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Articoli e note

 

CARLO SAFFIOTI
(Segretario Generale Amm. Prov. Lucca)

 Competenze dei dirigenti: la norma è immediatamente precettiva

(note a margine di Cons. Stato, Sez. V, sentenza 23 giugno 2003, n. 3717)

La pubblicazione di una sentenza del Consiglio di Stato (Sezione V, n. 3717 del 23 giugno 2003) in tema di competenza dei dirigenti, nella quale si nega la immediata precettività della norma di cui all’articolo 51 della legge 142 del 8 giugno 1990 - ora trasfusa nell’art. 107 del T.U.E.L. (D.Lgs 18 agosto 2000 n. 267) - impone di riflettere nuovamente su tale delicatissimo argomento, cercando una soluzione che non si fermi al solo dato formale e che riesca a tutelare l’efficacia dello strumento legislativo.

La Sezione – esaminando peraltro una precisa fattispecie – giunge infatti ad affermare che “Mentre …. nell’Amministrazione statale il passaggio delle competenze gestionali in capo ai dirigenti avviene ope legis, per le regioni e gli enti locali l’operatività del nuovo riparto di attribuzioni resta subordinata alla emanazione di atti organizzativi e normativi di livello sub primario.

Si deve preliminarmente notare che si tratta di un orientamento ben diverso, anzi opposto,  a quello che era stato sostenuto dalla medesima Sezione, non molto tempo fa, con la nota sentenza 15 novembre 2001 n. 5833. nella quale scriveva:

“ … la disposizione (nota: si tratta dell’articolo 51 della legge 142/1990) deve ritenersi immediatamente precettiva per le amministrazioni locali, essendo fondata sulla concezione del riparto tra compiti di governo di indirizzo e coordinamento (spettanti agli organi elettivi o a quelli che, ancorché non elettivi, ripetono dai primi la legittimazione a operare, quali gli assessori di giunta comunale e provinciale) e quelli di gestione (affidati in via esclusiva alla dirigenza dello stesso ente) che costituisce struttura fondante dell’intera riforma delle autonomie locali e, poi, del sistema di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, come testimonia il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, articolato anch’esso sulla stretta ripartizione tra attività di indirizzo e controllo di natura politica e di gestione;

l’immediata precettività della norma in esame si deduce altresì dalla coerenza delle mansioni conferite ai dirigenti con la loro responsabilità per l’andamento degli uffici, quest’ultima certo non incidibile da prescrizioni statutarie, (C.d.S.,V, 5 maggio 1999, n. 505) nonché dalla inidoneità dello statuto dell’ente di ripartire i compiti di gestione tra le diverse figure professionali presenti nell’ente al di fuori degli ambiti già precisati dalla legge n. 142 del 1990 (C.d.S., V, 27 agosto 1999, n. 1004);

Piuttosto stringata, per la verità, l’argomentazione contenuta nel nuovo verdetto che si commenta, la quale si basa principalmente su una affrettata interpretazione letterale della disposizione di legge, nella quale si fa effettivamente riferimento ad interventi statutari e regolamentari.

La nuova conclusione alla quale perviene la Quinta Sezione, peraltro, sembra offrire il fianco a qualche considerazione critica.

Questo il quadro normativo che ha portato, dall’originario art. 51 della legge 142/1990, attraverso la legge 127/1997, all’attuale articolo 107 del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 più noto come TUEL.

La norma originaria, l’articolo 51 della legge 8 giugno 1990 n. 142, così disponeva, per quanto qui interessa:

51. Organizzazione degli uffici e del personale.

…..

2. Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti che si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti.

3. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell'ente. Sono ad essi attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall'organo politico, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente:

………………………..

3-bis. Nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui al comma 3, fatta salva l'applicazione del comma 68, lettera c), dell'articolo 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione.

…….

4. I dirigenti sono direttamente responsabili, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa e dell'efficienza della gestione.

omissis

Può essere utile, allora, analizzare partitamente la norma appena citata e quindi si deve preliminarmente notare che:

- I criteri e le norme “ dettati dagli statuti e dai regolamenti”, di cui al comma 2, si riferiscono alla direzione degli uffici e servizi ma non alle competenze esercitate. Non è quindi possibile utilizzare tali parole per negare l’immediata operatività della disposizione relativa alle competenze dirigenziali.

- Al comma 3, l’inciso “che … lo statuto espressamente non riservi(no) agli organi di governo” non può certo prevedere una derogabilità delle competenze dirigenziali, alla luce del principio di assoluta distinzione delle competenze tra politica e gestione, ormai inserito nell’ordinamento, da oltre un lustro. Lo statuto può (deve), infatti, sottrarre alla dirigenza solo l’adozione di quegli atti amministrativi che siano attinenti e connessi con le funzioni di indirizzo e controllo.

- D’altra parte, è la stessa legge che si è preoccupata – all’articolo 4, comma 2 del D. Lgs 165/2001, ora articolo 107 comma 4 del TUEL – di stabilire, volendo evidentemente eliminare ogni possibile dubbio, che “ Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”.

Se ne deve ricavare, necessariamente, che l’attribuzione per la quale “Spettano ai dirigenti tutti i compiti …” non è stata sottoposta, dal legislatore - nemmeno sotto il profilo letterale - ad alcuna condizione sospensiva. Come si cercherà di evidenziare meglio, più avanti, il legislatore ha solo inteso conferire all’ente locale il diritto dovere, la potestà di fare le proprie autonome scelte in ordine alle modalità di esercizio delle competenze da esse legislatore conferite alla dirigenza, senza peraltro sottoporre ad alcuna condizione sospensiva l’assegnazione della titolarità delle competenze.

Se è pur vero che la pubblica amministrazione è sempre vissuta nell’attesa della famigerata circolare applicativa, si vorrà riconoscere che questa appare essere solo una prassi e non certo una delle più moderne ed esaltanti, tantomeno aderente ai principi di una moderna amministrazione efficiente ed efficace.

Si tratta, dunque, di una disposizione che è destinata a valere nel tempo – nell’ambito, beninteso, delle competenze statutarie – che peraltro non ha, né potrebbe avere, alcuna influenza sull’immediata precettività dell’assegnazione delle nuove competenze alla dirigenza, disposta da una norma avente valore di legge.

E’ pacifico, infatti, che lo statuto (e meno ancora il regolamento) non potrebbe aggiungere né togliere alcunché alla individuazione delle competenze attribuite alla dirigenza, come si vedrà meglio, più avanti, parlando del comma 4  dell’articolo 107 del TUEL.

- Sempre al comma 3, la locuzione “secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente”, a ben vedere, assegna soltanto il diritto dovere all’Ente di prevedere ed approvare le autonome  modalità di esercizio - delle competenze già attribuite -delle quali l’ente si voglia dotare ma non incide (né lo potrebbe) sull’attribuzione delle competenze in questione, già stabilita – si ripete – con norma avente valore di legge.

- Il comma 3 bis ha invece una portata ben diversa. Con tale disposizione legislativa, infatti, si stabilisce che le funzioni di cui al comma 3 “possono” essere attribuite, con provvedimento del sindaco. Tale comma, quindi, conferisce effettivamente al sindaco il potere di attribuire, o meno, le funzioni in questione. La norma, però, è efficace solo nei confronti dei responsabili di uffici o servizi e non dei dirigenti; essa costituisce quindi, ex adverso,  un ulteriore argomento a favore della immediata precettività dell’attribuzione delle competenze alla dirigenza, secondo il famoso brocardo “ubi voluit, dixit”.

- Il comma 4 induce ad ulteriori riflessioni negative nei confronti della tesi che vorrebbe negare l’immediata precettività dell’attribuzione delle competenze alla dirigenza. Infatti, se davvero si dovesse recare in dubbio la precettività di tale assegnazione, rischierebbe di venir meno anche la responsabilità gestionale della dirigenza. In ogni caso si avrebbero almeno due tipi di dirigenti: quelli responsabili anche delle nuove competenze e quelli, invece, privi di tale responsabilità. Al di là delle difficoltà che comporterebbe un simile disegno a macchie di leopardo, si deve notare immediatamente che il CCNL si è ben guardato dal distinguere tra dirigenti dotati di piena competenza ed altri, potremmo dire, “dimezzati”. Non è questa la sede per dilungarsi su quanto avverrebbe in ambito di rapporti con le organizzazioni sindacali, ove dovesse estendersi l’interpretazione in commento.

Attualmente, come è noto, l’articolo 51 della legge 142 è stato riversato nell’articolo 107 del TUEL il quale recita:

107. Funzioni e responsabilità della dirigenza

1. Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico- amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.

2. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico- amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108.

3. Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente:

………………………….

4. Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.

5. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54.

6. I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione.

…………………….

Esaminando l’attuale articolo 107 del TUEL non si può che ribadire quanto già detto analizzando l’articolo 51, annotando semmai che la disposizione del 2000 ha un sapore ancora più marcatamente precettivo. Si noti, infatti, che il secondo comma utilizza la nuova dizione “ non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico- amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108” con ciò ricordando i limiti dell’intervento della potestà statutaria e trascurando di richiamare quella regolamentare.

Chiarissimo, poi, il contenuto del comma 4 che esclude esplicitamente la possibilità di intervenire sulle attribuzioni dei dirigenti se non con “specifiche disposizioni legislative” escludendo quindi le norme statutarie o regolamentari.

Il comma 5 contribuisce a far chiarezza con una disposizione che sostituisce la figura dirigenziale a quella del sindaco o del presidente della Provincia in tutte le norme precedenti all’introduzione del principio di distinzione dei ruoli. Anche in questo caso – vedi il richiamo agli articoli 50, comma 3 e 54 – vale il richiamo al brocardo “ubi voluit dixit”.

Il problema al quale occorre trovare soluzione, in sostanza, è quindi quello di verificare ed individuare i confini dell’immediata operatività di una norma di legge come quella ex articolo 51 legge 142/90,  l’attuale art. 107 del TUEL, che attuando un principio di rilevanza costituzionale, quello della distinzione dei ruoli tra politica e gestione, attribuiscono un blocco di competenze ai dirigenti, aggiungendo peraltro l’inciso “ secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente”.

In prima approssimazione, sembra certamente potersi intanto affermare che, a fronte di una precisa norma di legge – che, tra l’altro, dà attuazione al principio basilare di cui al D.Lgs n. 29/1993, principio che ha la sua radice nella Costituzione stessa, dal momento che si tratta di una proiezione dei principi di buon andamento ed imparzialità prescritti dagli articoli 97 e 98 della Carta - nasce nell’ente locale un preciso dovere di “facere”.

Alla nascita di questo dovere di fare, naturalmente, è connessa la responsabilità per l’eventuale mancato adempimento con i relativi strumenti sostitutivi approntati dall’ordinamento che, in questa sede, non si ritiene di dover approfondire.

A prescindere dagli interventi sostitutivi, comunque, se l’ente non dà concretezza operativa al suo dovere di fare, se non compie alcuna scelta propria, restando meramente inerte, sembra francamente illogico sostenere che la norma di legge resti, di fatto, completamente paralizzata, pur in assenza di ogni decisione autonoma dell’Ente.

Se così fosse, infatti, si dovrebbe sostenere che il semplice ricorso all’inerzia – che, si ripete, non contiene alcuna scelta, almeno motivata e dunque sindacabile - avrebbe una efficacia, una forza, di fatto superiore a quella della disposizione di legge, persino a quella basata dichiaratamente su di un principio che trae la propria origine dalla Costituzione.

Di fatto, l’ente locale – che pure non è dotato di competenza legislativa – potrebbe incidere se non sulla formale entrata in vigore, almeno sull’efficacia pratica di una disposizione di legge che risulterebbe inutilizzabile.

In realtà la dizione “forte” della norma di legge, l’utilizzazione del verbo all’indicativo presente ( “spetta”, “spettano” “sono attribuiti”), il quadro normativo dell’intera riforma del pubblico impiego, fanno capire che la volontà del legislatore è sicuramente quella di far discendere da quel disposto di legge un preciso precetto che ha - deve avere - un contenuto immediatamente operativo.

Seguendo tale logica, allora, la locuzione “secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti” e quella “secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente” non possono che essere interpretate per quello che sono: subordinate, che affidano ulteriori incombenze agli Enti Locali.

Tali incombenze fanno nascere - in capo all’ente destinatario - il diritto/dovere di fare le sue scelte adottando – ma, ovviamente questo deve avvenire nell’ambito e nei limiti della propria competenza e senza poter incidere in alcun modo sul contenuto della norma di legge, sulla quale l’Ente non ha competenza - quei criteri, quelle norme, quelle modalità che rientrano nella propria competenza.

Tali disposizioni normative, se e quando adottate e entrate in vigore, contribuiranno a definire - meglio e secondo le autonome scelte dell’ente - quegli aspetti di dettaglio che non sono e non debbono essere contenuti nel principio affermato ed attuato dalla norma di legge. Si tratta, peraltro, di scelte autonome di un ente che, com’è ovvio, continua a far parte della Repubblica, rispettandone l’unità ed indivisibilità costituzionalmente tutelate.

Se non viene adottata la norma statutaria o – ove ne sia il caso – regolamentare dell’Ente che stabilisca criteri o modalità, ciò significa solo e soltanto che l’Ente – nella propria autonoma responsabilità – non ha ancora ritenuto di esercitare tale potestà, tale diritto dovere di stabilire le procedure di propria scelta. Non si è avvalso, dunque, del potere conferitogli.

Il mancato esercizio di tale potere, peraltro, non consente di negare che, in attesa che l’ente effettui le proprie autonome scelte, la norma di legge è pienamente operativa ed efficace, pur senza le indicazioni, i criteri, le modalità di utilizzo che l’Ente potrà (dovrà) sempre indicare.

Naturalmente, ove la norma di legge avesse un contenuto che lede l’autonomia dell’ente, l’ordinamento ben conosce i rimedi che possono essere messi in opera; ciò che vale anche per l’ipotesi inversa, di una norma locale che violi le competenze di organismi dotati di competenze legislative.

Opinando diversamente, si ripete, si darebbe di fatto una sorta di incomprensibile diritto di veto al soggetto titolare del potere statutario e regolamentare, nei confronti dei soggetti chiamati ad esercitare il potere legislativo.

Seguendo questa linea interpretativa sembra possibile ricostruire sistematicamente l’ordinamento, attribuendo il proprio spazio operativo ad ogni soggetto dotato di capacità normativa (sia legislativa, che statutaria o regolamentare), rispettando l’autonomia dei diversi enti ma evitando il rischio - concreto ed effettivo - che la mera inerzia di un soggetto vanifichi, di fatto, quanto sia stato deciso da un altro soggetto.

In tal modo, inoltre, sembrano potersi più agevolmente collocare - in una sequenza logica ed efficace - le norme di legge, quelle statutarie e quelle regolamentari.

Non ultimo, sia consentito evidenziare - da un punto di vista meramente sostanziale ma non per questo privo di utilità - l’aspetto positivo per il quale, così argomentando, si ottiene di incentivare all’azione, all’esercizio dell’autonomia i soggetti locali tenuti a dare attuazione alle norme di principio, i quali sono stimolati ad esercitare pienamente le proprie autonome capacità di scelta, sapendo chiaramente di non essere più tutelati dalla mera inerzia.

Documenti correlati:

Cons. Stato, Sez. V, sentenza 23 giugno 2003, n. 3717

L. OLIVERI, Il problema della necessaria mediazione statutaria per l’attribuzione ai dirigenti delle funzioni gestionali negli enti locali.


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