Amministrazione. Ne segue la necessità di istituire o adeguare gli uffici tecnici propri dell'Amministrazione aggiudicatrice, di prevedere come complementare l'affidamento ad altre Amministrazioni pubbliche e come residuale l'attribuzione dell'incarico a professionisti selezionati, secondo criteri oggettivi ed in conformità alle disposizioni comunitarie" (Corte Cost. ult. cit.).
Si può, quindi, concludere che il dettaglio dell’affidamento progettuale, da ritenere "residuale" nei confronti di professionisti esterni all’Amministrazione appaltante, richieda, come norma di principio, il solo (ma imprescindibile) limite della sussistenza di criteri oggettivi e conformi alle disposizioni comunitarie.
Vieppiù. In tema di progettazione, l’art. 3 della L. 109/94 prevede espressamente la delegificazione della materia mediante espresso rinvio "alla potestà regolamentare del Governo, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400", sia pur, ovviamente, nel rispetto dei limiti posti dalla medesima legge.
A tal proposito è bene evidenziare, come sottolinea il Giudice delle Leggi con la più volte richiamata decisione 482/95, che i "regolamenti governativi, compresi quelli delegati, non sono legittimati a disciplinare materie di competenza regionale o provinciale (Corte Cost. n. 333 del 1995). Né lo strumento della delegificazione previsto dall'art. 17 della legge n. 400 del 1988 può operare per fonti di diversa natura, tra le quali vi è un rapporto di competenza e non di gerarchia.
Nel caso in esame la disposizione denunciata prevede esclusivamente la delegificazione statale, rispettando l'attribuzione alla legge della disciplina dei rapporti con le Regioni e le Province autonome. Difatti queste ultime non sono comprese tra le Amministrazioni e gli Enti destinatari del regolamento, secondo l'espressa previsione ed elencazione che ne fa l'art. 2 secondo comma lett. a), della legge n. 109 del 1994. Solo la diretta incompatibilità delle norme regionali con i sopravvenuti principi e norme fondamentali della legge statale può determinare, ai sensi dell'art. 10 primo comma, della L. 10 febbraio 1953 n. 62, l'abrogazione delle prime (sentenze nn. 153 del 1995, 498 e 497 del 1993, 50 del 191, 151 del 1974)".
Il che conduce a confermare che nella materia in esame, ove vi sia una compiuta normazione regionale, non opera una inserzione automatica della normativa nazionale, ma occorre che ve ne sia una particolare (seppur rispettosa dei principi enunciati di riforma economico-sociale) di provenienza regionale.
Ciò posto, occorre verificare quale sia la normativa da applicare al caso in esame.
Preliminarmente è bene determinare la modalità di quantificazione del valore dell’incarico.
In tal senso, non sempre sembra corretto riferirsi all’intero progetto e non già al costo deliberato per ogni singolo professionista.
A favore di detta conclusione, militano ragioni di ordine formale.
L’art. 17 della L. 415/98 individua tre "soglie" cui riferire una diversa procedura di assegnazione degli "incarichi professionali".
Secondo una interpretazione "logica" della norma, occorre riferirsi agli stessi non in maniera incondizionata, ma soltanto nelle ipotesi in cui il progetto investa necessarie diverse professionalità.
Non può, infatti, sfuggire che una diversa interpretazione può condurre alla giustificazione di comportamenti "elusivi" della Amministrazione che, a fronte di un unico progetto, potrebbe determinarsi a "parcellizzare artatamente" gli incarichi, al fine di mantenersi al disotto di una soglia che possa consentire una forma più semplificata e "diretta" di assegnazione del servizio progettuale.
Solo la necessaria diversa professionalità richiesta per la elaborazione del progetto, infatti, garantisce una giustificabile frantumazione degli incarichi (da evidenziare espressamente secondo diversi specifici importi negli atti deliberativi), ponendo in teorica concorrenza professionisti diversi e secondo distinguibili offerte discriminabili in ciascun progetto.
II. E’ ora possibile esaminare quale sia la normativa regionale da applicare alla fattispecie in esame.
Intanto, per gli incarichi sopra la soglia comunitaria di 200.000 Ecu, secondo l’espressa previsione dell’art. 19 della L.R. 4/96, occorre riferirsi alla normativa comunitaria trasfusa nei decreti legislativi 157 e 158/1995.
Per gli incarichi sotto soglia, assume rilievo l’art. 14 L.R. 22/96, che espressamente recita:
"1. Per gli appalti di servizi di cui alla categoria 12 dell'allegato I del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 di importo inferiore ai limiti di cui al comma 1 dell'articolo 19 della legge regionale 8 gennaio 1996, n. 4, si applicano i regolamenti di cui al comma 10 dell'articolo 5 della legge regionale 29 aprile 1985, n. 21 e successive modifiche ed integrazioni".
In detta categoria rientrano i "servizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria, anche integrata; servizi attinenti all’urbanistica ed alla paesaggistica; servizi affini di consulenza scientifica e tecnica; servizi di sperimentazione tecnica ed analisi".
I regolamenti di cui alla L.R. 21/85, volti alla formulazione di un’organica disciplina in ordine al "conferimento degli incarichi di progettazione e di direzione dei lavori a professionisti esterni, contemperando il criterio della limitazione del cumulo degli incarichi con la valorizzazione delle professionalità e del rispetto delle comprovate competenze dei progettisti", in carenza dei criteri generali da stabilire con delibera della Giunta regionale da assumere su proposta dell’Assessore regionale (cfr. comma 10 dell’art. 5 della L.R. richiamata), non sono stati emanati nella specifica materia dai singoli enti.
Residua, ancora una volta, il quesito circa la disciplina concreta da applicare.
Come è dato evincere, nella materia de qua, in mancanza di atti regolamentari, si pone concretamente una ipotesi di vacatio legislativa che, coerentemente con le premesse sopra esemplificate, può essere riempita (sino all’intervento della normazione regionale), dai principi, se sussistenti, di riforma economico-sociale.
E’ bene premettere che, nelle ipotesi sotto soglia, non è possibile applicare tout court la normativa comunitaria così come sostenuto da autorevoli pronunce, per altro definite prima dell’intervento della L. 415/98, dei CO.RE.CO. centrali siciliani (cfr. 6.3.1997 n° 18111, 6.6.1996 n° 7491).
La stessa, infatti, si sovrappone a quella italiana (o regionale) in maniera incondizionata e, quindi, si muove su un piano diverso da quello proprio delle norme nazionali. Il rapporto tra le due fonti è di competenza e non di gerarchia o di successione nel tempo, con l'effetto che la norma nazionale (o quella regionale) diviene non applicabile se e nei limiti in cui contrasti con le disposizioni comunitarie precedenti e sopravvenute.
Ciò significa che detta normativa non può intervenire a coprire in "via interpretativa" anche fattispecie dalla stessa non considerate.
Anzi, in tal senso, la Direttiva 92/50, al 19° considerando, "giustifica" la propria inapplicabilità al di sotto di un certo limite proprio "nell'intento di evitare formalità superflue".
Per altro, anche il D.Lgs.vo 157/1995, pone il proprio limite di intervento al di sopra dei 200.000 ECU.
Ciò posto, è opportuno, analizzare la normativa espressa dalla Merloni ter.
L’art. 17, nella parte di interesse, così recita:
"10. Per l'affidamento di incarichi di progettazione il cui importo stimato sia pari o superiore a 200.000 ECU, si applicano le disposizioni di cui alla direttiva 92/50/CEE del Consiglio del 18 giugno 1992, e al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157.
11. Per l'affidamento di incarichi di progettazione il cui importo stimato sia compreso tra 40.000 e 200.000 ECU, il regolamento disciplina le modalità di aggiudicazione che le stazioni appaltanti devono rispettare contemperando i principi generali della trasparenza e del buon andamento con l'esigenza di garantire la proporzionalità tra le modalità procedurali ed il corrispettivo dell'incarico.
12. Per l'affidamento di incarichi di progettazione il cui importo stimato sia compreso tra 40.000 e 200.000 ECU, le stazioni appaltanti devono procedere in ogni caso a dare adeguata pubblicità agli stessi. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento l'affidamento degli incarichi di progettazione avviene sulla base dei curricula presentati dai progettisti. Per gli incarichi di progettazione il cui importo stimato sia inferiore a 40.000 ECU, le stazioni appaltanti possono procedere all'affidamento ai soggetti di cui al comma 1, lettere d) ed e), di loro fiducia. In entrambi i casi le stazioni appaltanti devono verificare l'esperienza e la capacità professionale dei progettisti incaricati e motivarne la scelta in relazione al progetto da affidare".
In buona sostanza sono previste tre ipotesi:
a) la prima, per incarichi di progettazione superiore ai 200.000 ECU.
Qui vi è un rinvio alla normativa comunitaria, per cui, in effetti, non vi è l’introduzione di nessun principio, tanto meno di riforma economico-sociale.
Per altro, la normativa regionale (ma non potrebbe essere diversamente, atteso il limite superiore ai 200.000 ECU), in detta ipotesi, come si è già detto, fa anch’essa rinvio all’art. 19 della L.R. 4/96 a dette sovraordinate disposizioni ed al D.Lgs.vo 157/1995.
b) la seconda, per incarichi tra i 40.000 ed i 200.000 ECU, stabilisce il rinvio al regolamento (e, quindi, per quanto detto, alla normazione regionale).
Per altro, però, viene previsto il ricorso "incondizionato", ed indipendentemente dalle previsioni regolamentari, alla pubblicità preliminare all’affidamento dell’incarico.
c) la terza, per incarichi al di sotto dei 40.000 ECU.
In detta ipotesi le Amministrazioni possono procedere all'affidamento ai soggetti di loro fiducia di cui al comma 1, lettere d) ed e) (vale a dire a professionisti singoli od associati ed a società di professionisti). In entrambi i casi le stazioni appaltanti devono verificare l'esperienza e la capacità professionale dei progettisti incaricati e motivarne la scelta in relazione al progetto da affidare.
E’ opportuno soffermarsi sulle ipotesi comprese sub b) e c).
Al riguardo, nel primo caso, al di là del confronto curriculare previsto dalla norma (da precisare in sede di regolamento), viene posto un principio assoluto secondo il quale, prima dell’affidamento, occorre (indipendentemente da ogni norma attuativa o esemplificativa) provocare la possibilità di una selezione mediante adeguata pubblicità dell’intenzione amministrativa di conferire gli incarichi.
Per quanto detto nelle premesse, detta disposizione, essendo rivolta, secondo le argomentazioni deducibili dalla pronuncia della Corte Costituzionale 482/95, alla attribuzione dell’incarico a professionisti selezionati, secondo criteri oggettivi, non può non configurarsi come principio informatore di riforma economico-sociale in ordine alla disciplina concernente gli affidamenti al di sotto della soglia comunitaria.
Ne consegue la sua immediata applicazione che può essere derogata soltanto per fattispecie poste al di sotto dei 40.000 ECU, per le quali è consentito l’affidamento fiduciario sorretto, però, da motivati provvedimenti volti, secondo i principi costituzionali della trasparenza e dell’imparzialità dell’attività amministrativa, ad esprimere contezza della scelta operata .
In linea generale, però, per gli affidamenti al di sotto dei 50.000.000, trova applicazione la normativa regionale espressa all’art. 12 della L.R. 4/96 (modificato dall’art. 11 della L.R. 22/96), che consente, in deroga ad ogni altra disposizione di legge, nonché a norme statutarie o regolamentari, il ricorso alla trattativa privata senza gara per l’affidamento di lavori pubblici, pubbliche forniture o servizi.
Dalle considerazioni premesse, è possibile concludere che il principio della pubblicità preliminare all’affidamento nei limiti sotto soglia sopra indicati, in mancanza di attuale regolamentazione, non solo sia immediatamente applicabile alla fascia compresa tra i 200.000 ECU ed i 50.000.000, ma che lo stesso, in quanto avente contenuto di riforma economico-sociale, dovrà essere mantenuto inalterato in sede di regolamentazione regionale.
Un’ultima considerazione di ordine processuale sembra opportuna.
In materia di progettazione, l’art. 19 del D.L. 25.3.1997 n° 67, conv. dalla L. 23.5.1997 n° 135, stabilisce la riduzione dei termini a metà dei termini processuali .
E’ bene precisare che, come sostenuto da una serie di recentissime pronunce del TAR Catania, II, 26/7/99 nn 1436, 1437,1438,1439, detta norma, trova applicazione "nei giudizi davanti ai Tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato aventi ad oggetto provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico-amministrative ad essa connesse e provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate".
Ciò significa che la stessa, nella materia che ci occupa, nel dettare la diversa disciplina processuale, si riferisce a provvedimenti relativi alla procedura e non ai meri provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione in tema di opere pubbliche o di pubblica utilità.
Non v’è dubbio, pertanto, che i termini ridotti, nel primo caso, sono stati previsti, in ossequio ad un principio acceleratorio, per l’impugnativa di tutti i provvedimenti a rilevanza esterna concernenti l’intero procedimento, ivi compreso, se intervenuto, il controllo tutorio.
Consegue che il termine dei trenta giorni (risultante dalla riduzione a metà dei termini) trova applicazione anche in riferimento alla eventuale impugnativa dell’atto tutorio.