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Dottrina: Danno ambientale e sindacato del giudice contabile: un paradigma per nuove prospettive di tutela


UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “SAPIENZA”

DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PUBBLICO COMPARATO E INTERNAZIONALE – Curriculum Diritto Amministrativo Europeo dell’Ambiente.

Resoconto del seminario dell’8 Luglio 2021:

Prof.ssa Valentina Giomi

(Diritto Amministrativo – Università degli Studi di Pisa)

Il seminario tenuto dalla Prof.ssa Valentina Giomi giovedì 8 Luglio 2021, nell’ambito del ciclo di incontri organizzati dal curriculum di diritto amministrativo europeo dell’ambiente del dottorato in Diritto Pubblico, Comparato e Internazionale, ha avuto ad oggetto il tema dei profili della responsabilità per danno ambiente, esaminati secondo un inconsueto angolo prospettico. Nello specifico, l’ospite ha presentato un’indagine relativa al legame tra il danno ambientale e il ruolo del giudice contabile. Dopo aver dettagliatamente presentato la disciplina introdotta con l’approvazione della legge 8 luglio 1986, n. 349, è stato esaminato l’assetto regolatorio attualmente vigente, individuando i profili maggiormente critici e le prospettive di una possibile riforma del medesimo.

Nel quadro delle premesse logiche è stato precisato che la possibilità che l’ambiente venga danneggiato non può essere intesa esclusivamente secondo una dimensione individuale e dunque nella sola accezione di danno alla proprietà. Il concetto di ambiente, coerentemente con la giurisprudenza costituzionale, va inteso come un valore costituzionale[1], dotato di forza propria, e come un bene non rinnovabile, rispetto al quale il legislatore ha il compito di predisporre idonei strumenti di tutela finalizzati a prevenire o attenuare ipotesi di deterioramento[2]. Parallelamente all’acquisizione e all’irrobustimento di tale consapevolezza, è pertanto progressivamente apparsa come necessaria la predisposizione di adeguate risposte rimediali al danno. Quest’ultimo si presenta, tuttavia, come un concetto giuridico dalla complessa determinabilità, in assenza di una specifica definizione del medesimo. Il danno ambientale appare comunque riconducibile ad una categoria unitaria attraverso comuni indizi. Si tratta difatti di un danno unico, generale, e dunque non limitato al singolo legame rispetto allo specifico bene, frazionabile e misurabile. A tal proposito, il concetto di misurazione rappresenta un elemento essenziale con riferimento al tema che in questa sede si è approfondito, dal momento che, essendo legato al criterio della patrimonialità, costituisce il punto di partenza per la definizione di risposte rimediali al danno.

Considerate tali premesse, il collegamento tra la dimensione del danno ambientale e il giudice contabile si manifesta dunque nell’ipotesi in cui un soggetto pubblico sia stato direttamente o indirettamente causa o concausa del danno. Più nello specifico, tale legame si produce nell’ipotesi in cui sia coinvolto un soggetto pubblico funzionalmente collegato alla gestione delle risorse pubbliche, nell’esercizio di un’attività amministrativa produttiva di un pregiudizio sull’ambiente. Si tratta di un legame che, seppur in apparenza sfumato, risulta particolarmente forte, considerata la frequenza dei casi in cui il deterioramento dell’ambiente è causato da un’attività funzionalmente collegata ad una o più decisioni amministrative.

Siffatta relazione risulta concettualmente più immediata se letta nella cornice delle nuove politiche pubbliche di investimento definite dal PNRR e le riforme a ciò collegate, considerato il significativo aumento di funzioni attribuite alle amministrazioni pubbliche e i conseguenti profili di possibile responsabilità amministrativa[3]. Nel caso ad esempio di un’esecuzione di un’opera avente un impatto ambientale, coerentemente con il principio di non arrecare danni significativi all’ambiente, una mancata valutazione dell’impatto medesimo potrebbe comportare un danno ambientale e tradursi in un danno erariale, derivante da una gestione oculata di risorse pubbliche[4].

Prima di richiamare l’originaria disciplina in materia, è stato ricordato il significativo protagonismo della Corte dei Conti nella costruzione del concetto di danno ambientale e di pregiudizio al valore ambientale. Nello specifico, nelle prime pronunce degli anni Settanta, il giudice contabile ha tentato di elaborare un percorso di risposta al danno che andasse oltre l’impatto negativo sul singolo terreno di proprietà, inquadrandolo in una dimensione più ampia sovraindividuale, con la conseguente connotazione di un carattere di pubblicità. Il percorso seguito dal giudice contabile è stato dunque di associare la pubblicità del danno al pregiudizio erariale, promuovendone una lettura più ampia al di fuori dei confini strettamente contabili[5]. Tuttavia, in assenza di puntuali strumenti normativi, il giudice contabile è intervenuto sul tema autolegittimandosi giudice dell’interesse collettivo del bene ambientale, considerate le ricadute di un danno ambientale in termini di costi sociali e di finanze pubbliche[6]. Il giudice ha così tentato di stimolare un intervento del legislatore che potesse adeguare gli strumenti di tutela fino a quel momento esistenti alle emergenti necessità di assicurare idonee forme di tutela.

La risposta è stata fornita dal legislatore con l’approvazione della l. 8 luglio 1986, n. 349, attraverso cui, nell’ambito della norma devolutiva al giudice ordinario della cognizione delle azioni di responsabilità per danno ambientale, il ruolo della Corte dei Conti è stato limitato alle sole ipotesi di azioni di rivalsa, richiamando l’articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3[7]. Nello specifico, nell’ipotesi in cui fosse stata accertata l’illiceità legata ad un danno ambientale e l’amministrazione fosse stata condannata a risarcire per equivalente, la Corte dei conti avrebbe potuto indagare circa le responsabilità erariali per l’attività amministrativa posta in essere dall’agente. Si tratta pertanto di azioni di tutela avverso un danno erariale, connesso indirettamente ad un danno ambientale.

All’attivismo giurisprudenziale del giudice contabile, che, pur nelle maglie strette definite dalla norma, ha tentato di ritagliarsi un ruolo secondo la logica richiamata, ha fatto seguito l’intervento del legislatore con l’approvazione del Codice dell’ambiente. La norma di riferimento è l’art. 313, co. 6, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che riconosce un ruolo della Corte dei Conti a valle dell’azione amministrativa promossa dal Ministro della transizione Ecologica[8]. Più precisamente, l’intervento del giudice contabile, che si inserisce a seguito di una scelta del Ministro di promuovere l’azione rimediale secondo un logico percorso procedimentalizzato, si configura come un’azione necessaria nell’ipotesi in cui il danneggiante sia un soggetto pubblico.

Ad avviso dell’ospite, tuttavia, il modello di azione delineato dal legislatore non si presenta come esente da criticità.

La prima di queste attiene ai profili soggettivi, dal momento che la norma si riferisce a 99soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti:: e, come osservato, si tratta di un perimetro soggettivo particolarmente ampio e dalla complessa identificabilità.

Un’altra criticità attiene invece agli aspetti temporali dell’azione e, nello specifico, all’istante in cui l’azione della Corte dei Conti viene esercitata. Il punto di partenza va collocato nel momento in cui il Ministro della transizione ecologica, anziché ingiungere il pagamento del risarcimento per equivalente patrimoniale, invia un rapporto all’Ufficio di Procura regionale della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti territorialmente competente. Nel quadro di tale passaggio, tuttavia, non si comprende se il rapporto costituisca notizia di danno oppure, secondo una lettura più restrittiva che inevitabilmente impatterebbe sulla pienezza della tutela, il presupposto processuale dell’azione di cognizione del giudice contabile.

Indipendentemente dalla lettura che si intende condividere, la Procura riceve il rapporto al termine di un percorso procedimentale, comprensivo di un’istruttoria che risulta indispensabile per la ricostruzione del fatto e per la quantificazione e monetizzazione del costo da ripristino per mancata operazione rimediale primaria. Il rapporto si configura pertanto come un elemento essenziale per le indagini di accertamento delle eventuali responsabilità pubbliche connesse all’illecito ambientale. Alla luce di tali aspetti, pertanto, la Corte dei conti possiede uno spettro di indagine dall’ampiezza particolarmente limitata, nella misura in cui la costruzione del percorso di indagine si inserisce in una fase procedimentale conclusiva.

Considerando il forte legame tra responsabilità finanziaria e responsabilità per danno ambientale e le debolezze derivanti dal quadro normativo descritto, l’auspicio dell’ospite è dunque che il legislatore ripensi il ruolo della Corte dei conti, rendendolo un attore protagonista e non ancillare nella risposta rimediale al danno ambientale. La tipizzazione del ruolo del giudice contabile risulta difatti eccessiva, nella misura in cui, pur prevedendo il suo intervento come necessario, vengono conferiti poteri particolarmente limitati. Il giudice contabile non può difatti che seguire il percorso tracciato dal ministero, a valle di un procedimento relativo ad un rimedio residuale predefinito, rimanendo preclusa la possibilità di ordinare la rimessa in pristino. L’auspicio è dunque che siffatta eccessiva tipizzazione venga stemperata e che un simile intervento colmi altresì le lacune normative dell’assetto regolatorio vigente[9].

Una riforma in tale direzione costituirebbe un intervento coerente con il nuovo protagonismo della Corte dei Conti, quale giudice a tutela delle finanze pubbliche in senso lato e del disvalore connesso ad un utilizzo non adeguato delle risorse pubbliche e al mancato rispetto di obblighi di servizio, che non può che impattare negativamente su un valore giuridico primario quale l’ambiente.

[1] Corte costituzionale, sentenza n. 210/1987 e n. 641/1987.

[2] Come osservato, l’ambiente va altresì inteso come un obiettivo politico da perseguire all’interno dell’ordinamento, come dimostra il complesso di misure previste nella missione 99Rivoluzione verde e transizione ecologica:: del PNRR.

[3] In merito a ciò, l’ospite richiama altresì le nuove disposizioni introdotte con il 6 maggio 2021, n. 59, convertito con modificazioni dalla L. 1° luglio 2021, n. 101, e con il d.l. 31 maggio 2021, n. 77.

[4] L’incremento delle funzioni e delle conseguenti responsabilità in capo alle amministrazioni pubbliche per effetto dei recenti interventi riformatori richiamati, che incidono sulla materia ambientale, rendono pertanto maggiormente evidente il possibile legame tra la responsabilità amministrativa e i potenziali profili di danno ambientale.

[5] Cfr. Corte dei conti, Sez. I giurisd., n. 39/1973; Corte dei conti, Sez. I giurisd., 8 ottobre 1979, n. 61.

[7]Ai sensi dell’art. 22 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3: 99L’impiegato che, nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell’art. 23 è personalmente obbligato a risarcirlo.

L’azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l’azione diretta nei confronti dell’Amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell’ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato.

L’amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente si rivale agendo contro quest’ultimo a norma degli articoli 18 e 19. Contro l’impiegato addetto alla conduzione di autoveicoli o di altri mezzi meccanici l’azione dell’Amministrazione è ammessa solo nel caso di danni arrecati per dolo o colpa grave.::

[8] Qualora l’operatore non avesse provveduto ad adottare le misure di ripristino, due sono difatti le possibili azioni previste dagli art. 311 ss. del Codice dell’ambiente. Il Ministro della transizione ecologica può alternativamente: promuovere un’azione risarcitoria innanzi al giudice ordinario per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica, oppure adottare, a seguito di un procedimento amministrativo, un’ordinanza finalizzata ad ingiungere al responsabile il ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma specifica.

[9] Una lacuna normativa che è stata in particolare ricordata dall’ospite concerne la possibilità per il procuratore contabile di concludere l’indagine con l’archiviazione, nella misura in cui, in assenza di una puntuale previsione normativa, permangono dubbi circa l’effettiva legittimità di tale soluzione.