La tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione fra ideologia e dogmatica

A cura di Giovanni Tulumello*

La tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione fra ideologia e dogmatica[1]

  1. L’art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241 [aggiunto dall’art. 12, comma 1, lett. 0a), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120], dispone che “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”.

La disposizione esplicita un precetto peraltro ricavabile già dal primo comma del medesimo art. 1, laddove prescrive che l’attività amministrativa “è retta (….) dai princìpi dell’ordinamento comunitario[2].

A seguito della modifica dell’art. 1, primo comma, della legge n. 241 del 1990 operata dalla legge 15/2005, che ha indicato i “princìpi dell’ordinamento comunitario” fra i canoni cui deve uniformarsi l’attività amministrativa, il rinvio a tali princìpi, e fra essi a quello di affidamento (legittimo), era normativamente divenuto un vero e proprio principio regolante l’attività amministrativa.[3]

L’arricchimento della disciplina dei princìpi dell’attività amministrativa ha tuttavia rivitalizzato il dibattito sulla tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione: anche per effetto della contemporanea divergenza degli orientamenti giurisprudenziali del giudice civile e del giudice amministrativo in materia.

Può essere allora utile praticare un tentativo di riflessione sul significato da attribuire alla nuova disposizione, alla luce dell’inquadramento teorico-generale dell’istituto, e degli itinerari giurisprudenziali sviluppatisi in argomento.

  1. In diritto civile la nozione di affidamento ha riguardo a “fenomeni distinti”, accomunati dalla necessità di risolvere il conflitto ingenerato dalla divergenza fra realtà e apparenza; mentre con l’espressione “principio di affidamento” si indica “quella regola, secondo cui, rispettivamente, una certa situazione di fatto o diritto è inoperante se non è nota ad un determinato soggetto, o se è contrastata da un’opposta apparenza, o dalle risultanze degli indici di pubblicità; e, reciprocamente, tutto procede come se la situazione di fatto o diritto fosse quella erroneamente ritenuta da un certo soggetto, o quella apparente, o quella risultante dall’indice di pubblicità”.[4]

Il fondamento dell’istituto emerge, storicamente, come legato all’esigenza di “scalzare parzialmente i principi del diritto naturale”.[5]

In epoca moderna si tende a ricondurlo al dovere di solidarietà cui devono essere improntate le relazioni intersoggettive:[6] rimane tuttavia la necessità – sul piano dogmatico –  di depurare l’analisi da prospettive di tipo etico, od ideologizzante.[7]

L’oggetto della tutela approntata dalla legge può essere “o l’affidamento in astratto (della generalità dei terzi), col limite negativo della mala fede soggettiva, ovvero l’affidamento in concreto, cioè l’affidamento soggettivato nella buona fede”.[8]

La giurisprudenza ricollega le ragioni della rilevanza della c.d. buona fede oggettiva, e le regole che ne discendono, alla figura dell’abuso del diritto, vale a dire alla deviazione funzionale dallo scopo per il quale il diritto è stato attribuito.[9]

Si tratta di una regola che viene declinata anzitutto in materia di acquisti a non domino, non solo per via contrattuale: è tuttavia nella materia contrattuale che l’affidamento viene elevato dalle norme a criterio interpretativo della dichiarazione negoziale: e, dunque, del contenuto dell’obbligo.[10]

L’istituto, e le regole che ne discendono, hanno pertanto la funzione di adeguare, sul piano delle regole di validità (ovvero dell’opponibilità: art. 2290, secondo comma, cod. civ.) degli atti, l’assetto d’interessi all’apparenza creata da fatti, comportamenti e dichiarazioni: in modo da conformare le vicende relative alla circolazione dei beni all’impronta solidaristica.

  1. In diritto amministrativo la nozione ha un fondamento analogo, ma un ambito più circoscritto.

L’ambito più circoscritto è determinato dal fatto che le ricadute rimediali non vanno (non possono andare) oltre il piano delle regole di responsabilità[11].

            Il fondamento analogo è dato dal rilievo per cui il destinatario del provvedimento favorevole ripone un affidamento sulla validità ed efficacia dello stesso, ovvero sulla sua stessa adozione: il problema della divergenza fra realtà ed apparenza si pone allorchè tale provvedimento venga annullato (in autotutela, o a seguito di ricorso giurisdizionale), ovvero non venga adottato.

            Nella casistica giurisprudenziale più recente la rilevanza della nozione viene infatti solitamente ricondotta a due fattispecie: la prima è quella dell’affidamento riposto sul provvedimento favorevole (che venga poi caducato o rimosso in autotutela, o a seguito di ricorso giurisdizionale).

Tale costruzione trova riscontro sul piano del fondamento normativo dell’istituto: per pacifica ed unanime opinione della dottrina il principio di affidamento rilevante in diritto amministrativo per effetto del rinvio operato dall’art. 1 della legge n. 241 del 1990 alla giurisprudenza comunitaria, è “l’affidamento consolidatosi – dopo un certo periodo di tempo – in capo al privato come conseguenza di un atto favorevole (….)”.[12]

            La seconda, di più recente emersione, è invece quella dell’affidamento riposto dal privato nella condotta procedimentale dell’amministrazione (rispetto all’adozione del provvedimento richiesto).[13]

Quanto alla prima fattispecie, la giurisprudenza ha recentemente chiarito che “la valutazione dell’ordinamento sul grado di affidamento configurabile a seguito di un provvedimento favorevole è già contenuta nel regime di stabilità del provvedimento medesimo. (….) i margini della tutela dell’affidamento riposto sulla stabilità del provvedimento sono definiti dal legislatore, attraverso la disciplina dei limiti di natura temporale all’esercizio del potere di autotutela[14].

Quanto alla seconda, si è già avuto modo di precisare [15] che il procedimento amministrativo non è un’attività relazionale a forma libera; la pretesa di ritenere non iure la condotta dell’amministrazione passa inevitabilmente per l’accertamento dell’illegittimità dei suoi atti.

La pubblica amministrazione agisce per atti formali: che possono essere legittimi o illegittimi; sicchè, al di fuori dell’ipotesi – più che altro di scuola – del comportamento fraudolento del funzionario, il comportamento di costui può fondare un (legittimo) affidamento rilevante prescindendo dalla qualificazione dei suoi atti in termini di conformità o meno al paradigma normativo?

Senza contare che, in linea di principio, il comportamento collaborativo dell’amministrazione in sede procedimentale, che genera affidamento, è in realtà proprio l’effetto dell’applicazione delle norme sul procedimento amministrativo: con la conseguenza che ove l’amministrazione si uniformi al rispetto delle regole di validità, paradossalmente si espone sul piano risarcitorio.

A superare questo profilo critico è giunta – come meglio si dirà fra breve –  la ricostruzione delle condizioni e dei limiti della tutela risarcitoria recentemente operata dall’Adunanza Plenaria nelle sentenze n. 19, 20 e 21 del 2021: specie laddove, valorizzando proprio la disciplina del “contesto” procedimentale in cui si manifesta la problematica, e in particolare la sua dimensione partecipativa, ha sottolineato come i doveri comportamentali e gli obblighi di protezione siano posti a carico di entrambe le parti del rapporto.

  1. Nell’ambito dell’affidamento (non “procedimentale”, ma) “provvedimentale, occorre poi distinguere la rilevanza della tutela dell’affidamento riposto dal privato sulla validità ed efficacia del provvedimento adottato, a seconda che tale provvedimento venga meno ad iniziativa della stessa amministrazione, ovvero ad opera di una pronuncia caducatoria del giudice amministrativo.

            Nel primo caso la disciplina dell’affidamento è declinata dalle norme sull’autotutela (e, in particolare, dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241/1990): che stabiliscono le condizioni, anche sul piano temporale, per la rimozione ex nunc o ex tunc degli effetti di un provvedimento.

La misura della tutela dell’affidamento (rilevante e meritevole) è dunque direttamente fissata dalla legge: con la conseguenza che ove l’amministrazione abbia illegittimamente ritirato un provvedimento, risponderà per condotta provvedimentale illegittima.

Ove però abbia rispettato tali norme, può dirsi leso un affidamento meritevole di tutela, ancorché il regime del provvedimento preveda che lo stesso venga ad esistenza già con una quota di precarietà (nei limiti indicati dalle disposizioni sopra richiamate) che non può essere negata in buona fede?

Il beneficiario del provvedimento favorevole sa già che, a certe condizioni (anche temporali), lo stesso può essere rimosso: tanto che la tutela dell’affidamento in ambito comunitario è costruita sul piano degli effetti giuridici dell’autotutela, che “possono essere modulati in relazione alle peculiarità delle singole fattispecie, e in particolare al grado di affidamento del privato”.[16]

Nessun particolare problema pone il caso della revoca: posto che è lo stesso legislatore a prevedere in capo all’amministrazione una forma di responsabilità da atto lecito, quale forma – tipica – di tutela dell’affidamento. [17]

Viceversa rimane aperto il quesito rispetto al legittimo annullamento d’ufficio di un precedente provvedimento favorevole illegittimo.

Qui la condotta non iure non è la seconda, ma la prima: con la conseguenza di determinare una situazione analoga a quella dell’annullamento giurisdizionale.

Tuttavia, come osservato in dottrina, anche in questo caso i margini della tutela dell’affidamento riposto sulla stabilità del provvedimento sono definiti dal legislatore, attraverso la disciplina dei limiti di natura temporale all’esercizio del potere di autotutela.[18]

Sul punto si tornerà più avanti.

  1. In caso di annullamento da parte del giudice amministrativo si ha invece che l’amministrazione dovrà rispondere dei danni causati, anche al beneficiario del provvedimento favorevole, dalla propria azione non iure.[19]

Le sentenze n. 19 e n. 21 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, nell’affrontare il problema della configurabilità di un affidamento “legittimo e qualificato” avente ad oggetto il provvedimento annullato in sede giurisdizionale, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui «nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti all’esercizio del pubblico potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica ora richiamati, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi».

Il problema però, pure devoluto alla Plenaria, è quello di individuare le condizioni che, in concreto, danno accesso alla tutela risarcitoria.

Si tratta di stabilire se l’amministrazione, nell’adottare il provvedimento favorevole, avesse un obbligo di risultato consistente nel far conseguire stabilmente il bene della vita all’interessato; ovvero avesse un obbligo di mezzi, consistente nel fare – secondo buona fede – tutto il possibile per farglielo conseguire.

Nei rapporti tra privati, ad esempio, l’obbligo di buona fede nella fase di formazione del contratto viene declinato, fra l’altro, nel dovere di compiere gli “atti necessari per la validità o efficacia del contratto”: con la precisazione che “Il dato caratterizzante della buona fede dimensiona l’impegno entro i limiti di un apprezzabile sacrificio del soggetto. Il contraente dovrà pertanto presentare le relative domande per ottenere la necessaria autorizzazione ma non sarà anche tenuto, ad es., ad impugnare gli eventuali provvedimenti negativi”.[20]

Se si applicasse un simile canone alla fattispecie di lesione dell’affidamento ingenerato da un provvedimento favorevole, si avrebbe che non ogni illegittimità provvedimentale (successivamente accertata) determina – per ciò solo –  violazione del dovere di buona fede dell’amministrazione, ma soltanto quelle, da accertarsi in concreto, conseguenti alla mancata attivazione di uno sforzo esigibile secondo il parametro di normalità sopra indicato.

Il tutto, ovviamente, valutando anche la buona fede non solo dell’affidante, ma del preteso affidato.[21]

Tanto che la sentenza n. 20 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, opportunamente sottolineando il rilievo della partecipazione procedimentale, ha chiarito – come si è accennato – che “il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha quindi portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata; tale dovere comportamentale si rivolge sia all’amministrazione sia ai soggetti che a vario titolo intervengono nel procedimento, qualificando in termini giuridici una relazione che è e resta pubblicistica, sia pure nell’ottica di un diritto pubblico in cui l’autoritatività dell’agire amministrativo dà vita e si inserisce nel corso di un rapporto in cui doveri comportamentali e obblighi di protezione sono posti a carico di tutte le parti”.

Il che – non per scelte di valore, ma quale inevitabile ricaduta dell’inquadramento dogmatico e teorico generale dell’istituto – impone di scrutinare in concreto la meritevolezza dell’affidamento in quanto conforme a buona fede, id est incolpevole.[22]

In questo senso sempre l’Adunanza Plenaria, nella sentenza n. 19 del 2021, chiamata a chiarire le condizioni e i limiti della tutela risarcitoria dell’affidamento riposto su un provvedimento poi annullato, ha enunciato il principio di diritto per cui «la responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento» (nello stesso senso anche la successiva sentenza n. 20).

  1. Per quanto riguarda le ricadute della ricostruzione sistematica della nozione, anche ai fini dell’individuazione della regola di riparto della giurisdizione, si sono poste serie riserve critiche sulla costruzione che eleva l’affidamento a situazione soggettiva autonoma.

            La stessa costruzione posta a fondamento dell’ordinanza n. 8236/2020 è stata ritenuta “non immune da censure di ordine sistematico[23]: e comunque è stata subito dopo superata  – dalla pronuncia delle stesse Sezioni Unite n. 14324 del 2021 – dal riemergere del riferimento, “inopinatamente e acriticamente riaffiorato[24], al “diritto soggettivo alla conservazione dell’integrità del patrimonio”.

Si tratta, piuttosto, come messo in evidenza da autorevole dottrina, non di una situazione soggettiva autonoma, ma di “uno stato di fatto, lesivo di situazioni soggettive, ossia di diritti o di interessi legittimi”.[25]

            L’aspettativa che ha ad oggetto l’adozione del provvedimento favorevole, o la sua stabilità, è infatti una situazione giuridica soggettiva coincidente con quella avente ad oggetto l’interesse sostanziale (e, per questa ragione, dotata di rilevanza e di protezione giuridica): essa, pertanto, nei confronti della condotta della pubblica amministrazione non può che coincidere con l’interesse legittimo.

Sembra pertanto corretto affermare che la situazione soggettiva correlata all’affidamento non è mai un diritto soggettivo: o è una situazione giuridica soggettiva di natura strumentale, ovvero finisce per coincidere con quella sostanziale (e dunque, in questo caso, con l’interesse legittimo).

In questi termini si è espressa da ultimo la sentenza n. 20 del 2021 dell’Adunanza Plenaria: “Esso non è infatti una posizione giudica soggettiva autonoma distinta dalle due, sole considerate dalla Costituzione, ma ad esse può alternativamente riferirsi. (….) Non sembra quindi condivisibile interporre nel rapporto amministrativo costituito dal provvedimento un diritto soggettivo, avente ad oggetto l’affidamento alla stabilità del provvedimento medesimo, quale presupposto sostanziale della giurisdizione amministrativa. Attraverso la stabilità del provvedimento e del rapporto con esso costituito il privato beneficiario conserva l’utilità attribuitagli, che nella misura in cui è correlata ad un pubblico potere è e rimane oggetto di un interesse legittimo (da pretensivo a oppositivo, secondo la terminologia invalsa al riguardo)”.

  1. Sul piano della condotta lesiva, anche ove fossero ammissibili forme di tutela dell’affidamento ulteriori rispetto a quelle stabilite dalla legge nella definizione del regime dell’atto affidante, si tratta anzitutto di indagare il collegamento con il potere, per comprendere se l’affidamento sia stato leso da un atto o da un comportamento.

L’annullamento in autotutela si distingue da quello giurisdizionale sul piano causale.

Nel secondo caso l’amministrazione “subisce” la caducazione, mentre nel primo caso vi procede essa stessa: il che può essere un indice della maggiore rimproverabilità sul piano soggettivo, cui probabilmente sul piano oggettivo fa riscontro una più macroscopica ed evidente forma di illegittimità, laddove nel secondo caso lo stesso presupposto (l’illegittimità del provvedimento ampliativo) è controverso.

Dunque il regime di (in)stabilità del provvedimento non esclude la responsabilità per lesione dell’affidamento, in quanto il fattore causale che ne rende possibile (e in alcuni casi doverosa) la rimozione è pur sempre ricollegabile al presupposto dell’illegittimità provvedimentale.

Allo stesso tempo l’intervento in autotutela riduce l’area del danno risarcibile, perché interrompe gli effetti del provvedimento illegittimo affidante.

Nel caso di annullamento giurisdizionale il fatto lesivo certamente non è certamente la sentenza, ma l’adozione di un provvedimento illegittimo.

Il fatto che tale provvedimento sia ampliativo non esclude che sia lesivo: un provvedimento ampliativo illegittimo è ampliativo solo in apparenza, perchè rimane soggetto alle conseguenze della illegittimità.

  L’ordinanza delle SS.UU. n. 28979/2020 ha affermato che “la domanda risarcitoria proposta – come nella specie nei confronti della P.A. per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo che si dovesse configurare come illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria, non trattandosi della rappresentazione della lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato, ma della prospettazione di una lesione della sua integrità patrimoniale, che può essere ricondotta ad una responsabilità da contatto sociale o di natura propriamente extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. (come, invero, dedotto dalle ricorrenti, in via alternativa, nel giudizio civile intrapreso), rispetto alla quale l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sè, ma per l’efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole”.

L’esercizio del potere, pur essendo individuato sul piano causale come il fatto che ha generato il danno, viene però considerato irrilevante ai fini della individuazione della regola di riparto.

Nel prestare adesione all’ordinanza 8236/2020, la sentenza delle Sezioni Unite n. 615/2021 aggiunge ulteriori argomentazioni di carattere sistematico,  affermando che “nel caso in cui, secondo la domanda dell’attore, il comportamento della pubblica amministrazione abbia leso l’affidamento del privato, perchè non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, non sussiste alcun collegamento nemmeno mediato tra il comportamento dell’amministrazione e l’esercizio del potere”; ed invocando a sostegno “un’idea di “diritto amministrativo paritario” nei casi in cui il danno derivi non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo, ma dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui la pubblica amministrazione è tenuta a conformarsi al pari di qualunque altro soggetto”.

L’obbligo di buona fede implicherebbe, in sostanza, una relazione paritaria tale da escludere la sussistenza del potere.

In quest’ottica l’affermazione, nell’ambito dell’attività funzionale, di un “diritto amministrativo paritario”, se ha il significato – atecnico –  di implicare unicamente che al pari del privato anche l’amministrazione è tenuta a comportarsi secondo buona fede, è certamente condivisibile.

Se invece fa discendere dalla soggezione a tale obbligo il disconoscimento – ai fini dell’applicazione della norma sul riparto –  della posizione istituzionale che fronteggia l’interesse legittimo, al punto da negare l’esistenza del potere e la natura degli atti attraverso i quali esso si esercita, allora si tratta di affermazione non autorizzata dal sistema: dal momento che “le clausole di correttezza e buona fede (….), è del tutto ovvio, fanno parte della disciplina generale dell’azione amministrativa”.[26]

Tale affermazione è tanto più incontestabile alla luce dell’addizione legislativa da cui ha preso le mosse questa riflessione.[27]

La tutela dell’affidamento disciplinata dalla legge generale sull’azione amministrativa impone certamente all’amministrazione di tenere nel procedimento un comportamento improntato a buona fede: ma non riduce, per ciò solo, la relazione ad una fattispecie paritaria, nel senso  – funzionale all’affermazione della giurisdizione ordinaria – che esclude il connotato autoritativo della condotta del preteso danneggiante  (non foss’altro perché l’eventuale lesione dell’affidamento deriva al privato, appunto, dall’esercizio di poteri funzionali).

Come è stato chiarito in passato da autorevole dottrina con riferimento ad analoga disposizione, “La norma è probabilmente ispirata ad un favor nei confronti del diritto privato, che aprirebbe la via ad un rapporto di parità tra amministrazione e cittadino: si tratta di idea errata, nel senso che l’imposizione di regole di diritto privato senza eliminare (come invece è accaduto nel settore del rapporto di lavoro ……) i poteri di supremazia dell’amministrazione non crea magicamente rapporti paritari[28].

L’amministrazione, nel procedimento, agisce nelle forme tipiche che costituiscono esercizio di potere: negare questa circostanza, normativamente scolpita, per ricondurre l’azione amministrativa ad un “comportamento”, per il sol fatto che tale azione debba essere, complessivamente, conforme al canone della buona fede, implica dunque un salto logico.

Ciò in quanto gli arresti del giudice del riparto finiscono con lo scindere la fattispecie, negando il collegamento con il potere che è invece strutturalmente e funzionalmente caratterizzante.

Proprio la sentenza delle SS.UU. n. 615/2021, del resto, invoca a sostegno della propria ricostruzione (in punto di “comportamento” legittimante la cognizione del giudice amministrativo) la sentenza della Corte costituzionale n. 35/2010; la quale – nel rigettare il dubbio di costituzionalità prospettato dal giudice civile – aveva invece chiaramente espresso il significato discretivo di tale nozione: “il riferimento ai comportamenti, su cui si incentra la doglianza del remittente, deve essere inteso nel senso che quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo e non anche quelli meramente materiali posti in essere dall’amministrazione al di fuori dell’esercizio di una attività autoritativa”.

Dal che consegue, evidentemente, che il “comportamento” consistente nella sequenza di atti di esercizio di poteri amministrativi costituisce, appunto, esercizio di potere, e che come tale va trattato ai fini del riparto.

Ancora più esplicita è la contrapposizione, da parte della Corte costituzionale, di tali comportamenti a quelli “meramente materiali”: che all’evidenza impedisce di includere fra questi ultimi la condotta procedimentale o provvedimentale affidante[29].

Già all’indomani della sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, autorevole dottrina opportunamente richiamava, sul punto, l’esigenza di attribuire alla nozione di “comportamento” un significato compatibile con le categorie: “Alla decisione della Corte costituzionale (….) va il merito di aver riproposto in pieno rilievo il tema del comportamento. Parola dai molteplici significati: dal più generico e opaco, in cui confluisce ogni relazione fisica tra uomo e mondo, al più fermo e netto, quale il linguaggio giuridico ha il dovere di isolare e definire[30].

Proprio la corretta applicazione delle coordinate indicate dalla giurisprudenza costituzionale ha indotto l’Adunanza Plenaria, nella sentenza n. 20 del 2021, ad affermare che “Non può dunque essere seguita l’impostazione secondo cui quando il potere amministrativo non si è manifestato in un provvedimento tipico ma è rimasto a livello di comportamento la giurisdizione sarebbe devoluta al giudice ordinario; questa è per contro ipotizzabile solo a fronte di comportamenti “meri”, non riconducibili al pubblico potere, a fronte dei quali le contrapposte situazioni giuridiche dei privati hanno consistenza di diritto soggettivo. In tale contesto, non sembra possa sostenersi, in assenza di base testuale, che l’ambito di applicazione dell’art. 7, comma 1, cod. proc. amm. sia circoscritto al solo risarcimento del danno da provvedimento sfavorevole, azionabile dal ricorrente con l’azione di annullamento, mentre nella situazione assolutamente simmetrica alla precedente e del pari inserita nella vicenda relazionale governata dal diritto amministrativo, sussisterebbe la giurisdizione ordinaria per i danni conseguenti all’annullamento del provvedimento favorevole, “degradato” a mero fatto”.

Si può obiettare che il riferimento alla giurisprudenza costituzionale sui comportamenti vale per le (sole) ipotesi di giurisdizione esclusiva.

In ogni caso appare dirimente, per le restanti ipotesi, lo scioglimento della questione relativa alla natura della situazione giuridica soggettiva oggetto di tutela.

Se essa, come pare evidente, è collegata strumentalmente all’interesse legittimo al bene della vita (trattandosi di affidamento riposto nella positiva conclusione del procedimento, o nella conservazione degli effetti del provvedimento favorevole), la sua tutela (risarcitoria), ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 6  dell’art. 30 del codice del processo amministrativo non può che radicarsi davanti al giudice amministrativo: posto che nella nozione di “illegittimo esercizio dell’attività amministrativa” rientra evidentemente anche l’illegittima  (in violazione del comma 2-bis dell’art. 1della legge n. 241 del 1990) violazione del canone di buona fede ad opera dell’attività procedimentale (e provvedimentale).

  1. Volendo operare una prima conclusione, occorre tornare sulle due ipotesi indicate in premessa.

La prima è quella considerata dalle c.d. ordinanze gemelle: controversie relative alla domanda di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento ingenerato nel privato dall’adozione di un provvedimento poi annullato in sede giurisdizionale (ovvero in via di autotutela).

Ad ingenerare l’affidamento è il provvedimento, poi risultato illegittimo.

La seconda è quella considerata dall’ordinanza n. 8236 del 2020 delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione: controversie relative alla domanda di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento, ingenerato nel privato da un iter procedimentale “aperturista”, cui non abbia fatto seguito l’adozione del provvedimento domandato o sperato.

Qui ad ingenerare l’affidamento è – paradossalmente – una gestione aperta e partecipata del procedimento: non si fa questione della illegittimità di atti o provvedimenti.

Nel primo caso a certificare la condotta non iure dell’amministrazione c’è comunque una pronuncia (o comunque una qualificazione) di illegittimità del provvedimento affidante.

Nel secondo caso, la fattispecie prescinde dalla contestazione della legittimità di un provvedimento, appuntandosi sulla pretesa contrarietà a buona fede (e, dunque, sulla violazione di una regola dell’azione amministrativa) della condotta procedimentale dell’amministrazione.

In entrambi i casi viene in considerazione un danno (prospettato come) cagionato dall’esercizio di un potere: non potendosi attribuire allo specifico parametro che si assume violato (il canone di buona fede) l’effetto di trasformare:

  1. la natura degli atti dell’amministrazione;
  2. la natura della situazione giuridica soggettiva azionata;
  3. e, conseguentemente, la fattispecie da attizia a comportamentale (recte: a meramente materiale).

            Non sembra che vi siano plausibili ragioni per differenziare tali conclusioni a seconda che la domanda concerna una fattispecie rientrante nella giurisdizione esclusiva, ovvero nella giurisdizione generale di legittimità.

Se infatti si conviene sull’assunto che la posizione soggettiva che si assume lesa fronteggia comunque l’esercizio di un potere, essa non può che essere di interesse legittimo, e dunque la distinzione, come accennato in precedenza, perde d’interesse.

Se invece si aderisce alla tesi della Corte di Cassazione, criticata dalla dottrina, secondo la quale l’affidamento si eleva a situazione soggettiva avente sempre consistenza di diritto soggettivo, il relativo contenzioso sarebbe sempre e comunque tutto di competenza del giudice ordinario, non potendosi individuare in una delle ipotesi di giurisdizione esclusiva ex art. 133 cod. proc. amm. la lesione dell’affidamento, in quanto tale.

Si potrebbe peraltro sostenere che, essendo il risarcimento del danno una tecnica di tutela e non una materia (Corte cost., sentenza n. 204/2004, punto 3.4.1. della motivazione) il relativo contenzioso segue il regime della materia (così, se la lesione dell’affidamento avviene in materia di giurisdizione esclusiva, la relativa azione risarcitoria sarebbe conosciuta dal giudice amministrativo).

Una simile costruzione incontra però due obiezioni.

La prima, è che la giurisprudenza delle Sezioni Unite scinde comunque il diritto alla tutela dell’affidamento, dal settore di attività cui si riferisce.

L’ordinanza n. 8236/2020 si riferiva a materia di giurisdizione esclusiva [art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.], e ciononostante le SS.UU., pur riconoscendo tale connotato disciplinare, ne hanno escluso la rilevanza in termini di riparto, assumendo che si fosse in materia di giurisdizione esclusiva ma che non si facesse questione di esercizio di potere.[31]

Le conclusioni sono, negli effetti pratici, quelle stesse della giurisprudenza del giudice del riparto sulla c.d. indegradabilità di alcuni diritti: solo che qui non si afferma che il diritto è indegradabile, ma che la sua lesione è operata da una condotta cui si nega (l’evidente) consistenza attizia; il risultato è che si configura un diritto rispetto al quale il potere, per la Corte di Cassazione, è tamquam non esset[32].

Il limite di tale costruzione, facilmente rilevato dalla dottrina, è che essa “non vede il collegamento (se si vuole indiretto, ma forse anche diretto) tra l’affidamento e l’esercizio del potere, appunto, nel corso del procedimento.[33]

Se, in quest’ottica, la lesione dell’affidamento è sempre e comunque (meramente) comportamentale, non vale sforzarsi di individuare la materia di giurisdizione esclusiva.

La seconda obiezione, di tipo testuale, è legata al rilievo che ubi lex voluit, dixit.

Quando il legislatore ha inteso attrarre una tecnica di tutela, o un ambito rimediale, come materia di giurisdizione esclusiva, lo ha fatto espressamente [art. 133, comma 1, lett. a), n. 1 cod. proc. amm.].

  1. La sentenza n. 20 del 2021 dell’Adunanza Plenaria ha affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di risarcimento dei danni conseguenti ad annullamento di provvedimento favorevole.[34]

Valorizzando la giurisprudenza costituzionale in materia, la decisione ora richiamata ha ritenuto che “la giurisdizione amministrativa va invece affermata quando l’affidamento abbia ad oggetto la stabilità del rapporto amministrativo, costituito sulla base di un atto di esercizio di un potere pubblico, e a fortiori quando questo atto afferisca ad una materia di giurisdizione esclusiva. La giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo perché la “fiducia” su cui riposava la relazione giuridica tra amministrazione e privato, asseritamente lesa, si riferisce non già ad un comportamento privato o materiale – a un “mero comportamento” – ma al potere pubblico, nell’esercizio del quale l’amministrazione è tenuta ad osservare le regole speciali che connotano il suo agire autoritativo e al quale si contrappongono situazioni soggettive del privato aventi la consistenza di interesse legittimo”.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, nella successiva ordinanza n. 1778 del 2022, hanno però tuttavia ignorato tale articolata argomentazione, limitandosi ad affermare, nel richiamarsi alle ordinanze gemelle del 2011 (in una fattispecie relativa a risarcimento del danno causato dalla lesione dell’affidamento riposto su di una concessione edilizia poi annullata), che “la perdurante validità di tale schema concettuale” è stata “riaffermata da questa Suprema Corte regolatrice nel 2020, con l’ordinanza n. 8236”, e che “da tali princìpi, ribaditi da queste Sezioni Unite nelle ordinanze n. 615/2021 e 12428/2021, il collegio non vede ragioni per discostarsi”.

  1. In conclusione, il punto critico dell’attuale quadro giurisprudenziale sembra essere quello dell’utilizzo delle categorie, come già segnalato a proposito dell’ordinanza delle Sezioni Unite n. 8236 del 2020.

L’arroccamento delle Sezioni Unite, funzionale all’individuazione della regola di riparto, sulla negazione dell’evidenza attizia e provvedimentale della fattispecie, implicante necessariamente l’obliterazione della (altrettanto evidente) natura strumentale della situazione giuridica soggettiva tutelata, rimane allo stato il principale elemento critico del percorso giurisprudenziale del giudice del riparto.

La lesione dell’affidamento discende evidentemente da un insieme di atti: il quale, lungi da ridursi – per esigenze di riparto – a comportamento mero, è, appunto, una sequenza di atti avvinta da una connessione funzionale.

Nello studio della buona fede questo dato era stato colto con efficacia dalla dottrina civilistica: che anzi indicava il “difetto di esplorazione della materia concernente il collegamento degli atti di un procedimento. Questo appare studiato nella dottrina pubblicistica più che in quella privatistica  e sotto punti di vista divergenti[35].

La peculiarità dell’introduzione del canone della buona fede nella disciplina dell’attività (procedimentale) amministrativa è data dal fatto che si tratta di una regola “dinamica” applicata ad una fattispecie “statica” (quella relativa al pronunciamento finale sull’istanza del privato: che, se favorevole, soddisfa di per sé la pretesa)[36],

Il che, tuttavia, se impone (in sede di ricognizione delle condizioni e dei limiti della tutela) di vagliare in concreto la sussistenza dei presupposti della fattispecie di responsabilità (specie in punto di compatibilità con il regime dell’attività), sul piano della qualificazione della condotta lesiva non autorizza la sostituzione, per fictio, delle forme tipiche di esercizio del potere con la nozione di comportamento (mero).

  1. Neppure la giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria è andata esente dalla critica di un utilizzo non condivisibile delle categorie, con riguardo alla qualificazione come aquiliana della responsabilità per lesione dell’affidamento: “gli obblighi di protezione, piacciano o non, vengono di regola chiamati in causa per delimitare, a colpi di «relazionalità», l’area dell’illecito aquiliano. Al contrario, l’adunanza plenaria finisce per coniare un’inusitata responsabilità extracontrattuale da inadempimento degli obblighi di protezione[37].

Tale percorso, in questa prospettiva critica, confermerebbe il carattere distopico “della versione amministrativa del diritto privato[38].

Quest’ultima affermazione non tiene conto, tuttavia, della necessità, segnalata all’inizio, di adattare istituti e categorie del diritto privato all’interno dei rapporti di diritto amministrativo (e della relativa disciplina).

Il problema di fondo tuttavia esiste: la questione relativa alla natura della responsabilità risente, evidentemente, della stessa soluzione data in generale al problema della responsabilità della pubblica amministrazione dalla sentenza n. 7 del 2021 dell’Adunanza Plenaria.

Anche tale costruzione ha però incontrato le critiche della dottrina, che ha posto in risalto, tra l’altro, come “la circostanza che l’amministrazione sia titolare di un potere autoritativo non esclude sul piano logico, né su quello del diritto positivo, la configurabilità di uno o più obblighi di comportamento in seno al procedimento, rispetto al quale ipotizzare l’eventuale inadempimento, causa di responsabilità “contrattuale[39].

Altra parte della dottrina osserva che “la responsabilità della PA per scorrettezza del proprio comportamento può ben ritenersi applicazione di un principio che trova conferma nella regola dell’art. 1337 c.c. senza dover richiamare il contatto sociale, ma semmai il principio della responsabilità da affidamento in uno status professionale[40].

  1. L’indagine sulla tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione deve dunque recuperare coerenza dogmatica, e al contempo essere depurata da prospettive ideologiche ispirate ad una (malintesa) priorità dell’enunciazione della regola di riparto rispetto alla coerenza sistematica e all’efficacia rimediale delle soluzioni in tal modo individuate.

Il recente intervento nomofilattico dell’Adunanza Plenaria ha indubbiamente il pregio di aver operato una ricostruzione di ampio respiro sistematico, e di avere – soprattutto – coniugato l’attenzione ai princìpi con il concreto regime del rimedio, individuando le condizioni e i limiti dell’accesso alla tutela risarcitoria nella specifica fattispecie (quest’ultimo costituiva forse il limite più evidente della produzione giurisprudenziale precedente).

Il problema aperto rimane, soprattutto, quello dell’affidamento “procedimentale”.

In argomento nel trittico delle sentenze dell’Adunanza Plenaria sembra cogliersi un (apparente) contrasto tra l’affermazione per cui la tutela dell’affidamento rileva “a prescindere dal fatto che il bene della vita fosse dovuto ed anche se si accertasse in positivo che non era dovuto” (sentenza n. 20 del 2021), e la ferma precisazione del carattere strumentale della situazione giuridica soggettiva sottostante.

In realtà va osservato che tutte e tre le fattispecie oggetto delle recenti sentenze della Plenaria hanno riguardo a violazione dell’affidamento riposto sul provvedimento favorevole (e non sulle trattative procedimentali): di talchè la prima delle richiamate affermazioni va calata in quello specifico contesto.

D’altra parte, già la sentenza della Plenaria n. 7 del 2021 aveva sul punto efficacemente chiarito – con affermazione di carattere generale – che “L’ingiustizia del danno che fonda la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi si correla alla sopra menzionata dimensione sostanzialistica di questi ultimi, per cui solo se dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest’ultimo può fondatamente domandare il risarcimento per equivalente monetario”.[41]

L’amministrazione è evidentemente “libera” di non adottare il provvedimento favorevole, ove accerti l’infondatezza della relativa pretesa, pur se il privato abbia riposto affidamento sul relativo procedimento.

Tuttavia va pure osservato che, sul piano teorico, l’affermazione della responsabilità per lesione della buona fede non è incompatibile con il carattere non vincolato della scelta finale: di talchè essa non concerne il pregiudizio derivante dal mancato ottenimento dell’utilità voluta, ma quello conseguente all’inutile coinvolgimento nelle attività prodromiche [42].

Se, dunque, è possibile affermare che la non spettanza del bene della vita di per sé non impedisce la configurabilità dell’affidamento alla positiva conclusione del procedimento (e la relativa responsabilità dell’affidante), il punto decisivo è quello di calare tale affermazione nel peculiare regime normativo dell’attività amministrativa, e del procedimento in particolare.

Di qui l’importanza – scendendo dal piano delle categorie a quello del regime del rimedio – della perimetrazione delle condizioni e dei limiti dell’accesso alla tutela risarcitoria, con particolare rilievo allo stato soggettivo del preteso affidato e alla conformità della condotta dell’affidante alla normativa (procedimentale) regolante l’azione: sia per evitare un possibile abuso del rimedio, ed un’eterogenesi dei fini dell’istituto;[43] sia, soprattutto, per costruire una tutela effettiva, che – ristabilendo il primato logico dei valori sullo strumento – superi la prospettiva ideologizzante e talora eccessivamente assertiva della priorità (condizionante) della regola di riparto.

Allo stesso modo andrebbe forse ripensata la natura della responsabilità, considerando che “non siamo dinanzi a situazioni di «non» rapporto che caratterizzano l’extracontratto a norma degli art. 2043 ss.; si tratta invece di rapporti veri e propri che si svolgono nel quadro di una normativa privata: per l’appunto quella della correttezza. Ciò importa anzitutto un aspetto sotto il quale si precisa il significato di questa normativa; secondariamente un altro aspetto per cui la colpa è valutata sotto il profilo di una violazione della stessa normativa[44].

Solo la piena consapevolezza dei tratti caratterizzanti la fattispecie apre infatti la strada ad opzioni qualificatorie dotate di coerenza sistematica e, per ciò, tali da assicurare l’efficacia delle sedi e delle tecniche di tutela.

*Consigliere di Stato – Componente dell’Ufficio studi, massimario e formazione della giustizia amministrativa. Le opinioni espresse non impegnano l’Istituto di appartenenza.

[1] Il presente contributo è destinato al Liber amicorum per il prof. Salvatore Raimondi.

 

[2] In questo senso, già prima della modifica dell’art. 1, in dottrina E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, XXI ed., a cura di F. Fracchia, Milano, 2019, pag. 389; in giurisprudenza, nello stesso senso, successivamente all’introduzione del comma 2-bis, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 5758/2021.

[3]Completano il quadro il principio dell’affidamento, che esprime l’obbligo di correttezza e buona fede nel quadro dei rapporti fra cittadino e pubblica amministrazione, e il principio di continuità. Riconducibile alla matrice costituzionale, ed in particolare al principio di imparzialità, oggetto di numerose decisioni del giudice comunitario al quale si deve la sua importazione in altri ordinamenti, il principio di affidamento esprime l’esigenza di tutelare, all’interno dell’azione amministrativa, gli interessi privati coinvolti soprattutto quando alcun elementi (si pensi a precedenti comportamenti dell’amministrazione), o all’emanazione di direttive o circolari), abbiano ingenerato nel privato un (legittimo) affidamento ad una determinata regolamentazione dei propri interessi da consacrare (ma in concreto non espressa) nel provvedimento amministrativo” (A. Police, Princìpi e azione amministrativa, in Diritto amministrativo, a cura di F.G Scoca, III ed., Torino 2014, pag. 208).

[4] Così R. Sacco, voce Affidamento, in Enc dir., vol. I, Milano, 1958.

[5] R. Sacco, voce Affidamento, cit.: “Storicamente, si nota che la rilevanza dell’erronea opinione individuale (buona fede), e dell’apparenza, fu relativamente modesta nel diritto romano e comune. Il principio dell’affidamento apparve poi pressoché inconciliabile con le regole fondamentali del diritto naturale, secondo cui ogni soggetto è sovrano nella sfera dei suoi diritti soggettivi, sì che da un canto nessun terzo può disporre efficacemente di tali diritti, e, d’altro canto, nessuno può essere vincolato (ossia, può obbligarsi, o può subire gli effetti di un atto di disposizione) se non in virtù di un proprio libero atto di volontà. Il diritto naturale, cioè, afferma con energia la regola nemo potest plus iuris in alium transferre, quam et ipse habeat, e la regola secondo cui la volizione è elemento essenziale dell’atto giuridico (cosiddetto dogma della volontà)”.

[6] F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, IX ed., Napoli, 1989, pag. 76.

[7]In relazione a quelle particolari norme protettive dell’affidamento, che tutelano la buona fede, si soleva affermare, un tempo, che la tutela è giustificata come premio alla onestà e probità del soggetto in buona fede. Anche questa spiegazione è puerile: il soggetto in buona fede tiene un comportamento moralmente piatto e insignificante, con il movente di concludere un buon affare: di per sé, la sua onestà non giustificherebbe ancora il pesante sacrificio imposto ad un controinteressato non meno onesto e probo di lui” (R. Sacco, voce Affidamento, cit.).

[8] L. Mengoni, Gli acquisiti “a non domino, III ed., Milano, 1975, pag. 363.

[9] Corte di Cassazione, sez. III civile, sentenza n.13208/2010: “il principio della buona fede oggettiva, intesa come reciproca lealtà di condotta delle parti, deve accompagnare il contratto in tutte le sue fasi, da quella della formazione a quelle della interpretazione e della esecuzione (confr. Cass. civ. 11 giugno 2008, n. 15476; Cass. civ. 18 settembre 2009, n. 20106), comportando, quale ineludibile corollario, il divieto, per ciascun contraente, di esercitare verso l’altro i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati (confr. Cass. civ. 16 ottobre 2003, n. 15482) nonchè, il dovere di agire, anche nella fase della patologia del rapporto, in modo da preservare, per quanto possibile, gli interessi della controparte, e quindi, primo tra tutti, l’interesse alla conservazione del vincolo

[10] F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, cit., pagg. 228 e segg.

[11] Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 5758/2021. In questi termini, successivamente, anche l’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 21/2021: “Secondo i principi formulati nei precedenti ora richiamati, le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l’altro concernente invece la responsabilità dell’amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte”.

[12] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, XXI ed., a cura di F. Fracchia, cit., p. 389. Nella letteratura amministrativistica, fra gli altri, F. Merusi, Il punto sulla tutela dell’affidamento nel diritto amministrativo, in Giur. It., 2012, 1195 e segg,, e A. Manganaro, Dal rifiuto di provvedere al dovere di provvedere: la tutela dell’affidamento”, in Dir. Amm.vo, 2016, pagg. 93 e segg.

[13] Corte di cassazione, SS.UU. civili, ordinanza n. 8236/2020, in merito alla quale sia consentito il rinvio a G. Tulumello, Le Sezioni Unite e il danno da affidamento procedimentale: la “resistibile ascesa” del contatto sociale, in www.giustizia-amministrativa.it, 9 maggio 2020

[14] Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 5758/2021.

[15] G. Tulumello, Le Sezioni Unite e il danno da affidamento procedimentale: la “resistibile ascesa” del contatto sociale, cit.

[16] R. Chieppa, Provvedimenti di secondo grado (diritto amministrativo), in Enc. Dir., Annali, II, t. 2, Milano, 2008 pag. 919.

[17] R. Chieppa, Provvedimenti di secondo grado (diritto amministrativo), cit., pag. 923.

[18] R. Chieppa, Provvedimenti di secondo grado (diritto amministrativo), cit., pag. 932.

[19] Corte di cassazione, SS.UU. civili, ordinanze nn. 6594, 6595 e 6595 del 2011.

[20] C.M. Bianca, Diritto civile, vol. 3, il Contratto, II ed., Milano, 2000, pagg. 166, 167.

[21]Il collegamento tra l’obbligo di correttezza di una parte e l’onere di diligenza dell’altra pare trascurato dal giudice amministrativo. In un precedente spesso citato adesivamente dalla giurisprudenza, il Consiglio di Stato rileva l’evidente erroneità del progetto posto a base della gara e, avendo ravvisato la negligenza dell’amministrazione, condanna quest’ultima a risarcire il danno da affidamento. Non vengono tratte conseguenze dalla condotta dell’impresa che affronta il rischio di partecipare ad una gara destinata a svolgersi sulla base di atti inficiati da gravi errori di fatto, riconoscibili e riconosciuti dall’impresa stessa” (F. Trimarchi Banfi, Affidamento legittimo e affidamento incolpevole nei rapporti con l’amministrazione, cit.).

[22] In questo senso V. Neri, La tutela dell’affidamento spetta sempre alla giurisdizione del giudice ordinario?”, in Urb e app., n. 6/2020, pagg. 794 e segg.

[23] A. Palmieri – R. Pardolesi, Sulla problematica sorte dell’affidamento indotto dalla pubblica amministrazione, in Foro It., 2/2022, III, 89 e segg.

[24] Id. op. e locc. ultt. citt.

[25] F.G. Scoca, Il processo amministrativo ieri, oggi, domani (brevi considerazioni), in Dir. Proc. Amm., 4/2020, pagg. 1095 e segg

[26] F.G. Scoca, Il processo amministrativo ieri, oggi, domani (brevi considerazioni), cit.

[27] In questo senso anche la sentenza n. 20 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, a proposito del rilievo del comma 2-bis dell’art. 1 della legge n. 241/1990: “La disposizione ora richiamata ha positivizzato una regola di carattere generale dell’agire pubblicistico dell’amministrazione, che trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.) e che porta a compimento la concezione secondo cui il procedimento amministrativo – forma tipica di esercizio della funzione amministrativa – non è più contraddistinto dall’assoluta unilateralità del potere, ma è il luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo. Per il migliore esercizio della discrezionalità amministrativa il procedimento necessita pertanto dell’apporto dei soggetti a vario titolo interessati, nelle forme previste dalla legge sul procedimento del 7 agosto 1990, n. 241. Concepito in questi termini il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha quindi portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata; tale dovere comportamentale si rivolge sia all’amministrazione sia ai soggetti che a vario titolo intervengono nel procedimento, qualificando in termini giuridici una relazione che è e resta pubblicistica, sia pure nell’ottica di un diritto pubblico in cui l’autoritatività dell’agire amministrativo dà vita e si inserisce nel corso di un rapporto in cui doveri comportamentali e obblighi di protezione sono posti a carico di tutte le parti. E non sembra, in tale contesto, che i princìpi che regolano il rapporto siano espressione di autonome situazioni soggettive autonome, se non avulse, dalla posizione delle parti; si deve piuttosto ritenere che si tratti di doveri imposti alle parti, e in primis all’amministrazione, a salvaguardia delle situazioni soggettive coinvolte, che, in quanto afferenti a quel rapporto, non mutano la loro natura e la loro consistenza”.

[28] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, VIII ed., Milano, 2006, pag. 12.

[29] In argomento M. Filippi, Il principio dell’affidamento nei confronti della pubblica amministrazione: riflessi sul riparto tra le giurisdizioni alla luce dei nuovi orientamenti della giurisprudenza, in giustiziainsieme.it., ove l’opportuno richiamo all’esigenza di una maggiore consapevolezza culturale delle categorie: “A ben vedere, più che di comportamenti  meri, sembra trattarsi di segmenti procedimentali o pre-procedimentali. Anzi, per riprendere la storica denizione sandulliana, sembra proprio trattarsi di “una serie di atti […]  e di operazioni […], posti in essere da un unico o da diversi agenti, solitamente culminanti in un provvedimento, e strutturalmente e funzionalmente collegati dall’obbiettivo avuto di mira, e perciò appunto coordinati in procedimento (A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene Editore, Napoli 1974)”.

[30] N. irti, Concetto giuridico di “comportamento” e invalidità dell’atto, in Riv. trim. dir. proc. civ.,.4/2005, pagg. 1053 e segg.

[31]La pretesa risarcitoria dedotta nel presente giudizio dalla società De Candido Costruzioni, tuttavia, ha ad oggetto un danno che, nella prospettazione della società attrice, non è stato causato da “atti” o “provvedimenti” dell’amministrazione municipale, bensì dal comportamento da questa tenuto nella conduzione dei rapporti tra i propri uffici e la stessa società, tale da ingenerare in quest’ultima un incolpevole affidamento nel rilascio del permesso, poi deluso dal diniego finale (del quale non viene messa in discussione la legittimità). Un danno, cioè, da comportamento e non da provvedimento” (Corte di cassazione, SS.UU.  civili, ordinanza n. 8236/2020).

[32] Sui limiti della giurisprudenza del giudice del riparto in tema di c.d. indegradabilità dei diritti ad opera del potere amministrativo, e più in generale sugli orientamenti delle SS.UU. che, per trattenere la giurisdizione, utilizzano argomenti difformi dagli inquadramenti teorico-generali dei relativi istituti, sia consentito il rinvio a G. Tulumello, Fenomenologia del dialogo fra le giurisdizioni, ne Il Libro della Giustizia Amministrativa – 2021, Torino, Giappichelli, 2021, pagg. 352 e segg.

[33] F.G. Scoca, Il processo amministrativo ieri, oggi, domani (brevi considerazioni), cit..

[34]  “è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione sulle controversie in cui si faccia questione di danni da lesione dell’affidamento sul provvedimento favorevole, posto che in base al richiamato art. 7, comma 1, cod. proc. amm. la giurisdizione generale amministrativa di legittimità include i «comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni»; ed inoltre che «nelle particolari materie indicate dalla legge» di giurisdizione esclusiva – quale quella sugli «atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia» di cui all’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm. oggetto del presente giudizio – essa si manifesta «attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela», anche dei diritti soggettivi, oltre che dell’affidamento sulla legittimità dei provvedimenti emessi dall’amministrazione” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 20 del 2021).

[35] S(alvatore). Romano, voce Buona fede (dir. priv.), in Enc dir., vol. V, Milano, 1959, pag. 682.

[36]S(alvatore). Romano, voce Buona fede (dir. priv.), in Enc dir., vol. V, Milano, 1959, pag. 682: “Appare però indubbio il valore di un principio: la regola di correttezza esiste, è giuridica, è rilevante. E ne discendono corollari di rilievo: le norme «di rilevanza» o di efficacia cioè, per intendersi, statuali, siano esse di forma o di sostanza, regolano i requisiti degli atti; sono, di conseguenza, statiche anche quando concernono precedenze di atti rispetto agli altri. Per contro, le regole del movimento – della dinamica, cioè, dei rapporti – sono private, concernono i privati mentre trattano, concludono, interpretano, eseguono, e si concentrano nella cosiddetta normativa di correttezza. Questa normativa concerne non solo il modo di «prospettare» gli elementi in un rapporto, ma anche quello di «accogliere» la presentazione che di quegli elementi faccia la controparte. Le prassi che si formano al riguardo non sono soltanto individuali, ma ambientali (v., ad esempio, art. 2598 c.c. sui «princìpi di correttezza professionale»), mutano col mutare del tempo e del luogo pur restando fermo, in via di principio, il criterio della rilevanza per l’ordinamento statuale”.

[37] A. Palmieri – R. Pardolesi, Sulla problematica sorte dell’affidamento indotto dalla pubblica amministrazione, cit.

[38] Id. op. e locc. ultt. citt.

[39] M. Trimarchi, Responsabilità extracontrattuale dell’amministrazione o amministrazione irresponsabile? (nota a Cons. Stato, ad. plen. 23 aprile 2021, n. 7), in corso di pubblicazione in Dir. Proc. Amm. Su tale sentenza si vedano altresì le osservazioni critiche di  A. Palmieri e R. Pardolesi, La responsabilità civile della pubblica amministrazione: così è se vi pare, in Foro It., 7/2021, III, 406 e segg.

In argomento sia consentito il rinvio a G. Tulumello, Il giudice amministrativo, e le categorie del diritto civile (a proposito del risarcimento del danno), in giustamm.it, n. 10/2012: “è paradossale che proprio in diritto amministrativo, in cui sicuramente una relazione qualificata a monte deve pur esserci (almeno dopo l’introduzione di una disciplina procedimentale tendente a regolare proprio quella relazione), si continui a ragionare sulla violazione del generico precetto dell’alterum non laedere (specie in un contesto disciplinare connotato ormai non solo da obblighi procedimentali, ma anche da vincoli normativi implicanti sul piano sostanziale una “amministrazione di risultato”)16: tanto più alla luce del rapporto di complementarietà fra tutela in forma specifica e tutela per equivalente monetario, affermato dalla sentenza 204/2004 della Corte costituzionale”.

[40] A. Nicolussi – F. Zecchin, La natura relazionale della responsabilità «pre-provvedimentale» della pubblica amministrazione. autorità e affidamento, in Europa e Diritto Privato, 4/ 2021, pagg. 791  e segg.

[41] In argomento, nello stesso senso, sia consentito il rinvio a G. Tulumello, Le Sezioni Unite e il danno da affidamento procedimentale: la “resistibile ascesa” del contatto sociale, cit.: “Anche colui che avanzi una pretesa illegittima vanta certamente un diritto a che l’amministrazione si comporti nel procedimento secondo buona fede: ma i rimedi al danno da procedimento inutilmente lungo sono già scolpiti nell’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990, mentre l’atteggiamento “ondivago” in sé non rappresenta una ulteriore forma di deviazione dal canone della correttezza, essendo del tutto iure (in quanto conforme al paradigma normativo che regola il procedimento amministrativo) che l’amministrazione ponga in essere condotte suscettibili di suscitare aspettative non riscontrate nel provvedimento finale”.

[42] Più precisamente il concetto di giusta causa di rottura, di giustificato motivo, sono suscettibili di concretezza solo su questa base in cui l’ordinamento configura l’esercizio del proprio potere essenzialmente libero, ma considera anche la frattura di un iter in cui sono rilevanti spese, affidamenti, tempo, occasioni perdute” [ S(alvatore). Romano, voce Buona fede (dir. priv.), cit., pag. 682].

[43] Le preoccupazioni per tale rischio, prospettate in G. Tulumello, Le Sezioni Unite e il danno da affidamento procedimentale: la “resistibile ascesa” del contatto sociale, cit., non sono condivise da G.D. Comporti (Giurisdizione ordinaria e amministrativa – la responsabilità relazionale a tutela degli affidamenti dei cittadini, in Giur. It., 2020, II, 2530 e segg.), il quale osserva – in una prospettiva forse eccessivamente sollevata dalla realtà del fenomeno burocratico – che “Poiché simili rischi sono in generale affrontati proprio attraverso uno sforzo di obiettivizzazione delle fattispecie rilevanti sul piano dei rimedi, è dunque più verosimilmente immaginabile che la funzione preventiva che si associa allo schema di responsabilità prospettato e che abbraccia, ben oltre l’affidamento delle parti del rapporto amministrativo, anche “l’interesse della società alla conservazione delle risorse” di cui dispone, determinerà un innalzamento del livello di attenzione impiegato dalla burocrazia nella conduzione dei procedimenti amministrativi, nella (ritrovata) consapevolezza che il problema non è astenersi dal decidere per non (rischiare di) tenere condotte di favore verso chicchessia ma recuperare nel consapevole, diretto e obiettivo confronto con i fatti del problema  un rassicurante e vivificante fattore di legittimazione della scelta più adatta e, quindi, il più razionale ed efficace scudo contro i rischi fisiologicamente legati all’esercizio della funzione pubblica”.

[44] S(alvatore). Romano, voce Buona fede (dir. priv.), cit., pag. 682.