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CORTE COSTITUZIONALE - 32 - 4 febbraio 1993 - Pres. Casavola, Red.
Mengoni - Segni ed altri (avv.ti Barile, Lipari e Onida)
Elezioni - Senato della Repubblica - Sistema elettorale -
L. n. 29 del 1948 - Referendum abrogativo - Ammissibilità.
Sono assoggettabili a referendum abrogativo anche le leggi elettorali, relative
ad organi costituzionali, alla duplice condizione che i quesiti siano omogenei,
riconducibili ad una matrice unitaria e che la residua normativa, immediatamente
applicabile, possa garantire, nell'eventualità di inerzia legislativa, la costante
operatività dell'organo; pertanto, è ammissibile la richiesta di referendum popolare
della L. 6 febbraio 1948 n. 29, recante norme per l'elezione del Senato della Repubblica,
che tende ad eliminare il quorum del 65% dei voti, richiesto per l'elezione, e a
sostituire il sistema attuale con un sistema misto, prevalentemente maggioritario con
unico turno e proporzionale per circa il 25% dei seggi, poiché pur potendo la normativa
di risulta, in caso di esito positivo del referendum, dar luogo ad inconvenienti, questi
non sarebbero tali da paralizzare la funzionalità dell'organo.
Sono assoggettabili a referendum popolare anche le leggi
elettorali relative ad organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, alla duplice
condizione che i quesiti siano omogenei e riconducibili ad una matrice razionalmente
unitaria, e ne risulti una coerente normativa residua, immediatamente applicabile, in
guisa da garantire, pur nell'eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività
dell'organo. Quando siano rispettate tali condizioni, è di per sé irrilevante il modo di
formulazione del quesito, che può anche includere singole parole o singole frasi della
legge prive di autonomo significato normativo, se l'uso di questa tecnica è imposto
dall'esigenza di " chiarezza, univocità e omogeneità del quesito " e
di " una parallela lineare evidenza delle conseguenze abrogative ",
sì da consentire agli elettori l'espressione di un voto consapevole (sent. N. 47 del
1991).
Il fine intrinseco dell'atto abrogativo proposto e le
conseguenze dell'abrogazione sono apprensibili con chiarezza e compiutezza dal primo
quesito, concernente l'art. 17 comma 2 l. n. 29 del 1948, nel testo modificato dalla l. n.
33 del 1992. Fine intrinseco è l'eliminazione del quorum del 65% dei voti validi
prescritto nell'inciso finale per la proclamazione dell'eletto nel Collegio, che finora ha
reso di fatto inoperante, tranne in uno o due casi isolati, il criterio maggioritario
enunciato nella prima parte del comma; conseguenza dell'abrogazione è la sostituzione del
sistema attuale con un sistema misto prevalentemente maggioritario, e precisamente
maggioritario con unico turno per i 238 seggi da assegnare nei Collegi, proporzionale per
i restanti 77 seggi aggiuntivi (pari a circa il 25% del totale di 315).
Le ulteriori modifiche alla l. n. 29 del 1948, proposte in
ordine agli artt. 18 e 19, sono strettamente conseguenziali all'abrogazione parziale
dell'art. 17 comma 2 nei termini e con gli esiti suddetti.
La normativa di risulta può dar luogo ad inconvenienti, ad esempio per ciò
che riguarda, da un lato, la diseguale proporzione in cui l'uno e l'altro sistema di
elezione sarebbero destinati ad operare nelle singole Regioni, dall'altro - fermi restando
gli artt. 9 comma 2, 28 l. m. 29 del 1948 - gli effetti che il passaggio al sistema
maggioritario semplice determina in caso di ricorso alle elezioni suppletive, secondo la
l. 14 febbraio 1987, n. 31, al fine di ricoprire i seggi rimasti vacanti per qualsiasi
causa, e in particolare per effetto di eventuali opzioni effettuate da candidati eletti in
più Collegi o eletti contemporaneamente al Senato e alla Camera dei deputati. Ma questi
aspetti non incidono sull'operatività del sistema elettorale, né paralizzano la
funzionalità dell'organo e pertanto non mettono in causa l'ammissibilità della richiesta
di referendum; nei limiti del divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa
abrogata dalla volontà popolare (sent. n. 468 del 1990), il legislatore potrà
correggere, modificare o integrare la disciplina residua.
REPUBBLICA ITALIANA SENTENZA N. 32
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO ANNO 1993
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente
- Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
- Dott. Francesco GRECO "
- Prof. Gabriele PESCATORE "
- Avv. Ugo SPAGNOLI "
- Prof. Antonio BALDASSARRE "
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO "
- Avv. Mauro FERRI "
- Prof. Luigi MENGONI "
- Prof. Enzo CHELI "
- Dott. Renato GRANATA "
- Prof. Giuliano VASSALLI "
- Prof. Francesco GUIZZI "
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge
costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per
l'abrogazione della legge 6 febbraio 1948, n. 29, recante "Norme per la elezione del
Senato della Repubblica", limitatamente alle seguenti parti:
- Articolo 17
- secondo comma, così come modificato dall'art. 1 della legge 23 gennaio 1992, n. 33,
limitatamente alle parole "comunque non inferiore al 65 per cento del loro
totale";
- Articolo 18
- primo comma, limitatamente alle parole "alla segreteria del Senato, che ne
rilascia ricevuta, qualora sia avvenuta la proclamazione del candidato e, nel caso
contrario,";
- Articolo 19
- primo comma, limitatamente alle parole "o delle comunicazioni di avvenuta
proclamazione";
- secondo comma, limitatamente alle parole "presentatisi nei collegi";
- terzo comma, così modificato dall'art. 1 della legge 28 aprile 1967, n. 262,
limitatamente alla parola "suddetti";
- ultimo comma, limitatamente alla parola "soltanto" nonchè alle parole
"il candidato che in detto collegio ha ottenuto il maggior numero di voti validi,
e", iscritto al n. 50 del Registro Referendum. Viste le ordinanze del 10 e 15
dicembre 1992 con le quali l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di
cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio il Giudice relatore Luigi
Mengoni;
uditi gli avvocati Paolo Barile, Nicolò Lipari e Valerio Onida, per i
presentatori del referendum.
Ritenuto in fatto
1. L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione, in
applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha esaminato
la richiesta di referendum popolare presentata il 16 settembre 1991 da Mariotto Giovanni
Segni, Augusto Antonio Barbera ed altri diciassette cittadini elettori, sui seguenti
quesiti:
<Volete voi che sia abrogata la legge 6 febbraio 1948, n. 29, recante "norme
per l'elezione del Senato della Repubblica", limitatamente alle parti seguenti:
art. 17, secondo comma, limitatamente alle parole "al 65 per cento dei
votanti";
art. 18, primo comma, limitatamente alle parole "alla segreteria del Senato, che
ne rilascia ricevuta, qualora sia avvenuta la proclamazione del candidato e, nel caso
contrario,";
art. 19, primo comma, limitatamente alle parole "o delle comunicazioni di avvenuta
é
0
À0 di avvenuta proclamazione"; secondo comma, limitatamente alle parole
"presentatisi nei collegi"; terzo comma, modificato dall'art. 1 della legge 26
aprile 1967, n. 262, limitatamente alla parola "suddetti"; ultimo comma,
limitatamente alla parola "soltanto" nonchè alle parole "il candidato che
in detto collegio ha ottenuto il maggior numero di voti validi, e">
2. L'Ufficio centrale, verificata la regolarità della richiesta e dopo avere
modificato, con ordinanza del 10 dicembre 1992 - in considerazione della intervenuta legge
23 gennaio 1992, n. 33 - l'oggetto del quesito relativo all'art. 17, secondo comma, della
legge n. 29 del 1948, nei termini seguenti: "comunque non inferiore al sessantacinque
per cento del loro totale", ne ha dichiarato la legittimità, con ordinanza del 15
dicembre 1992.
3. Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di
questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio 1993 per la conseguente deliberazione,
dandone regolare comunicazione.
4. In data 24 dicembre 1992 i presentatori della richiesta di referendum hanno
depositato una memoria a sostegno dell'ammissibilità dello stesso.
Una memoria di intervento è stata depositata anche dal "Comitato per la difesa ed
il rilancio della Costituzione", nella veste di soggetto controinteressato
all'ammissione del referendum proposto.
5. Ad integrazione delle difese scritte, nella camera di consiglio del 13 gennaio 1993
sono stati uditi, per i promotori del referendum, gli avvocati Paolo Barile, Nicolò
Lipari e Valerio Onida.
Considerato in diritto
1. Preliminarmente deve essere dichiarato inammissibile l'intervento del "Comitato
per la difesa ed il rilancio della Costituzione" per le medesime ragioni già
indicate nella sentenza n. 47 del 1991, contro le quali la memoria depositata dal Comitato
non ha addotto nuovi argomenti pertinenti alla questione della legittimazione a
interloquire sulla ammissibilità della richiesta di referendum.
2. Ai fini di tale giudizio occorre prendere le mosse dai criteri elaborati dalla
giurisprudenza di questa Corte, e più specificamente dalle premesse fissate dalla
sentenza ora citata, relativa a una richiesta avente oggetto e finalità analoghi a quella
in esame, ma formulata in termini diversi.
Sono assoggettabili a referendum popolare anche le leggi elettorali relative ad organi
costituzionali o di rilevanza costituzionale, alla duplice condizione che i quesiti siano
omogenei e riconducibili a una matrice razionalmente unitaria, e ne risulti una coerente
normativa residua, immediatamente applicabile, in guisa da garantire, pur
nell'eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività dell'organo.
Quando siano rispettate tali condizioni, è di per sè irrilevante il modo di
formulazione del quesito, che può anche includere singole parole o singole frasi della
legge prive di autonomo significato normativo, se l'uso di questa tecnica è imposto
dall'esigenza di "chiarezza, univocità e omogeneità del quesito" e di
"una parallela lineare evidenza delle conseguenze abrogative", sì da consentire
agli elettori l'espressione di un voto consapevole.
3. Il fine intrinseco dell'atto abrogativo proposto e le conseguenze dell'abrogazione
sono apprensibili con chiarezza e compiutezza dal primo quesito, concernente l'art. 17,
secondo comma, della legge n. 29 del 1948, nel testo modificato dalla legge n. 33 del
1992. Fine intrinseco è l'eliminazione del quorum del 65 per cento dei voti validi
prescritto nell'inciso finale per la proclamazione dell'eletto nel collegio, che finora ha
reso di fatto inoperante, tranne in uno o due casi isolati, il criterio maggioritario
enunciato nella prima parte del comma; conseguenza dell'abrogazione è la sostituzione del
sistema attuale con un sistema misto prevalentemente maggioritario, e precisamente
maggioritario con unico turno per i 238 seggi da assegnare nei collegi, proporzionale per
i restanti 77 seggi aggiuntivi (pari a circa il 25 per cento del totale di 315).
Questa conseguenza si produce necessariamente in base alla disciplina residua dell'art.
17, secondo comma, senza alterare "la sequenza temporale delle operazioni relative
all'assegnazione dei seggi, così come disciplinata nell'art. 19" (cfr. sent. n. 47
del 1991 cit., punto 5 in diritto): il candidato designato dal voto maggioritario è
proclamato eletto
dal presidente dell'ufficio elettorale circoscrizionale, a norma dell'art. 17, prima
dell'inizio delle operazioni regolate dall'art. 19, non, alla fine di queste, dal
presidente dell'ufficio regionale a norma dell'ultimo comma dell'art. 19, come prevedeva
la richiesta referendaria del 1990 dichiarata inammissibile. Il significato normativo
dell'art. 19 viene ridefinito alla stregua di una rilettura della legge che valorizza la
potenziale coerenza funzionale della sua struttura logico-sistematica col principio
maggioritario corretto, in una certa misura, dal principio proporzionale. Con tale
principio non appare incompatibile nemmeno l'art. 9, che prescrive la presentazione delle
candidature "per gruppi ai quali i candidati aderiscono con l'accettazione".
4. Le ulteriori modifiche della legge n. 29 del 1948, proposte in ordine agli artt. 18
e 19, sono strettamente conseguenziali all'abrogazione parziale dell'art. 17, secondo
comma, nei termini e con gli esiti suddetti.
La più importante investe l'art. 19, secondo comma, espungendo l'inciso
"presentatisi nei collegi", il quale determina l'inutilizzabilità, ai fini del
calcolo della cifra elettorale dei singoli gruppi di candidati, di tutti i voti espressi
nei collegi in cui è avvenuta la proclamazione dell'eletto ai sensi dell'art. 17. Nel
sistema risultante dall'abrogazione del quorum del 65 per cento, l'assegnazione di tutti i
238 seggi col criterio maggioritario comporterebbe l'azzeramento dei voti validi espressi
dagli elettori, rendendo impossibile l'assegnazione dei restanti 77 seggi col criterio
proporzionale. La soppressione dell'inciso modifica la regola in guisa da escludere dalla
base di calcolo i soli voti ottenuti dai candidati proclamati eletti nei collegi col
sistema maggioritario.
Tale modifica - oltre a richiedere una lieve correzione formale dell'art. 19, terzo
comma, dove non ha più senso l'aggettivo "suddetti", essendo caduto il suo
referente nel comma precedente - esige a sua volta che, venuta meno l'alternativa del
"caso contrario" prevista nell'art. 18, primo comma, l'incidenza su questa norma
dell'abrogazione del quorum del 65 per cento sia rovesciata nel senso di prevedere in ogni
caso l'invio immediato di un esemplare del verbale delle operazioni dell'ufficio
circoscrizionale all'ufficio regionale, senza di che questo non sarebbe in grado di
calcolare le cifre elettorali di gruppo. Non per ciò il Senato resta escluso da ogni
comunicazione: resta fermo l'obbligo dei presidenti degli uffici circoscrizionali di dare
immediata notizia alla segreteria del Senato dell'avvenuta proclamazione degli eletti col
sistema maggioritario (art. 17, terzo comma).
All'alternativa formulata nell'art. 18, primo comma, è correlata, in termini
invertiti, l'alternativa prevista nell'art. 19, primo comma, la quale, pertanto, deve pure
essere eliminata, non potendo più verificarsi il caso di invio all'ufficio elettorale
regionale soltanto della comunicazione di avvenuta proclamazione ai sensi dell'art. 17,
anzichè di un esemplare del verbale delle operazioni elettorali dell'ufficio
circoscrizionale.
Infine la richiesta in esame provvede coerentemente a modificare l'ultimo comma
dell'art. 19 sostituendo all'attuale fattispecie, che non avrebbe più senso dopo
l'eliminazione del quorum del 65 per cento, l'ipotesi di parità di voti conseguiti dai
candidati più votati in un collegio. Provvede allora alla proclamazione dell'eletto, dopo
gli opportuni accertamenti, il presidente dell'ufficio regionale scegliendo il candidato
più anziano di età.
5. La Corte non si nasconde che la normativa di risulta può dar luogo ad
inconvenienti, ad esempio per ciò che riguarda, da un lato, la diseguale proporzione in
cui l'uno e l'altro sistema di elezione sarebbero destinati ad operare nelle singole
regioni, dall'altro - fermi restando gli artt. 9, secondo comma, e 28 della legge n. 29
del 1948 - gli effetti che il passaggio al sistema maggioritario semplice determina in
caso di ricorso alle elezioni suppletive, secondo la legge 14 febbraio 1987, n. 31, al
fine di ricoprire i seggi rimasti vacanti per qualsiasi causa, e in particolare per
effetto di eventuali opzioni effettuate da candidati eletti in più collegi o eletti
contemporaneamente al Senato e alla Camera dei deputati. Ma questi aspetti non incidono
sull'operatività del sistema elettorale, nè paralizzano la funzionalità dell'organo, e
pertanto non mettono in causa l'ammissibilità della richiesta di referendum. Nei limiti
del divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà
popolare (sent. 468 del 1990), il legislatore potrà correggere, modificare o integrare la
disciplina residua.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per
l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, degli artt. 17, secondo comma, 18, primo
comma, 19, primo, secondo, terzo e ottavo comma, della legge 6 febbraio 1948, n. 29 (Norme
per la elezione del Senato della Repubblica), modificata dalla legge 23 gennaio 1992, n.
33 (Modificazioni alla legge 6 febbraio 1948, n. 29, sulla elezione del Senato della
Repubblica), richiesta dichiarata legittima dall'Ufficio centrale per il referendum presso
la Corte di cassazione con ordinanza del 15 dicembre 1992.