di Massimo Asaro
Abstract: the legislation regarding the prevention of the spread of the SARS-CoV-2 virus in the educational context is in the form of binding regulations aimed at the recommencement of teaching activities in person. The regulations apply both to the dispensing of services and to working relationships, about which some considerations can already be made.Sommario: 1. Premessa, 2. Il decreto-legge n. 111/2021, 3. Spigolature.
1. Premessa. Con il d.l. 06 agosto 2021, n. 111, recante Misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti, il cui iter di conversione inizia dalla Camera dei Deputati (A.C. 3264), il legislatore ha approntato una risposta diversa, precisamente opposta, rispetto a quella adottata nel primo contesto[1]. Inizialmente infatti, erano state sospese, dal 5 marzo 2020, su tutto il territorio nazionale, le attività didattiche in presenza relative all’anno scolastico 2019/2020 nei servizi educativi per l’infanzia e nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché quelle relative all’anno accademico 2019/2020 nelle università e nelle istituzioni AFAM; al contempo, era stata attivata la didattica a distanza[2]. Le mutate condizioni di contesto, soprattutto conseguenti alla realizzazione del piano vaccinale, avviata alla fine del 2020[3], hanno consentito al legislatore di fare scelte diverse. Relativamente alla competenza legislativa, la Corte costituzionale, con la sentenza del 24 febbraio 2021 n. 37 ha fornito alcuni primi chiarimenti sul riparto tra lo Stato e le regioni sugli interventi di contenimento e contrasto della pandemia, in particolare riconducendo il quadro delle misure di contrasto alla competenza esclusiva statale in materia di profilassi internazionale di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera q), della Costituzione[4].
2. Il decreto-legge n. 111/2021. Le norme di interesse, sia per gli effetti che per le criticità, sono quelle contenute nell’art. 1, comma 6, con cui, tra l’altro, è stato inserito un art. 9-ter nel d.l. 22 aprile 2021, n. 52, conv. con modif., dalla l. 17 giugno 2021, n. 87; esse riguardano da un lato l’erogazione dei servizi e dall’altro gli obblighi per il personale dipendente, docente e non docente, e per gli studenti. La novità legislativa ha generato perplessità applicative e reazioni sulle quali si è pronunciato il Giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 56 del Codice del processo amministrativo (c.p.a.), offrendo elementi utili a orientare l’interprete, già stressato dall’applicazione della lunga e articolata produzione del 2020[5], di questa nuova legislazione emergenziale[6], ancora non stabilizzata. La disposizione non impone un espresso obbligo vaccinale[7] per il personale scolastico/universitario, obbligo invece previsto per il personale esercente le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario[8], ma stabilisce una condizione essenziale per la prestazione lavorativa in presenza. Le certificazioni verdi COVID 19 sono disciplinate con i regolamenti UE 2021/953 e 2021/954 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021. Tale normativa è stata approntata al fine di agevolare gli spostamenti tra Stati membri e risolvere i problemi relativi agli spostamenti tra Stati e alle sole questioni transfrontaliere. In Italia le certificazioni verdi sono disciplinate dall’art. 9 del d.l. 52/2021 cit.. L’art. 4 del d.l. n. 105/21 ha effettuato il raccordo tra legislazione nazionale e normativa europea stabilendo che che: “Le disposizioni dai commi da 1 a 8 continuano ad applicarsi ove compatibili con i regolamenti UE 2021/953 e 2021/954 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021”. Tali certificazioni attestano la vaccinazione[9] contro il Covid-19 o la guarigione dalla medesima malattia o l’effettuazione di un test molecolare o di un test antigenico rapido, con risultato negativo (con riferimento al virus SARS-CoV-2)[10], e rilevano esclusivamente per specifici fini, stabiliti dal legislatore. La certificazione verde non ha equipollenti.
Un primo provvedimento è stato adottato dal Presidente della Prima Sezione del TAR del Lazio (24 agosto 2021, n. 4453), che ha negato la concessione della misura urgente richiesta dai ricorrenti in ragione del fatto che il ricorso era volto ad aggredire direttamente un atto normativo di rango primario, legislativo, per cui non sussiste la giurisdizione del Giudice amministrativo[11] (art. 7 c.p.a.). La giurisdizione del Giudice amministrativo invece sussiste (art. 113 Cost.) per gli atti regolamentari e per quelli amministrativi generali[12] (di indirizzo o applicativi) che le PP.AA. possano adottare al fine di dare attuazione alla legislazione (art. 4, primo comma, lett. a) del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165)[13]. Al momento del ricorso le PP.AA. evocate in giudizio, tra le quali il Ministero dell’Istruzione, non avevano adottato alcun atto applicativo dell’art. 1 del citato decreto legge.
Successivamente, il Presidente della Sezione Terza-bis del TAR Lazio si è pronunciato sulla richiesta (2 settembre 2021, nn. 4531 e 4532, di identico contenuto) di due misure cautelari monocratiche a seguito dei ricorsi proposti contro alcuni provvedimenti attuativi (protocolli, circolari applicative, note informative etc.), ad efficacia interna[14], del suddetto decreto legge adottati dal Ministero dell’Istruzione per l’avvio dell’anno scolastico 2021/2022 e contenenti regole di comportamento per il personale dipendente. Su tali provvedimenti applicativi generali il Giudice amministrativo ha riconosciuto la propria giurisdizione e, nell’affrontare leviter i motivi di ricorso, ha espresso alcune valutazioni sull’essenza della normativa.
3. Spigolature. Iniziando l’analisi dagli obiettivi dichiarati, anche a sostegno dell’urgenza di provvedere con decreto, il legislatore stabilisce che:
a) i servizi educativi per l’infanzia, l’attività scolastica e didattica della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado “sono svolti in presenza”; perciò non sono consentite forme alternative (come la didattica a distanza et similia), salvo specificità connesse a necessità individuali nei casi previsti dalla normativa vigente;
b) le attività didattiche e curriculari delle università “sono svolte prioritariamente in presenza”; la disposizione contiene una norma molto meno restrittiva della precedente, considerato anche che nella formazione universitaria non contiene cicli obbligatori, diversamente da quella scolastica che è composta anche da cicli obbligatori.
Dalle suesposte finalità, discende la definizione dall’ambito di applicazione delle misure -cautelative/preventive- individuate dal legislatore: esse riguardano il personale e gli studenti che svolgano la propria attività lavorativa[15] o didattica all’interno delle strutture educative/scolastiche/universitarie. Per l’aspetto soggettivo la dicitura è necessariamente atecnica, avendosi a riferimento il “personale scolastico e universitario”, che comprende chiaramente il personale dipendente di scuole e atenei (e quello di altri enti che prestino servizio in posizione di comando, assegnazione temporanea, convenzione etc.) ma può comprendere anche il personale non strutturato con rapporto di lavoro autonomo (assegnisti di ricerca, collaboratori alla ricerca, professori a contratto etc.); certamente non comprende invece il personale dipendente delle ditte appaltatrici nei casi di servizi esternalizzati (custodia, portierato, pulizie, assistenza tec.). La rubrica dell’art. 1 stabilisce “Disposizioni urgenti per l’anno scolastico 2021/2022 e misure per prevenire il contagio da SARS-CoV-2 nelle istituzioni del sistema nazionale di istruzione e nelle università” e, in coerenza con ciò, il sesto comma, nel modificare un’altra disposizione, fa riferimento “&nell’erogazione in presenza del servizio essenziale di istruzione&“. Nei casi di lavoro agile o di didattica a distanza, nei limiti in cui essi siano consentiti dalla normativa vigente, le disposizioni dell’art. 1 non trovano applicazione.
Riguardo alle disposizioni relative alla prestazione lavorativa del personale dipendente, scolastico e universitario, il possesso della certificazione verde da parte del lavoratore è funzionale allo all’accesso nel luogo di lavoro (in sede) per eseguire la prestazione, dunque è un requisito idoneativo soggettivo[16], peraltro stabilito imperativamente dalla legge e non individuato dal datore di lavoro. Tale requisito è ottenibile dal lavoratore direttamente, senza la mediazione del datore di lavoro che, in questo caso, non ha un dovere o onere di attivarsi ai fini della sicurezza e della salute del lavoratore[17]; il datore di datore è obbligato al controllo sui lavoratori e, in generale, a rispettare la normativa anticontagio. Similmente, per gli studenti si tratta di un requisito idoneativo per l’accesso agli immobili[18]. La mancanza della certificazione comporta per i lavoratori alcune conseguenze individuate secondo una gradualità crescente su due livelli:
- per i primi quattro giorni, lo strumento dell’assenza ingiustificata. Sull’aspetto retributivo, sul quale il legislatore sembra non esprimersi con la chiarezza necessaria[19] (lasciando tuttavia intendere la compensabilità, diversamente da quanto previsto per il quinto giorno e i successivi), il TAR non censura quanto espresso dal Ministero secondo il quale la retribuzione non spetta in ogni caso in cui la prestazione non sia effettuata dal lavoratore (dunque anche nei primi quattro giorni, prima della sospensione), per il rispetto del sinallagma[20]. A tale proposito, la norma stabilisce poi che l’assenza sia “ingiustificata” ma non ingiustificabile, perciò può ritersi ammissibile la copertura dell’assenza con strumenti compatibili (smaltimento plusorario, permessi da recuperare, ferie, etc.), essendo nei primi quattro giorni il rapporto non sospeso[21].
- dal quinto giorno, lo strumento della sospensione dal rapporto, espressamente senza retribuzione e dunque senza contribuzione previdenziale (riconducibile alle forme di congedo o aspettativa senza assegni/contributi, previsti dalla legge per il personale in regime di diritto pubblico e/o dal CCNL per il personale contrattualizzato, in deroga ai relativi limiti temporali, non riconducibile alla sospensione disciplinare). La sospensione congela reciprocamente gli obblighi prestazionali e dovrebbe durare fino a quando il dipendente dimostri di essere in possesso del requisito di idoneità per la prestazione lavorativa in presenza.
Relativamente ai controlli datoriali, la normativa primaria e gli atti da questa richiamati sono autosufficienti, non essendo indispensabile un nuovo DPCM, potendosi far riferimento dal DPCM del 17 giugno 2021; tuttavia nelle scuole (non negli atenei) è stato approntato un sistema semplificato nazionale di controllo della certificazione, mediante strumentazione elettronica, i cui passaggi sono stati validati dal Garante per la protezione dei dati personali con un parere del 31 agosto 2021[22].
Riguardo infine all’aspetto maggiormente critico, ossia l’invocato rischio per la salute del lavoratore a seguito della vaccinazione, i ricorrenti hanno invocato il diritto alla salute, sub specie del diritto a non vaccinarsi[23]. L’argomento è complesso, dato che la rilevanza della tutela della salute è, come noto, ambivalente e si esplica sia nella tutela individuale della persona che nella tutela generale della collettività; su tale punto il TAR, molto sommariamente, ha indicato che:
- il diritto alla salute non è intangibile, e su questo molto è stato scritto[24];
- la certificazione verde è ottenibile con modalità alternative (tampone) che lasciano al dipendente un’opzione diversa dal vaccino.
Pisa, 3 settembre 2021.
Massimo Asaro, avvocato pubblico, specialista in Scienza delle autonomie costituzionali.