L’impatto della blockchain sull’ambiente. Il caso della Crypto art

A cura di Mauro Beraldi

L’impatto della blockchain sull’ambiente. Il caso della Crypto art

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “SAPIENZA”

DOTTORATO DI RICERCA

IN

DIRITTO PUBBLICO COMPARATO E INTERNAZIONALE

– Curriculum Diritto Amministrativo Europeo dell’Ambiente –

Resoconto del seminario del 18 marzo 2022:

Avv. Giulia Parenti

L’impatto della blockchain sull’ambiente. Il caso della Crypto art

 

L’incontro di studi tenutosi il 18 marzo 2022, nell’ambito del ciclo di seminari organizzati dal curriculum di diritto amministrativo europeo dell’ambiente del dottorato in Diritto Pubblico, Comparato e Internazionale, ha ospitato l’Avv. Giulia Parenti, esperta in blockchain.

Il tema affrontato nel corso del seminario ha riguardato una delle possibili applicazioni della suddetta tecnologia, consistente nella c.d. “Crypto art”. È stata, innanzitutto, fornita una definizione di tale fenomeno, quale “arte certificata dagli NFT”. In estrema sintesi, gli NFT (Non Fungible Token) sono delle cartelle contenenti informazioni quali data di creazione, link all’opera, autore, descrizione dell’opera e acquirente. Gli NFT vengono creati e autenticati attraverso un processo detto “minting”. Il token contenente tali informazioni è poi memorizzato sul registro elettronico blockchain che è sicuro, criptato e non tracciabile, essendo i dati in esso immessi non soggetti ad alterazione.

Le opere digitali così realizzate vengono vendute e acquistate mediante l’utilizzo di criptovalute, avvalendosi di piattaforme digitali quali SuperRare, Nitty Gateway o Hashmasks.

Per comprendere la rilevanza economica del fenomeno, sono stati riportati alcuni esempi particolarmente significativi: l’opera dell’artista Mike Winkelmann, in arte Beeple, intitolata “Everyday, the first 5000 days 2021”, che è sostanzialmente un file in formato JPEG, è stata acquistata per 69,3 milioni di dollari.

Tale transazione ha reso Beeple l’autore vivente che ha venduto la terza opera più costosa di sempre dopo Jeff Koons e David Hockney.

Con gli NFT, in sostanza, viene garantita la certificazione di autenticità e unicità dell’opera, dunque ogni NFT non è duplicabile ed è prodotto in copia singola, salvo il caso delle “edizioni limitate”; conseguentemente, all’atto di acquisto si ottiene la proprietà digitale dell’opera, evitando eventuali contraffazioni nonostante la stessa rimanga accessibile a tutti.

Emerge così una nuova categoria di opere: le opere dell’ingegno digitali, in esemplare unico o in edizione limitata, il cui valore è determinato proprio dall’unicità e dell’autenticità.

Chiariti i tratti essenziali della blockchain e della Crypto art, ne è stato messo in luce l’impatto ambientale. La tecnologia utilizzata, infatti, tanto nella fase di creazione e autenticazione dei token, quanto nella successiva validazione delle singole transazioni, dà luogo a un elevato dispendio energetico.

Le singole transazioni vengono realizzate attraverso un protocollo denominato Proof of Work, che richiede l’impiego di dispositivi ad elevata potenza di calcolo con un correlato dispendio di energia elettrica e conseguente emissione di enormi quantitativi di CO2.

Memo Atken, artista e tecnologo creativo di origini turche, ha condotto un’analisi[1] su tale profilo, focalizzando l’attenzione sulla piattaforma Ethereum. Secondo i dati rilevati, il consumo di energia elettrica che deriva da una singola transazione è pari a circa 35 kWh, l’equivalente di energia elettrica che un singolo cittadino europeo consuma in circa quattro giorni. Su SuperRare, altra piattaforma particolarmente diffusa, il dispendio energetico è addirittura maggiore: le singole transazioni consumano in media 82 kWh con emissioni di 48 kg di CO2.

Dall’analisi svolta dall’artista è emerso, in sintesi, che un solo NFT costa circa 340 kWh, con corrispondente emissione di 211 kg di CO2. I dati così rilevati sono paragonabili all’energia elettrica utilizzata da un cittadino europeo in un mese, all’utilizzo di un pc per tre anni, a un viaggio in auto di 1000 km o a un volo aereo di due ore.

Per comprendere la portata del fenomeno complessivamente considerato, basti sapere che per tutti gli NFT analizzati nella ricerca condotta da Memo Atken, sono state spese, in totale, 3,8 milioni di tonnellate di CO2: l’equivalente di 37 mila ore di volo o al consumo elettrico di un cittadino europeo per duemila anni.

Alcuni artisti hanno pubblicato sulla rivista Flash Art un manifesto[2] e hanno inoltre creato il sito web www.cryptoart.wtf per denunciare l’impatto ambientale di tale fenomeno, indicando il consumo energetico relativo a singole opere d’arte, anche al fine di colmare il grave deficit di trasparenza relativo a tale tematica.

Nelle considerazioni conclusive dell’incontro, è stato posto l’accento sulla necessità di individuare delle soluzioni per limitare gli effetti dannosi per l’ambiente di un fenomeno ormai in larga diffusione.

Tra le possibili soluzioni, la principale consiste nel superamento dell’algoritmo Proof of Work, da sostituire con sistemi alternativi e meno impattanti quali il Proof of Stake (PoS) o il Proof of Space – Time (PoST). Tali soluzioni, invero già adottate da alcune piattaforme, ma non da quelle maggiormente in uso, consentirebbero di ridurre l’impatto ambientale

In particolare il PoS consentirebbe di ridurre l’impatto ambientale del 99%, sfruttando un processo differente per la convalida delle transazioni. Si tratta comunque di un algoritmo crittografico, ma il suo funzionamento consente più alta scalabilità delle transazioni e un minor consumo energetico.

Il PoST consente invece di ridurre i passaggi del mining e l’impatto ambientale, sfruttando lo spazio disponibile su hard disk e SSD e riducendo, dunque, l’impiego di tecnologia cloud based.

Alcuni artisti, particolarmente sensibili alla sostenibilità ambientale dei propri lavori, come Damien Hirst, hanno scelto di mettere in vendita le proprie opere su piattaforme che si avvalgono proprio di tali sistemi[3].

Altri artisti hanno invece ritenuto di dover prendere una posizione di netto sfavore nei confronti degli NFT: Salvatore Garau, ad esempio, ritiene che il costo ambientale sia così alto da costringerlo a rinunciare alla produzione di tali opere.

Secondo Roger Huang, esperto di blockchain, sarebbe necessario individuare delle soluzioni facendo riferimento ad esperienze virtuose, come quella della provincia cinese di Sichuan, dove viene sfruttata la sovra-capacità elettrica al fine di impiegare nel settore energia a bassissimo costo, già prodotta, che altrimenti andrebbe sprecata.

L’Avv. Tamara Belardi, esperto di blockchain presso il M.I.S.E., ritiene che i pregiudizi sull’impatto ambientale dell’algoritmo Proof of Work siano spesso infondati. L’algoritmo PoW, infatti, rimane quello maggiormente idoneo a garantire sicurezza, decentralizzazione e immutabilità di un sistema distribuito; nella maggior parte dei casi, inoltre, l’energia utilizzata per la blockchain proviene da fonti rinnovabili.

Vi sono comunque vari enti e organizzazioni del settore che hanno lo scopo di affrontare l’impatto ambientale della Crypto art.

Ad esempio, il Crypto Climate Accord, ispirato all’Accordo di Parigi, si ripropone l’obbiettivo della decarbonizzazione delle criptovalute in genere entro il 2030.

Di recente, inoltre, dall’incontro di volontà da parte dei principali miners di bitcoin nel Nord America è nato il Bitcoin Mining Council, che mira alla promozione della trasparenza all’interno della blockchain e alla diffusione dell’uso di energie rinnovabili nel settore.

 In ogni caso, ad avviso della relatrice, sarebbe da incentivare la transizione ad altri algoritmi. In tal senso, il passaggio di Ethereum, la piattaforma più diffusa, a un protocollo meno energivoro quale il PoS – attualmente previsto per il prossimo luglio – potrebbe effettivamente fornire uno stimolo alle altre piattaforme.

Un ruolo importante nel tentativo di riduzione dell’impatto ambientale della blockchain spetta poi agli strumenti fiscali, mediante l’introduzione di significative forme di tassazione nei confronti delle piattaforme che si avvalgono dei protocolli più impattanti.

Le soluzioni sin qui adottate, comunque, non paiono soddisfacenti.

Lo Stato di New York, ad esempio, ha espresso la volontà di vietare temporaneamente il mining di Bitcoin approvando, finora, solo un disegno di legge.

In Cina, inoltre, si è limitato il mining attraverso una riduzione della capacità delle istituzioni finanziarie di trattare le valute digitali: ciò ha comportato comunque una fuga dei miners in altri Stati, dove l’estrazione era comunque consentita a costi più competitivi.

Tali soluzioni, in sostanza, rivelano una profonda inefficienza dovuta all’assenza di forme di cooperazione internazionale. Pur ritenendo imprescindibile il ricorso allo strumento fiscale, sarebbe in ogni caso necessario differenziare la tassazione in base al luogo di estrazione, posto che in alcuni Paesi, come l’Islanda, l’energia utilizzata proviene principalmente da fonti rinnovabili.

[1] M. Atken, “The Unreasonable Ecological Cost of #CryptoArt (Part 1)”, disponibile al seguente linkhttps://memoakten.medium.com/the-unreasonable-ecological-cost-of-cryptoart-2221d3eb2053

[2]Episode V. Toward a New Ecology of Crypto Art: A Hybrid Manifesto”, disponibile al seguente linkhttps://flash—art.com/2021/02/episode-v-towards-a-new-ecology-of-crypto-art/

[3] M. F. Simeone, “Damien Hirst vende migliaia di opere NFT su una nuova blockchain green”, disponibile al seguente linkhttps://www.exibart.com/arte-contemporanea/damien-hirst-vende-migliaia-di-opere-nft-su-una-nuova-blockchain-green/