INDICE
Premessa
- Le prospettive “avanzate” della tutela ambientale nella cd. “società del rischio”
- Nozione ed evoluzione del principio di precauzione
- Studi condotti ed incertezza scientifica in materia di inquinamento elettromagnetico (“Elettrosmog”)
- Il rilievo del principio di precauzione nell’ambito dell’inquinamento elettromagnetico
4.1 Quadro normativo europeo
4.2 Quadro normativo nazionale
- Gli attuali limiti imposti dalla normativa nazionale sono ancora adeguati? Il difficile contemperamento degli interessi
- In cosa consiste il 5G: vantaggi e dubbi emersi in merito allo sviluppo della nuova tecnologia
- La diffusione della rete di nuova generazione in Italia: disposizioni e provvedimenti nazionali in materia di 5G
- Normativa in merito alla pianificazione delle assegnazioni delle diverse bande dello spettro radioelettrico
- Il cd. “Golden power” in materia di reti 5G
- L’attuale situazione relativa alla diffusione della rete di quinta generazione in Italia e l’emendamento inserito nel “decreto Semplificazioni”
Conclusioni
di
*** *** ***
Premessa
Il momento storico che stiamo attraversando, largamente condizionato dalla diffusione della pandemia da Covid- 19, ha sensibilizzato l’opinione pubblica sull’importanza di preservare l’ambiente in cui viviamo (si pensi alla notevole riduzione dell’inquinamento durante i periodi di lock down e ai conseguenti effetti positivi sulla natura e sugli animali), aprendo nuove prospettive in materia, come, tra le più significative, il ricorso allo smart working, anche al fine di ridurre il traffico urbano. Di fatto, è ormai avvertita da gran parte della popolazione la crescente necessità di investire in nuove tecnologie[1].
Con riguardo a quest’ultimo aspetto, occorre però sin da subito evidenziare che se da un lato il costante sviluppo del progresso scientifico e tecnologico apporta notevoli miglioramenti alla qualità della vita e in piena pandemia si è ritenuto che “mai come in queste settimane è stato evidente che il progresso è una forza benefica e le infrastrutture wireless a banda larga un elemento essenziale della nostra vita personale ed economica della nostra sicurezza, della nostra libertà”[2], è anche vero dall’altro che ogni nuova sfida tecnologia, quale quella più recente e attuale del 5G, porta con sé numerosi interrogativi nonché inevitabili rischi e si scontra spesso con alcuni diritti fondamentali quali quello della tutela della salute e dell’ambiente.
L’imminente arrivo del 5G, che rappresenta una vera e propria rivoluzione della comunicazione mobile – in quanto non si limita ad un incremento della velocità di connessione –, lascia, infatti, tuttora aperte una serie di incognite ed è stato al centro di numerosi dibattiti nel corso degli ultimi mesi.
Non è, infatti, agevole individuare un corretto punto di equilibrio che contemperi la crescente attenzione nei riguardi dell’ambiente, di cui si sente sempre di più la necessità di salvaguardia a garanzia del nostro futuro, con altri beni giuridici, con particolare riferimento alla libertà economica “che è forse il più formidabile avversario della tutela ambientale”[3].
- Lo spostamento “in avanti” della tutela ambientale nella cd. “società del rischio”
L’aumento dei rischi derivanti dall’innovazione tecnologica registrato in particolar modo negli ultimi anni ed il crescente emergere della loro percezione sono considerati un tratto caratterizzante della società contemporanea, che proprio per tale ragione è oggi comunemente definita come “società del rischio”[4].
Il diritto del rischio è caratterizzato principalmente dall’anticipazione dell’intervento pubblico limitativo della sfera individuale rispetto al modello tradizionale del diritto di polizia, in ragione del fatto che la previsione legislativa non si fonda su un giudizio di probabilità del verificarsi dell’evento dannoso, ma su una prognosi incerta[5].
In tale ottica, il presupposto che legittima l’attivazione da parte del legislatore di misure preventive non è più il pericolo – che rappresenta un evento dannoso futuro e incerto il cui verificarsi, alla luce dell’esperienza passata, può ritenersi ragionevolmente probabile – bensì il “rischio”, che a differenza del primo è un evento dannoso futuro e incerto, di cui non è possibile allo stato attuale delle conoscenze valutare in maniera sufficientemente sicura le probabilità (o anche solo le modalità) di avveramento, in quanto non si possiedono i dati empirici necessari per formulare un giudizio prognostico sufficientemente affidabile.
Il concetto di rischio appare, dunque, sempre legato a situazioni di non conoscenza e si riferisce a situazioni, in cui non è valutabile la probabilità di possibilità conosciute (incertezza in senso ampio) o in cui non sono nemmeno valutabili i possibili sviluppi degli eventi e i loro effetti (incertezza in senso stretto)[6].
Anche il diritto amministrativo, qualora venga chiamato a regolare tali situazioni dove regna l’“incertezza” assume caratteristiche peculiari, brillantemente riassunte dalla dottrina tedesca: (i) perdita di definizione della fattispecie normativa con una dilatazione dei compiti dell’organo di attuazione (cui la legge delega il compito di valutare caso per caso l’esistenza dei rischi); (ii) frequente ricorso a concetti giuridici indeterminati, quali lo “stato della scienza e della tecnica” o “le migliori tecnologie disponibili”; (iii) istituzione di autorità scientifiche con compiti di alta consulenza; (iv) fissazione di regole che indicano un metodo di valutazione scientificamente corretto per arrivare alla decisione corretta piuttosto che fornire parametri sostanziali di decisione; (v) temporaneità delle decisioni (e possibilità di una loro revisione) come conseguenza delle condizioni di incertezza in cui sono prese e, infine, (vi) creazione di regole sul procedimento strutturate in modo tale da garantire l’acquisizione di nuove conoscenze nel corso del processo decisionale[7].
Una delle principali espressioni di questo processo di alterazione del diritto conseguente al mutamento della percezione del rischio che porta alla ricerca di livelli di sicurezza sempre più alti e ad un consistente arretramento della soglia dell’intervento del legislatore a difesa della salute dell’uomo e del suo ambiente – spingendolo ad agire in un momento in cui la conoscenza è ancora incerta e lacunosa – è l’affermazione del principio di precauzione, che viene spesso invocato in mancanza di dati scientifici certi.
- Nozione ed evoluzione del principio di precauzione
Il principio in esame è stato politicamente accettato come strategia nell’ambito della gestione del rischio la quale si fonda su un “elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente”[8]. Ed invero esso è auspicabile nel momento in cui le prove scientifiche siano insufficienti, non conclusive o incerte, non consentano cioè una valutazione particolareggiata del rischio, e vi siano indicazioni e ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possano essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto.
L’applicazione del principio di precauzione interviene unicamente in un’ipotesi di rischio potenziale (diversamente troverebbe applicazione il principio di prevenzione), anche nell’eventualità in cui tale rischio non possa essere interamente dimostrato, o la sua portata quantificata, o i suoi effetti determinati per l’insufficienza o il carattere non concludente dei dati scientifici.
Ne consegue che nell’incertezza tra sottovalutare o sopravvalutare un rischio, adottando il principio di precauzione si sceglie la possibilità di sbagliare sopravvalutando il rischio, intervenendo in presenza di un rischio potenziale e grave senza attendere i risultati della ricerca scientifica.
I fattori che attivano il ricorso al principio di precauzione sono:
– l’identificazione di effetti potenzialmente negativi, derivanti da un fenomeno;
– una valutazione scientifica degli effetti potenzialmente negativi, la quale, per l’insufficienza di dati, il loro carattere inconcludente o la loro imprecisione, non consenta di determinare con sufficiente certezza il rischio in questione[9].
Il principio di precauzione compare e si sviluppa gradualmente a partire dagli anni ’70, affermandosi definitivamente, a livello internazionale, nel 1992, con la Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (Conference on Enviroment and Development – UNCED) di Rio de Janeiro e consacrato dell’art. 15 della Dichiarazione di Rio (Declaration on Enviroment and Development), in cui si dichiara che “In order to protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States according to their capabilities. Where there are threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost-effective measures to prevent environmental degradation”[10].
Si introduce, pertanto, un principio di politica ambientale basato sulla cd. “inversione dell’onere della prova”, dal momento che in presenza di un rischio grave ed irreparabile la lacunosità del dato scientifico non può essere assolutamente invocata per posticipare l’intervento adeguato, e pertanto qualora uno Stato volesse agire non sarà necessario provare che determinate attività danneggino gravemente l’ambiente.
Il principio di precauzione è divenuto nel tempo un principio condiviso anche a livello comunitario, facendo il suo ingresso ufficiale nell’art. 174, par. 2, del Trattato istitutivo della Comunità Europea (oggi art. 191 del TFUE) secondo cui “(l)a politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”. Si può, inoltre, ritenere, come sostenuto dalla Corte di Giustizia e dalla Commissione delle Comunità europee, che l’applicazione di tale principio non sia limitata al diritto ambientale ma si estenda ad altre materie di interesse comunitario come la tutela della salute e dei consumatori[11].
Per garantire il rispetto e l’applicazione del principio in esame, la Commissione CE, con l’adozione nel 2000 di una Comunicazione sul principio di precauzione[12], ha descritto l’analisi del cd. risk – assessment e del risk – management, precisando le quattro componenti della valutazione del rischio:
- identificazione del pericolo: agenti chimico/fisico/biologico che possono indurre effetti negativi sulla popolazione e sull’ambiente e scatenare un danno potenziale;
- caratterizzazione del pericolo: determinazione, in termini quantitativi e/o qualitativi della natura e della gravità degli effetti nocivi collegati con gli agenti o le attività causali, dei rapporti dose- risposta nei casi in cui il nesso causale è stato individuato aldilà di ogni ragionevole dubbio;
- valutazione dell’esposizione: probabilità di esposizione all’agente in questione. Sono necessari dati sulla probabilità di contaminazione o esposizione della popolazione o dell’ambiente al pericolo;
- caratterizzazione del rischio: stima qualitativa e/o quantitativa che consideri l’incertezza, la probabilità, la frequenza e la gravità degli effetti negativi individuati, conosciuti o potenziali che possono verificarsi.
In tale ottica, qualora si ritenga necessario intervenire, le azioni da intraprendere dovranno: essere proporzionali rispetto al livello di protezione prescelto; non discriminatorie e coerenti con misure analoghe già adottate; oggettive; basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione o dell’inazione ove possibile mediante un’adeguata analisi economica costi/benefici; soggette a revisione alla luce dell’evoluzione scientifica; essere in grado di attribuire la responsabilità per la produzione di prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio.
Seppur invocato anche in precedenti previsioni normative, il principio di precauzione ha fatto ingresso nel nostro ordinamento per la prima volta con la legge n. 36 del 2001 (legge quadro sull’inquinamento elettromagnetico) ed è stato definitivamente recepito attraverso l’art. 3 ter del d.lgs. n. 152 del 2006 (di seguito anche “Codice dell’ambiente”) che lo annovera tra i principi che regolano l’azione ambientale[13]. All’interno del Codice dell’ambiente tale principio trova applicazione anche in materia di danno ambientale laddove all’art. 304 prevede che “(q)uando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l’operatore interessato adotta, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza”.
- Studi condotti ed incertezza scientifica in materia di inquinamento elettromagnetico (“Elettrosmog”)
Uno degli ambiti in cui la gestione del rischio si fonda principalmente sul principio di precauzione è indubbiamente quello dell’inquinamento elettromagnetico (elettrosmog) – derivante da sorgenti come telefoni cellulari, elettrodotti, elettrodomestici, antenne radiotelevisive che generano energia sotto forma di onde elettromagnetiche (o campi elettrici) – che ancora oggi si connota per un alto grado di incertezza scientifica e che, dunque, comporta nella maggior parte dei casi la necessità di intervenire nei confronti di un rischio potenzialmente grave senza attendere i risultati della ricerca scientifica.
Si consideri, inoltre, che il crescente e costante sviluppo di nuove tecnologie (da ultimo il 5G oggetto del presente lavoro) e di nuove sorgenti artificiali – tra l’altro di uso sempre più capillare tra la popolazione – ha implicato l’aumento esponenziale della presenza sul territorio delle sorgenti di campo elettrico e la conseguente crescente esposizione da parte della popolazione ai campi elettromagnetici di cui, ad eccezione dei livelli di esposizione elevati, non si conoscono ancora oggi con esattezza gli effetti nocivi sulla salute[14], in quanto la comunità scientifica continua a rimanere priva di risultati certi in relazione alla possibile eziologia tra l’insorgenza di alcuni tipi di malattie (in particolare tumori e leucemie infantili) e l’esposizione a lungo termine a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici .
Il tema dei possibili rischi legati all’esposizione a lungo termine dei campi elettromagnetici (CEM), ha da sempre suscitato una notevole preoccupazione nell’opinione pubblica ed è stato oggetto di numerosissimi studi di ricerca scientifica, sebbene non si sia ancora riusciti ad individuare una correlazione “certa” tra l’esposizione ai CEM e l’insorgere di malattie anche molto gravi.
A livello internazionale, la questione è stata oggetto di particolare attenzione sin dal 1974, anno in cui l’IRPA (International Radiation Protection Association) formò un gruppo di lavoro sulle radiazioni non – ionizzanti (NIR), sulla cui base nel 1977 nacque l’INIRC (International Non – Ionizing Radiation Commitee), fino alla creazione nel 1992 di una nuova Commissione internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti – International Commision on Non – Ionizing Radiation Protection (ICNIRP), formalmente riconosciuta dall’OMS e operante con quest’ultima la quale, sulla base dei più autorevoli risultati scientifici provenienti da tutto il mondo, nel 1998 ha emanato le note “Linee guida per i limiti di esposizione ai vari tipi di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, che riguardano però soltanto la protezione dai possibili effetti “acuti” e non da quelli a lungo termine. Tali linee sono state recentemente modificate anche alla luce dei nuovi studi condotti sul 5G[15].
In tale contesto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), nel 1996 ha avviato il Progetto internazionale Campi elettromagnetici (CEM) per analizzare i problemi sanitari associati all’esposizione a campi elettromagnetici, procedendo alla revisione critica dei risultati della ricerca fino ad allora raggiunti, prevedendo “di condurre una valutazione di tutti gli effetti sanitari dovuti all’esposizione a campi ELF nel 2002 – 2003”.
Per la valutazione dei possibili effetti sanitari a lungo termine, sempre L’OMS, con il promemoria n. 205 del novembre 1998, ha fatto riferimento ad un ampio rapporto prodotto nel 1998 dal National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS) degli Stati Uniti. Nello specifico, nel giugno 1998 il NIEHS ha convocato un gruppo di lavoro internazionale per una revisione critica dei risultati della ricerca il quale, usando i criteri stabiliti dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (International Agency for Research on Cancer, IARC), ha concluso che i campi ELF debbano essere considerati come un “possibile cancerogeno per l’uomo” con riferimento prevalente alla possibilità di causare leucemie infantili.
Con una successiva raccomandazione del maggio 2000 sui campi elettromagnetici e la salute pubblica – politiche cautelative, l’OMS ha sancito come fondamentale il principio di “prudent avoidance”[16] (e dunque di cautela), ai quali è speculare, nel campo delle radiazioni ionizzanti, il principio A.L.A.R.A. (As Low As Reasonably Achievable), secondo il quale deve essere garantita l’esposizione ai livelli più bassi possibili, onde minimizzare i rischi per la salute dell’uomo già conosciuti.
Un significativo contributo è poi arrivato nel maggio 2011 quando un gruppo di lavoro formato da 31 esperti provenienti da 14 paesi si è riunito a Lione – presso l’IARC – per valutare il potenziale rischio cancerogeno associato all’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza.
Secondo l’IARC l’esame e valutazione della letteratura scientifica disponibile non supporta l’ipotesi di cancerogenicità dei campi elettromagnetici, con l’eccezione di alcuni studi epidemiologici di tipo caso – controllo[17] che hanno evidenziato un aumento del rischio di glioma (tumore maligno del cervello) e di neurinoma del nervo acustico (tumore benigno) in relazione all’uso intenso dei telefoni cellulari, ma l’evidenza proveniente da questi studi è stata definita come “limitata” in quanto, anche se potrebbe essere dovuta ad un reale nesso di causa – effetto tra l’esposizione ai campi elettromagnetici emessi dai telefoni cellulari e insorgenza dei tumori, non si possono escludere altre spiegazioni come una distorsione dei risultati dovuta al fatto che la valutazione dell’utilizzo dei telefoni cellulari era totalmente affidata al ricordo dei partecipanti agli studi.
Il gruppo di lavoro ha, conseguentemente, classificato i campi a radiofrequenza emessi dai telefoni cellulari, dispositivi wireless, apparecchiature radar, radio e televisori “potenzialmente cancerogeni” per l’uomo, allocandoli così nel Gruppo 2B del sistema di classificazione della IARC (il livello più basso di rischio, utilizzato quando ci sono prove limitate), e non come “probabilmente cancerogeni per gli esseri umani” (Gruppo 2A), né come “cancerogeni per gli esseri umani” (Gruppo 1, in cui sono compresi ad esempio la radiazione solare e il radon presente nelle abitazioni).
La stessa IARC, in una recente pubblicazione divulgativa sul proprio sistema di classificazione delle evidenze di cancerogenicità, afferma che “i campi a radiofrequenza sono classificati nel gruppo 2B perché c’è un’evidenza tutt’altro che conclusiva che possano provocare il cancro negli esseri umani”[18].
Altri due più recenti studi sperimentali del 2018 su ratti e topi da laboratorio condotti nell’ambito del National Toxicology Program (NTP) negli Usa[19] e dall’Istituto Ramazzini in Italia[20] per valutare la possibilità che l’esposizione alle radiofrequenze possa produrre determinati effetti biologici dannosi, forniscono invece qualche evidenza a supporto dell’ipotesi di cancerogenicità dei campi elettromagnetici a radiofrequenza pur se con alcune limitazioni e difficoltà interpretative e con alcune incoerenze[21]. Ad esempio, nonostante nello studio dell’Istituto Ramazzini si espongano i ratti a emissioni inferiori, il numero dei tumori cardiaci è molto più alto di quello rilevato nell’NTP, che ha previsto esposizioni fino a mille volte maggiori.
Anche a seguito di questi due studi, pertanto, non muta in maniera sostanziale il quadro d’insieme delle evidenze scientifiche riguardo al potenziale rischio cancerogeno da esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza (in particolare i campi emessi dai telefoni cellulari), né vengono ridotte le incertezze che tuttora permangono in merito agli effetti negativi (diversi da quelli termici) sulla salute a seguito dell’esposizione a lungo termine ai campi elettromagnetici.
Con particolare riferimento all’uso dei cellulari, l’Istituto Superiore della Sanità ha affermato che nonostante “(i) dati ad oggi disponibili suggeriscono che l’uso comune del cellulare non sia associato all’incremento del rischio di alcun tipo di tumore cerebrale […] rimane tuttavia “un certo grado d’incertezza riguardo alle conseguenze di un uso molto intenso, in particolare dei cellulari della prima e seconda generazione caratterizzati da elevate potenze di emissione”[22].
- Il rilievo del principio di precauzione nell’ambito dell’inquinamento elettromagnetico
Nonostante anni di studi e ricerche, in un quadro come visto caratterizzato da una forte incertezza sugli effetti a lungo termine della esposizione a campi elettrici ed elettromagnetici, è inevitabile che, con particolare riferimento al campo dell’elettromagnetismo, l’adozione del “principio di precauzione” si giustifica al fine di provvedere all’emanazione di provvedimenti cautelari finalizzati ad arginare tale rischio fino a quando non ci saranno certezze maggiori.
Il principio di precauzione deve essere, infatti, inteso quale “punto di riferimento di carattere generale per legittimare l’adozione di misure legislative e/o regolamentari tendenti alla previsione di determinati limiti e modalità in ordine all’esercizio di attività od alla realizzazione di prodotti che possano presentare dei pericoli per la salute sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite, operando un contemperamento tra le esigenze della tutela della salute ed altri interessi di carattere economico di volta in volta presi in considerazione; in tal modo il legislatore individua la soglia dei rischi accettabili connessi all’esercizio di tali attività, come nella fattispecie in materia di esposizione ai campi elettromagnetici, con la conseguenza che il superamento dei limiti di volta in volta prefissati comporta una presunzione di pericolosità per la salute umana, e dunque legittima la tutela di tale fondamentale diritto avente valenza costituzionale ai sensi dell’art. 32 Cost.[23]”.
4.1 Quadro normativo europeo
In quest’ottica, ancorché non si facesse ancora espresso riferimento al principio precauzionale e la tutela fosse rivolta esclusivamente ai lavoratori nei confronti delle esposizioni professionali, a partire dagli anni Novanta la Comunità Europea ha cercato di fornire le prime linee guida al fine di limitare gli effetti dannosi delle RNI sulla salute umana, con l’emanazione di una serie di direttive[24].
Sempre in ambito europeo, altri importanti passi avanti sono stati fatti dapprima con la Risoluzione del Parlamento Europeo sulla lotta contro i danni delle radiazioni non ionizzanti[25], con cui si invita la Commissione a determinare nuove regole per l’intera popolazione volte a ridurre l’esposizione dei lavoratori e del pubblico alle radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti e successivamente con la Raccomandazione 99/519/CE che delinea un quadro comune di protezione “dei singoli cittadini” degli Stati membri dall’esposizione ai CEM dagli 0 Hz ai 300 GHz, esortando gli Stati membri ad adottare “norme specifiche per quanto riguarda le sorgenti e le attività che comportano l’esposizione ai campi elettromagnetici”.
In questo settore, pertanto, la Comunità Europea non è intervenuta con un atto vincolante, ma ha lasciato liberi gli Stati membri di introdurre, attraverso norme cogenti o volontarie, un quadro di limiti all’esposizione ai campi elettromagnetici che avesse come base di riferimento i valori indicati nella Raccomandazione (individuati dallo studio della Commissione internazionale per la protezione delle radiazioni non ionizzanti – ICNIRP). La scelta per una disciplina generale sulla protezione dai campi elettromagnetici fondata su un atto non vincolante, giustificata con il richiamo al principio di proporzionalità dell’intervento delle istituzioni comunitarie (art. 5, par. 4 del Trattato sull’Unione Europea), ha come ragione di fondo l’esigenza di bilanciare la tutela della salute con “gli altri benefici nel campo della salute e della sicurezza, che i dispositivi emittenti campi elettromagnetici arrecano alla qualità della vita nei settori come le telecomunicazioni, l’energia elettrica e la sicurezza della popolazione” (considerando n. 7), il tutto in un quadro di incertezza delle indicazioni provenienti dalla Comunità scientifica circa il livello di nocività delle emissioni elettromagnetiche[26].
Anche in questo caso non viene citato espressamente il principio di precauzione, ma vengono richiamati “aspetti di precauzione” nella valutazione e nella gestione degli effetti “possibili”, o “atteggiamenti di precauzione” con cui gli Stati membri dovrebbero considerare i progressi delle conoscenze scientifiche sulla protezione dalle RNI[27].
In ambito comunitario, all’attuazione del principio di precauzione è stata invece dedicata la Comunicazione della Commissione al Consiglio CE del 2 febbraio 2000, che ha stabilito i criteri cui informare l’attività legislativa in materia ambientale al fine di attuare una corretta applicazione di tale principio: proporzionalità, non discriminazione, coerenza, esame bilanciato dei vantaggi e degli oneri e considerazione per l’evoluzione scientifica.
A differenza della disciplina interna nazionale – v. infra – la normativa europea individua i livelli di assorbimento delle onde magnetiche nel corpo umano e, considerata la concreta impossibilità di stabilire le soglie oltre le quali si determina un pregiudizio alla salute, assume semplici valori fondamentali allo scopo di concedere un più ampio margine di discrezionalità valutativa al soggetto di volta in volta chiamato a giudicare la conformità dell’impianto[28].
4.2 Quadro normativo nazionale
In risposta alla mancanza di dati scientifici certi e dinanzi al timore sempre più diffuso tra i cittadini in merito ai danni connessi all’elettromagnetismo, il legislatore italiano ha emanato nel corso degli anni una serie di provvedimenti legislativi e ministeriali in materia di RNI.
Prima dell’adozione della nota legge quadro n. 36 del 22 febbraio 2001 “legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, la normativa di riferimento era però piuttosto scarna e disomogenea.
Nello specifico, la normativa di riferimento si reggeva sull’art. 4 della legge 23 dicembre 1978, n. 833[29], istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, e sull’art. 2, comma 14, della legge 8 luglio 1986, n. 349[30], istitutiva del Ministero dell’ambiente.
I limiti massimi di esposizione ivi auspicati sono stati effettivamente individuati dal D.P.C.M. 23 aprile 1992[31], per gli impianti a bassa frequenza, e dal successivo D.M. 381/1998[32], per gli impianti ad alta frequenza. Quest’ultimo decreto introduceva per la prima volta nell’impianto normativo gli obiettivi di qualità, ossia quei “valori di campo elettromagnetico da conseguire nel breve, medio e lungo periodo, usando tecnologie e metodiche di risanamento disponibili, al fine di realizzare obiettivi di tutela” (definizione di cui all’allegato A), e rappresentava a livello nazionale il primo esempio di normativa dal carattere “precauzionale”, seppur il relativo principio non sia stato richiamato espressamente[33].
Altra normativa rilevante è stata la legge 12 novembre 1996, n. 615 di “(a)ttuazione della Direttiva n. 89/336/Cee del Consiglio del 3 maggio 1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica, modificata ed integrata dalla Direttiva 92/31/Cee del Consiglio del 28 aprile 1992, dalla Direttiva n. 93/68/Cee del Consiglio del 22 luglio 1993 e dalla Direttiva n. 93/97/Cee del Consiglio del 29 ottobre 1993”, che fissava i requisiti necessari per l’immissione in commercio di apparecchi in grado di generare emissioni elettromagnetiche o il cui funzionamento poteva essere alterato da disturbi elettromagnetici presenti nell’ambiente.
In tale contesto, comunque frammentario e poco uniforme, è intervenuta la richiamata legge quadro n. 36 del 2001, che ha costituito per l’ordinamento italiano la prima disciplina generale ed organica sulla tutela dell’inquinamento elettromagnetico, avendo per oggetto, ai sensi dell’art. 2, tutti “gli impianti, i sistemi e le apparecchiature per usi civili, militari e delle forze di polizia, che possano comportare l’esposizione dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 Ghz. In particolare, la presente legge si applica agli elettrodotti e agli impianti radioelettrici, compresi gli impianti per telefonia mobile, i radar e gli impianti per radiodiffusione”.
La legge quadro costituisce, inoltre, il primo testo normativo italiano nel quale si fa esplicito riferimento al principio comunitario di precauzione[34] e che ha inteso fornire un quadro esaustivo di protezione, non limitandosi alla tutela della salute ma comprendendo fra le espresse finalità del suo intervento anche la tutela dell’ambiente e del paesaggio[35].
Per assicurare la protezione dall’inquinamento elettromagnetico la legge ha adottato tre tipologie di strumenti quali (i) i limiti di esposizione (da rispettare sempre)[36], (ii) i valori di attenzione (da rispettare nei luoghi adibiti a permanenze prolungate della popolazione)[37], (iii) gli obiettivi di qualità[38], che sono stati individuati da due successivi DPCM dell’8 luglio 2003 adottati rispettivamente per la protezione dai campi ad alta frequenza tra 100 kHz e 300 GHz[39] e per la protezione dai campi a bassa frequenza (50Hz) generati da elettrodotti[40]. Con particolare riferimento ai limiti di esposizione ed i valori di attenzione previsti per i campi ad alta frequenza si sottolinea che, in aderenza al principio di precauzione, l’Italia ha previsto limiti molto più restrittivi rispetto a quelli previsti dalla Raccomandazione europea del 1999 e a quelli adottati in altri paesi europei.
Fra i meriti della legge quadro vi è indubbiamente quello di avere risolto il conflitto di attribuzioni che, in assenza di una disciplina organica, era sorto in materia di inquinamento elettromagnetico fra Stato e Regioni: molte di queste, infatti, hanno dimostrato particolare sensibilità alle problematiche dell’elettrosmog e hanno fissato limiti più restrittivi di quelli stabiliti a livello nazionale.
La legge quadro ha posto ordine affidando allo Stato all’art. 4 “la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità […] in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all’articolo 1”. Allo Stato spettano, inoltre, le funzioni relative alla promozione di attività di ricerca e sperimentazione tecnico- scientifica, all’istituzione di un catasto nazionale delle sorgenti fisse e mobili dei campi elettromagnetici oltre alla determinazione dei criteri necessari per l’elaborazione dei piani di risanamento, all’individuazione delle tecniche di misurazione e di rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico, alla realizzazione di accordi di programma, alla definizione dei tracciati con tensione superiore a 150 kV, ed alla determinazione delle zone di rispetto.
Alle Regioni spettano, invece, le funzioni attuative dei piani di risanamento, di selezione degli strumenti per il conseguimento degli obiettivi di qualità e di adozione dei criteri per il rilascio dell’autorizzazione e localizzazione degli impianti, sempre che ciò avvenga “nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato”[41] e fatta salva la riserva statale di definire i tracciati degli elettrodotti con tensione superiore a 150 kW.
La riforma del titolo V della Costituzione, intervenuta con la successiva legge n. 3 del 18 ottobre 2001, non stravolse ma si pose in linea con quanto stabilito nella legge quadro, ed invero, così come il riformato titolo V della Costituzione ha manifestato in materia ambientale un intento centralista volto ad omogeneizzare la disciplina sull’intero territorio nazionale, parimenti – come visto – la legge quadro n. 36 del 2001 ha stabilito come sia lo Stato ad emanare un disciplina sostanziale volta al preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari. Tale convergenza di vedute si è manifestata ancora più chiaramente in relazione a disposizioni specifiche della legge quadro disciplinanti il catasto delle sorgenti elettromagnetiche, la ricerca tecnico- scientifica e la definizione dei tracciati degli elettrodotti[42] .
Inoltre, a seguito della revisione del Titolo V della Costituzione, la Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire che nonostante la “tutela dell’ambiente” sia attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. s), non si può escludere qualsiasi intervento del legislatore regionale, alla luce del fatto che tale materia non può essere circoscritta e delimitata ma ha un “valore costituzionalmente protetto” ed è una “materia trasversale”[43]. Ne consegue che lo Stato potrà incidere in seno alla competenza legislativa concorrente e residuale, mantenendo la competenza a fissare standards ambientali uniformi e operativi sull’interno territorio ma non derogabili dalle Regioni “nemmeno in senso più restrittivo”. Ad ogni modo, non si esclude che il legislatore regionale, ai sensi dell’art. 117, commi 3 e 4, possa assumere anche “finalità di tutela ambientale”, dal momento che la disciplina dell’inquinamento elettromagnetico interferisce con altre materie di competenza regionale, quali il governo del territorio, l’ordinamento della comunicazione, della produzione, del trasporto e della distribuzione nazionale di energia, la tutela della salute ecc.
Per comprendere il divieto da parte delle Regioni di stabilire dei valori – soglia più rigorosi di quelli definiti a livello statale, occorre riflettere sulla ratio alla base della fissazione di tali standards: sul punto la Consulta ha chiarito che se la ratio fosse solo quella di tutelare la salute, sarebbe lecito considerare ammissibile un intervento delle Regioni che stabilisse limiti più rigorosi rispetto a quelli fissati dallo Stato, mentre la fissazione dei valori – soglia risponde ad una ratio più complessa ed articolata che mira a tutelare anche altri interessi di rilievo nazionale che fanno capo alla distribuzione dell’energia ed allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione. In altre parole “la fissazione a livello nazionale dei valori – soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche e di realizzare impianti necessari al Paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell’energia e di ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”[44].
I giudici ordinari hanno, inoltre, precisato che in tema di immissione di onde elettromagnetiche, il principio di precauzione – sancito dall’ordinamento comunitario come cardine della politica ambientale – è assicurato dallo stesso legislatore statale attraverso la regolamentazione contenuta nella l. n. 36 del 2001 e nel d.P.C.M. 8 luglio 2003, che ha fissato i parametri relativi ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione e agli obiettivi di qualità, i quali non sono modificabili, neppure in senso restrittivo, dalla normativa delle singole Regioni (Corte cost, sentenza n. 307 del 2003) ed il cui mancato superamento osta alla possibilità di avvalersi della tutela giudiziaria preventiva del diritto alla salute, che è ipotizzabile solo in caso di accertata sussistenza del pericolo della sua compromissione , da ritenersi presuntivamente esclusa quando siano stati rispettati i limiti posti dalla disciplina di settore (cfr. Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 11105 del 10 giugno 2020; Tribunale Milano, Sez. X, sent. n. 2520 del 3 marzo 2018).
Con riferimento alle competenze in capo agli enti locali, ai sensi dell’art. 8, comma 6 della l. n. 36 del 2001 “(i) comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”, ma ciò che è precluso ai Comuni è di vietare indiscriminatamente l’installazione degli impianti all’interno di intere ed estese aree del territorio comunale, con il risultato di pregiudicare il raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
La maggior parte delle attribuzioni di Comuni (e Province), ai sensi dell’art. 8, comma 4, della legge n. 36 del 2001 sono comunque disciplinate dalla legislazione regionale, nell’ambito delle proprie attribuzioni.
Il quadro delle competenze delineato dalla legge quadro è stato confermato in via pacifica anche dalla giurisprudenza, secondo cui in tema di installazione di strutture operanti quali stazioni radio base per telefonia mobile, l’art. 4 della legge n. 36 del 2001 riserva allo Stato l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con d.P.C.M. ed il cui rispetto è affidato all’ARPA ex art. 14 della medesima legge; rimangono, invece, di competenza delle Regioni le funzioni relative alla localizzazione dei siti di trasmissione e alla regolamentazione delle modalità procedimentali per il rilascio delle autorizzazioni; residua, infine ai Comuni una mera potestà sussidiaria, che consente loro di adottare regolamenti finalizzati esclusivamente ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, nonché volti a minimizzare, in conformità ed in attuazione alle direttive e ai criteri introdotti dallo Stato e dalle Regioni, l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, restando invece esclusa ogni potestà normativa in ordine alla determinazione di criteri, maggiormente limitativi o rigidi, di valutazione della soglia di inquinamento elettromagnetico o alla introduzione di misure generali interdittive a contenuto igienico-sanitario e divieti all’installazione degli impianti all’interno di intere ed estese aree del proprio territorio, condotte, queste, che pregiudicherebbero il raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni da garantirsi su tutto il territorio nazionale[45] (cfr. Tar Emilia Romagna (Bologna), sez. II, sent. n. 677 del 19 ottobre 2017, Tar Lombardia (Brescia), Sez. II, sent. n. 188, del 15 febbraio 2018; Tar Abruzzo (L’Aquila), Sez. I, sent. n. 311 del 18 settembre 2020).
Il panorama delle fonti normative statali oltre alla legge quadro comprende le previsioni del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (“Codice delle comunicazioni elettroniche”), con particolare riferimento agli artt. 87 e ss., che si occupano del procedimento di autorizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica[46] nonché le disposizioni sulla localizzazione degli impianti radiotelevisivi contenute nella legge n. 249 del 1997 e del D.Lgs. n. 177 del 31 luglio 2005 (“Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici”), con particolare riferimento all’art. 42 sull’“uso efficiente dello spettro elettromagnetico e pianificazione delle frequenze”.
Anche se volte prioritariamente ad assicurare la compatibilità elettromagnetica dei prodotti ed evitare fenomeni di perturbazione elettromagnetica e finalizzate solo in via indiretta alla tutela della salute e dell’ambiente, occorre richiamare le norme riguardanti le caratteristiche costruttive degli apparecchi per mitigare le emissioni elettromagnetiche costituite dal D.Lgs. n. 194 del 6 novembre 2007 (recante “Attuazione della Direttiva n. 2004/108/Ce concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica e che abroga la direttiva 89/336/CEE”) e dal D.Lgs. n. 269 del 9 maggio 2001 (recante “Attuazione della Direttiva n. 1999/5/Ce riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazione ed il reciproco riconoscimento della loro conformità”).
Di rilievo è anche il D.Lgs. n. 159 del 1° agosto 2016 in “attuazione della direttiva 2013/35/UE sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) e che abroga la direttiva 2004/40/CE”: esso stabilisce limiti di esposizione e valori di azione distinti per gli effetti sanitari dovuti a effetti nocivi per la salute quali riscaldamento termico o stimolazione del tessuto nervoso o muscolare e per gli effetti sensoriali: disturbi minori transitori, non nocivi per la salute, a carico delle percezioni sensoriali e modifiche a carico del sistema nervoso centrale fra cui fosfeni.
Rispetto alle precedenti norme si pone un diverso approccio nella definizione dei limiti, definiti in relazione al movimento del soggetto e non più in condizioni imperturbate e una maggiore flessibilità per la protezione dagli effetti sensoriali con possibile superamento dei limiti in situazioni e condizioni definite.
Il D.Lgs. 159/2016, aggiorna, inoltre, tutti i preesistenti articoli relativi al Capo IV del Titolo VIII – Agenti fisici del D.Lgs. 81/2008 e conferma l’obbligo per il datore di lavoro, di valutare e tutelare i lavoratori dal rischio dei campi elettromagnetici indicando i limiti di esposizione in funzione della frequenza.
- Gli attuali limiti imposti dalla normativa nazionale sono ancora adeguati? Il difficile contemperamento degli interessi
Come anticipato, con la Raccomandazione 99/519/CE la Comunità Europea ha lasciato un ampio margine di discrezionalità agli Stati membri nell’adozione di norme specifiche in merito ai limiti all’esposizione ai campi elettromagnetici, fermo restando il rispetto dei valori individuati dallo studio dell’ICNIPR.
Per quanto riguarda l’Italia, i governi che si sono succeduti nel tempo, nel difficile compito di garantire un corretto bilanciamento tra interessi non sempre convergenti, hanno invocato sistematicamente il principio di precauzione, giustificando così il permanere di limiti che ancora oggi si discostano da quelli indicati dalla raccomandazione Ue e dalle linee guida dell’ICNIRP. Ed invero, l’impianto normativo che regola i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici in Italia risulta di fatto fermo alla legge quadro del 2001 e ai successivi decreti attuativi del 2003, con l’adozione di limiti significativamente più restrittivi rispetto a quelli individuati dalle linee guida ICNIRP (International Commission for Non-Ionizing Radiation Protection).
A detta di molti, sarebbe, invece, auspicabile aggiornare il quadro normativo vigente trovando una soluzione normativa più idonea a conciliare gli obiettivi di tutela della salute con le esigenze di sviluppo delle reti mobili di nuova generazione[47]. I limiti vigenti rischiano, infatti, di rallentare lo sviluppo delle nuove reti, sia perché molto contenuti, sia perché la metodologia di calcolo utilizzata non è adeguata alle caratteristiche tecnologiche delle reti 5G, che comporteranno una densa distribuzione di celle macro/micro/femto in modo da realizzare servizi non pensabili con le reti attuali[48].
Su tale ultimo aspetto, è intervenuta la Direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 che istituisce il nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche[49] secondo cui per tali tipologie di celle è “opportuno limitare al massimo eventuali restrizioni della loro diffusione. Ne consegue che, al fine di agevolare l’installazione di punti di accesso senza fili di portata limitata, e fatti salvi eventuali requisiti applicabili connessi alla gestione dello spettro, gli Stati membri non dovrebbero sottoporre ad alcun permesso individuale l’installazione di tali dispositivi in edifici che non siano ufficialmente protetti in quanto parte di un ambiente designato o per il loro specifico valore architettonico o storico, tranne che per motivi di pubblica sicurezza”(considerando n. 139).
Per tale motivo, soprattutto con l’avvio a partire dal 27 settembre nel 2018 di un’indagine conoscitiva sulle nuove tecnologie delle telecomunicazioni, con particolare riguardo alla transizione verso il 5G ed alla gestione dei big data condotta dalla IX Commissione permanente (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) della Camera, è stata sollevata in sede parlamentare la questione dell’aggiornamento dei vigenti limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, ma ne sono emerse due posizioni contrapposte: da un lato è stata espressa l’esigenza di rivedere gli attuali limiti, allineandoli a quelli (più alti) raccomandati a livello internazionale dall’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection); dall’altro, è stato sollevato il tema dei rischi per la salute umana che potrebbero derivare dall’esposizione ai campi elettromagnetici generati dalle frequenze 5G.
Sulla necessità di aggiornare i limiti di emissione si è espresso anche il Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento elettromagnetico (CIPRIE) istituito dalla legge quadro del 2001 ed insediatosi ufficialmente solo il 4 agosto 2015 – che, tra le altre funzioni, annovera quelle della promozione di attività di ricerca e sperimentazione tecnico scientifica, nonché di coordinamento dell’attività di raccolta, elaborazione e diffusione dei dati, ed informa annualmente il Parlamento su tale attività -, il quale nella relazione al Parlamento relativa all’anno 2016 ha precisato che “con riferimento ai limiti di emissione elettromagnetica resta attuale, come già in precedenza segnalato, l’opportunità di approfondire la soluzione normativa più idonea atta a conciliare le esigenze di sviluppo delle reti mobili di nuova generazione, con gli obiettivi di tutela radioprotezionistica della popolazione e salvaguardia dell’ambiente”.
Ciò in quanto soltanto attraverso una compiuta e approfondita analisi dei concorrenti interessi in gioco, si potrà addivenire alla composizione del quadro regolamentare più adatto per consentire all’Italia di vincere la sfida dell’innovazione.
Con particolare riferimento alle nuove sfide aperte dall’era del 5G gli stakeholder chiedono una revisione delle regole italiane sui limiti elettromagnetici che rappresentano un freno alla realizzazione della futura rete, un parere condiviso anche dai regolatori. Sul punto il Commissario dell’AGCOM ha sottolineato che “(c)i sono diverse questioni da affrontare. Alcune non riguardano direttamente il regolatore, ma l’Autorità può segnalare attivamente a Governo e Parlamento alcune emergenze. Tra tutte evidenzio la necessità di rivoluzionare la metodologia, cambiare la misurazione, e quindi i limiti elettromagnetici. L’introduzione di small cells da un lato, forme di orchestrazione e reindirizzo del segnale al target dall’altro di fatto modificano il senso della misurazione e l’intensità del segnale. I vecchi limiti e le vecchie misurazioni medie riguardano un mondo che non ci sarà più e rischiano di creare barriere all’entrata”[50].
Con lo sviluppo del 5G governo e regolatori si trovano, dunque, necessariamente a dover affrontare, tra le altre [51], la questione relativa alla possibile e probabilmente necessaria revisione dei limiti elettromagnetici e ciò anche al fine del raggiungimento degli obiettivi dell’Action Plan voluto dall’Europa[52], anche in ragione del fatto che “è essenziale evitare che emergano standard 5G incompatibili tra loro in diverse regioni. Se l’Europa intende contribuire a delineare un consenso mondiale effettivo in merito alla scelta delle tecnologie, delle bande di spettro e delle applicazioni leader 5G, saranno necessari un coordinamento dell’UE e una pianificazione a livello transfrontaliero”.
- In cosa consiste il 5G: vantaggi e dubbi emersi in merito allo sviluppo della nuova tecnologia
Il 5G è ormai alle porte, in tutto il mondo e darà il via a una delle rivoluzioni tecnologiche più grandi del nostro tempo. Avrà, infatti, effetti sulla vita quotidiana delle persone perché permetterà di connettere ad altissima velocità contemporaneamente una moltitudine di dispositivi che finora erano solo “oggetti passivi” (IoT, Internet of things, che consiste nella “fusione dell’informatica con le realtà meccaniche o elettromeccaniche cui la società odierna era finora abituata”[53]), destinati a essere sempre più numerosi (elettrodomestici, auto, semafori, lampioni, orologi, frigoriferi ecc….).
Una delle caratteristiche principali di questa rete è, infatti, proprio quella di permettere molte più connessioni in contemporanea, con alta velocità (potenzialmente fino a 10 volte più elevata rispetto al 4G) e tempi di risposta al comando dato all’oggetto connesso (latenza) molto rapidi, che scenderanno a 1-10 millisecondi, circa 10 volte meno degli attuali 50-100 millisecondi del 4G.
La “G” sta per “generation”, e si tratta della quinta generazione dello standard per la trasmissione dati attraverso una rete di telefonia mobile. Arriva dopo l’1G (il vecchio “Tacs”) in cui i segnali radio erano trasmessi in forma “analogica”, il 2G (il Gsm), il 3G (Umts) e il 4G (LTE, long term evolution, “evoluzione a lungo termine”). Come più volte rappresentato dagli esperti, il 5G non rappresenta però semplicemente un’evoluzione della rete 4G, dal momento che rispetto a questa presenta caratteristiche tecniche completamente diverse, non solo per la quantità di banda più ampia e per la velocità ma per il diverso modo di gestire le comunicazioni e la copertura, con frequenze, antenne e tecniche di trasmissione dei dati differenti rispetto al passato. Non si tratta, infatti, soltanto della quinta generazione di telefonia mobile, ma di un “salto quantico” nel settore delle telecomunicazioni[54], accompagnato e potenziato dallo sviluppo accelerato di altre due grandi novità tecnologiche, ossia l’intelligenza artificiale (AI) e la blockchain.
Il 5G avrà anche un notevole impatto su tutti i settori industriali e di conseguenza sull’economia mondiale: “qualunque cosa sarà offerta come servizio: la rete 5G diventerà il sistema nervoso della vera società digitale, dell’economia digitale e dell’economia della longevità”[55].
È stata, infatti, recentemente offerta una esauriente panoramica di tutti i servizi che potranno realizzarsi con il 5G: ed invero la nuova tecnologia consentirà la connessione di milioni di oggetti e sensori molto vicini tra loro fondamentali per la digitalizzazione delle infrastrutture stradali, gli sviluppi della smart city, della smart home e della guida autonoma[56].
Come ogni innovazione tecnologica, nonostante i numerosi vantaggi, lo sviluppo del 5G porta con sé una serie di incognite quali la preoccupazione per la sicurezza dei dati[57] ed è al centro di un ampio dibattito in ordine ai possibili rischi che le nuove onde potrebbero comportare alla salute. Con riferimento al primo punto, un po’ in tutto il mondo, non mancano infatti, i timori che la Cina possa utilizzare le infrastrutture 5G realizzate dalle aziende cinese Huawei e Zte per condurre operazioni di spionaggio.
In merito alla valutazione dei rischi legati al 5G, a seguito delle valutazioni espresse in merito alla sicurezza informatica delle reti 5G da 24 Stati membri dell’UE, il 9 ottobre 2019, la stessa Commissione europea ha pubblicato una “relazione sulla valutazione coordinata a livello di UE dei rischi per la cibersicurezza delle reti di quinta generazione (5G)”, individuando le minacce più rilevanti ed i principali autori di tali minacce, le risorse più sensibili e le principali vulnerabilità (di natura tecnica e di altro tipo), nonché diversi rischi strategici[58].
Inoltre, l’arrivo della nuova tecnologia preoccupa un crescente numero di cittadini e associazioni nonché alcuni parlamentari (in particolare alcuni esponenti all’interno del M5S), anche perché inevitabilmente comporterà un significativo aumento del numero delle antenne e un aumento delle frequenze dello spettro delle onde radio[59].
Come più analiticamente approfondito al successivo par. 7.3, tra i più accaniti oppositori della diffusione della nuova rete ci sono, inoltre, tantissimi sindaci i quali hanno emanato innumerevoli ordinanze contingibili e urgenti al fine di sospendere e denegare l’autorizzazione nei confronti di ogni installazione e/o progetto relativo alla nuova tecnologia 5G sui vari territori comunali[60].
I dubbi ed i timori sono rivolti in particolare allo sviluppo delle frequenze 26 GHz che non sono mai state utilizzate per le reti pubbliche di telefonia, a differenza delle altre due principali frequenze tramite cui lavoreranno gli operatori con il 5G (700 MHz, 3,7 GHz) che sono le stesse già in uso da tanti anni per le reti 4G e per le trasmissioni televisive e per le quali valgono le considerazioni già fatte (come visto) in più occasioni dalla comunità scientifica in ordine alla mancanza di prove certe ed effettive circa i rischi per la salute.
Alcune delle teorie più diffuse sulla presunta pericolosità delle onde radio nelle telecomunicazioni riprese di recente anche a seguito dell’avvento del 5G furono espresse circa vent’anni fa da Bill P. Curry, un consulente ed esperto di fisica, il quale aveva ricevuto da un consiglio scolastico in Florida la richiesta di verificare se l’installazione di reti wireless nelle aule potesse comportare qualche rischio per la salute degli studenti. Curry dopo aver approfondito la questione nel suo rapporto scrisse che quel tipo di tecnologia sarebbe stata “probabilmente un serio pericolo per la salute”[61].
I lavori di Curry e di altri oppositori delle tecnologie senza fili[62] hanno trovato un discreto seguito anche in Italia, dove da tempo ci sono gruppi e associazioni che si occupano del cosiddetto “elettrosmog”, e che, a seguito dell’avvio dei lavori per l’installazione del 5G, hanno presentato diverse petizioni e richieste al Parlamento per rivedere la normativa sulle onde elettromagnetiche.
A fronte di tali battaglie portate avanti dai più critici del 5G, al contrario in molti sostengono che tale scetticismo è privo di fondamento e non siano avvalorato da evidenze scientifiche.
A sostegno della nuova tecnologia è stato più volte evidenziato che più alta è la frequenza e maggiore è la velocità di trasmissione, ma anche più corta la distanza che il segnale può percorrere, inoltre, un segnale trasmesso a frequenze elevate (come i 26 GHz) viene facilmente assorbito dai gas nell’aria, dai muri degli edifici e persino dagli alberi; per di più, ha una scarsa capacità di penetrazione e si ritiene che non possa causare danni a livello del DNA delle cellule.
Per questo motivo sarà necessario utilizzare, in maggiore misura rispetto alle attuali tecnologie di telefonia mobile, le cd. “small cells”, aree di territorio coperte dal segnale a radiofrequenza le cui dimensioni, che possono andare da una decina di metri (indoor) a qualche centinaio di metri (outdoor), sono molto inferiori a quelle delle macrocelle che possono essere estese anche diversi chilometri[63] e che, a differenza di queste, comportano anche potenze di emissione più basse.
L’esigenza di dover installare più antenne[64] nasce, dunque, dalla necessità di poter avere un campo uniforme a 26 GHz, perché altrimenti non sarebbe possibile garantire una rete capillare a causa dei limiti intrinseci del segnale inviato a questa frequenza.
Una delle principali caratteristiche della rete mobile di quinta generazione è, inoltre, il cd. “beam forming“, che permette di trasmettere il segnale direttamente al singolo dispositivo invece che ad ampio raggio, garantendo una minore dispersione dal momento che si propaga non soltanto in linea retta, ma anche sfruttando i “rimbalzi” sulle superfici per direzionare il singolo segnale allo specifico dispositivo. Tale carattere “dinamico” dei fasci direzionali di emissione d’antenna consentirebbe, addirittura, una riduzione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici[65].
A tal proposito, l’Istituto Superiore della Sanità ha affermato che “(a)l momento, non è possibile formulare una previsione sui livelli di campo elettromagnetico ambientale dovuti allo sviluppo delle reti 5G. Se da un lato aumenteranno sul territorio i punti di emissione di segnali elettromagnetici, dall’altro questo aumento porterà a potenze medie degli impianti emittenti più basse. Un’ulteriore riduzione dei livelli medi di campo sarà dovuta alla rapida variazione temporale dei segnali. Una valutazione adeguata dell’impatto di questa nuova tecnologia potrà essere effettuata solo a seguito di una conoscenza dettagliata delle caratteristiche tecniche degli impianti e della loro distribuzione sul territorio”[66].
Attualmente non ci sono, dunque, dati che permettono di capire se questa nuova tecnologia abbia effetti dannosi per la salute o meno anche perché per avere risposte soddisfacenti saranno necessari anni di studi a partire dalla sua diffusione. Anche i vari studi illustrati (v. supra paragrafo 3) effettuati in merito alle tecnologie precedenti non hanno, come visto, portato a risultati certi e definitivi, risultati che, in ogni caso, non potrebbero essere traslati in maniera automatica sul 5G che ha caratteristiche molto differenti.
- La diffusione della rete di nuova generazione in Italia: disposizioni e provvedimenti nazionali in materia di 5G
7.1 Normativa in merito alla pianificazione delle assegnazioni delle diverse bande dello spettro radioelettrico
L’Italia ha già investito e sta investendo molto nello sviluppo e nella diffusione della rete di nuova generazione e, almeno fino a prima che l’arrivo della pandemia rallentasse questo processo, si trovava in una posizione di inaspettato vantaggio rispetto a moltissimi altri Paesi europei, stando ai dati rilevati da Ookla[67].
Sul punto si rileva che il Ministero dello sviluppo economico ha attivato nel 2017 cinque progetti sperimentali sulla tecnologia 5G (a Milano, Prato, L’Aquila, Bari e Matera)[68] e che con la legge di bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017) è stato operato un complesso intervento normativo di riordino in merito alla pianificazione delle assegnazioni delle diverse bande dello spettro radioelettrico, che ha previsto un complesso quadro di adempimenti nel quadriennio 2018- 2022 per arrivare alla riassegnazione delle frequenze della banda dei 700 Mhz, attualmente in uso per le televisioni digitali terrestri (broadcasting), ai sistemi di comunicazione mobile in banda larga senza fili (5G), secondo l’obiettivo stabilito a livello internazionale ed europeo di ridurre la banda assegnata alle trasmissioni televisive per destinarla ai nuovi sviluppi di comunicazione mobile senza fili[69]. In particolare, per lo sviluppo delle reti di quinta generazione la legge di bilancio 2018 (commi 1026 – 1046) ha previsto un articolato programma di redistribuzione delle frequenze destinate alla trasmissione televisiva sulle due bande UHF (470 – 613 MHz) e III – VHF (banda 174 – 230 MHz) e di attribuzione delle frequenze in banda 700 MHz, che si concluderà con la liberalizzazione della banda e la riassegnazione agli operatori di banda larga mobile solo il 1° luglio 2022. Come anticipato, oltre alla banda dei 700 MHz, le bande di frequenze interessate dal 5G sono la banda 3,6 – 3,8 GHz e quella 26,5 – 27,5 GHz (la cui liberalizzazione era prevista già dal 1° dicembre 2018).
Per tali bande di frequenza, sempre la legge di bilancio 2018, ha previsto che l’AGCOM definisse la procedura di assegnazione agli operatori di comunicazione a banda larga: tale definizione è stata effettuata con la delibera 231/18/CONS, a seguito della quale il Ministero dello sviluppo economico ha avviato l’11 luglio 2018 la procedura di gara per l’assegnazione dei diritti d’uso di frequenze radioelettriche da destinare a servizi di comunicazione elettronica in larga banda mobile terrestri bidirezionali nelle bande 694-790 MHz, 3600-3800 MHz e 26.5-27.5 GHz. Nello specifico, l’asta per assegnare i blocchi di frequenze 5G si è tenuta tra il 13 settembre ed il 2 ottobre 2018, in una competizione durata 14 giornate segnate da continui rilanci ed i blocchi messi all’asta dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) sono stati suddivisi in base alla frequenza: 5 lotti per la banda 700 MHz FDD[70], 4 lotti per la banda 3.700 MHz[71] e 5 lotti per la banda 26 GHz[72]. A questi, si aggiungono 3 lotti per le frequenze 700 SDL (Supplemental Down Link) per i quali nessun operatore ha presentato offerte. Hanno partecipato all’asta Vodafone, TIM, Iliad, Wind Tre, Fastweb, Open Fiber e Linkem, ma le ultime due non si sono aggiudicate alcun blocco[73]. L’ammontare totale delle offerte per le bande messe a gara ha raggiunto i 6.550.422.258,00 Euro, superando del 164% il valore delle offerte iniziali e del 130%,5 la base d’asta.
I diritti d’uso di tali frequenze secondo la delibera 231/18/CONS scadono tutti il 31 dicembre 2037[74].
In attuazione e a valere sulle risorse messe a disposizione dalla delibera del CIPE n. 61/2018, il Ministero ha, inoltre, approvato, con DM 26 marzo 2019, il Programma di supporto alle tecnologie emergenti 5G, il cui obiettivo è quello di realizzare progetti di sperimentazione, ricerca applicata e trasferimento tecnologico, basati sull’utilizzo delle tecnologie emergenti, quali Blockchain, Intelligenza Artificiale (AI), Internet delle cose (IoT), collegate allo sviluppo delle reti di nuova generazione. Nell’ambito di tale programma il MISE, dopo l’avvio dei lavori per realizzare la Casa delle Tecnologie a Matera, ha avviato un nuovo bando per la selezione di progetti dedicati alle nuove Case delle Tecnologie emergenti, mettendo a disposizione 25 milioni di euro per ulteriori progetti di ricerca e sperimentazione presentati dalle Amministrazioni comunali oggetto di sperimentazione 5G.
7.2 Il cd. “Golden power” in materia di reti 5G
Sulla spinta delle emergenze internazionali, il Governo italiano ha deciso di affrontare il tema della sicurezza delle infrastrutture nazionali rispetto all’affermazione del 5G.
In tale ottica, il decreto-legge 25 marzo 2019, n. 22[75], convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 2019, n. 41 (c.d. decreto-legge “Brexit”) contiene un aggiornamento della normativa di cui al decreto – legge 15 marzo 2012, n. 21[76] (convertito con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56) in materia di poteri speciali del governo (cd “Golden power”) in conseguenza dell’evoluzione tecnologica intercorsa, “con particolare riferimento alla tecnologia 5G e ai connessi rischi di un uso improprio dei dati con implicazioni sulla sicurezza nazionale”.
Nello specifico, viene inserito all’interno del decreto – legge 15 marzo 2012, n. 21, l’art. 1 bis che qualifica tutti i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G, da chiunque forniti, come “attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale”.
La norma impone, inoltre, un obbligo di notifica alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – al fine dell’esercizio dell’eventuale potere di veto o dell’imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni – della stipula di contratti e accordi aventi ad oggetto l’acquisizione di beni o servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione delle reti inerenti i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G, così come l’acquisizione di componenti ad alta intensità tecnologica funzionali alla predetta realizzazione o gestione, quando posti in essere con soggetti esterni all’Unione europea[77].
Le modifiche apportate dal decreto-legge n. 22 del 2019 seguono quelle previste dal decreto-legge n. 148 del 2017 (convertito dalla legge n. 172 del 2017) che hanno ampliato il perimetro degli interessi essenziali – strategici per la sicurezza e l’ordine pubblico – ai settori ad alta intensità tecnologica, tra cui: “a) le infrastrutture critiche o sensibili, tra cui immagazzinamento e gestione dati, infrastruttura finanziarie; b) tecnologie critiche, compresa l’intelligenza artificiale, la robotica, i semiconduttori, le tecnologie con potenziali applicazioni a doppio uso, la sicurezza in rete, la tecnologia spaziale o nucleare; c) sicurezza dell’approvvigionamento di input critici; d) accesso a informazioni sensibili o capacità di controllare le informazioni sensibili”, rinviando a uno o più successivi regolamenti l’individuazione ai fini della verifica della sussistenza di un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico (comma 1-ter, art. 2).
Le modifiche del 2017 avevano, inoltre, introdotto una sanzione amministrativa pecuniaria – fino al doppio del valore dell’operazione e comunque non inferiore all’un per cento del fatturato cumulato realizzato dalle imprese coinvolte nell’ultimo esercizio per il quale sia stato approvato il bilancio – in caso di violazione dell’obbligo di notifica delle operazioni previste dall’articolo 1 del decreto-legge 21 del 2012 (art. 1, comma 8-bis).
L’esercizio dei poteri speciali del Governo nei settori strategici è stato oggetto di ulteriore modifica da parte del decreto-legge 11 luglio 2019 n. 64[78], ma tale decreto non è stato convertito in legge nel termine di sessanta giorni previsto dalla legge, a norma del Comunicato del Ministero della giustizia del 10 settembre 2019.
In coerenza con le prescrizioni del menzionato decreto-legge, il Consiglio dei Ministri del 5 settembre 2019 ha deliberato l’esercizio dei poteri speciali in materia di reti 5G riguardanti operazioni relative, tra l’altro, alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione delle reti inerenti i servizi di comunicazione elettronica a banda larga su tecnologia 5G.
Si ricorda infine che l’ambito operativo del “Golden power” nei settori ad alta intensità tecnologica è stato nuovamente oggetto di intervento da parte del decreto-legge n. 105 del 2019 in tema di sicurezza cibernetica, convertito con modificazioni, dalla legge 18 novembre 2019, n. 133, il quale ha esteso ancor più l’ambito operativo delle norme in tema di poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori strategici, avendo precipuo riguardo alla comunicazione elettronica e alla sicurezza nazionale cibernetica, coordinandolo, al contempo, con l’attuazione del Regolamento 19 marzo 2019, n. 2019/452/UE, in materia di controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione europea applicabile dall’11 ottobre 2020.
Nello specifico, l’articolo 4-bis del d.l. n. 105 del 2019, riprendendo ed integrando le previsioni del decreto-legge n. 64 del 2019, non convertito in legge, ha modificato il decreto – legge n. 21 del 2012 (i) allungando il termine per l’esercizio dei poteri speciali da parte del Governo, con contestuale arricchimento dell’informativa resa dalle imprese detentrici degli asset strategici; (ii) ampliando l’oggetto di alcuni poteri speciali: (iii) modificando ed integrando gli obblighi di notifica finalizzati all’esercizio dei poteri speciali; (iv) modificando la disciplina dei poteri speciali in tema di tecnologie 5G, per rendere il procedimento sostanzialmente simmetrico rispetto a quello per l’esercizio dei poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale; (v) ridefinendo il concetto di “soggetto esterno all’Unione europea” e precisando i criteri per determinare se un investimento estero è suscettibile di incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico.
Ed ancora, giova sottolineare che le misure introdotte dalla normativa sul “Golden Power”, a seguito della recente emergenza sanitaria legata alla diffusione della pandemia da COVID 19, siano state oggetto di una ulteriore modifica a seguito delle modifiche apportate dal decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. “Decreto liquidità”), convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020, n. 40, e dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 18 dicembre 2020, n. 179[79] e n. 180[80], entrati in vigore il 14 gennaio 2021, che hanno provveduto a rafforzare i poteri speciali del Governo nei settori strategici, ampliando e, in alcuni casi rivedendo, gli ambiti e i soggetti sottoposti a controllo, i poteri ispettivi e le sanzioni previgenti nel nostro ordinamento giuridico[81].
7.3 L’attuale situazione relativa alla diffusione della rete di quinta generazione in Italia e l’emendamento inserito nel cd. “decreto Semplificazioni”
Oltre a considerare che fino a luglio del 2022 non sarà ancora disponibile la banda dei 700 MHz – attualmente ancora occupata dalle trasmissioni audiovisive – che servirà per ottenere una vasta copertura in banda larga, la diffusione della rete 5G in Italia ha subito notevoli ritardi a causa dell’emergenza da Covid 19, essendo state allungate le tempistiche per ottenere le dovute autorizzazioni, ma soprattutto, come anticipato, a seguito dell’opposizione avanzata dai sindaci di molti comuni, i quali hanno emanato numerose ordinanze per vietare l’installazione di antenne 5G sul proprio territorio, ritenendole pregiudizievoli per l’ambiente e la salute dei cittadini, in virtù del principio di precauzione ed in attesa di dati scientifici più certi. Non è mancato, inoltre, chi addirittura ha dato adito alla presunta (quanto infondata) correlazione tra epidemia da coronavirus e rete 5G.
A tale riguardo, di notevole impatto è stato l’emendamento inserito nel c.d. “decreto Semplificazioni” – decreto-legge n. 76 del 16 luglio 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 relativo alle “(m)isure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale” – con cui viene di fatto vietato ai sindaci di impedire l’installazione di antenne di telecomunicazioni sul proprio territorio di competenza e viene consentito unicamente di individuare regole per minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici. L’art. 38, comma 6 del citato decreto va, infatti, a sostituire l’articolo 8 della legge numero 36 del 22 Febbraio 2001, affermando che “i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell’articolo 4”.
Il governo ha, dunque, in concreto tolto ai primi cittadini la possibilità di bloccare in maniera generalizzata le installazioni: ciò in quanto da una parte viene meno la possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione di stazioni radio in aree generalizzate del territorio, dall’altra si vieta “di incidere sui limiti di esposizione, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità con provvedimenti contingibili e urgenti”, come, appunto, le ordinanze[82].
In linea con il dettato di quest’ultimo intervento legislativo, in più occasioni la giurisprudenza amministrativa ha sancito l’illegittimità del divieto imposto dai sindaci di sperimentare ed installare sul territorio dei propri comuni impianti per la diffusione della tecnologia di telecomunicazioni di “quinta generazione”.
Sul punto, di particolare rilievo sono la sentenza n. 3324 del 24 luglio 2020 emessa in forma semplificata dal Tar Campania e la sentenza del Tar Catania n. 3561 del 24 dicembre 2020 – che ha confermato la precedente ordinanza n. 551 del 22 luglio 2020 – in cui i giudici hanno sostenuto in primo luogo che le ordinanze di cui all’art. 54 del TUEL non possono essere adottate per impedire l’installazione o l’adeguamento tecnologico degli impianti di telefonia mobile sia perché “le proteste, pur reiterate, da parte dei cittadini finalizzate al blocco dei lavori propedeutici all’installazione di infrastrutture per il servizio di telefonia mobile all’interno del territorio comunale non integrano quel “pericolo per l’ordine pubblico” che, invece, deve essere posto a fondamento per l’adozione di tale tipo di ordinanza, sia perché “i compiti di tutela della salute non afferiscono alla sfera comunale e le opere riguardanti la telefonia mobile hanno natura urgente ed indifferibile e sono ammissibili ope legis alle opere di urbanizzazione primaria”, sia ancora perché “le ordinanze contingibili e urgenti di competenza del Sindaco quale ufficiale del Governo costituiscono strumenti apprestati dall’ordinamento per fronteggiare situazioni impreviste e di carattere eccezionale, per le quali sia impossibile o inefficace l’impiego dei rimedi ordinari”[83] Ed ancora, i giudici sostengono che la materia è compiutamente disciplinata dal d.lgs. n. 259 del 2003 e che “la valutazione sui rischi connessi all’esposizione derivante dagli impianti di telecomunicazioni è di esclusiva pertinenza dell’ARPA, organo deputato al rilascio del parere prima dell’attivazione della struttura […] e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti normativamente dallo Stato”[84].
Ciò in quanto, sempre come ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, spetta allo Stato, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 36 del 2001, la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità “non potendo il Comune, in nessun caso, introdurre limiti che vadano a sovrapporsi o a condizionare l’attuazione del piano nazionale di ripartizione delle frequenze e la transizione al 5G mediante l’assegnazione dei diritti d’uso delle relative frequenze”[85].
Anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si è pronunciata in merito agli ostacoli frapposti da numerose amministrazioni comunali nel territorio italiano all’installazione di impianti di telecomunicazione in tecnologia wireless 5G, inviando una segnalazione alla Conferenza delle Regioni ed ANCI.
Secondo l’AGCM, in attesa di dati scientifici più aggiornati, questi atti costituiscono un ostacolo assoluto e generalizzato all’installazione di impianti di telecomunicazione mobile con tecnologia 5G e rappresentano una barriera al libero dispiegarsi della concorrenza, nonché alla libertà di stabilimento e alla prestazione dei servizi da parte degli operatori di telefonia, mentre “(a)lla luce dell’importanza degli effetti sull’intero sistema economico che le tecnologie di telecomunicazione 5G avranno nei prossimi anni in Italia, l’Autorità ritiene quanto mai prioritaria l’eliminazione degli ostacoli ingiustificati e non proporzionati all’intervento infrastrutturale mediante la definizione di un’azione amministrativa efficace ed efficiente e che bilanci i diversi interessi pubblici rilevanti nel caso di specie, nel rispetto dei principi giurisprudenziali sopra enunciati, da ultimo recepiti nella nuova formulazione della disposizione normativa di cui all’art. 8, comma 6, della legge n. 36/2001”[86].
Conclusioni
Allo stato attuale non esiste alcuno studio scientifico che sia riuscito a dimostrare in maniera univoca ed incontrovertibile che le emissioni elettromagnetiche in generale, né tantomeno che le emissioni emesse dalle reti di quinta generazione, siano (ed eventualmente in che misura) pericolose per la salute umana.
In assenza di dati scientifici certi, è ancora più difficile stabilire quale sia il corretto punto di equilibrio e fino a che punto ci si possa spingere verso la tutela di alcuni valori di rango primario come l’ambiente e la salute, a fronte della presenza di altri valori altrettanto importanti quali la libertà di iniziativa economica o altri diritti costituzionali e sociali che vengono garantiti grazie alla possibilità di accesso alla rete, e ciò soprattutto a seguito della pandemia che ha reso i mezzi di comunicazione a distanza e internet fondamentali anche come strumento per l’esercizio del lavoro e per l’istruzione, mettendo ancora più in luce, d’altro canto, l’importanza di una celere crescita infrastrutturale del Paese[87].
In merito si ricorda che la stessa Corte costituzionale ha stabilito che “(l)a Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale”[88].
In tale ottica, l’interrogativo che rimane tutt’oggi aperto e che non trova facile risposta è quello di stabilire se l’attuale quadro normativo italiano in materia di tutela dalle emissioni elettromagnetiche, già fondato sul principio di precauzione e molto più garantista rispetto a quello di molti altri Paesi, è sufficiente a garantire tale nucleo essenziale.
[1] Sul punto Cfr J. D’Alessandro, Lavorare al sud a due passi dal mare, lo stipendio da Roma. Così l’Italia potrebbe cambiare, in www.repubblica.it del 25 maggio 2020.
[2] Cfr. U. Minopoli, C. Stagnaro, 5G, non c’è più tempo da perdere per una Italia al passo con i tempi, il Il Sole 24 ore del 23 maggio 2020.
[3] Cfr. M. Mazzamuto, Diritto dell’ambiente e sistema comunitario delle libertà economiche, in Riv. it. Dir. Pubbl. comunit., fasc. 6, 2009, pag. 1571.
[4] Cfr. Ulrich Beck, Risikogesellschaft. Auf dem Weg zu eine andere Moderne, Frankfurt, 1986, trad. it. a cura di Privitera, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma, 2000. Secondo Beck la società contemporanea si sarebbe sviluppata in modo tale che la distribuzione di beni scarsi, che costituiva la maggiore preoccupazione del XIX secolo e della prima metà del XX, non sarebbe più il problema sociale principale: il problema è rappresentato invece dalla distribuzione dei rischi prodotti dalla stessa società (e in particolare dall’utilizzo della tecnologia) che hanno portata globale e minacciano la sua stessa esistenza.
[5] P. Savona, Dal pericolo al rischio: l’anticipazione dell’intervento pubblico, in Dir. amm., fasc.2, 2010, pag. 35.
[6] E. Schmidt – Assmann, Das allgemeine Verwaltungsrecht als Ordnungsidee, 2. Auflage, Springer Berlin Heidelberg, 2004, pag. 161; U Di Fabio, Risikoentscheidungen im Rechtsstaat, Mohr Siebeck, Tuebingen, 1994; A. Scherzberg, Risikosteuerung durch Verwaltungsrecht: Ermoeglichung oder Begrenzung von Innovationen?, in Veroeffentlichungen der Vereinigung der Deutschen Staatsrechtslehrer, Band 63, Berlin, 2004.
[7] Cfr. P. Savona, Dal pericolo al rischio: l’anticipazione dell’intervento pubblico, cit., pag. 18. L’autrice ha richiamato la seguente dottrina tedesca: E. Schmidt – Assmann, Das allgemeine Verwaltungsrecht als Ordnungsidee, cit., p. 162-3; U. Di Fabio, Risikoentscheidungen im Rechtsstaat, cit., 108-116 e passim; W. Koeck, Risikoverwaltung und Risikoverwaltungsrecht- das Beispiel des Arzneimittelrechts, Umweltforshungszentrum Leipzig-Halle, UFZDiskussionpapiere 8/2003, p. 6 ss.; Id., Grunzuege des Risikomanagements im Umweltrecht in A. Bora (a cura di), Rechtliches Risikomanagement, cit., p. 133 ss.
[8] Cfr. art. 3, par. 3 del Trattato sull’Unione Europea.
[9] Cfr. G. Bellenda – M.A. Labarile, Elettrosmog: rischio e principio di precauzione, tratto da Emissioni Elettromagnetiche – Guida agli adempimenti, Irnerio Editore, 2011.
[10] “Al fine di proteggere l’ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere ampiamente utilizzato dagli Stati in funzione delle proprie capacità. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”.
[11] Cfr. Trib. CE, Sez. III, 11 settembre 2002, T – 13/1999, Pfizer Animal Health SA/Consiglio. In tale decisione si precisa che “uno Stato membro può, fondandosi sul principio di precauzione, adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi; tuttavia la valutazione del rischio non può fondarsi su considerazioni puramente ipotetiche né su semplici supposizioni […] dal principio di precauzione, come interpretato dal giudice comunitario, deriva, al contrario, che una misura preventiva può essere adottata esclusivamente qualora il rischio, senza che la sua esistenza e la sua portata siano state dimostrate «pienamente» da dati scientifici concludenti, appaia nondimeno sufficientemente documentato sulla base dei dati scientifici disponibili al momento dell’adozione di tale misura”. Cfr. altresì Trib. CE; Sez. II ampliata, 26 novembre 2002, T – 74/2000, Artegodan.
[12] Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione, 2 febbraio 2000, COM (2000), in rete su http://eur-lex.europa.eu.
[13] Ai sensi dell’art. 3 ter del d.lgs. n. 152 del 2006 “(l)a tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonchè al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”.
[14] A seconda della loro frequenza ed intensità, le onde elettromagnetiche si distinguono in radiazioni ionizzanti (RI) e radiazioni non ionizzanti (RNI) – che hanno un’energia talmente bassa da non essere in grado di ionizzare la materia, cioè di rompere i legami con la materia-, le quali a loro volta si distinguono in radiazioni a bassa frequenza (ELF da 0 Hz a 10 KHz) e ad alta frequenza (da 10 KHz a 300 GHz). Mentre in caso di esposizione a campi elettromagnetici prodotti da alte frequenze è stato scientificamente accertato che vi siano degli effetti di tipo “immediato” causati da un innalzamento immediato della temperatura del sistema esposto, dovuto alla cessione di energia al tessuto biologico (thermal effects), per le esposizione croniche ai campi elettromagnetici di bassa frequenza – che non comportano un innalzamento apprezzabile di temperatura (no thermal effects) -, benché siano stati rilevati disturbi di vario tipo, il rischio è semplicemente presunto, in quanto i dati della letteratura scientifica non sono sufficienti a dimostrare un chiaro rapporto tra esposizione a campi elettromagnetici ed effetti non termici a lungo termine.
[15] L’aggiornamento delle linee guida per la protezione del pubblico e dei lavoratori dalle esposizioni ai campi elettromagnetici a radiofrequenza è stato pubblicato nel marzo 2020. Nello specifico l’organismo internazionale, che ha aggiornato le sue linee guida in base alle evidenze emerse dalle ricerche, ha affermato di non aver raccolto alcuna prova che suggerisce che le tecnologie 5G rappresentino un rischio per la salute umana. Le novità riguardano non solo il 5G, ma anche le onde radio AM e Dab, il wifi, il Bluetooth, e gli attuali cellulari 3G e 4G.
Il presidente dell’Icnirp Eric van Rongen ha affermato che il risultato più importante dello studio è che “le tecnologie 5G non causeranno alcun danno quando saranno applicate le nuove linee guida” e ha sottolineato che queste nuove indicazioni sono più appropriate delle precedenti, “in molti casi troppo prudenti”. Sul punto cfr. Patrizia Licata, Elettrosmog, Icnirp “promuove” il 5G: frequenze innocue per l’essere umano, in https://www.corrierecomunicazioni.it/telco/elettrosmog-icnirp-promuove-il-5g-frequenze-innocue-per-lessere-umano/, 12 marzo 2020.
[16] Come ritenuto dall’OMS “(l)a “prudent avoidance” fu inizialmente sviluppata, come strategia per la gestione del rischio nel caso di campi elettrici e magnetici a frequenza industriale, da Morgan, Florig e Nair della Carnegie Mellon University. Nel loro rapporto del 1989 all’Office of Technology Assessment degli Stati Uniti questi autori definirono la “prudent avoidance” come “l’adozione di provvedimenti per tenere le persone al di fuori dei campi ridisegnando il tracciato degli impianti e riprogettando sistemi e dispositivi elettrici”. La prudenza fu definita come “prendere misure per evitare le esposizioni laddove ciò comporti costi modesti”. Dal 1989 il principio della “prudent avoidance” si è evoluto verso il significato di provvedimenti semplici, facilmente raggiungibili e a basso costo, per ridurre l’esposizione a campi elettromagnetici anche in assenza di rischi dimostrabili. I termini “semplici”, “facilmente raggiungibili” e “a basso costo”, comunque, non hanno un significato preciso. In generale, gli enti governativi hanno applicato questa politica solo ai nuovi impianti, dove piccole modifiche di progetto permettono di ridurre i livelli di esposizione del pubblico. Esso non è stato applicato per richiedere modifiche di impianti già esistenti, che in generale risultano molto costose. Così definito, il principio della “prudent avoidance” prescrive l’adozione di misure a basso costo per ridurre l’esposizione, in assenza di una qualunque previsione scientificamente giustificabile che tali provvedimenti riducano il rischio. Questi provvedimenti sono generalmente sotto forma di raccomandazioni volontarie piuttosto che di limiti o regole stringenti”.
[17] Questi studi si basano sul confronto tra malati e sani rispetto al tipo di esposizione che hanno avuto in passato, ma hanno il forte limite di accertare retrospettivamente l’utilizzo di telefoni cellulari sulla base di questionari con i quali veniva richiesto ai partecipanti di ricordare numero e durata delle conversazioni telefoniche, anche a molti anni di distanza dall’inizio dell’utilizzo.
[18] International Agency for Research on Cancer (IARC) “IARC Monographs Questions and Answers”, 2015, in http://www.iarc.fr/en/media-centre/iarcnews/pdf/Monographs-Q&A.pdf. Nello specifico, parlando del Gruppo 2B l’IARC afferma che “(t)his category can also be used when there is some evidence that the agent could cause cancer in humans and in experimental animals but neither the evidence in humans nor the evidence in animals is convincing enough to permit a definite conclusion to be drawn”.
[19] National Toxicology program, U.S. Department of health and human Services, “Cell Phone Radio Frequency Radiation”, 2018. Questo studio è stato svolto su circa 2.500 topi e ratti, esposti su tutto il corpo a livelli di radiazioni elettromagnetiche molto elevati, con l’intenzione di mimare l’esposizione locale del cellulare all’orecchio, ma con tempi e modalità estremi. Ratti e topi sono stati esposti prima della nascita e dopo la nascita, per 107 settimane consecutive 8circa 2 anni), tutti i giorni, a brevi periodi alternati di 10 minuti sulle 18 ore, per un totale di circa 9 ore di esposizione quotidiane. Come precisato dallo stesso NTP “i livelli di esposizione e la loro durata sono maggiori rispetto a quanto le persone possono ricevere dai cellulari”. Tra i risultati si legge “chiare evidenze di tumori al cuore (Schwannomi) nei ratti maschi” e “alcune evidenze di tumori al cervello dei ratti maschi”. Tutti i risultati “allarmanti” riguardano, dunque, i ratti e non i topi e solo i maschi e non le femmine, ma senza evidenti giustificazioni, con la conseguenza che non è possibile capire se i maggiori rischi riscontrati a livello cerebrale e cardiaco nei ratti maschi siano effetto del caso o del reale effetto cancerogeno delle emissioni.
[20] L. Falcioni, L. Bua, E. Tibaldi, M. Lauriola, L. De Angelis, F. Gnudi, D. Mandrioli, M. Manservigi, F. Manservisi, I. Manzoli, I. Menghetti, R. Montella, S. Panzacchi, D. Sgargi, V. Strollo, A. Vornoli, F. Belpoggi, “Report of final results regarding brain and heart tumors in Sprague-Dawley rats exposed from prenatal life until natural death to mobile phone radiofrequency field representative of a 1.8 GHz GSM base station environmental emission”, Environ Res. 2018 Aug. L’Istituto Ramazzini ha condotto uno studio simile al NTP ma con un’esposizione diversa, volta a replicare l’esposizione ai campi generati dalle onde emesse dalle antenne, più che dai cellulari. I livelli di esposizione sono stati più bassi di quelli usati dall’NTP. Tra i risultati si riscontra un aumento degli gliomi cerebrali e un aumento “statisticamente significativo” dell’incidenza dei tumori cardiaci (Schwannomi) nei ratti maschili.
[21] Cfr. A. Polichetti, Emissioni elettromagnetiche del 5G e rischi per la salute, all’interno del documento divulgativo prodotto dal Centro Nazionale per la Protezione dalle Radiazioni e Fisica Computazionale dell’Istituto Superiore di Sanità, in http://old.iss.it/binary/elet/cont/5G_e_rischi_per_la_salute.pdf.
[22] Cfr. Istituto Superiore della Sanità, Serie Rapporti ISTISAN, numero di luglio 2019, 1° Suppl, Lagorio S., Anglesio L., D’Amore G., Marino C., Scarfì M. Radiazioni a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche, p. 88.
[23] Cfr. Corte di Cassazione civile, sez. II, sent. n. 20340 del 4 settembre 2013.
[24] Cfr. Direttiva n. 90/270/CEE, 29 maggio 1990, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminale ; Direttiva n. 92/85/CEE, 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in pericolo di allattamento; Direttiva del Parlamento e del Consiglio europeo n. 2004/40/CE, 29 aprile 2004, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici); Direttiva del Parlamento e del Consiglio europeo n. 2006/25/Ce, 5 aprile 2006, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (radiazioni ottiche artificiali).
[25] Cfr. Parlamento Europeo, Risoluzione A3-0238/94, 5 maggio 1994.
[26] Cfr. A. Borzì, Inquinamento elettromagnetico: spunti sulla disciplina comunitaria e nazionale, tra precauzione e sostenibilità (parte prima), in Ambiente & Sviluppo n. 2/2012, pag. 137.
[27] Sul punto cfr. T. Fortuna, Inquinamento elettromagnetico vs. diritto alla salute: i rimedi dell’approccio precauzionale, in federalismi.it n. 3/2014.
[28] Cfr. C.M Grillo, M, Favagrossa, Profili giuridici in tema di inquinamento elettromagnetico, in Riv. giur. ambiente, fasc. 3-4, 2012, pag. 377.
[29] Ai sensi dell’art. 4 di tale legge rubricato “uniformità delle condizioni di salute sul territorio nazionale” “(c)on legge dello Stato sono dettate norme dirette ad assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale e stabilite le relative sanzioni penali, particolarmente in materia di:
1) inquinamento dell’atmosfera, delle acque e del suolo;
2) igiene e sicurezza in ambienti di vita e di lavoro;
3) omologazione, per fini prevenzionali, di macchine, di impianti, di attrezzature e di mezzi personali di protezione;
4) tutela igienica degli alimenti e delle bevande;
5) ricerca e sperimentazione clinica e sperimentazione sugli animali;
6) raccolta, frazionamento, conservazione e distribuzione del sangue umano.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale, sono fissati e periodicamente sottoposti a revisione i limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e i limiti massimi di esposizione relativi ad inquinamenti di natura chimica, fisica e biologica e delle emissioni sonore negli ambienti di lavoro, abitativi e nell’ambiente esterno”.
[30] Ai sensi dell’art. 2 comma 14 di tale legge “(i)l Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro della sanità, propone al Presidente del Consiglio dei ministri la fissazione dei limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e i limiti massimi di esposizione relativi ad inquinamenti di natura chimica, fisica e biologica e delle emissioni sonore relativamente all’ambiente esterno e abitativo di cui all’articolo 4 della L. 23 dicembre 1978, n. 833. La fissazione di tali limiti, ove gli stessi siano relativi agli ambienti di lavoro, è proposta al Presidente del Consiglio dei ministri dal Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
[31] Il D.P.C.M. 23 aprile 1992 fissa i limiti per l’esposizione della popolazione ai campi elettrici e magnetici generati dagli elettrodotti (50Hz) negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno.
[32] Il D.M. 10 settembre 1998, n. 381 (noto come il. “decreto Ronchi”) fissa i tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana, ossia i valori ai quali la popolazione può essere esposta e connessi al funzionamento ed all’esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di radiofrequenza compresa fra 100 kHZ e 300 Ghz. Tale decreto delegava alle Regioni il controllo e la vigilanza sull’installazione e la modifica degli impianti di radiotelecomunicazione nuovi o già esistenti, sulla progettazione e la realizzazione dei sistemi fissi di telecomunicazione e sull’adeguamento di quelli preesistenti, disponeva inoltre che si tendesse alla minimizzazione dei valori di campo elettromagnetico “compatibilmente con la qualità del servizio svolto”. La conformità degli impianti era stabilito fosse accertata attraverso uno schema di valutazione integrante limiti e distanze, distinguendo in base alla misura spaziale in zone a campo vicino e zone a campo lontano e stabilendo che i limiti per i campi elettrici e magnetici nonché per la densità di potenza fossero proporzionalmente dipendenti dalla frequenza della radiazione considerata.
[33] Cfr. T. Fortuna, Inquinamento elettromagnetico vs. diritto alla salute: i rimedi dell’approccio precauzionale, cit., pag. 16.
[34] Ai sensi dell’art. 1, lett. b) tra le finalità della legge è presente quella di “promuovere la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell’Unione Europea”.
[35] Ai sensi dell’art. 1, lett. c) tra le finalità della legge è presente anche quella di “assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio e promuovere l’innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l’intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili”. Sul punto cfr. G.D. Comporti, Contenuto e limiti del Governo amministrativo dell’inquinamento elettromagnetico alla luce del principio di precauzione, in Riv. giur. amb., 2005, pagg. 215 ss., F. Fonderico, Tutela dall’inquinamento elettromagnetico e amministrazione “precauzionale”, in Gior. dir. amm., 2004, pagg. 355 ss.
[36] Il limite di esposizione è il valore che non deve mai essere superato per le persone non professionalmente esposte (quindi il pubblico) per la tutela dagli effetti acuti.
[37] Il valore di attenzione si applica agli ambienti residenziali e lavorativi adibiti a permanenza non inferiore alle 4 ore giornaliere, e le loro pertinenze esterne, che siano fruibili come ambienti abitativi quali balconi, terrazzi, cortili esclusi i lastrici solari. In particolare il valore di attenzione è importante in quanto assunto a titolo di misura di cautela per la protezione di possibili effetti a lungo termine eventualmente connessi con le esposizioni ad impianti che generano campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
[38] L’obiettivo di qualità è un valore che dovrebbe essere raggiunto in caso di nuove costruzioni perché si applica ai progetti successivi alla data di emanazione del decreto che li stabilisce per legge.
[39] Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003, Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz, in GU 29 agosto 2003, n. 199. Il limite di esposizione previsto dal decreto in questione è compreso fra 20 V/m e 60 V/m a seconda della frequenza della radiazione. Il valore di attenzione e l’obiettivo di qualità sono, invece, di 6 V/m.
[40] Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003, Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli elettrodotti, in GU 29 agosto 2003, n. 200. Il decreto in questione prevede un limite di esposizione di 100 µT per l’induzione magnetica e di 5000 V/m per il campo elettrico. Lo stesso decreto fissa per l’induzione magnetica un valore di attenzione a 10 µT e per l’obiettivo di qualità a 3 µT.
[41] Cfr. art. 8, comma 1, della legge n. 36 del 2001.
[42] Per un approfondimento sul punto cfr. C.M. Grillo; M. Favagrossa, Gli effetti della riforma costituzionale sul rapporto di attribuzioni fra Stato e Regioni, in Profili giuridici in tema di inquinamento elettromagnetico, cit.
[43] Cfr. Corte cost., sent. n. 407/2002; sent. n. 536/2002; sent. n. 222/2003; sent. n. 226/2003 e sent. n. 227/2003.
[44] Cfr. Corte cost. sent. n. 307/2003, punto 5 del Considerando in diritto nonché G. Busia, Un nuovo intervento della corte costituzionale in materia di potestà legislativa concorrente: i contenuti della sentenza n. 307/2003 sull’elettrosmog, in rete su http//www.astrid-online.it.
[45] Nello specifico, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001, il Comune può prevedere regole generali in materia di impianti di radiocomunicazione e della loro localizzazione, esercitando il potere urbanistico di governo del territorio, per il mantenimento di un armonioso e corretto assetto di quest’ultimo. L’interdizione di allocazione di impianti in specifiche aree del territorio comunale deve comunque rispondere a particolari esigenze di interesse pubblico e i criteri localizzativi adottati non devono trasformarsi in limitazioni alla copertura di rete, impedendo la capillare distribuzione del servizio sull’intero territorio. Deve, pertanto, esservi un equo contemperamento tra l’interesse urbanistico perseguito dal Comune e l’interesse alla piena e sufficiente copertura di rete (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. n. 3891 del 3 agosto 2017; Tar Abruzzo (L’Aquila), Sez. I, sent. n. 260 del 2 luglio 2018; Tar Lazio (Roma), Sez. II, sent. n. 6136 del 1° giugno 2018).
[46] In particolare il comma 1 dell’art. 87 stabilisce che “ (l)‘installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in specie, l’installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di frequenza all’uopo assegnate, viene autorizzata dagli Enti locali, previo accertamento, da parte dell’Organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della citata legge 22 febbraio 2001, n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione”.
[47] Cfr. F. Dalle Nogare, Campi elettromagnetici: limiti italiani da rivedere, 21 giugno 2019 in https://www.lavoce.info/archives/59777/per-i-campi-elettromagnetici-limiti-europei-anche-in-italia-2/
[48] Cfr. M. Scialdone, Limiti elettromagnetici, 5G a rischio se l’Italia non si adegua all’Ue?, 28 novembre 2018 in https://www.key4biz.it/limiti-elettromagnetici-5g-a-rischio-se-litalia-non-si-adegua-allue/236699/.
[49] Il nuovo codice che dovrà essere recepito in Italia entro il 21 dicembre 2020 ha la finalità di consentire ai consumatori di beneficiare di un maggiore livello di protezione uniforme in tutta l’UE e prevede la promozione degli investimenti nel 5G.
[50] Cfr. 5G, Nicita (Agcom): “Limiti elettromagnetici partita decisiva”, in https://www.corrierecomunicazioni.it/industria-4-0/5g-nicita-agcom-limiti-elettromagnetici-partita-decisiva/.
[51] Aspetti molto discussi sono anche quelli legati alla privacy ed alla sicurezza della nuova tecnologia.
[52] Cfr. “Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni Il 5G per l’Europa: un piano d’azione”, Bruxelles, 14.9.2016. La Commissione europea ha lanciato il 5G Action Plan, per favorire lo sviluppo e l’installazione di infrastrutture e servizi per la quinta generazione di comunicazione mobile, con l’obiettivo di arrivare all’avvio dei servizi commerciali entro il 2020 e alla copertura completa entro il 2025. Ogni quattro mesi l’Osservatorio europeo 5G, affidato a Idate Digiworld, rilascia un rapporto sullo stato di avanzamento.
[53] Per la definizione di “Internet of Things” cfr. Mario G. Losano, Verso l’auto a guida autonoma in Italia, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica (Il), fasc.2, 1 APRILE 2019, pag. 423.
[54] Cfr. A. Sassano, Presidente della Fondazione Ugo Bordoni, La rivoluzione delle telecomunicazioni, in Ecoscienza n. 4, anno 2019, p. 26. Nello specifico “si tratta di un salto quantico perché finora Internet ha sviluppato le sue potenzialità come abilitatrice della comunicazione tra umani (social) mentre, con la nuova generazione, oggetti cme le automobili, le macchine utensili, i sistemi di generazione dell’energia e le flotte di navi e autotreni, per dirne alcuni, diverranno produttori e consumatori di dati e, più in generale, produttori di valore”.
[55] Cfr. D. Soldani – Global Head of 5G Technology (Nokia), Industry Professor (University of Technology Sidney) and Visiting Professor (University of Surrey, UK) -, in https://www.corrierecomunicazioni.it/industria-4-0/soldani-nokia-5g-sistema-nervoso-della-societa-digitale/.
[56] Cfr. S. Villa, 5G: cos’è e perché non c’è da allarmarsi, su altroconsumo.it, 15 dicembre 2020. Nello specifico viene affermato, anche alla luce delle sperimentazioni che si stanno effettuando, che il 5G interesserà in futuro (i) sicurezza: “la tecnologia 5G verrà testata per la trasmissione di video ad altissima risoluzione fatte da droni che sorvoleranno aree sensibili o inaccessibili, colpite ad esempio da calamità naturali. La qualità dell’immagine, la trasmissione rapida e i rapidi tempi di risposta ai comandi da remoto possono potenzialmente facilitare il monitoraggio e il primo soccorso in situazioni di particolare pericolo”; (ii) città intelligenti: “sensori IoT in determinati punti della città comunicheranno in tempo reale a una centrale operativa i dati rilevati sul traffico, sull’occupazione dello spazio ad esempio in occasione di grandi eventi, sulla mobilità, la congestione dei parcheggi, l’illuminazione, la situazione dei rifiuti (tramite cestini connessi), consentendo di gestire da remoto e in modo rapido le situazioni critiche o migliorabili. Ad esempio: lampioni dotati di sensori potranno auto-regolarsi in base alla quantità di luce necessaria e comunicare eventuali guasti in tempo reale alle centrali operative”; (iii) medicina: “la bassa latenza (tempi di risposta rapidi) della rete 5G può permettere al medico di effettuare una seduta di riabilitazione a distanza, controllando da remoto l’esecuzione dei movimenti del paziente guidato da un robot e interagendo con esso in tempo reale. In particolare per le applicazioni in ambito medico, una rete affidabile e veloce, senza ritardi nella risposta, viene considerata fondamentale (pensiamo ai possibili sviluppi della telechirurgia). Verrà sperimentata anche un’ambulanza connessa: la condivisione in tempo reale dei parametri vitali e la videochiamata ad elevata risoluzione tra l’ambulanza e il medico dall’ospedale possono consentire di diagnosticare e intervenire su specifiche patologie durante il trasporto al pronto soccorso. Il personale dell’ambulanza è inoltre supportato da occhiali intelligenti che gli consentono di visualizzare in realtà aumentata la storia clinica del paziente e protocolli di soccorso complessi”; (iv) tempo libero: “il 5G verrà testato in particolare nei musei; attraverso i visori gli utenti potranno visualizzare informazioni aggiuntive sull’opera e, a ogni loro spostamento, l’aggiornamento di queste informazioni potrà avvenire in tempo reale, senza ritardi. Molte le applicazioni a cui si pensa anche nell’ambito delle manifestazioni sportive, per fornire un intrattenimento supplementare agli spettatori (statistiche dei giocatori, replay di episodi ecc.)” (v) industria: “sono in fase di test servizi di realtà aumentata per l’industria basati sul 5G; gli operatori grazie a visori vedono sullo schermo, affiancate o sovrapposte alle immagini reali, immagini virtuali che danno istruzioni o informazioni per svolgere le attività in modo più rapido e sicuro”.
[57] Sul punto cfr. J. Pinkstone, Next generation 5G mobile data networks are at a greater risk of attack from hackers, cyber security experts warn, in MailOnline del 15 ottobre 2018 (https://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-6278365/Next-generation-5G-mobile-data-networks-greater-risk-cyber-attacks.html), che afferma “5G is being heralded as the network of the future and its roll-out appears imminent, but the ultra-fast system has serious security flaws, experts have warned. A team of international researchers found the 5G system raised ‘security concerns’ for the next generation of mobile communication. The emerging technology is rapidly being rolled out but experts are warning users that the system needs a significant security boost if it is to be a safe and reliable service”.
[58] Cfr. “Ecco il rapporto UE sulla valutazione dei rischi legati al 5G”, dell’11 ottobre 2019 in https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/archivio-notizie/risk-assessment-sicurezza-cibernetica-5g.html.
[59] Viaggiando sulle frequenze molto elevate dei 26.5 – 27.5 GHz, il 5G si propagherà anche attraverso onde elettromagnetiche molto piccole, con una lunghezza d’onda di pochi millimetri, definite millimetriche. La frequenza d’onda è, infatti, inversamente proporzionale alla sua lunghezza, cioè alla sua ampiezza di trasmissione.
[60] La lista dei comuni contrari alle reti di nuova generazione (già molto ampia) si è allungata in particolare durante la pandemia. I primi provvedimenti risalgono alla primavera del 2019, dopo il meeting nazionale organizzato dal comitato ‘Alleanza italiana stop 5G’. Subito si sono attivati i piccoli centri, poi sono arrivati anche i primi capoluoghi di provincia. Sul punto cfr. S. Galeotti, “5G, governo contro gli enti locali: oltre 200 sindaci fermano l’installazione delle antenne, ma il dl Semplificazioni vieta le ordinanze”, in www.ilfattoquotidiano.it, 27 luglio 2020.
[61] Cfr. Il 5G fa male?, in https://www.ilpost.it/2019/07/21/5g-non-fa-male/, 21 luglio 2019. Nello specifico Curry allegò alla sua documentazione un grafico che mostrava una quantità di radiazioni assorbita dal cervello, con un aumento cospicuo da sinistra verso destra all’aumentare della frequenza delle onde radio. Secondo Curry l’esposizione a quelle onde radio avrebbe potuto far aumentare il rischio di sviluppare tumori cerebrali. Occorre, tuttavia, evidenziare che sono stati in seguito evidenziati alcuni limiti di questa ricerca in quanto Curry valutò gli effetti delle onde radio su campioni di tessuti biologici senza però prendere in considerazione un aspetto rilevante ossia la capacità isolante della pelle, che fa da barriera alle frequenze radio alte.
[62] Tra questi si ricorda anche David O. Carpenter, medico, laureato ad Harvard, il quale negli anni Ottanta iniziò a sostenere che i bambini che vivevano nei pressi dei tralicci degli elettrodotti potessero sviluppare la leucemia. Dal 2012 direttore della rivista Reviews on Environmental Health.
[63] GSM Association (GSMA), Improving wireless connectivity through small cell deployment, 2017.
[64] Si precisa che si tratterà di dispositivi simili a delle scatole, di dimensioni ridotte, che verranno applicati ad esempio su lampioni, palazzi o semafori e che proprio perché più capillari avranno una potenza minore rispetto alle precedenti, dovendo coprire celle più piccole.
[65] Cfr. M. Di Marco, Il 5G fa male alla salute? Le 11 risposte per fare chiarezza, in https://www.dday.it/redazione/33432/rete-5g-rischi-salute-risponde-domande-segnale-radiazioni, 19 dicembre 2019.
[66] Cfr. Istituto Superiore della Sanità, Serie Rapporti ISTISAN, numero di luglio 2019, 1° Suppl, cit., p. 20.
[67] Società di servizi di diagnostica Internet, che fornisce gratuitamente analisi di prestazioni di rete.
[68] Le città sono state selezionate sulla base di criteri relativi alla distribuzione geografica, alla capillarità di connettività ultraveloce, alla disponibilità di frequenze nella banda 3,7-3,8 GHz e all’appartenenza ai corridoi europei. Alla selezione per la sperimentazione hanno potuto partecipare le imprese autorizzate per la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica accessibile al pubblico ai sensi dell’articolo 25 del decreto legislativo n. 259/2003, o quelle che si impegnassero a conseguirla entro un certo termine come capofila di progetti ai quali partecipano soggetti quali università e centri di ricerca etc., con l’obbligo della realizzazione entro quattro anni dei relativi progetti. Le sperimentazioni 5G sono state affidate tramite una procedura selettiva iniziata a marzo 2017 e della quale sono risultate aggiudicatarie le seguenti società: Area 1 – Area metropolitana di Milano: Vodafone; Area 2 – Prato e l’Aquila: Wind3 Spa e Open Fiber Spa; Area 3 – Bari e Matera: affidato ad un consorzio tra Telecom Italia spa, Fastweb spa ed Huawei Technologies Italia S.r.l. Cfr. Camera dei Deputati, doc. XVII, n. 5, Documento approvato dalla IX Commissione Permanente (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) nella seduta del 9 luglio 2019 a conclusione dell’indagine conoscitiva deliberata nella seduta del 27 settembre 2018 sulle nuove tecnologie nelle telecomunicazioni, con particolare riguardo alla transizione verso il 5G e alla gestione dei big data.
[69] Sulla scorta della Conferenza mondiale (WRC15) – che ha portato a termine i negoziati internazionali per l’uso della “banda dei 700 MHz”, stabilendo che questa sia assegnata alle comunicazioni a banda larga senza fili (broadband mobile), anziché alla televisione digitale terrestre – la decisione (UE) 2017/899 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2017 ha ridefinito l’uso dell’intera banda di frequenza 470 – 790 MHz, attualmente utilizzata in tutta l’Unione per la televisione terrestre digitale e per le apparecchiature PMSE audio senza fili. Nell’ambito di tali frequenze, la c.d. banda dei 700 MHz (frequenze da 694 a 790 MHz) è stata oggetto di una specifica Roadmap che fissa al 2020 per tutta l’l’Europa lo swich off per la sua liberalizzazione a favore dei servizi 5G, prevedendo la possibilità per gli Stati membri di completare il percorso nel 2022.
[70] I lotti per queste frequenze (i più ambiti perché adatti per sviluppare l’internet of things ed i servizi associati, perché permettono di ottenere una diffusione capillare della rete) sono stati vinti da Vodafone, TIM e Iliad; quest’ultima, in quanto nuovo entrante nel mercato italiano, ha ottenuto il blocco da 10 MHz che le era stato riservato con la delibera 231/18/CONS di AGCOM.
[71] Nella fascia dei 3.700 MHz, Telecom e Vodafone si sono aggiudicate i due blocchi più importanti da 80 MHz, mentre Wind Tre e Iliad hanno vinto gli altri due blocchi da 20 MHz.
[72] Nella banda da 26 GHz, tutte le cinque società che hanno presentato offerte (Telecom, Vodafone, Iliad, Wind Tre e Fastweb) si sono aggiudicate un blocco, con una spesa sostanzialmente simile (una media di 32,5 milioni di euro).
[74] Per questa ricostruzione normativa e provvedimentale cfr. il servizio studi della Camera dei Deputati, XVIII legislatura, Spettro radio, 5G ed innovazione tecnologica, del 12 giugno 2020.
[75] “Misure urgenti per assicurare sicurezza, stabilità finanziaria e integrità dei mercati, nonché tutela della salute e della libertà di soggiorno dei cittadini italiani e di quelli del Regno Unito, in caso di recesso di quest’ultimo dall’Unione europea”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie generale n. 71 del 25 marzo 2019.
[76] Tale decreto è per lo più conosciuto come decreto “golden power” ed attribuisce al governo italiano poteri speciali sugli assetti proprietari e sulle operazioni straordinarie delle imprese (quotate e non) che operano nel campo della difesa e in altri settori ritenuti strategici. Sul punto cfr. A. Triscornia “Golden power: un difficile connubio tra alta amministrazione e diritto societario” in Rivista delle Società, fasc.4, 1 AGOSTO 2019, pag. 733.
[77] Lo stesso art. 1 bis, comma 3, del decreto (sostituito poi nuovamente dal d.l. n. 105 del 2019) definisce come soggetti esterni all’Unione Europea:
“1) qualsiasi persona fisica o persona giuridica, che non abbia la residenza, la dimora abituale, la sede legale o dell’amministrazione ovvero il centro di attivita’ principale in uno Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo o che non sia comunque ivi stabilito;
2) qualsiasi persona giuridica che abbia stabilito la sede legale o dell’amministrazione o il centro di attivita’ principale in uno Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo o che sia comunque ivi stabilito, e che risulti controllato direttamente o indirettamente da una persona fisica o da una persona giuridica di cui al n. 1);
3) qualsiasi persona fisica o persona giuridica che abbia stabilito la residenza, la dimora abituale, la sede legale o dell’amministrazione o il centro di attività principale in uno Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo o che sia comunque ivi stabilito, al fine di eludere l’applicazione della disciplina di cui al presente articolo”.
[78] Con specifico riferimento alla disciplina dei poteri speciali in tema di tecnologie 5G, in un’ottica di rafforzamento della tutela della sicurezza nazionale in ambiti di rilevanza strategica, la principale novità introdotta dall’articolo 1 del decreto-legge 11 luglio 2019 n. 64 era volta a rendere il procedimento sostanzialmente simmetrico rispetto a quello per l’esercizio dei poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale.
[79] recante il «Regolamento per l’individuazione dei beni e dei rapporti di interesse nazionale nei settori di cui all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019, a norma dell’articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56».
[80] recante il «Regolamento per l’individuazione degli attivi di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, a norma dell’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56».
[81] Per un approfondimento sul tema cfr. V. M. S. Di Luca e G. Pacifico “La disciplina giuridica dei poteri speciali dello Stato sugli assetti societari e i trasferimenti tecnologici nei settori strategici alla luce del decreto-legge n. 23/2020 (c.d. “Decreto liquidità”) e dei dd.p.c.m. 18 dicembre 2020, n. 179 e n. 180”, in ildirittoamministrativo.it, Anno XIII – n. 08 – Agosto 2021.
[82] Cfr. S. Galeotti, “5G, governo contro gli enti locali: oltre 200 sindaci fermano l’installazione delle antenne, ma il dl Semplificazioni vieta le ordinanze”, cit.
[83] Cfr. Tar Campania. Sez. VII, sentenza n. 3324 del 24 luglio 2020.
[84] Cfr. Tar Sicilia, Catania, sez. I, sent. n. 3561 del 24 dicembre 2020.
[85] Cfr. Tar Friuli Venezia Giulia, sez. I, sent. n. 63 del 25 febbraio 2021
[86] Cfr. l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell’Adunanza del 28 luglio 2020, “Ostacoli all’installazione di impianti di telecomunicazione in tecnologia wireless 5G”, pubblicata nel Bollettino n. 33 del 17 agosto 2020 su www.agcm.it.
[87] Sul punto cfr. P. Otranto, “Stop 5G!”: ordinanze sindacali e giudice amministrativo (nota a TAR Catania 549 e 5517 2020 e TAR Campania 3324 / 2020), 10 settembre 2020, in www.giustiziainsieme.it.
[88] Cfr. Corte costituzionale, sent. n. 85 del 9 aprile 2013.