PIETRO
VIRGA
(Professore
emerito di diritto amministrativo)
Non
tutti i nodi sono stati sciolti
dal nuovo decreto sull’equo indennizzo
1. Il nuovo regolamento sull’equo indennizzo – La materia dell’equo indennizzo ha formato oggetto di una disciplina frammentaria e disorganica. Al fine di raccogliere in un testo organico le disparate norme in materia, è stato recentemente emanato il d.P.R. 29 ottobre 2001 n. 461, promulgato nel quadro della semplificazione della legislazione amministrativa.
Secondo il procedimento delineato dal precedente regolamento approvato con il d.P.R. 20 aprile 1994 n. 349, il provvedimento che riconosce l’infermità da causa di servizio deve essere preceduto dal parere della Commissione medico-ospedaliera (C.M.O.) e dal parere del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie (C.P.P.O). Sia la composizione che la competenza di questi due organi consultivi avevano dato luogo a dubbi ed incertezze.
In ordine alla composizione, si era domandato se per la commissione medico-ospedaliera dovesse considerarsi ancora vigente la vecchia composizione di tipo militare ovvero, in seguito all’entrata in vigore del servizio sanitario nazionale, la commissione potesse essere costituita da un collegio di sanitari tratti dalle unità sanitarie locali (1).
In ordine alla competenza, si era domandato se sussistesse effettivamente una classificazione degli oggetti del parere dei due organi consultivi e, nel caso di interferenza, a quale dei pareri dei due collegi dovesse darsi la preferenza (2).
2. Composizione della Commissione medica-ospedaliera – In ordine alla composizione della C.M.O., apparentemente la soluzione seguita dal nuovo regolamento è quella ispirata a criteri di severità. L’art. 6, 2° comma, del regolamento stabilisce che la commissione è composta da tre ufficiali medici e che assume la presidenza il direttore dell’ente sanitario militare (ospedale militare) o l’ufficiale superiore medico da lui delegato.
Senonchè l’art. 9 del regolamento consente alla amministrazione, “in via alternativa”, di sottoporre l’esame della istanza dell’interessato all’azienda sanitaria locale territorialmente competente per l’accertamento sanitario da parte della Commissione di cui all’art. 1, comma 2°, della legge 18 ottobre 1990 n. 295, la quale è costituita esclusivamente da sanitari tratti dalla stessa unità sanitaria locale e presieduta da un medico della stessa u.s.l. specialista in medicina legale.
In definitiva, nella alternativa fra una composizione “laica” e una composizione “militare”, il regolamento è rimasto a mezza strada, perché, dopo di avere, in prima battuta, optato per la composizione “militare”, ha poi consentito all’amministrazione di avvalersi di una commissione a composizione laica composta esclusivamente da medici tratti dalla unità sanitaria locale.
3. Comitato di verifica per le cause di servizio. E’ stata cambiata la denominazione del vecchio Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie (C.P.P.O.), il quale prende il nome di “Comitato di verifica per le cause di servizio” (3).
Il Comitato, a differenza della Commissione medico ospedaliera, è un organo a carattere misto, nel senso che sono in esso rappresentate sia la componente legale che quella sanitaria.
Tale organo, che ha una composizione variabile (non più di 25 e non meno di 15 componenti), è presieduto da un presidente di sezione della Corte dei conti ed è composto da magistrati provenienti dalle diverse magistrature (civili, penali, amministrative), da dirigenti dell’amministrazione sanitaria, da ufficiali medici superiori ed è, di volta in volta, integrato da non più di due ufficiali o funzionari appartenenti al corpo o all’amministrazione di cui fa parte il dipendente che ha presentato la istanza (art. 10, 1° comma).
Ma anche per questo collegio è prevista una alternativa. “Per lo smaltimento delle pratiche arretrate”, possono essere costituiti speciali Comitati stralcio composti da non oltre cinque componenti tratti dalle stesse categorie previste per la composizione del Comitato (art. 10, 12° comma).
In relazione alla composizione, l’unica innovazione di
rilievo è costituita dal fatto che si aggiungono, ai componenti nominati dal
ministero, due componenti del corpo o dell’amministrazione a cui appartiene il
dipendente. Poiché il decreto qualifica tali elementi come “integrati”, è
da ritenere che essi debbano essere considerati in soprannumero rispetto al
numero ordinario dei componenti del collegio.
Il legislatore avrebbe potuto profittare dell’occasione
per colmare una lacuna, precisando sia il numero effettivo dei componenti, sia
la proporzione fra la componente legale e quella sanitaria e infine il quorum strutturale e funzionale dell’organo.
4.
Differenziazione degli oggetti dei due pareri.
– Il Comitato di verifica delle cause di servizio non costituisce un organo di
controllo e revisione dell’operato della commissione medico ospedaliera,
contrariamente a quanto potrebbe desumersi dalla sua attuale denominazione.
Ciò risulta dal confronto fra le competenze della
Commissione e (art. 6) le competenze del Comitato (art. 11).
Alla Commissione medico ospedaliera sono stati attribuiti
tre compiti:
a) diagnosi della infermità o della lesione;
b) momento della conoscibilità della patologia (ai fini del controllo sul rispetto del termine di sei mesi per la presentazione della domanda della causa di servizio);
c) conseguenze sulla integrità psico-fisica e sulle conseguenze ai fini della idoneità al servizio.
Al Comitato di verifica sono stati attribuiti due compiti:
a) la riconducibiiltà dell’evento invalidante alla attività lavorativa;
b) rapporto fra il fatto invalidante e la infermità o la lesione.
In realtà gli oggetti dell’accertamento sono solo in parte diversi e non sembra che siano state eliminate le interferenze fra i due accertamenti.
Poiché è stato attribuito alla Commissione medica
l’accertamento della ezio-patogenetica,
si consente che essa possa indagare sul nesso eziologico fra l’evento
invalidante e la menomazione subita dall’impiegato. Inoltre
nell’accertamento del momento della conoscibilità della patologia da parte
dell’istante, la commissione non può fare a meno di accertare il rapporto fra
il diritto invalidante e la lesione subita dall’impiegato.
D’altro lato, poiché è stato attribuito al Comitato
il compito di accertare il rapporto fra il fatto e la lesione, non si potrà
impedire che il Comitato porti il suo esame anche sulla relazione causale fra
l’evento invalidante e la menomazione della integrità psico-fisica.
5. Parere parzialmente
vincolante del Comitato. –
Per lungo tempo si è dibattuta la questione se i due pareri dovessero
considerarsi vincolanti e quale dovesse essere la decisione
dell’amministrazione nell’ipotesi in cui essi fossero contrastanti.
Il regolamento ha in parte risolto tali questioni.
Anzitutto l’amministrazione, ai fini della concessione
dell’equo indennizzo, deve attenersi esclusivamente al parere del Comitato,
perché l’accertamento della Commissione
viene considerato solo un atto endo-procedimentale del provvedimento di
concessione del beneficio.
Inoltre il parere del Comitato è solo parzialmente
vincolante. Qualora la amministrazione, per motivate ragioni non intenda
uniformarsi a tale parere, ha la facoltà di richiedere un ulteriore parere allo
stesso Comitato, il quale lo deve rendere entro il termine di trenta giorni
dalla richiesta. Se il Comitato insiste nel parere già espresso,
l’amministrazione è tenuta ad adottare il provvedimento nei successivi dieci
giorni, in conformità al parere del Comitato stesso (art. 14, 1° comma).
6. – La giurisdizione sul
diniego di equo indennizzo.
– Il regolamento non prende posizione in ordine al problema dell’autorità
giurisdizionale competente sulla impugnazione del diniego della concessione
dell’equo indennizzo.
Esiste una costante giurisprudenza, secondo cui la materia rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo. Ma tale orientamento giurisprudenziale si è formato all’epoca in cui il pubblico impiego rientrava nella competenza esclusiva del giudice amministrativo.
In seguito all’attribuzione della materia del pubblico impiego al giudice ordinario si è cercato di puntellare tale giurisprudenza con la considerazione che, in relazione ad un atto amministrativo discrezionale (quale è il decreto di concessione di equo indennizzo), possono farsi valere solo interessi legittimi e non già diritti soggettivi. In proposito il Consiglio di Stato ha avuto occasione di ribadire che la pretesa all’ottenimento di un equo indennizzo va qualificata non già come diritto soggettivo, sebbene come interesse legittimo, “perché una posizione di diritto soggettivo può riconoscersi dopo l’intervento della amministrazione che riconosca il beneficio (4).
Ma, essendo stata la competenza esclusiva in materia di rapporto di impiego trasferita al giudice ordinario, possono sollevarsi seri dubbi sulla fondatezza di tale orientamento giurisprudenziale.
Vero è che, nella determinazione adottata su parere del Comitato sussistono elementi di discrezionalità, come dimostra il fatto che il Comitato ha una composizione mista in parte amministrativa e in parte sanitaria, ma la distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi è ormai superata nel nuovo sistema della ripartizione delle giurisdizioni, basata sul criterio dei blocchi di materie.
Né può invocarsi a sostegno della competenza della competenza della giurisdizione amministrativa la assimilazione dell’equo indennizzo alle sovvenzioni, in relazione alle quali, secondo una giurisprudenza peraltro non pacifica, si riconosce la giurisdizione del giudice amministrativo, perché l’equo indennizzo è strettamente collegato al rapporto di pubblico impiego di cui costituisce un diritto patrimoniale.
L’equo indennizzo non trova il suo fondamento in una
responsabilità extracontrattuale, ma trova il suo fondamento nel principio
secondo cui il datore di lavoro è responsabile delle menomazioni che il
dipendente subisca a causa della sua prestazione lavorativa. Di conseguenza,
anche sotto questo profilo la giurisdizione amministrativa appare quanto meno
dubbia.
(1) La vecchia disputa sulla sopravvivenza o meno delle norme regolamentari contenute nel regolamento approvato con r.d. 5 settembre 1895 n. 603, su cui Antoniotti, Di Tullio e Di Luca, La causa di servizio, l’equo indennizzo e l’azione di risarcimento dei pubblici dipendenti, Milano, 1996, 216 ss, era stata superata dal precetto dell’art. 6 cpv. del reg. 20 aprile 1994 n. 349, secondo cui la commissione è composta da due ufficiali medici e da un esperto indicato dall’impiegato.
(2) La giurisprudenza prevalente si era orientata nel senso che dovesse darsi la preferenza al parere espresso dal Comitato, allorché l’accertamento della causa di servizio fosse stato finalizzato solo al conseguimento dell’equo indennizzo, Cons. Stato, VI, 21 giugno 2001 n. 3316, in C.S. 2001, I, 1490. Infatti il procedimento tendente all’accertamento della causa di servizio, pur essendo connesso a quello per il conseguimento dell’equo indennizzo deve essere tenuto distinto da quest’ultimo, potendo il riconoscimento della causa di servizio essere richiesto per altri fini (concessione di aspettative, rimborso delle spese di cura, rimborso di spese funerarie, etc.): T.A.R. Napoli, Sez. IV, 2 febbraio 1999 n. 240, in T.A.R. 1999, I, 1466.
(3) E’ singolare che, sebbene l’art. 10 del regolamento abbia mutato la denominazione del vecchio C.P.P.O. denominandolo “Comitato di verifica delle cause di servizio”, nel titolo del decreto legislativo si legge che esso disciplina “il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie”. E’ singolare altresì che la nuova denominazione del Comitato sottolinea la funzione di accertamento della causa di servizio, mentre invece il suo compito specifico è quello di pronunciarsi sulla istanza di equo indennizzo o di rendita vitalizia.
(4) Cons. Stato, VI sez., 16 giugno 2000 n. 3299, in C.S. 2000 I, 1428, T.A.R. Toscana 26 marzo 2001 n. 636, in T.A.R. 2001, I, 1793.