A cura dell’Avv. Piero Cacace
Con la pronuncia in commento, il Supremo organo di giustizia amministrativa, dopo aver superato censure di carattere procedurale e generale, ha ritenuto manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale e di legittimità sotto il profilo euro unitario e internazionale pattizio sollevate in ordine alla disciplina dell’interdittiva antimafia e ha respinto l’appello proposto, confermando la legittimità dell’interdittiva emessa dalla competente Prefettura nei confronti della società ricorrente.
Sulla predetta disciplina – a pochi giorni dalla sentenza del Consiglio di Stato – è intervenuto, con alcune significative modifiche, il recente decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152 (c.d. Decreto Recovery).
La vicenda
La società ricorrente aveva presentato domanda per svolgere attività di facchinaggio all’interno di un mercato già oggetto di episodi di infiltrazione criminale e aveva fornito i documenti e i dati occorrenti per acquisire l’informazione antimafia prevista dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice Antimafia).
In base ad apposito Protocollo di legalità sottoscritto con la competente Prefettura, la società di gestione del mercato, nei primi giorni del 2019, aveva richiesto l’informazione antimafia alla banca dati nazionale unica e, in attesa dell’esito, aveva autorizzato temporaneamente la società ricorrente a svolgere la suddetta attività per il 2019.
A gennaio 2020 la Prefettura comunicava di aver emesso interdittiva antimafia a carico della società ricorrente nei cui confronti, tuttavia, la società di gestione del mercato non adottava alcun provvedimento giacché l’impresa colpita dall’interdittiva, comunque, dal 31 dicembre 2019, non avrebbe potuto più operare nel mercato in quanto non autorizzata, non avendo, nel frattempo, presentato domanda per il servizio di facchinaggio nell’anno 2020.
Con ricorso al TAR, quindi, la società destinataria dell’interdittiva aveva chiesto l’annullamento, previa tutela cautelare, tra l’altro, della informativa antimafia e del suddetto Protocollo di legalità (documento, nel frattempo, impugnato dalla medesima società per querela di falso con citazione in un giudizio ancora in corso).
La tutela cautelare veniva dapprima accordata dal TAR con ordinanza poi annullata dal Consiglio di Stato, mentre il ricorso (con i motivi aggiunti) veniva rigettato con sentenza del 28 luglio 2020, impugnata innanzi al Consiglio di Stato che, con la pronuncia in oggetto, ha definito il giudizio di secondo grado.
L’interdittiva antimafia e le novità introdotte dal decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152
Il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136 (d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159) – recentemente aggiornato con il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 e, da ultimo, ulteriormente modificato con il decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152 recante Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose (c.d. Decreto Recovery) – agli articoli 82 e seguenti detta disposizioni in materia di documentazione antimafia.
In particolare, il Codice, all’art. 83, definisce l’ambito di applicazione della documentazione antimafia: al comma 1 del predetto articolo è stabilito che le “pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici, devono acquisire la documentazione antimafia di cui all’articolo 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67” ed, al comma 2, è precisato che la riferita disposizione si applica ai contraenti generali di cui all’art. 194 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
La documentazione antimafia, ai sensi dell’art. 84 del Codice, è costituita dalla comunicazione antimafia e dall’informazione antimafia [1].
Con la comunicazione antimafia (art. 84, comma 2) la Prefettura competente attesta la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’articolo 67 del Codice, ossia l’applicazione con provvedimento definitivo dell’Autorità Giudiziaria di una delle misure di prevenzione personali previste dal libro I, titolo I, capo II, del medesimo Codice o la condanna (con sentenza definitiva o, se non definitiva, confermata in appello) per reati particolarmente gravi collegati alla criminalità organizzata [2].
All’applicazione delle suddette misure di prevenzione personali consegue, per i soggetti colpiti, l’impossibilità di ottenere alcune licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni in elenchi, attestazioni di qualificazione, provvedimenti autorizzatori, concessori o abilitativi per lo svolgimento di attività imprenditoriali, contributi, finanziamenti e/o altre erogazioni da parte dello Stato o di altri enti pubblici, come dettagliatamente indicato all’art. 67, comma 1 [3].
La Prefettura competente, dopo aver consultato la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia (istituita, dall’art. 96 del Codice, presso il Ministero dell’Interno), emette la comunicazione antimafia che ha validità di sei mesi dalla data di acquisizione. Qualora sia emersa l’esistenza di cause di decadenza, sospensione o divieto di cui al citato articolo 67 e le verifiche abbiano accertato la sussistenza dei suddetti motivi ostativi, il Prefetto, entro trenta giorni dalla consultazione della banca dati, rilascia la comunicazione interdittiva (comunicandola, entro cinque giorni, al soggetto interessato, come previsto dall’art. 88, comma 4 quinquies); diversamente, invece, è rilasciata comunicazione antimafia liberatoria [4]. In ogni caso, decorsi i suddetti trenta giorni, le amministrazioni interessate procedono anche in mancanza della comunicazione antimafia, acquisendo, però, l’autocertificazione prevista dall’art. 89 del Codice e sotto condizione risolutiva.
La comunicazione interdittiva inibisce iscrizioni e provvedimenti autorizzatori, concessori e/o abilitativi allo svolgimento di attività imprenditoriali ed anche ogni attività soggetta a SCIA e a silenzio-assenso, oltre, chiaramente, ad impedire la conclusione di contratti con la P.A. relativi a lavori, servizi e forniture.
Quanto all’informazione antimafia, essa è definita, invece, all’84, comma 3, del Codice quale “attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67, nonché… della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate…”: alla verifica dei presupposti previsti per la comunicazione si aggiunge, qui, il controllo dell’esistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa.
Differenti sono, quindi, i presupposti di adozione delle comunicazioni e delle informazioni, differente è, soprattutto, il potere del Prefetto nell’uno e nell’altro caso [5].
È importante evidenziare che l’informazione antimafia, come è stabilito all’art. 91, comma 1, del Codice, deve essere acquisita “prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67, il cui valore sia: a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati; b) superiore a 150.000 euro per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali; c) superiore a 150.000 euro per l’autorizzazione di subcontratti, cessioni, cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche” [6].
Al rilascio dell’informazione antimafia, mediante consultazione della banca dati nazionale, provvedono le competenti Prefetture. L’informazione ha una validità di dodici mesi dalla data dell’acquisizione [7].
Giova, sin da ora, evidenziare che quando è emessa una informazione antimafia interdittiva si determinano gli effetti descritti all’art. 94 del Codice.
Nello specifico, i soggetti di cui al citato articolo 83 – ricevute le informazioni antimafia interdittive – non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni nei confronti delle imprese attinte dalle interdittive [8].
Inoltre, qualora il Prefetto non rilasci l’informazione interdittiva entro i termini previsti, ovvero nel caso di lavori o forniture di somma urgenza di cui all’art. 92, comma 3 quando la sussistenza di una causa di divieto indicata nell’articolo 67 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, si procede alla revoca delle autorizzazioni e delle concessioni o al recesso dai contratti [9].
In riferimento alla sussistenza o meno degli eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese interessate, all’art. 84, comma 4, e all’art. 91, comma 6, del Codice sono indicati gli elementi da cui possono desumersi le situazioni relative a tali tentativi che comportano l’adozione dell’informazione interdittiva [10]; all’art. 93, invece, sono disciplinati i poteri di accesso e di accertamento del Prefetto per l’espletamento delle proprie funzioni volte, appunto, a prevenire le infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici [11].
Per quanto attiene al procedimento di rilascio delle informazioni antimafia, ai sensi dell’art. 92 del Codice, “quando non emerge, a carico dei soggetti ivi censiti, la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4”, l’informazione antimafia liberatoria consegue immediatamente alla consultazione della banca dati nazionale unica.
Qualora, invece, dalla consultazione della banca dati emerga la “sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa”, il Prefetto dispone le verifiche occorrenti e rilascia l’informazione interdittiva entro trenta giorni dalla consultazione della banca dati (art. 92, comma 2) [12]. Decorso il predetto termine o, “nei casi di urgenza, immediatamente, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, procedono anche in assenza dell’informazione antimafia. I contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all’articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti” [13].
Proprio sul procedimento di rilascio delle informazioni antimafia incide una delle più significative modifiche normative apportate al Codice Antimafia dal recente Decreto Recovery.
E difatti, col citato decreto-legge è stato introdotto il principio del contraddittorio nelle attività finalizzate al rilascio delle informazioni antimafia, sempre che non sussistano particolari esigenze di celerità né ragioni di salvaguardia di procedimenti amministrativi o di attività processuali in corso o, ancora, di altri accertamenti diretti alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose.
Nello specifico, è stabilito [14] che – ove il Prefetto, in base agli esiti delle verifiche disposte, ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’interdittiva (o delle misure di prevenzione collaborativa di cui si dirà) e non ricorrano le particolari esigenze e/o ragioni sopra indicate – sia notificato al soggetto interessato un “preavviso di interdittiva o della misura amministrativa di prevenzione collaborativa” con indicazione degli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa [15]; è previsto, poi, un termine non superiore a 20 giorni entro i quali l’interessato può chiedere l’audizione e produrre proprie memorie esplicative.
Al termine della procedura in contraddittorio (da concludersi entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione da parte dell’interessato), il Prefetto, ove non proceda al rilascio dell’informazione antimafia liberatoria, dispone l’applicazione delle misure amministrative di “prevenzione collaborativa” nei casi di situazioni di agevolazione occasionale (come previsto dall’articolo 94-bis introdotto con la recente novella), oppure, diversamente, non ricorrendo i casi di agevolazione occasionale, adotta l’informazione antimafia interdittiva e procede a comunicarla al soggetto interessato entro cinque giorni [16].
Il decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152 ha recato un’altra significativa innovazione cui si è già accennato: la previsione [17] di nuove misure amministrative a disposizione del Prefetto in caso di agevolazioni occasionali.
In particolare, qualora i tentativi di infiltrazione mafiosa siano riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, il Prefetto, in alternativa all’emanazione di un’interdittiva antimafia, potrà adottare misure amministrative di prevenzione collaborativa: potrà, cioè, prescrivere all’impresa l’osservanza, per un periodo compreso tra 6 e 12 mesi, di alcune rigorose misure di controllo “attivo” che le permetteranno di continuare a operare, però, sotto il controllo dell’autorità statale. Per far ciò, il Prefetto potrà anche nominare alcuni esperti (massimo tre) individuati nell’albo nazionale degli amministratori giudiziari. Decorso il termine di durata delle misure, ove si accerti l’assenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, potrà essere rilasciata un’informazione antimafia liberatoria. Il nuovo istituto della prevenzione collaborativa, in virtù di apposita norma transitoria, è applicabile anche ai procedimenti amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge [18].
Per concludere sul Decreto Recovery, va precisato che nel decreto-legge è dedicato un apposito Titolo (IV) ad Investimenti e rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia. Esso si compone del solo Capo I che reca tre disposizioni normative: gli articoli 48 e 49 – in tema, rispettivamente, di contraddittorio nel procedimento di rilascio dell’interdittiva antimafia e di prevenzione collaborativa, di cui si è detto – e l’articolo 47 inerente all’amministrazione giudiziaria e al controllo giudiziario delle aziende. Tale ultima norma prevede, tra l’altro, che il Tribunale, nel disporre il controllo giudiziario delle imprese colpite da interdittiva, debba sentire anche il Prefetto che ha adottato il relativo provvedimento [19].
Circa l’informazione antimafia si è evidenziato, in dottrina e in giurisprudenza, che è essa caratterizzata dalla valutazione discrezionale del Prefetto, chiamato ad analizzare e stimare, sulla base di adeguata e motivata istruttoria, secondo un ragionamento probabilistico, il pericolo di infiltrazione mafiosa nell’impresa oggetto di verifiche, desumendo tale pericolo in primis dagli elementi fattuali sintomatici che possono svelare collegamenti con la criminalità organizzata. Si è sottolineata la natura precauzionale e cautelare della misura interdittiva (con cui è in linea il giudizio prognostico-previsionale che ne è alla base) volta a contrastare le associazioni criminali, il loro accesso ai rapporti con la P.A. (il cui interesse ad instaurare e tenere rapporti contrattuali con imprese affidabili si vuole, appunto, garantire) e il conseguente inserimento nelle vicende dello sviluppo socio-economico nazionale, volendosi, al contempo, tutelare la libera ed effettiva concorrenza tra gli operatori economici e l’ordine pubblico economico, oltre, chiaramente, al buon andamento e all’imparzialità della P.A.
Sulla disciplina dell’istituto, oggetto di copiosa giurisprudenza, come noto, vi sono stati numerosi studi e un’ampia analisi critica che ha riguardato vari profili: problematica, da sempre, è stata la ricerca di un accettabile equilibrio tra la prevenzione delle infiltrazioni criminali e la tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti colpiti dalle misure interdittive.
Ed infatti, è stata evidenziata, in dottrina, la natura articolata e per certi versi spuria dello strumento de quo, sottolineando le frizioni e le tensioni costituzionali rispetto a fondamentali valori e principi dell’ordinamento [20], si sono rimarcati i deficit cognitivi che caratterizzano l’istituto, si è più volte rilevata la carenza di importanti garanzie e la necessità di valorizzare il contraddittorio [21]. Tra l’altro, proprio quest’ultimo aspetto, nell’ambito della nutrita disamina critica che si è registrata sul tema, è stato tra i più affrontati e discussi, considerata anche la derivazione comunitaria del principio del contraddittorio pure endoprocedimentale [22].
Del tema della partecipazione dell’interessato nel procedimento de quo si è occupata anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea [23] la quale, tuttavia, ha ritenuto che l’assenza del contraddittorio non si ponesse in violazione del principio di buon andamento della P.A. e del principio di legalità sostanziale. La Corte ha affermato che il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti di difesa può essere limitato per esigenze di interesse generale cui sono volte le misure interdittive e che tale limitazione non appare sproporzionata e inaccettabile al punto da danneggiare i diritti garantiti.
Sulla scorta di tale indirizzo, il Consiglio di Stato (nelle pronunce n. 2343 del 2018 e nn. 1553 e 6105 del 2019) ha escluso la violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, evidenziando che, per esigenze di ordine pubblico, è ammissibile una deroga alle regole generali del procedimento amministrativo. In tempi più recenti, invece, si è registrata una accennata apertura e un auspicio dei giudici di Palazzo Spada al recupero delle garanzie procedimentali nell’ottica dell’applicazione del giusto procedimento in materia di interdittiva antimafia [24].
Alla luce di quanto detto, emerge chiaramente l’importanza e la significatività del recente, sopra descritto, intervento legislativo in subiecta materia: ed invero, pare potersi salutare con favore la volontà di intervenire su un istituto così complesso, presidio di legalità, di tutela degli appalti pubblici, della libera e leale concorrenza, dell’ordine pubblico economico e del buon andamento e dell’imparzialità della P.A.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 7165 del 25 ottobre 2021
I giudici di Palazzo Spada – con la sentenza in commento, pubblicata pochi giorni prima dell’emanazione del Decreto Recovery recante le su esposte modifiche al Codice Antimafia – hanno affermato la congruità della (già vigente) disciplina dell’interdittiva antimafia alle norme costituzionali, euro unitarie e internazionali pattizie.
Prima di fugare i dubbi di illegittimità sollevati in relazione ai sopra riferiti profili, affermandone la manifesta infondatezza, il Consiglio di Stato, nella pronuncia che ci occupa, ha dovuto affrontare l’esame di alcune censure logicamente pregiudiziali [25].
Innanzitutto, in ordine al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo che la società appellante chiedeva dichiararsi in favore del giudice ordinario [26], il Supremo organo di giustizia amministrativa ha richiamato proprie precedenti pronunce per ribadire che l’interdittiva antimafia si configura quale strumento volto a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa che possano in qualche modo condizionare le scelte della P.A. e si pone, pertanto, a presidio del principio di legalità e dei citati principi di imparzialità e buon andamento, nonché a salvaguardia della libera e leale concorrenza fra imprese nel mercato e a tutela del corretto uso delle risorse della collettività.
In proposito, si segnala il richiamo alla sentenza della III sezione del Consiglio di Stato, 3 maggio 2016, n. 1743, nota in particolare per l’elencazione di una serie di princìpi ai quali deve riferirsi il Prefetto nel valutare gli elementi che possono fungere da “spia” per determinare, in concreto, il tentativo d’infiltrazione mafiosa (quali – per ricordarne alcuni – i provvedimenti ‘sfavorevoli’ del giudice penale, i rapporti di parentela, frequentazione, colleganza e amicizia, le anomalie nella formale struttura dell’impresa e nella sua concreta gestione, l’inserimento in contesti di illegalità o di abusivismo in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità etc.) [27].
Nella pronuncia del 2016, in ordine alla ratio dell’interdittiva antimafia, i giudici amministrativi hanno evidenziato che la misura è “volta – ad un tempo – alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: nella sostanza, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti ‘affidabile’) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge”.
Per tali ragioni, la sentenza in esame afferma la chiara e certa riconducibilità di questa misura “di carattere cautelare e anticipatorio di tutela dell’ordinamento democratico a contrasto della criminalità organizzata” all’esercizio di un potere amministrativo autoritativo, involgendo attività pubbliche, ad ampia discrezionalità, del Ministero dell’Interno. Dal che deriva, alla stregua delle coordinate ermeneutiche fornite dai noti arresti della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006 (recepiti nel Codice del processo amministrativo agli artt. 7, comma 1, e 30, comma 2) [28], l’affermazione della giurisdizione del G.A. nella controversia de qua, trattandosi dell’esercizio di un potere pubblico che, come noto, è a fondamento della stessa giurisdizione amministrativa.
Respinta la censura relativa al difetto di giurisdizione, il Collegio parimenti ha respinto le doglianze relative alla ritenuta illegittima attivazione del suddetto potere pubblico, evidenziando che, a prescindere dalla qualificazione giuridica, il soggetto richiedente la certificazione antimafia (la società di gestione del mercato) è investito di una potestà indubbiamente pubblicistica (sostanziata nei poteri di regolazione e vigilanza del mercato in questione) a salvaguardia di esigenze di tutela pubblica generale che tra l’altro hanno motivato, nel caso di specie, pure la sottoscrizione del Protocollo di legalità col Ministero dell’Interno (anch’esso contestato dalla ricorrente). Dopo aver richiamato anche uno specifico provvedimento (delibera di Giunta regionale) che definiva l’ente gestore del mercato quale “incaricato di pubblico servizio per effetto del quale tutta l’attività da esso svolta in tale ambito . . . rientra sotto la giurisdizione del Tribunale Amministrativo Regionale”, il Consiglio di Stato ha confermato, perciò, la legittimazione del richiedente la certificazione antimafia in quanto società concessionaria di pubblico servizio per attività di interesse nazionale e, pertanto, soggetto rientrante tra quelli abilitati a richiedere l’informativa.
Superate le predette censure, non accolta la richiesta di sospensione del giudizio per la causa inerente alla querela di falso in corso [29], i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto manifestamente infondati i dubbi di illegittimità prospettati dalla società ricorrente per violazione delle norme costituzionali, euro unitarie e internazionali pattizie.
L’appellante, infatti, aveva chiesto il sindacato della Corte Costituzionale su alcune disposizioni del Codice Antimafia. Ed invero, riteneva che gli articoli 84 (recante le definizioni in materia di documentazione antimafia), 85 (relativo ai soggetti sottoposti alla verifica antimafia), 89-bis (avente ad oggetto l’accertamento di tentativi di infiltrazione mafiosa in esito alla richiesta di comunicazione antimafia), 91, comma 6 (recante l’indicazione – in tema di informazione antimafia – di provvedimenti ed elementi da cui desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa) e 94 (relativo agli effetti delle informazioni del prefetto) del D. Lgs. n. 159/2011 violassero i principi di uguaglianza, di solidarietà e di sussidiarietà di cui agli articoli 2, 3, 4, 22 e 118, ultimo comma, della Costituzione.
Inoltre, le richiamate norme del Codice Antimafia, ad avviso della ricorrente, si ponevano in violazione anche degli articoli 1 e 2 del codice civile (in materia di capacità giuridica e capacità di agire), dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) [30] che prevede il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, nonché degli articoli 6 e 13 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) che affrontano – rispettivamente – il tema dell’equo processo, della ragionevole durata, della presunzione di innocenza e delle garanzie processuali dell’imputato in relazione al principio del contraddittorio e il tema del diritto a un ricorso effettivo.
Alla base delle asserite violazioni delle suindicate norme costituzionali, euro unitarie e internazionali pattizie la società ricorrente riteneva esservi la mancata previsione di “rimedi di protezione nei confronti di un soggetto che, dichiarato incapace, diventa comunque meritevole di protezione” e affermava che il “principio di sussidiarietà, connaturato al personalismo solidale di cui agli articoli 2, 3, 4, 22, 41 co. 1, 42 e 118, ult. co. della Costituzione, imporrebbe, al contrario, il rispetto dell’autonomia della persona, della sua dignità, delle sue scelte e delle sue personali aspirazioni, imponendo una qualche forma di protezione, quanto la nomina di un amministratore o, comunque, di un controllo giudiziario”.
Inoltre, nel merito, l’appellante aveva dedotto anche l’illegittimità degli atti impugnati per violazione degli articoli 13, 24, 41, 97 e 113 della Costituzione e, con riferimento all’art.117, co.1, della Costituzione, per la violazione dei diritti fondamentali di libertà previsti dalla CEDU e dai relativi protocolli addizionali, sostenendo che “il sistema della documentazione antimafia costituirebbe di fatto una misura ablatoria a carattere afflittivo consistente in una vera e propria sanzione e, non applicandosi le garanzie proprie del sistema penale, ad esso dovevano quantomeno trovare applicazione i principi di legalità, del giusto procedimento e di tassatività della fattispecie” [31].
Orbene, la III Sezione del Consiglio di Stato ha affermato che le misure interdittive non incidono su uno status generale di capacità giuridica, ma, piuttosto, si sostanziano nella determinazione di temporanei e specifici limiti e impedimenti – a carico dei soggetti attinti – innanzitutto alla contrattazione con la P.A. e, poi, anche allo svolgimento di attività economiche sottoposte ad autorizzazione a salvaguardia di interessi pubblici generali (tutela della salute, dell’ambiente etc.) e della stessa possibilità che dette attività siano liberamente esercitate dagli operatori economici in un corretto confronto competitivo, nel rispetto dell’art. 41 Cost. e delle norme del Trattato UE in tema di concorrenza.
In proposito, si rammenta l’Adunanza Plenaria n. 3 del 2018 che, in linea con l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, ha riconosciuto all’interdittiva antimafia natura cautelare e preventiva “in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost.”, evidenziando che il Codice Antimafia prevede misure che garantiscano un’affidabile partecipazione delle imprese al mercato, lontano da sospette infiltrazioni.
Pertanto, per i soggetti colpiti dalle interdittive si ha una valutazione di mancata meritevolezza che determina, ad avviso della Plenaria, “una particolare forma di incapacità ex lege, parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) [32] e tendenzialmente temporanea” giacché può venir meno con un successivo provvedimento del Prefetto.
In ordine a questa particolare forma di incapacità – sulla quale è incentrato il percorso logico-argomentativo della Plenaria – deve dirsi, invero, che la dottrina si è interrogata prospettando differenti ricostruzioni [33].
L’Adunanza Plenaria n. 3 del 2018 ha precisato, inoltre, che l’incapacità, effetto dell’interdittiva, è “prevista dalla legge a garanzia di valori costituzionalmente garantiti e conseguente all’adozione di un provvedimento adottato all’esito di un procedimento normativamente tipizzato e nei confronti del quale vi è previsione delle indispensabili garanzie di tutela giurisdizionale del soggetto di esso destinatario”.
Nella sentenza qui in commento è puntualizzato, poi, che la natura cautelare, anticipatoria e prudenziale, affermata da consolidata giurisprudenza, rende estranee al sistema sanzionatorio penale le misure interdittive antimafia, soggette, invece, al principio di legalità e a quello del giusto procedimento “secondo criteri di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità”.
In proposito, è parso il caso di richiamare la pronuncia [34] con cui la Corte Costituzionale ha escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni del Codice Antimafia in relazione alla questione sollevata, in via incidentale, dal Tribunale ordinario di Palermo ad avviso del quale, con l’informazione prefettizia antimafia, il legislatore avrebbe rapportato ad un provvedimento amministrativo “gli stessi effetti di una misura di prevenzione applicata con un provvedimento giurisdizionale”, violando in tal modo gli artt. 3 e 41 della Costituzione.
Ed invero, sebbene dallo strumento amministrativo in argomento discenda una “grave limitazione della libertà di impresa”, ai giudici del Palazzo della Consulta “colpire in anticipo il fenomeno mafioso” non è apparso, in ogni caso, irragionevole o inadeguato o non proporzionato, tenuto conto dei valori in gioco e considerata la validità temporanea della misura.
Merita segnalare ancora alcuni passaggi della sentenza della Corte. Il Giudice delle leggi – dopo aver premesso che il fenomeno della “costante e crescente capacità di penetrazione della criminalità organizzata nell’economia” è stato oggetto anche di “ricca e sistematica” giurisprudenza amministrativa – ha evidenziato che l’informazione antimafia, diversamente dai provvedimenti giurisdizionali, si pone in una “prospettiva anticipatoria della difesa della legalità …, comportando un giudizio prognostico circa probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa” e, pertanto, è chiaramente basata “su elementi fattuali più sfumati di quelli che si pretendono in sede giudiziaria, perché sintomatici e indiziari”.
Il Prefetto è chiamato ad “una attenta valutazione di tali elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di infiltrazione mafiosa”. Questa valutazione, discrezionale ma “dalla forte componente tecnica”, deve essere accuratamente motivata, onde consentire “un vaglio giurisdizionale pieno ed effettivo”.
La Corte Costituzionale ha aggiunto che la giurisprudenza amministrativa in materia ha identificato un “nucleo consolidato … di situazioni indiziarie … costruendo un sistema di tassatività sostanziale” e che nelle pronunce che si sono occupate dell’istituto si è proceduto a verificare consistenza e coerenza di tutti gli elementi raccolti dal Prefetto, non limitandosi ad un sindacato meramente estrinseco.
Tanto, in coerenza con il noto arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione [35] che ha stabilito l’inesistenza di limiti alla sindacabilità degli atti amministrativi con componente tecnica, anche laddove le questioni da valutare attengano al merito amministrativo, come è ricordato nella sentenza che qui ci occupa.
In riferimento alla suddetta tipizzazione giurisprudenziale – che i giudici di Palazzo Spada ritengono parametro “sufficientemente adeguato a evitare ogni pericolo di discrezionali se non arbitrarie azioni, nella vaghezza dei loro presupposti,” da parte del Prefetto nel definire i comportamenti sintomatici dell’infiltrazione mafiosa – non può tacersi che in dottrina vi sono state critiche di astrattezza all’idea che tale tipizzazione pretoria possa contenere la discrezionalità della P.A.: al contrario, ad alcuni è parso che essa, invece, legittimi l’ampiezza della discrezionalità [36].
Per le ragioni su esposte, la III Sezione del Consiglio di Stato, ribadendo la natura preventiva e non repressiva della misura interdittiva, ha ritenuto destituiti di fondamento i richiami dell’appellante a violazioni sindacabili innanzi alla CEDU, non valorizzando le censure relative alla “pretesa irragionevole limitazione degli strumenti di tutela giurisdizionale dell’impresa sottoposta ad interdittiva antimafia in violazione delle norme costituzionali, euro unitarie e internazionali pattizie richiamate a tal fine”.
Conclusivamente, in coerenza con le considerazioni svolte, il Consiglio di Stato ha valutato se, nel caso in esame, sia stata assicurata alla ricorrente una piena ed effettiva tutela giurisdizionale, secondo un criterio non solo di legittimità formale ma soprattutto di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità della misura.
Sul punto, il Collegio – come già evidenziato e motivato dal giudice di prime cure – ha ritenuto che dall’ampia attività di indagine siano emersi elementi “indiziari ma circostanziati e concordanti” che non hanno consentito di escludere, secondo il criterio del “più probabile che non”, una ingerenza della criminalità organizzata; né ha ritenuto che sia mancata la ricerca degli elementi oggettivi delle condotte dei soggetti sui quali si sono concentrati gli accertamenti che hanno evidenziato l’esistenza di un rischio “concreto e attuale di condizionamento mafioso”. Dal momento che le risultanze di tali attività sono state riferite nella motivazione del provvedimento impugnato dalla ricorrente e sono state esaminate dal giudice di primo grado per verificare la motivazione dell’atto impugnato, risultato immune dai vizi dedotti, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello, ritenendolo infondato, così come manifestamente infondate ha dichiarato le prospettate questioni di legittimità costituzionale e di legittimità sotto il profilo euro unitario ed internazionale pattizio di cui s’è detto.
Brevi considerazioni finali
La sentenza sopra esaminata si pone nel solco della giurisprudenza amministrativa che, negli ultimi anni, si è occupata dell’interdittiva antimafia e, in particolare, dei profili maggiormente controversi della disciplina di riferimento, affrontandoli anche con argomentazioni e ragionamenti richiamati nella pronuncia in commento.
Il riferimento è tra l’altro: alla tipizzazione giurisprudenziale quale argine alla discrezionalità del Prefetto nel definire i comportamenti sintomatici dell’infiltrazione mafiosa; alla necessità di concrete verifiche sulla piena ed effettiva tutela giurisdizionale da assicurare secondo criteri di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità delle misure interdittive soggette al principio di legalità e a quello del giusto procedimento; all’esigenza di ricercare elementi oggettivi dei comportamenti dei soggetti attenzionati e di verificare la consistenza e la coerenza di tutti gli elementi raccolti dal Prefetto; all’affermazione di un sindacato giurisdizionale pieno ed effettivo sulla valutazione tecnica del Prefetto circa gli elementi sintomatici e indiziari; al riconoscimento della natura cautelare, preventiva e non afflittiva della misura che, nel bilanciamento tra le esigenze di cui si è detto, si sostanzia nell’apposizione di limiti temporanei e specifici a carico dei soggetti attinti.
Il recente Decreto Recovery, emanato a meno di due settimane dalla pubblicazione della pronuncia in commento, nell’ottica del rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia, come si è visto, interviene sulla disciplina dell’informazione antimafia e incide, proprio, su alcuni aspetti dell’istituto già oggetto di attenzione dei giudici amministrativi e della Corte Costituzionale
In particolare, ad una prima lettura, può rilevarsi che le misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili nei casi di agevolazione occasionale, tenendo conto dei diversi valori in gioco, si collocano proprio nel contemperamento, tra l’altro, delle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica con la libertà dell’iniziativa economica privata inevitabilmente limitata dallo strumento interdittivo.
Sul punto, è appena il caso di rimarcare – come in dottrina è stato fatto da più parti – l’importanza e la complessità del bilanciamento tra libertà e diritti, in tensione tra loro, che deve effettuarsi nell’adozione dell’interdittiva: ed infatti, occorre attentamente valutare non solo la libertà di iniziativa economica e la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico di cui s’è detto, ma anche diritti fondamentali, parimenti tutelati dalla Costituzione, quali il diritto di difesa giurisdizionale (cui è connesso il giusto procedimento amministrativo), il diritto al lavoro e la correlata protezione e garanzia della dignità e della realizzazione della persona umana (per l’eventuale conseguente venir meno dei mezzi di sostegno individuale e familiare) in una prospettiva, quindi, anche sociale e solidaristica che, come noto, informa il nostro ordinamento costituzionale (non essendo estranea, tra l’altro, neanche alla garanzia dell’iniziativa economica privata) [37].
Per rendere chiaramente l’idea di quanto sia avvertita, in materia, la necessità di tener conto dei molteplici e differenti valori in campo, può essere utile rammentare che la Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 57 del 2020 – in relazione alla rilevata impossibilità di esercitare in sede amministrativa i poteri previsti nel caso di adozione delle misure di prevenzione dall’art. 67, comma 5, del Codice Antimafia (i.e. “l’esclusione da parte del giudice delle decadenze e dei divieti previsti, nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla famiglia”) – aveva chiaramente ritenuto che la suddetta differenza, pur non inficiando la costituzionalità della disciplina, fosse meritevole di una rimeditazione da parte del legislatore [38].
Infine – pur ricordando le surriferite pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea investita della questione della partecipazione dell’interessato – può sommessamente rilevarsi che l’introduzione, nelle modalità viste, del contraddittorio nel procedimento di rilascio dell’interdittiva antimafia si pone, in ogni caso, quale garanzia procedimentale (espressione anche dei fondamentali diritti di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione) che va nella direzione della coerenza del sistema e rafforza la conformità e la congruità ad esso della disciplina di riferimento.
[1] In proposito, è interessante qui richiamare quanto autorevolmente evidenziato in Garofoli, R., G. Ferrari (2019), Sicurezza pubblica e funzioni amministrative di contrasto alla criminalità: le interdittive antimafia (in www.giustizia‐amministrativa.it), ove – ricondotta la funzione prefettizia di verifica antimafia (incentrata su comunicazioni e informazioni) alle potestà amministrative di prevenzione e contrasto della criminalità organizzata – è schematizzato che tra i predetti poteri “vi rientrano, da un lato, i poteri prefettizi di interdizione dell’impresa infiltrata o condizionata dalla criminalità organizzata; dall’altro, quelli di controllo statale sugli enti locali, in specie quello esercitati in seno alla procedura di scioglimento dei consigli comunali e provinciali che risultino direttamente ed immediatamente soggetti a pericolo di infiltrazioni o condizionamenti mafiosi”.
[2] quali i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. nonché i reati di cui all’art. 640, comma 2, n. 1), c.p. – commessi a danno dello Stato o di un altro ente pubblico – e all’art. 640-bis c.p.
[3] “Art. 67. Effetti delle misure di prevenzione
- Le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere: a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l’esercizio di attività imprenditoriali; c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l’esercizio del commercio all’ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all’ingrosso; e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali; h) licenze per detenzione e porto d’armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti”.
[4] Immediatamente, quando dalla consultazione della banca dati non emerge, a carico dei censiti, la sussistenza di cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’articolo 67, oppure entro trenta giorni dalla consultazione, qualora abbiano esito negativo le verifiche e gli accertamenti svolti circa la corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla banca dati con la situazione aggiornata del soggetto sottoposto agli accertamenti.
[5] Autorevolmente – in Garofoli, R., G. Ferrari (2019), Sicurezza pubblica e funzioni amministrative di contrasto alla criminalità: le interdittive antimafia, cit. – è evidenziato che le informazioni antimafia “presentano un contenuto discrezionale” e in esse vi è “un autonomo apprezzamento rimesso al Prefetto e senza, quindi, automatismo rispetto al provvedimento giudiziario emesso in sede penale”.
[6] Inoltre, ai sensi dell’art. 91, comma 1-bis, l’informazione antimafia “è sempre richiesta nelle ipotesi di concessione di terreni agricoli demaniali che ricadono nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, a prescindere dal loro valore complessivo, nonché su tutti i terreni agricoli, a qualunque titolo acquisiti, che usufruiscono di fondi europei per un importo superiore a 5.000 euro”.
[7] salvo ricorrano, relativamente ai destinatari di verifiche antimafia, modificazioni dell’assetto societario o gestionale dell’impresa che vanno comunicate al Prefetto trasmettendogli copia dei relativi atti.
[8] Per approfondimenti sugli effetti delle interdittive nei rapporti con la P.A. cfr. A. De Pascalis, Effetti delle misure interdittive antimafia nei rapporti con la Pubblica Amministrazione in G. Amarelli e S. Sticchi Damiani (a cura di) Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, Giappichelli, Torino, 2019.
[9] salvo il pagamento del corrispettivo per le opere già eseguite e delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite (art. 94, comma 2).
[10] Art. 84 comma 4:
“Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte:
- a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 603-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356;
- b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione;
- c) salvo che ricorra l’esimente di cui all’articolo 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dall’omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei reati di cui agli articoli 317 e 629 del codice penale, aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, da parte dei soggetti indicati nella lettera b) dell’articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, (ora art. 80, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016) anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste;
- d) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all’articolo 93 del presente decreto;
- e) dagli accertamenti da effettuarsi in altra provincia a cura dei prefetti competenti su richiesta del prefetto procedente ai sensi della lettera d);
- f) dalle sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia”.
Art. 84 comma 4-bis:
“La circostanza di cui al comma 4, lettera c), deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente alla prefettura della provincia in cui i soggetti richiedenti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, hanno sede ovvero in cui hanno residenza o sede le persone fisiche, le imprese, le associazioni, le società o i consorzi interessati ai contratti e subcontratti di cui all’articolo 91, comma 1, lettere a) e c) o che siano destinatari degli atti di concessione o erogazione di cui alla lettera b) dello stesso comma 1”.
Art. 91 comma 6:
“Il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall’accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall’articolo 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tali casi, entro il termine di cui all’articolo 92, rilascia l’informazione antimafia interdittiva”.
[11] Il Ministero dell’Interno, nel marzo 2018, con apposita circolare, ha adottato Linee guida recanti istruzioni operative procedimentali per l’adozione della documentazione antimafia: secondo tali indicazioni, gli indizi dell’infiltrazione mafiosa devono dar conto dei fatti gravi, precisi e concordanti che, in base alla regola del “più probabile che non”, possano rivelare legami con le organizzazioni criminali. Giova rimarcare la notevole differenza tra la predetta regola del “più probabile che non” e il più rigoroso principio che trova, invece, applicazione nel procedimento penale ove – ai sensi dell’art. 533, comma 1 , c.p.p. – il giudice “pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”.
[12] salva l’ipotesi in cui, per verifiche particolarmente complesse, il Prefetto ne dà apposita comunicazione all’amministrazione interessata e fornisce le informazioni acquisite nei successivi quarantacinque giorni.
[13] fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite (art. 92, comma 3).
[14] all’art. 48 del Decreto Recovery che interviene sull’art. 92 del Codice Antimafia.
[15] Giova precisare che questa comunicazione sospende il sopra riferito termine previsto dall’art. 92, comma 2, del Codice Antimafia.
[16] Si riporta di seguito il testo dell’art. 48 (Contraddittorio nel procedimento di rilascio dell’interdittiva antimafia) del D.L. 6 novembre 2021, n. 152: “1. Al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 92: 1) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Procedimento di rilascio delle informazioni antimafia»; 2) il comma 2 -bis è sostituito dai seguenti: «2 -bis . Il prefetto, nel caso in cui, sulla base degli esiti delle verifiche disposte ai sensi del comma 2, ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva ovvero per procedere all’applicazione delle misure di cui all’articolo 94 -bis , e non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento, ne dà tempestiva comunicazione al soggetto interessato, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. Con tale comunicazione è assegnato un termine non superiore a venti giorni per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonché per richiedere l’audizione, da effettuare secondo le modalità previste dall’articolo 93, commi 7, 8 e 9. In ogni caso, non possono formare oggetto della comunicazione di cui al presente comma elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose. La predetta comunicazione sospende, con decorrenza dalla relativa data di invio, il termine di cui all’articolo 92, comma 2. La procedura del contraddittorio si conclude entro sessanta giorni dalla data di ricezione della predetta comunicazione. 2 -ter . Al termine della procedura in contraddittorio di cui al comma 2 -bis , il prefetto, ove non proceda al rilascio dell’informazione antimafia liberatoria: a) dispone l’applicazione delle misure di cui all’articolo 94 -bis , dandone comunicazione, entro cinque giorni, all’interessato secondo le modalità stabilite dall’articolo 76, comma 6, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, qualora gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa siano riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale; b) adotta l’informazione antimafia interdittiva, procedendo alla comunicazione all’interessato entro il termine e con le modalità di cui alla lettera a) , nel caso di sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa. Il prefetto, adottata l’informazione antimafia interdittiva ai sensi della presente lettera, verifica altresì la sussistenza dei presupposti perl’applicazione delle misure di cui all’articolo 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 e, in caso positivo, ne informa tempestivamente il Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. 2-quater . Nel periodo tra la ricezione della comunicazione di cui al comma 2 -bis e la conclusione della procedura in contraddittorio, il cambiamento di sede, di denominazione, della ragione o dell’oggetto sociale, della composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza, la sostituzione degli organi sociali, della rappresentanza legale della società nonché della titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, il compimento di fusioni o altre trasformazioni o comunque qualsiasi variazione dell’assetto sociale, organizzativo, gestionale e patrimoniale delle società e imprese interessate dai tentativi di infiltrazione mafiosa, possono essere oggetto di valutazione ai fini dell’adozione dell’informazione interdittiva antimafia.»; b) all’articolo 93, il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. Il prefetto competente all’adozione dell’informazione, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite nel corso dell’accesso, può invitare in sede di audizione personale i soggetti interessati a produrre ogni informazione ritenuta utile, anche allegando elementi documentali, qualora non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento ovvero esigenze di tutela di informazioni che, se disvelate, sono suscettibili di pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri procedimenti amministrativi finalizzati alla prevenzione delle infiltrazione mafiose.”.
[17] all’art. 49 che ha inserito l’art. 94-bis nel Codice Antimafia.
[18] Si riporta di seguito il testo dell’art. 49 (Prevenzione collaborativa) del D.L. 6 novembre 2021, n. 152: “1. Al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo l’articolo 94, è inserito il seguente: «Art. 94 -bis (Misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale) — 1. Il prefetto, quando accerta che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, prescrive all’impresa, società o associazione interessata, con provvedimento motivato, l’osservanza, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più delle seguenti misure: a) adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24 -ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale; b) comunicare al gruppo interforze istituito presso la prefettura competente per il luogo di sede legale o di residenza, entro quindici giorni dal loro compimento, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati, gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali conferiti, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti, di valore non inferiore a 7.000 euro o di valore superiore stabilito dal prefetto, sentito il predetto gruppo interforze, in relazione al reddito della persona o del patrimonio e del volume di affari dell’impresa; c) per le società di capitali o di persone, comunicare al gruppo interforze eventuali forme di finanziamento da parte dei soci o di terzi; d) comunicare al gruppo interforze i contratti di associazione in partecipazione stipulati; e) utilizzare un conto corrente dedicato, anche in via non esclusiva, per gli atti di pagamento e riscossione di cui alla lettera b) , nonché per i finanziamenti di cui alla lettera c) , osservando, per i pagamenti previsti dall’articolo 3, comma 2, della legge 13 agosto 2010, n. 136, le modalità indicate nella stessa norma. 2. Il prefetto, in aggiunta alle misure di cui al comma 1, può nominare, anche d’ufficio, uno o più esperti, in numero comunque non superiore a tre, individuati nell’albo di cui all’articolo 35, comma 2 -bis , con il compito di svolgere funzioni di supporto finalizzate all’attuazione delle misure di prevenzione collaborativa. Agli esperti di cui al primo periodo spetta un compenso, quantificato con il decreto di nomina, non superiore al 50 per cento di quello liquidabile sulla base dei criteri stabiliti dal decreto di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14. Gli oneri relativi al pagamento di tale compenso sono a carico dell’impresa, società o associazione. 3. Le misure di cui al presente articolo cessano di essere applicate se il tribunale dispone il controllo giudiziario di cui all’articolo 34 -bis , comma 2, lettera b) . Del periodo di loro esecuzione può tenersi conto ai fini della determinazione della durata del controllo giudiziario. 4. Alla scadenza del termine di durata delle misure di cui al presente articolo, il prefetto, ove accerti, sulla base delle analisi formulate dal gruppo interforze, il venir meno dell’agevolazione occasionale e l’assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascia un’informazione antimafia liberatoria ed effettua le conseguenti iscrizioni nella banca dati nazionale unica della documentazione antimafia. 5. Le misure di cui al presente articolo sono annotate in un’apposita sezione della banca dati di cui all’articolo 96, a cui è precluso l’accesso ai soggetti privati sottoscrittori di accordi conclusi ai sensi dell’articolo 83 – bis , e sono comunicate dal prefetto alla cancelleria del Tribunale competente per l’applicazione delle misure di prevenzione.». 2. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, altresì, ai procedimenti amministrativi per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, è stato effettuato l’accesso alla banca dati nazionale unica della documentazione antimafia e non è stata ancora rilasciata l’informazione antimafia.”.
[19] Si riporta di seguito il testo dell’art. 47 (Amministrazione giudiziaria e controllo giudiziario delle aziende) del D.L. 6 novembre 2021, n. 152: “1. All’articolo 34 -bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nel caso in cui risultino applicate le misure previste dall’art. 94 -bis , il Tribunale valuta se adottare in loro sostituzione il provvedimento di cui al comma 2 lett. b) .).»; b) al comma 6, secondo periodo, le parole «Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e» sono sostituite dalle seguenti: «Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente, il prefetto che ha adottato l’informazione antimafia interdittiva nonché»; c) il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. Il provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria prevista dall’articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’articolo 92, comma 2, nonché gli effetti di cui all’articolo 94. Lo stesso provvedimento è comunicato dalla cancelleria del tribunale al prefetto dove ha sede legale l’impresa, ai fini dell’aggiornamento della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia di cui all’articolo 96, ed è valutato anche ai fini dell’applicazione delle misure di cui all’articolo 94 -bis nei successivi cinque anni.»”.
[20] Sul tema, può vedersi il contributo di A. Longo La «massima anticipazione di tutela». Interdittive antimafia e sofferenze costituzionali (16 ottobre 2019) in Federalismi.it – Rivista di diritto pubblico italiano, comparato europeo – n. 19/2019, ove, tra l’altro, nell’ampia e articolata analisi di quelle che l’Autore definisce “sofferenze” costituzionali, è utilizzata – per l’istituto dalla natura composita – l’espressione “crocevia del diritto”, richiamando il termine adoperato, in altra accezione, da A. Levato Potestà discrezionale del Prefetto e regime di impugnazione delle interdittive antimafia. Criticità e prospettive di risoluzione, in Culturaprofessionale.interno.gov.it, 2017, 4, che parla di informativa al centro di un “crocevia di interessi di rilievo costituzionale e sovranazionale che essa mira a tutelare”.
[21] In relazione alla disciplina della documentazione antimafia, segnatamente ai profili sostanziali delle informative interdittive e ai connessi aspetti di tutela giurisdizionale, può vedersi il contributo di F. Figorilli e W. Giulietti Contributo allo studio della documentazione antimafia: aspetti sostanziali, procedurali e di tutela giurisdizionale (2 giugno 2021) in Federalismi.it – Rivista di diritto pubblico italiano, comparato europeo – n. 14/2021, ove è pur evidenziato – sulla scorta della giurisprudenza esaminata – che, in non rari casi, alla carenza delle garanzie procedimentali non ha fatto da contraltare un sindacato giurisdizionale pieno ed intenso.
[22] Sul tema della compressione del diritto di partecipazione al procedimento nella materia in esame, anche in relazione agli indirizzi della giurisprudenza amministrativa, si veda G. Carratelli Il (mancato) contraddittorio endoprocedimentale in materia di informazione antimafia – Nota a: Tar Puglia – Bari, sez. III, ordinanza 13 gennaio 2020, n. 28 in Amministrazione e contabilità dello Stato e degli enti pubblici [www.contabilita-pubblica.it] (30.01.2021).
[23] con le sentenze del 9 novembre 2017 in C-298/16 e del 26 settembre 2019 in C-63/18.
[24] Il riferimento è a Consiglio di Stato, sez. III, 10 agosto 2020, n. 4979 (Pres. Frattini, Est. Noccelli) ove è interessante leggere: “non può tuttavia questo Collegio esimersi dal rilevare che un quantomeno parziale recupero delle garanzie procedimentali, nel rispetto dei diritti di difesa spettanti al soggetto destinatario del provvedimento, sarebbe auspicabile, de iure condendo, in tutte quelle ipotesi in cui la permeabilità mafiosa appaia alquanto dubbia, incerta, e presenti, per così dire, delle zone grigie o interstiziali, rispetto alle quali l’apporto procedimentale del soggetto potrebbe fornire utili elementi a chiarire alla stessa autorità procedente la natura dei rapporti tra il soggetto e le dinamiche, spesso ambigue e fluide, del mondo criminale”.
[25] raggruppate per analogia di contenuti, atteso che, come osservato dal Collegio, l’impugnazione della società ricorrente ha moltiplicato le medesime critiche riproposte sotto visuali differenti.
[26] per aver la P.A. statuito su status e capacità della ricorrente che rappresentano una questione preclusa al giudice amministrativo ex artt. 103 Cost., 9 c.p.c. e 8, comma 2, c.p.a.
[27] Per approfondimenti sugli elementi indizianti con specifico riferimento al ruolo del giudice amministrativo cfr. S. Sticchi Damiani, Le interdittive tra lacune normative e discrezionalità amministrativa: il ruolo del giudice amministrativo nell’individuazione degli elementi indiziari in G. Amarelli e S. Sticchi Damiani (a cura di) Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici cit.
[28] Art. 7, comma 1, del D. Lgs. n.104/2010:
“Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”.
Art. 30, comma 2, del D. Lgs. n.104/2010:
“Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall’articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica”.
[29] avendo il Collegio valutato l’invocata questione pregiudiziale limitata a circostanze non rilevanti ai fini della decisione.
[30] Art. 47 CDFUE:
“Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale
Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia”.
[31] Nello specifico, argomentando la propria doglianza sul punto col fatto che nella prova indiziaria e nella giudizio prognostico-probabilistico “non avrebbero dovuto mancare la ricerca e la evidenziazione degli elementi oggettivi delle condotte (pur se risalenti a periodi ormai passati o penalmente non rilevanti) dei soggetti sui quali si concentravano gli accertamenti, mentre, al contrario, nella fattispecie in esame erano stati qualificati mafiosi o presunti mafiosi sulla scorta di meri sospetti ed a prescindere dall’esame concreto della loro condotta penale e della loro storia giudiziaria”.
[32] “ed anche nei confronti di questa limitatamente a quelli di natura contrattuale, ovvero intercorrenti con esercizio di poteri provvedimentali, e comunque ai precisi casi espressamente indicati dalla legge (art. 67 d. lgs. n. 159/2011)” si legge in un altro passo dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2018.
[33] Tale incapacità, secondo un primo orientamento, costituirebbe un’autonoma forma di incapacità giuridica speciale, mentre, per altra e diversa ricostruzione, sarebbe da ricondurre alla capacità di agire o, comunque, alla legittimazione a compiere determinati atti giuridici.
[34] Sentenza n. 57 del 2020 (Pres. Cartabia, Est. Coraggio) – decisione: 29 gennaio 2020, deposito: 26 marzo 2020.
[35] Cassazione Civile Sez. Unite, 20 gennaio 2014, n. 1103 (Pres. Rovelli, Est. Rordorf): si tratta della pronuncia sui limiti del sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica dell’AGCM.
[36] Si veda in proposito il contributo di A. Longo La Corte costituzionale e le informative antimafia. Minime riflessioni a partire dalla sentenza n. 57 del 2020 (in Nomos – Le attualità nel diritto – Quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituzionale n. 2/2020) che reca interessanti riflessioni sulla richiamata pronuncia del Giudice delle leggi che l’autore definisce un “intervento ambiguo su un tema controverso” trattandosi della costituzionalità delle informative interdittive, “questione spinosa, dibattuta, radicalmente divisiva”.
[37] Sul tema, più ampio, del bilanciamento tra principi costituzionali in materia si veda il contributo di R. Di Maria e A. Amore Effetti “inibitori” della interdittiva antimafia e bilanciamento fra principi costituzionali: alcune questioni di legittimità dedotte in una recente ordinanza di rimessione alla Consulta (5 maggio 2021) in Federalismi.it – Rivista di diritto pubblico italiano, comparato europeo – n. 12/2021.
[38] Come evidenziato da A. Longo in La Corte costituzionale e le informative antimafia. Minime riflessioni a partire dalla sentenza n. 57 del 2020 cit.