UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “SAPIENZA” DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PUBBLICO COMPARATO E INTERNAZIONALE – Curriculum Diritto Amministrativo Europeo dell’Ambiente
Resoconto del seminario del 17 Giugno 2021.
Prefetto Stefano Laporta
(Presidente di ISPRA e SNPA)
L’incontro di studi tenutosi il 17 giugno 2021, nell’ambito del ciclo di seminari organizzati dal curriculum di diritto amministrativo europeo dell’ambiente del dottorato in Diritto Pubblico, Comparato e Internazionale, ha ospitato il Prefetto Stefano Laporta, presidente dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e del Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale (SNPA).
I temi affrontati nel corso del seminario hanno riguardato i meccanismi di funzionamento del sistema di governance ambientale del Paese. In primo luogo, è stata presentata una ricostruzione dell’evoluzione sul piano giuridico della materia ambientale all’interno dell’ordinamento nazionale, tenendo debitamente conto della giurisprudenza costituzionale. Sulla base di tali premesse, sono stati in seguito delineati i tratti caratterizzanti del SNPA, che, insieme al Servizio Nazionale di Protezione Civile, costituisce un modello di amministrazione a rete federato e federale, che consente un’efficace integrazione tra livello centrale e regionale. Le peculiarità di tale sistema di governance rendono dunque tale amministrazione un modello particolarmente virtuoso anche in un’ottica comparata sul piano europeo. Il tema presenta peraltro, come osservato, rilevanti profili di attualità dal momento che, nell’ambito delle esigenze relative al rispetto degli impegni sottoscritti a livello europeo e internazionale e dell’assoluta centralità acquisita dal tema ambientale all’interno delle nuove politiche pubbliche di investimento, le amministrazioni pubbliche, e in particolare il SNPA, rivestiranno un ruolo di focale importanza nel rispondere a tali sfide. Il dibattito e le riflessioni, anche di ordine scientifico, non possono pertanto che rivolgersi, tra i vari aspetti, anche ai profili relativi alla distribuzione delle competenze e alle organizzazioni e articolazioni di governo, stante la necessità di un’adeguata coerenza complessiva in grado di soddisfare le esigenze sottese ai processi decisionali e attuativi relativi a tali programmi di investimento.
Nell’ambito delle considerazioni preliminari, è stata opportunamente ricordata l’assenza all’interno del testo costituzionale di un riconoscimento anche solo formale della materia ambientale, avvenuto solo con la riforma costituzionale del Titolo V del 2001 benché con esclusivo riferimento alla ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni. A tal proposito, è stata sottolineata l’importanza del disegno di legge costituzionale per la riforma degli art. 9 e 41 della Costituzione[1], riconoscendone le potenziali positive ricadute sul piano dei diritti e della relativa tutela giurisdizionale, non solo con riferimento alla giustizia amministrativa, ma anche a quella civile[2] e penale[3].
L’assenza di un esplicito riferimento alla materia ambientale nella legge fondamentale non aveva tuttavia impedito il Giudice delle Leggi di dedurne la caratura di valore costituzionale, attraverso un’interpretazione integrata degli art. 2, 9 e 32 del testo costituzionale. Nello specifico, anche grazie ad una progressiva diffusione della sensibilità ambientale, l’ambiente è stato riconosciuto dalla Corte costituzionale come 99un bene giuridico riconosciuto e tutelato da norme::, la cui tutela costituisce 99un diritto fondamentale della persona umana::, oltre che 99un valore costituzionale primario::[4] dal carattere trasversale che deve essere sempre preso in considerazione e integrato con tutte le politiche e azioni di governo[5].
A seguito della richiamata riforma costituzionale del Titolo V del 2001, la Corte costituzionale si è pronunciata ulteriormente, precisando che l’ambiente, benché costituisca oggetto di competenza esclusiva statale, non può che considerarsi una materia trasversale, tutt’altro che circoscritta, che si intreccia inestricabilmente con altre materie di competenza concorrente e regionale[6]. In siffatto quadro di distribuzione di competenze, dunque, mentre allo Stato spetta la definizione dei livelli adeguati e non riducibili di tutela, le Regioni regolano la fruizione dell’ambiente nel rispetto di siffatti limiti[7].
A partire dal dettato costituzionale e dagli orientamenti della giurisprudenza costituzionale, il legislatore ha approvato la legge 28 giugno 2016, n. 132[8], istituendo il Sistema Nazionale di Protezione Ambientale al fine di far confluire all’interno di un unico sistema di amministrazione reticolare l’ISPRA[9] e le agenzie regionali di protezione ambientale[10]. L’obiettivo di tale legge è dunque di conciliare, attraverso un sistema amministrativo reticolare, da un lato le esigenze di coordinamento del governo tecnico-scientifico della materia ambientale e dall’altro gli aspetti legati alla territorialità, le informazioni e i dati ambientali di base e locali a disposizione delle agenzie regionali. La necessità sottesa a tale intervento riformatore era dunque di scongiurare forme di disomogeneità regionale relative al controllo dello stato dell’ambiente del territorio e, conseguentemente, al livello di tutela garantito. Nel quadro di questa significativa riforma del sistema complessivo di controllo ambientale, il legislatore è pertanto intervenuto costruendo un innovativo modello di organizzazione amministrativa, senza alterare gli equilibri tra i diversi livelli di governance con meccanismi di dipendenza funzionale delle agenzie regionali rispetto ad ISPRA[11].
Sulla base dell’art. 117, comma 2, lett. m) e s), Cost.[12] e analogamente a quanto era stato disposto nel settore sanitario[13], il legislatore ha individuato lo strumento operativo funzionale a siffatta uniformità nei livelli essenziali di prestazione tecnica ambientale (LEPTA), che costituiscono un punto essenziale della riforma del 2016. Nel dettaglio, si tratta di 99parametri funzionali, operativi, programmatici, strutturali, quantitativi e qualitativi:: che le agenzie regionali sono tenute a rispettare nell’erogazione delle prestazioni di loro competenza[14]. La centralità di questi ultimi si evince anche dalle disposizioni dell’art. 7, co. 4, l. n. 132/2016, ai sensi del quale, lo svolgimento di ulteriori attività istituzionali da parte delle agenzie regionali rimane consentito, purché non interferisca con il conseguimento dei LEPTA.
La determinazione dei LEPTA non costituisce tuttavia il singolo strumento normativo riconosciuto dal legislatore per assicurare l’omogeneità delle prestazioni tecniche di controllo e valutazione ambientale nel Paese. Difatti, al fianco di questi ultimi, è possibile richiamare il regolamento sulle attività ispettive ex art. 14[15] e le molteplici attività definite dall’art. 3, co. 1, l. n. 132/2016, tra cui, in particolare, la predisposizione di programmi di educazione ambientale e di partecipazione ai sistemi nazionali e regionali di protezione civile[16]. Un ulteriore strumento normativo finalizzato ad assicurare omogeneità di intervento è inoltre il Sistema informativo nazionale ambientale, predisposto dall’ISPRA, che, avvalendosi dei poli territoriali costituiti da punti focali regionali (PFR), cui concorrono i sistemi informativi regionali ambientali (SIRA), costituiscono, insieme, la rete informativa nazionale ambientale (SINANET)[17]. Al fine di armonizzare i sistemi di conoscenza, monitoraggio e controllo delle matrici ambientali[18], il SNPA è altresì responsabile della predisposizione di una rete nazionale di laboratori che si occupano di analisi ambientali.
Sul piano della governance interna, il SNPA è dotato di un regolamento di funzionamento che prevede l’istituzione di Tavoli istruttori del Consiglio SNPA (TIC), quali articolazioni del Consiglio aventi il compito di istruire, approfondire e articolare gli elementi necessari ad assumere le decisioni formali e/o ad adottare gli atti necessari in relazioni alle finalità di cui alla l. n. 132/2016[19]. Con riferimento invece alle risorse umane, il Sistema è dotato complessivamente di 10.000 unità, con un numero di operatori ambientali pari a 1,65 ogni 10.000 abitati, che rimane un quantitativo esiguo rispetto alle complesse e numerose competenze assegnate dalla riforma del 2016.
Una particolarità di ordine strettamente giuridico che va tuttavia puntualizzata è che il SNPA, ideato e strutturato come un organismo a rete di raccordo tecnico-scientifico, non è stato dotato di personalità giuridica. Tale mancato riconoscimento, come osservato, costituisce attualmente una fonte di significative problematicità con riferimento non solo a quelle previsioni legislative che subordinano il rilascio di provvedimenti amministrativi autorizzatori al parere del sistema, ma anche alle delibere delle agenzie regionali e del Ministero della Transizione Ecologica che vengono emanate sulla base delle delibere del Sistema, che ne costituiscono gli atti presupposti.
Nelle considerazioni conclusive dell’incontro, è stata infine ribadita la centralità del ruolo del SNPA nello sviluppo delle politiche pubbliche di investimento per la ripresa del Paese. Con riferimento ad esempio alle procedure di bonifica dei siti contaminati e la riconversione dei siti industriali da poter destinare alla realizzazione dei progetti individuati nel PNRR, viene espressamente riconosciuta dall’art. 37 del d.l. 31 maggio 2021, n. 77[20], la competenza del SNPA, insieme all’Istituto Superiore di Sanità, a valutare le condizioni dei siti. La ferma consapevolezza espressa dall’ospite, in termini conclusivi, è dunque che nella ripresa, verso la quale le forze del Paese verranno canalizzate, i fondamentali non possano calpestati. Nel pur necessario soddisfacimento delle esigenze dettate dalla semplificazione dei processi amministrativi, il servizio di controllo pubblico ambientale e le conseguenti misure di tutela non possono che continuare a configurarsi come un aspetto fondamentale della decisione pubblica per una (ri)costruzione resiliente ai rischi che espongono il territorio