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Articoli e note

n. 01-2002

SANDRO SCOPPA
(Avvocato)

L’illusione della parità scolastica nel sistema delle convenzioni

Nel dibattito sulla parità scolastica viene invocato il sistema della convenzioni quale strumento per il finanziamento delle scuole non statali, sul presupposto che esso definisce il contenuto e le forme del concorso della struttura pubblica e di quella privata, individua lo spessore del contributo finanziario dell’Ente pubblico e stabilisce le modalità concrete dello svolgimento del servizio, oltreché gli oneri che l’istituzione educativa si assume. La convenzione consente lo sgravio delle rette, definito sulla base di un conto di gestione tramite un preciso “paniere” di voci.

E’ stato autorevolmente osservato [1] che il sistema delle convenzioni, lungi dall’attuare i principi costituzionali del pluralismo educativo e della libera scelta dei luoghi dell’istruzione, finisce con lo statalizzare anche le ultime scuole libere, dando vita non ad un sistema concorrenziale, ma ad un sistema spartitorio, consociativo e collusivo.

E l’osservazione, oltre ad essere coerente con l’attuale impianto legislativo e i suoi principi fondanti, non appare in alcun modo confutabile, ove si consideri che la normativa scolastica, al di là delle poche riforme intervenute successivamente all’entrata in vigore della Carta Costituzionale, è ancora strutturata sull’impianto gentiliano, che è ispirato alla arcaica concezione dell’istruzione come fine proprio ed esclusivo dello Stato, che questo non si deve limitare a promuovere e regolare, ma a cui deve pure provvedere direttamente [2].

E’ evidente che in un sistema così delineato, la parità non può essere realizzata con il sistema delle convenzioni, che rappresenta lo strumento attraverso il quale lo Stato provvede anche alle scuole non statali o libere, alle quali applica altresì il principio della conformazione, che comporta l’omologazione delle stesse alle scuole statali, mutuandone le regole ed i principi valevoli per queste ultime.

 Infatti, la convenzione è una concessione amministrativa intuitu personae [3], con la quale lo Stato-persona, nell’esercizio della sua attività di imperio, concede la gestione del servizio scolastico all’impresa scolastica, che non subentra nella titolarità del diritto o potere dell’amministrazione, ma acquista solo facoltà particolari inerenti tale attività [4].

La concessione [5], che si struttura nell’atto dell’amministrazione pubblica contenente la determinazione del voluto (o meglio del quid agendum) e nella convenzione attuativa, che è il negozio bilaterale di natura pubblicistica, tra la stessa P.A. e l’ente gestore, ha carattere temporaneo e precario, con conseguente possibilità di revoca in capo alla pubblica amministrazione, a cui favore riconosce penetranti e complessi poteri di controllo, tecnici ed economici, di legittimità e di merito, che si realizzano mediante l’esercizio di un’attività preventiva di direzione ed, inoltre, attraverso interventi successivi, volti a sindacare l’operato dell’istituto gestore, sia sotto il profilo organizzativo che esecutivo [6], e possono regolare ed indirizzare la condotta dei gestori concessionari [7].

In sostanza, la convenzione completa il monopolio scolastico dello Stato, che in tal modo può gestire e gestisce, direttamente o indirettamente tutte le scuole, statali e non statali, laddove la parità scolastica, quella vera e non illusoria, impone invece la piena libertà delle scuole non statali e l’autonomia delle scuole statali, che siano organizzate justa propria principia, cioè secondo un proprio progetto educativo e culturale, liberamente o autonomamente assunto e proposto agli aventi diritto, e l’attuazione dell’art. 33, comma 2, della Costituzione [8], con le norme generali sull’istruzione, e del diritto alla libera scelta educativa dei genitori del tipo di scuola più rispondente ai loro orientamenti ed interessi.

L’introduzione del buono-scuola [9] a favore degli studenti e delle loro famiglie costituisce la formula democratica che assicura l’equipollenza di trattamento tra gli aventi diritto e concreta attuazione del diritto alla libera scelta, e, in un contesto di valorizzazione dell’apporto pluralistico di tutte le istituzioni che assolvono il servizio pubblico dell’istruzione, orienta il finanziamento pubblico verso obiettivi di qualità ed efficienza della scuola, nel cui ambito inserisce linee di effettiva competizione tra le diverse istituzioni scolastiche [10].

 In questa visione ogni singola scuola nasce da un patto educativo tra genitori (titolari originari della domanda educativa e del diritto – dovere di educare e di istruire i figli) e gestori (enti e privati, titolari dell’offerta formativa), del quale patto e del servizio dell’istruzione erogato è garante lo Stato, e trovano concreta attuazione i principi costituzionali di parità e libertà e di efficienza dei servizi pubblici collettivi.

 

[1] D. Antiseri, Il buono-scuola, in D.Antiseri – M. Timio – G. Gamaleri, 3 idee per un’Italia civile, Rubbettino, Soveria M., 1998, pp. 32, che aggiunge: «La realtà è che: chi paga compra. Beneficium accipere, libertatem est vendere. La convenzione strappa la scuola dalle mani delle famiglie per renderla preda delle brame di burocrati politicizzati. La convenzione elimina la competizione».

[2] La concezione dell’istruzione come fine proprio ed esclusivo dello Stato assume la costruzione di un governo accentrato ed uniforme del sistema scolastico, nel quale gli insegnanti sono funzionari cui lo Stato offre di insegnare, a suo nome e per suo conto, inquadrandoli in un rapporto di servizio di tipo gerarchico, mentre le scuole risultano legate da un rapporto organico con lo Stato, del quale costituiscono parte della sua struttura, rilevano come semplici mezzi per prestare l’istruzione ed hanno il compito di provvedere alla trasmissione di conoscenze già consolidate. Alla scuola è affidata una duplice funzione, di socializzazione ai valori necessari al mantenimento di un certo assetto sociale, e di selezione ai fini dello svolgimento dei diversi ruoli economici e sociali. V. in proposito, con ampi riferimenti: M. Gigante, voce L’istruzione in S. Cassese (a caura di), Trattato di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2000, p. 505.

[3] Mentre il consenso dato dall’Amministrazione all’apertura di scuole non statali è tecnicamente un’“autorizzazione” (nel senso tradizionale di rimozione di limiti posti dalla legge, a tutela di interessi pubblici, all’esercizio di un preesistente diritto o facoltà del cittadino), il provvedimento di conferimento del c.d. “riconoscimento legale”, della “parifica” e del “pareggiamento” è invece una concessione. V. Cass. SS.UU. 29 aprile 1977 n. 1661, in Riv. Corte Conti, 1978, 178, secondo cui: «L’atto di parificazione (o pareggiamento) è una concessione amministrativa che il fine e l’effetto di investire un istituto non statale di un’attività di pubblico insegnamento, con la particolare conseguenza di riconoscere efficacia alla frequenza delle scuole ai fini dell’adempimento dell’obbligo scolastico nonché della vanità degli studi e degli esami fatti nelle scuole stesse»; Cass. SS.UU., 16 giugno 1983 n. 4111, in Giust. Civ. Mass. 1983, fasc. 6;  Cass. SS.UU., 29 ottobre 1982 n. 5672, in Giust. Civ. Mass. 1982, fasc. 9; V. anche: N. Daniele, La pubblica istruzione, Milano, Giuffrè, 2001, p. 828.

[4] V. P. Virga, Diritto Amministrativo, 2 Atti e ricorsi, Giuffrè, Milano, 2001, p. 17; v. anche: A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli, 1982, p. 627.

[5] Per la nozione di concessione amministrativa v. E. Silvestri,  Concessione – I – Concessione Amministrativa, in Enc. del diritto, Giuffrè, Milano, 1961, p. 370, secondo cui «le concessioni amministrative sono espressioni di una potestà pubblica e tendono quindi al conseguimento di fini pubblici. Con tali atti l’autorità provvede indirettamente alla gestione di determinate attività agevolando e stimolando lo sviluppo dell’attività individuale con l’attribuzione esclusiva ai singoli di date facoltà. L’interesse pubblico si attua mediante l’utilizzazione di beni pubblici o la gestione di imprese e servizi pubblici da parte di soggetti privati ai quali vengono conferiti nuovi diritti o facoltà aventi per oggetto i beni e le attività stesse… Con la concessione si attua quindi un acquisto derivativo costitutivo: il diritto del concedente si comprime e riduce sì che il concessionario acquista un diritto che da quello deriva». V. anche R. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, I, Milano, 1958, p. 261.

[6] V. R. Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, Cedam, 1994, p. 548, che intravede la ratio di tale potere di controllo  «nell’esigenza di garantire costantemente che il concessionario non ponga in essere attività pregiudizievole per l’interesse pubblico o che, comunque, allontani la gestione dell’attività concessa, dai principi di buona amministrazione ad essa sottesi».

[7] V.: E. Silvestri,  Concessione – I – Concessione Amministrativa, in Enc. del diritto, Milano, Giuffrè, 1961, p. 378, che rileva: «I rapporti tra concedente e concessionario sono stati assimilati a quelli esistenti tra gli organi dell’amministrazione pubblica. Si è pure parlato di organi indiretti e di esercizio per sostituzione di attività pubblica. Sembra più esatto ritenere che il concessionario svolga una attività di collaborazione col potere pubblico e che lo stesso viene a trovarsi in posizione di soggezione speciale nei confronti dell’amministrazione concedente».

[8] U. Pototschnig, Insegnamento, istruzione, scuola¸ in Giur. Cost. 1962, p. 376, rileva che: «La cultura non è fine dello Stato, dovendo esso solo promuoverla (art. 9 cost.); lo Stato deve dar corso a tutte le iniziative e non secondo fini da esso determinati, che ne condizionino lo sviluppo. Le norme della Costituzione in materia tendono alla positiva determinazione degli obiettivi cui deve tendere la scuola; esse non rivendicano al pubblico potere una particolare capacità nel settore dell’istruzione, ma gli attribuiscono solo il potere di dettare norme di sviluppo della scuola. Alla realizzazione dell’istruzione nel nuovo ordinamento devono concorrere la scuola di Stato e quella non statale, entrambe considerate forze propulsive del migliore assetto sociale. Nella realizzazione del pluralismo scolastico, occorre però stabilire un coordinamento fra iniziativa pubblica e privata in un ordinamento unitario».

[9] V. A. Martino, Economia di mercato: fondamento delle libertà politiche, Borla, Roma, 1994, p. 125; F.A. von Hayek, La società libera, trad. it., Vallecchi, Firenze, 1969, p. 423. V. ampiamente: D. Antiseri, Il buono – scuola, in D.Antiseri – M. Timio – G. Gamaleri, 3 idee per un’Italia civile, Rubbettino, Soveria M., 1998, pp. 7; dello stesso a., In difesa della scuola libera, in Liberali quelli veri e quelli falsi, Rubbettino, Soveria M., 1998, pp. 111, dove rileva: «Il “buono – scuola”. I fondi statali, sotto forma di buono – scuola (voucher), andrebbero non alla scuola, ma agli studenti aventi diritto, i quali sarebbero lasciati liberi di scegliere presso quale scuola spendere il buono in questione. Il valore del buono si può determinare dal rapporto fra ciò che lo Stato spende annualmente per un dato tipo di scuola e il numero degli studenti che frequenta quel dato tipo di scuola (per es.: liceo scientifico, ITIS, ecc.). Il buono – scuola è una carta di liberazione per i poveri: il povero potrà pagare con il suo buono – scuola la scuola che oggi è solo del ricco. Le scuole statali non hanno nulla da temere dall’introduzione del buono – scuola: temono la concorrenza le scuole poco serie – e tutti coloro che, atterriti solo all’idea di dover competere con colleghi eventualmente più preparati e con istituzioni meglio organizzate e meglio amministrate – preferiscono vivere in nicchie ecologiche protette». V. anche, con ampi riferimenti: D. Antiseri – L. Infantino, Le ragioni degli sconfitti nella lotta per la scuola libera, Armando, Roma, 2000; v. anche: M. Mauro (a cura di), Difendiamo il futuro, B.U.R., Milano, 1989.

[10] V.: L. Binanti, Scuola pubblica e privata nel mondo. Sistemi scolastici tra competizione ed intervento dello Stato, Armando, Roma, 2001, con prefazione di D. Antiseri: «Potrebbe questa situazione somigliare ad un mercato delle scuole, nel quale ci sarebbe una relazione diretta tra i consumatori dell’istruzione scolastica (i genitori e i loro figli – alunni) e gli erogatori di questa istruzione (i docenti e i dirigenti delle istituzioni scolastiche stesse). Si possono indicare anche i vantaggi di un tale mercato: - i genitori trovano l’istruzione che vogliono per i loro figli; - le scuole cercano di erogare la più alta qualità d’istruzione possibile per attirare gli allievi; - le norme di qualità nell’istruzione, di conseguenza, diventano più esigenti; - l’efficacia delle scuole nell’utilizzo delle risorse delle quali dispongono migliora, poiché cercano di dare un’istruzione di alta qualità; - “buone” scuole saranno create per soddisfare la domanda; le scuole “cattive” dovranno migliorare o saranno costrette a smettere di operare, perché nessuno le sceglierà». Il testo contiene anche una grande mole di informazioni riguardanti le modalità di finanziamento della scuola nei Paesi dell’Unione Europea e in altri 23 Paesi fuori dell’Unione Europa.

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