Giust.it

Articoli e note
n. 11-2002.

ANTONIO BARTOLINI
(Ricercatore di diritto amministrativo nella Facoltà
di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia)

Le fondazioni bancarie e gli interventi nei settori di pubblica utilità (*)

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Gli interventi delle fondazioni straniere nei settori di pubblica utilità e loro tipologie di azione: in particolare il grant system - 3. L'adattamento ai modelli stranieri da parte delle fondazioni bancarie ed il prevalere della figura dell'ente complesso-funzionale - 4. Gli interventi di pubblica utilità a seguito della privatizzazione delle fondazioni bancarie: alcune considerazioni di ordine generale - 5. Profili funzionali ed organizzativi delle forme di collaborazione tra fondazioni bancarie ed enti locali - 6. Gli interventi svolti direttamente dalla fondazione tramite le diverse tipologie funzionali - 7. Conclusioni.

  

1) Premessa.

Al fine di comprendere al meglio i profili riguardanti gli interventi delle fondazioni bancarie, si principierà la presente analisi dallo studio delle esperienze straniere, ed in ispecie quella nord americana, dove esiste sicuramente una tradizione più significativa di quella italiana.

Una volta delineate dette coordinate di diritto comparato, si cercherà di vedere come tali modelli siano stati tradotti in pratica dalle nostre fondazioni bancarie.

Bisognerà mettere in evidenza che l'attività degli enti conferenti si va ad innervare in una realtà (ben diversa da quella statunitense), in cui tradizionalmente è il potere pubblico a gestire direttamente e prevalentemente (quasi in una sorta di monopolio) i settori di pubblica utilità. Situazione quest'ultima che, peraltro, è sicuramente in movimento, grazie anche alla brusca accelerazione avutasi con la recente riforma del titolo V della Costituzione, la quale ha introdotto il principio di sussidiarietà orizzontale [1], diretto ad imporre ai pubblici poteri di "fare un passo indietro", in modo da favorire l'iniziativa privata per lo svolgimento di attività di interesse generale. Il principio ha un sicuro impatto nella nostra materia, in quanto assume il ruolo di canone regolatore delle interferenze, delle sovrapposizioni e delle usurpazioni che caratterizzano il rapporto pubblico privato negli interventi di pubblica utilità.

Ma non è unicamente la sussidiarietà orizzontale a regolare gli interventi delle fondazioni nei settori di pubblica utilità. L'ordinamento non si preoccupa solamente di tutelare le fondazioni (in modo da garantire il successo della loro "missione"), avendo anche l'obiettivo di garantire i destinatari della loro attività. Le fondazioni, difatti, amministrano patrimoni sostanzialmente pubblici, per cui il corpus Ciampi-Tremonti ha voluto estendere alla loro attività una serie di regole tipicamente pubblicistiche, quali la trasparenza, l'obbligo di predeterminazione dei criteri, la motivazione delle scelte [2].

Ciò, tuttavia, ci porta necessariamente a riflettere sulle regole e sulle forme di tutela riguardanti l'attività erogativa delle fondazioni, tenendo presente che ci troviamo di fronte ad una disciplina che esula dalla classica dicotomia autonomia privata - discrezionalità amministrativa.

2. Gli interventi delle fondazioni straniere nei settori di pubblica utilità e loro tipologie di azione: in particolare il grant system.

Come rilevato in letteratura, le fondazioni bancarie, all'atto di darsi una propria conformazione organizzativa e funzionale, hanno preso come modello di riferimento, soprattutto, l'esperienza nordamericana [3].

A tal proposito va rammentato che negli Stati Uniti le fondazioni sono un punto di snodo fondamentale nel campo degli interventi pubblici nei settori della sanità, istruzione, ricerca scientifica, tutela dell'ambiente, arte, assistenza sociale e beneficenza [4]. E due sono essenzialmente le forme d'intervento in tali materie. Per un verso, troviamo l'operating foundation, con cui sono gestiti direttamente i più importanti servizi sociali quali ospedali, musei, università, scuole, per non parlare dei più noti centri di ricerca. Per altro verso, ulteriore forma diffusissima è la grant making foundation, ovvero un ente rentier che sovvenziona le iniziative nei tradizionali campi d'azione del non-profit. Sotto questo profilo è, inoltre, possibile distinguere le grant making in due sottocategorie. In primo luogo, vi sono le fondazioni di importanza nazionale (ed internazionale), quali la Ford Foundation, la Rockfeller Foundation, la Canergie Foundation, etc., che nell'ambito dei propri programmi di attività in settori ben delimitati, provvedono ad erogare finanziamenti per progetti presentati da enti non-profit, organizzazioni governative, ricercatori, etc.; si tratta, soprattutto, di erogazioni che vengono fatte anche al di fuori dei confini nazionali, finanziando attività sperimentali ed esperienze pilota, le quali, in seguito, possono essere perseguite come politiche generali dalle organizzazioni governative. Accanto alle big foundations, che operano in campo nazionale ed internazionale, troviamo le community foundations, cioè delle fondazioni erogatrici operanti in un livello territoriale delimitato. Anch'esse finanziano progetti presentati da enti non-profit nei settori di pubblica utilità perseguiti ed incentivano la collaborazione con il potere pubblico per migliorare la qualità dei servizi [5]. Le community foundations operano prevalentemente in tutti i settori classici d'intervento (sanità, assistenza, istruzione, arte), anche se non mancano casi di attività incentrate solo su uno specifico interesse.

Ma queste sono vicende note agli addetti ai lavori. In letteratura, invece, è meno frequente l'analisi delle relazioni che si instaurano tra fondazioni ed interventi pubblici federali. Di sovente, infatti, si enfatizza il ruolo del terzo settore ed in particolare delle fondazioni, senza tener conto delle necessarie interrelazioni con i poteri pubblici [6]. Ed a tal proposito, giova rammentare che negli Stati Uniti i servizi pubblici ed in ispecie quelli socio-culturali, sono strutturati tradizionalmente secondo il principio di sussidiarietà orizzontale, dove i soggetti erogatori dei servizi sono figure soggettive di diritto privato (non profit). In questo quadro, il potere pubblico ben si guarda dall'assumere tali servizi, limitandosi (si fa per dire) a incentivare fiscalmente gli enti predetti ed a sovvenzionarli.

Le sovvenzioni federali, peraltro, sono dei rimborsi a piè di lista, in cui manca (di fatto) una valutazione in termini progettuali e programmatici della qualità delle erogazioni dei servizi. Ruolo che, invece, è svolto con successo dalle grant-making e dalle community foundations, le quali tendono a sovvenzionare progetti di qualità, diretti a migliorare l'efficienza dei servizi. Spesso i programmi sovvenzionati dalle fondazioni sono dei veri e propri progetti pilota che, se trovano successo, possono essere replicati e fatti propri dalle politiche federali [7].

Le fondazioni negli Stati Uniti, dunque, tendono ad assumere ruoli differenziati, in quanto quelle operative costituiscono la base dei servizi socio-culturali, mentre le grant-making e le community hanno lo scopo d'incentivare lo sviluppo, in termini qualitativi, dei medesimi servizi.

3. L'adattamento ai modelli stranieri da parte delle fondazioni bancarie ed il prevalere della figura dell'ente complesso-funzionale.

La nostra esperienza, al contrario, si è sviluppata su direttrici del tutto opposte, poiché, da un lato, vi è sempre stata una preclusione ideologico culturale avverso le fondazioni [8], e, dall'altro, i servizi socio-culturali sono stati (da sempre) gestiti prevalentemente dal potere pubblico. Pertanto, quando la c.d. direttiva Dini (del 1994) impose alle fondazioni bancarie di abbandonare il ruolo a loro congeniale (per tradizione storica) di enti di beneficenza, per un verso, appariva naturale che le medesime avrebbero dovuto assumere il ruolo di grant-making foundation (anche nella forma della community, per le realtà più piccole) [9], per altro verso, risultava chiaro che questa funzione non poteva essere compiutamente svolta, in quanto mancavano le condizioni istituzionali per realizzare tale obiettivo (cioè un'organizzazione dei servizi socio culturali come quella statunitense, fondata sul principio di sussidiarietà verticale).

Le fondazioni bancarie, in assenza di un quadro istituzionale in cui fosse chiara la collocazione da attribuire alle medesime, scelsero una via chiaramente empirica. Gli enti conferenti, anziché conformarsi al modulo della grant-making foundation, hanno scelto una strada del tutto italiana, caratterizzando la propria struttura secondo quello della fondazione complessa funzionale: cioè una figura soggettiva che, da un lato, opera tramite programmi attuati direttamente o con la collaborazione di terzi e, dall'altro, finanzia progetti ed agisce anche mediante enti strumentali. Insomma una fondazione che sulla base di delibere programmatiche interviene nel territorio con una struttura polifunzionale, in cui si assommano le figure dell'operating, della grant making e della fondazione holding [10].

Questa indistinzione funzionale, come facilmente preconizzato già all'epoca delle riforme statutarie [11], ha comportato una situazione che non può dirsi sicuramente felice, in quanto le fondazioni bancarie hanno continuato a perpetrare l'antica vocazione di essere enti al servizio dell'attività creditizia, tramite l'impiego dei proventi in attività che possano avere un ritorno per la banca di riferimento: si spiega, così, che ancora oggi "i contributi destinati all'acquisto di beni capitali, alla conservazione o al restauro di edifici o di opere d'arte assorbono regolarmente il 50% delle erogazioni totali … Oltre a ciò un ulteriore 25% è destinato al generico sostegno di organizzazioni, senza una precisa destinazione progettuale" [12]. Rare sono le eccezioni in cui l'attività delle fondazioni si discostano da questo trend, come, ad es., accade per il progetto Cariplo sulle Community foundations [13].

I risultati prodotti dalle fondazioni bancarie, a più di otte anni dalla direttiva Dini, non sono, dunque, confortanti in termini di progettualità ed innovatività.

Peraltro a giustificare la posizione delle fondazioni bancarie vi è l'argomento che la trasformazioni delle medesime in veri e propri enti progettuali nei servizi socio-culturali richiede l'avverarsi di una precondizione, ovvero l'arretramento del potere politico dalla gestione diretta di tali servizi, in modo da consentire l'ingresso e lo sviluppo del terzo settore, dove le medesime fondazioni possano svolgere la loro vera missione, consistente nel finanziare progetti innovativi.

4. Gli interventi di pubblica utilità a seguito della privatizzazione delle fondazioni bancarie: alcune considerazioni di ordine generale.

Compiute queste doverose premesse, è venuto il momento di affrontare le questioni più prettamente giuridiche. A tal fine è opportuno sottolineare che il corpus Ciampi-Tremonti non ha fatto altro che recepire le tipologie fondazionali conformatesi a seguito della direttiva Dini, ponendo, tuttavia, dei nuovi vincoli.

Rispetto alla disciplina previgente [14], la nuova normativa eterodetermina gli “scopi di utilità sociale e di sviluppo economico” [15], imponendo alle fondazioni di svolgere i propri interventi in un numerus clausus di settori indicati dal legislatore, riconducibili a valori quali quelli etico-social-assistenziali, quello della sicurezza pubblica e dello sviluppo economico, della ricerca scientifica, della tutela e valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

In particolare le materie in cui le fondazioni possono operare “esclusivamente”  sono i c.d. settori ammessi e cioè:”1) famiglia e valori connessi; crescita e formazione giovanile; educazione, istruzione e formazione, incluso l’acquisto di prodotti editoriali per la scuola; volontariato, filantropia e beneficenza; religione e sviluppo spirituale; assistenza agli anziani; diritti civili; 2) prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica; sicurezza alimentare e agricoltura di qualità; sviluppo locale ed edilizia popolare locale; protezione dei consumatori; protezione civile; salute pubblica, medicina preventiva e riabilitativa; attività sportiva; prevenzione e recupero delle tossicodipendenze; patologia e disturbi psichici e mentali; 3) ricerca scientifica e tecnologica; 4) arte, attività e beni culturali” [16]. A questi si è aggiunto, in seguito, un ulteriore settore ammesso, cioè quello riguardante la “realizzazione dei lavori pubblici o di pubblica utilità” [17].

Sulla base dell’elenco dei settori ammessi, le fondazioni sono chiamate ad aprire una nuova stagione di “riforme”, dovendo, tra l’altro, individuare i propri settori rilevanti, ovvero “i settori ammessi scelti ogni tre anni dalla fondazione” [18].

In particolare gli enti conferenti, nell’ambito dei settori ammessi, devono scegliere un numero massimo di tre settori rilevanti [19] e tale scelta può essere effettuata con lo statuto o con altro atto interno della fondazione deliberato dall’organo d’indirizzo e non può essere modificata per almeno tre anni, salva autorizzazione dell’Autorità di vigilanza [20].

La scelta a favore dei settori rilevanti, tuttavia, non va intesa come un obbligo per la fondazione di svolgere la propria attività esclusivamente in tali settori: si è, infatti, precisato che le fondazioni sono tenute ad operare in via prevalente nei settori rilevanti, potendo, pertanto, intervenire anche negli altri settori ammessi non rilevanti, purchè l’impegno non sia in misura prevalente [21].

In altri termini le fondazioni possono intervenire solo ed esclusivamente nei settori ammessi: all’interno di questa categoria vi sono due specie di settori, consistenti, da un lato, nei settori rilevanti cui vanno destinate in via prevalente le risorse e, dall’altro, nei settori non rilevanti cui può essere attribuita una parte non prevalente delle risorse fondazionali.

Viene, altresì, stabilito che le fondazioni possono detenere partecipazioni di controllo solo in imprese strumentali, cioè operanti nei settori rilevanti [22]; al contrario, non possono detenere partecipazioni di controllo in imprese non strumentali, cioè in quelle imprese che operano nei settori non rilevanti. É, altresì, esclusa ogni forma di finanziamento, diretta ed indiretta, in favore di imprese di qualsiasi natura [23]. Infine, viene stabilito che l'attività di erogazione debba essere regolata dagli statuti, in modo che siano assicurati i principi di programmaticità, imparzialità e trasparenza [24].

Ciò premesso, sarebbe, peraltro, eccessivamente limitativo ritenere che tali disposizioni siano gli unici parametri normativi di riferimento in materia. Le fondazioni, difatti, pur essendo state privatizzate convivono con una significativa ragnatela normativa di ordine pubblicistico.

A tal fine, va soprattutto, richiamata la recente riforma del Tit. V della Costituzione sul federalismo, che ha costituzionalizzato un principio importantissimo per la materia che ci occupa, ovvero la sussidiarietà orizzontale. Il novello Costituente ha, a tal proposito, stabilito che "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà" [25].

La Carta costituzionale, in tal guisa, impone, innanzitutto, al potere pubblico un dovere di astensione, non essendo consentito adottare misure che irragionevolmente limitino lo spazio di azione dei privati nelle attività di interesse generale. In secondo luogo, dalla sussidiarietà discende un dovere di collaborazione, donde Stato ed enti locali sono tenuti ad adottare ogni misura che favorisca le iniziative private di interesse comune.

Il principio di sussidiarietà ed in generale la riforma del titolo V della Costituzione costituisce, pertanto, un significativo limite frapposto al potere d’ingerenza legislativo ed amministrativo.

Ed a tal proposito è stato osservato che la sussidiarietà orizzontale si pone, innanzitutto, come un limite al legislatore, il quale nel disciplinare le fondazioni bancarie è tenuto ad osservare le regole di ragionevolezza e proporzionalità, dovendo raffrontare i benefici dell’attività di vigilanza e controllo con i possibili costi economico-sociali che possono derivare dalla regolazione [26]. E sotto questo profilo la determinazione da parte del legislatore dei settori in cui le fondazioni possono esclusivamente operare pecca sicuramente di ragionevolezza. Difatti, scorrendo il lungo elenco dei settori ammessi, risulta che oggi come oggi le fondazioni non possono più intervenire in campi dove tradizionalmente operavano: non risultano ammessi interventi quali il sostegno a fiere e mercati, al tempo libero ed a mostre che non riguardano beni culturali (si pensi alle mostre filateliche, oggettistiche, di strumenti musicali o meccanici). A ben vedere non si riesce a capire il motivo dell’esclusione, specie se si pensa che tali attività hanno sicuramente un’utilità sociale e rientrano nella tutela del principio di sussidiarietà orizzontale. Basterebbe, dunque, che uno statuto inserisca tra i settori d d’intervento una di queste materie per far sorgere un sicuro incidente d’incostituzionalità [27].

La sussidiarietà orizzontale, peraltro, non si pone solo come limite al legislatore, ma anche come criterio di organizzazione e ripartizione delle attività svolte dal pubblico e dal privato. La sussidiarietà, così intesa, consente d'individuare le due forme d'intervento principali delle fondazioni bancarie: da un lato, troviamo le attività svolte in collaborazione con gli enti pubblici (specie quelli locali) e, dall'altro, quelli gestiti autonomamente. Si tratta, per l'appunto delle due modalità operative su cui si muove l'attività delle fondazioni e che oggi trovano pure una copertura costituzionale. Scopo del prosieguo del lavoro è proprio quello di vedere funditus le problematiche giuridiche riguardanti queste due forme d'intervento.

5. Profili funzionali ed organizzativi delle forme di collaborazione tra fondazioni bancarie ed enti locali.

Il potere pubblico è, dunque, chiamato a collaborare con le fondazioni bancarie. Sotto questo profilo due sono (essenzialmente) le relative forme: per un verso, una collaborazione di tipo funzionale (consistente nell'obbligo per gli enti pubblici di adottare ogni misura idonea a favorire gli interventi fondazionali) e, per altro verso, di tipo istituzionale (gestendo in partnership una serie di attività e servizi).

Peraltro, prima di affrontare tali problematiche, occorre preliminarmente notare che il principio di sussidiarietà, al fine di massimizzare la collaborazione tra pubblico e privato, impone la valorizzazione di "luoghi" di emersione degli interessi in cui le due istanze possano dialogare.

Pur in assenza di un modulo generale che possa consentire la predetta emersione, l'esperienza della legislazione regionale può fornire un valido ausilio ad individuare delle sedi di confronto. Se si tiene presente, soprattutto, la normativa in materia di programmazione economico-territoriale, si possono rinvenire come zone di dialogo le c.d. conferenze istituzionali o le assemblee grandi, in cui gli attori sociali vengono chiamati a rappresentare proposte, iniziative, progetti per lo sviluppo di un dato contesto territoriale, in modo che gli enti pubblici ne tengano conto nell'assolvimento del loro compito di pianificazione economica e territoriale. Tuttavia, questi momenti d'incontro hanno il limite di non essere una sede stabile di confronto, essendo preordinati all'unica occasione di approvare un piano di lungo periodo, quale un p.u.t., un p.t.c.p. od un p.r.g.

Ciò del resto, è stato tenuto presente da una Fondazione come la Cariplo, la quale ha opportunamente previsto nel proprio nuovo statuto la possibilità di promuovere un incontro annuale con gli enti locali e le organizzazioni non profit interessate, al fine di raccogliere elementi utili per la programmazione pluriennale [28].

Non è difficile ipotizzare che da questi incontri possano scaturire accordi quadro e di programma (c.d. programmazione negoziata), protocolli d'intesa, lettere d'intenti, convenzioni, etc. con cui coordinare in maniera proficua gli interventi nei settori di pubblica utilità.

Comunque, anche in assenza di strumenti istituzionali di coordinamento, il principio di sussidiarietà rappresenta un utile vettore per favorire la collaborazione. Specie nel campo dell'urbanistica mi sembra che la collaborazione funzionale possa trovare un momento di felice realizzazione. Non va, infatti, escluso che proprio grazie alla sussidiarietà il dovere di collaborazione degli enti locali si debba attuare anche tramite l'apposizione di vincoli preordinati all'esproprio, al fine di consentire la realizzazione di opere di p.u. da parte delle fondazioni bancarie, quali ospizi, cliniche, scuole, etc. Ancor più funzionale potrebbe essere l'impiego dei moderni strumenti di urbanistica contrattata, quali pru, prust, etc.

In detto ambito gli enti locali dovrebbero favorire la proposte delle fondazioni che si muovono in tal senso, poiché queste ultime sono chiamate "istituzionalmente" a perseguire scopi di pubblica utilità nei settori rilevanti.

Come già accennato, la collaborazione può, inoltre, ipostatizzarsi in strutture organizzative quali associazioni, fondazioni, società di capitali, preordinate alla gestione di servizi socio-culturali di interesse comune. In questa direzione l'ordinamento ha, addirittura, tipizzato alcune figure fondazionali, quali quelle liriche [29], quelle culturali [30], nonché quelle universitarie [31], il cui fondo di dotazione è conferito tanto da enti pubblici, quanto da soggetti privati.

Né va dimenticato il favor del legislatore verso forme di gestione dei servizi pubblici imprenditoriali con società miste (a partecipazione pubblica maggioritaria o minoritaria). In questo settore, peraltro, un eventuale intervento delle fondazioni deve "fare i conti" con i limiti posti dal proprio statuto speciale. Se, da un canto, non vi sono limitazioni (se non quelle di ordine statutario) nel caso in cui la fondazione partecipi, anche in posizione dominante, a società miste di gestione di servizi nei settori rilevanti (ad es. case di riabilitazione, cliniche, etc.), d'altro canto, laddove la società operi in settori diversi (ad es., trasporto, acqua, gas) occorre tener presenti i divieti posti dal corpus Ciampi. Innanzitutto, le fondazioni bancarie nei settori non rilevanti non possono costituire società, tramite il conferimento del capitale, visto che l'ordinamento vieta tassativamente qualsiasi forma di finanziamento nei confronti di ogni tipologia d'impresa (anche operanti nei settori rilevanti). In secondo luogo, laddove la società di gestione di un servizio operante in un settore non rilevante sia stata costituita, un'eventuale partecipazione, ai sensi della normativa vigente, non potrà essere tale da consentire l'esercizio del potere d'influenza dominante [32].

E siffatte regole valgono anche per l'ipotesi di partecipazione delle fondazioni bancarie a società che vogliano realizzare opere di pubblica utilità mediante project financing: non vi saranno limitazioni di sorta per l'ipotesi che la partecipazione avvenga in imprese strumentali, mentre se si tratta di un'impresa non strumentale la fondazione potrà detenere solamente una partecipazione non di controllo [33].

6. Gli interventi svolti direttamente dalla fondazione tramite le diverse tipologie funzionali.

Di non minore rilevanza sono le problematiche riguardanti gli interventi diretti, prescindendo da una collaborazione con il potere pubblico. A tal proposito, occorre distinguere a seconda che l'intervento avvenga secondo il modulo della fondazione operativa o come holding (tramite la creazione di enti strumentali) o come grant making foundation.

Anche in detta evenienza occorre principiare con una notazione preliminare e di ordine generale. Gli interventi delle fondazioni bancarie sono legislativamente e statutariamente sottoposti al principio di programmaticità [34], donde gli interventi sono ammissibili solo nei settori d'intervento determinati secondo criteri generali dalle medesime. E sulla scorta del dettato legislativo, la gran parte delle fondazioni hanno stabilito che i predetti criteri debbano essere predeterminati mediante delibere programmatiche prefissate dall'organo d'indirizzo. È, dunque, questa la sede in cui la prefigurazione astratta delle tipologie d'intervento trova la propria concreta conformazione funzionale.

Ciò premesso, vediamo le problematiche giuridiche che coinvolgono ciascuna specifica tipologia d'intervento diretto delle fondazioni, partendo dal modulo della fondazione operativa. Due sono essenzialmente le problematiche che possono riguardare l'operating foundation: una di diritto comunitario (ovvero se medesime siano degli organismi di diritto pubblico e come tali sottoposte alle norme sull'evidenza pubblica) ed una scaturente direttamente dal corpus Ciampi, dovendo vedere se anche a tale tipo di attività si estendano i limiti per l'assunzione di imprese.

La questione dell'organismo di diritto pubblico, affrontata in dottrina con posizioni differenziate [35], è stata di recente affrontata dal consiglio di Stato, che ha sposato la tesi della sottoponibilità delle fondazioni non associative alla disciplina comunitaria degli appalti pubblici [36]. Ne consegue che le fondazioni a struttura istituzionale (in cui i relativi organi sono formati in prevalenza da "rappresentanti" degli enti locali) se vogliono appaltare il restauro di un edificio o di un bene culturale, devono essere considerate degli organismi di diritto pubblico e come tali sottoposte alla regole della Merloni. Parimenti se la "fondazione - organismo di diritto pubblico" vuole appaltare la gestione di un servizio museale in cui sono esposte opere d'arte di proprietà della medesima, si dovrà necessariamente rispettare la normativa pubblicistica sugli appalti pubblici di servizi.

Di non minore interesse è verificare la possibilità per la fondazione di gestire direttamente, anche in regime di concessione, servizi pubblici a regime imprenditoriale. Si ripropone la questione già affrontata a proposito della partecipazione in società miste: la gestione imprenditoriale sarà consentita solamente laddove si tratti di gestire un'impresa strumentale.

Analogo discorso può essere condotto per la fondazione holding. Fermo restando che possono essere costituite e controllate tutte le figure soggettive possibili, purchè non assumano la forma imprenditoriale, esiste, invece, un divieto tassativo di costituire, controllare e finanziare qualsiasi impresa, tranne che si tratti di quelle strumentali. Ne consegue che la fondazione holding potrà costituire, controllare e finanziare solo società operanti nei settori rilevanti (come società di ricerca, società operanti nei servizi socio culturali, società costituite per il project financing nel settore rilevante della realizzazione di opere pubbliche o di p.u.) [37].

Ben più complesse sono le questioni riguardanti il modulo grant making, poiché l'attività di erogazione di ausili finanziari, a seguito della privatizzazione delle fondazioni, è tendenzialmente soggetta al diritto comune. Ma come già rilevato a proposito della natura delle fondazioni [38], si tratta di una privatizzazione sui generis, che, in realtà, ha dato luogo ad una terza via, ovvero un ente di pubblica utilità (o di diritto privato speciale). E ciò comporta delle innegabili problematiche, specie per quanto riguarda la disciplina applicabile agli ausili finanziari delle fondazioni bancarie. A tal fine, bisogna premettere che nel precedente regime pubblicistico le sovvenzioni ricadevano sotto l'impero della legge generale sul procedimento amministrativo [39]: di conseguenza le fondazioni erano state costrette dalla direttiva Dini a predeterminare e rendere pubblici, mediante la predisposizione di appositi regolamenti, i criteri di finanziamento. Va da sé che il controllo sul rispetto dei predetti criteri era rimesso al sindacato del giudice amministrativo, operato sulla base dei vizi di legittimità (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere).

Si tratta, ora, di vedere se tale tipo di apparato garantistico continui ad applicarsi ancora (in tutto, in parte o per niente) all'attività grant making delle fondazioni bancarie privatizzate.

All'uopo, occorre rammentare che il corpus Ciampi-Tremonti [40] impone alle fondazioni di predeterminare i criteri di erogazione, in modo da assicurare la trasparenza dell'attività, la motivazione delle scelte e la più ampia possibilità di tutela degli interessi statutariamente perseguiti. Disciplina quest'ultima che le fondazioni privatizzate hanno ampiamente recepito, riconfermando, con gli opportuni adattamenti, i pregressi regolamenti sull'attività istituzionale, approvati nella vigenza del precedente regime pubblicistico. Sono regolamenti in cui sono analiticamente disciplinati il procedimento, i requisiti, i criteri e gli organi competenti ad attribuire le sovvenzioni [41].

Se si tiene presente che, da un lato, le fondazioni bancarie sono sottoposte ad una serie di regole di ordine squisitamente pubblicistico (come quelle sopra evidenziate) e che, dall'altro, lo scopo, il fine di tali figure è eterodeterminato ed a carattere pubblico (perseguono scopi di pubblica utilità) e che le medesime sono tenute a considerare tutti gli interessi coinvolti, dobbiamo ritenere di essere di fronte ad una ‘discrezionalità amministrativa di diritto privato’ [42]. Una funzione dove l'interesse pubblico primario deve essere doverosamente canonizzato e congruamente ponderato con tutti gli interessi secondari coinvolti, emergenti da quel giusto procedimento disciplinato nei regolamenti sull'attività istituzionale. Si tratta quindi di una vera e propria discrezionalità che si differenza da quella amministrativa solamente per il differente regime dei vizi dell'atto [43]. Infatti, la sovvenzione amministrativa, è sottoposta ad un regime abbastanza semplice come quello fondato sul ricorso per annullamento (soggetto al termine decadenziale di 60 giorni) di fronte al giudice amministrativo per motivi di legittimità, mentre gli ausili finanziari nel diritto privato sono sottoposti al regime più complesso, previsto per il negozio giuridico. In primo luogo, le sovvenzioni iure privatorum sono soggette alla disciplina sulla nullità virtuale, per cui i finanziamenti avvenuti in dispregio di divieti imperativi sono nulli: si pensi al caso di sovvenzioni erogate ad imprese non strumentali o ad erogazioni ultra vires (cioè fuori dai settori ammessi). Ma lo stesso difetto di motivazione, ai sensi del corpus Ciampi [44], pare comportare la nullità dell'atto di erogazione.

Questione di difficile soluzione è, invece, quella riguardante le conseguenze derivanti dalla violazioni di regole statutarie, delibere programmatiche e regolamenti sull'attività istituzionale. Ulteriore problema è, poi, quello di vedere se l'irragionevolezza, l'illogicità, la disparità di trattamento, etc., possano essere sindacate dal giudice ordinario e mediante quale strumentario.

In diritto privato la tematica è arata da tempo, nell'ambito degli studi sulle autorità private [45], e su un punto vi è sicura concordia, ovvero che tanto la violazione delle regole negoziali sul procedimento, quanto quelle di carattere sostanziale dirette ad imporre scelte eque, giuste, ponderate, sono da valutarsi alla stregua del principio di buona fede. In altre parole la violazione delle regole predette si risolve nella lesione del principio di affidamento. Controversa è, peraltro, l'individuazione delle conseguenze derivanti dalla lesione di tali regole.

Secondo un primo orientamento, seguito in passato anche dalla giurisprudenza, la situazione lesa dall'esercizio dei poteri delle autorità private si configurerebbe in termini di interesse legittimo iure privatorum: sempre ad avviso di tale indirizzo, ne conseguirebbe che al giudice ordinario sarebbe riconosciuta la potestà di sindacare il corretto esercizio del potere, potendo anche annullare gli atti viziati da eccesso di potere.

Si è, peraltro, obiettato che il sindacato sull'eccesso di potere nel diritto privato sarebbe precluso al giudice ordinario, poiché ciò va a scontrarsi con gli spazi di autonomia privata, protetta dall'ordinamento.

La giurisprudenza più recente si è orientata, pertanto, nel ricollegare al cattivo uso del potere la lesione del principio di affidamento, con conseguente sottoponibilità delle autorità private al regime di responsabilità precontrattuale.

Non pare, tuttavia, che siffatto orientamento sia estensibile all'attività grant making delle fondazioni bancarie. Invero, queste ultime svolgono una funzione connotata dalla discrezionalità, la quale nulla ha a che vedere con quella svolta dalle altre autorità private, come i datori di lavoro, le fondazioni di diritto comune, le associazioni non riconosciute, etc. L'attività svolta da queste ultime si caratterizza per essere in un regime di autonomia privata, in cui le finalità sono determinate, per l'appunto, in via del tutto autonoma. Le fondazioni bancarie sono, invece, soggette ad un regime a discrezionalità di diritto privato, visto che le finalità sono eterodeterminate, e i motivi devono risultare dalla motivazione ed emergere lungo un giusto procedimento. Vengono, quindi, meno le ragioni frapposte al controllo del giudice ordinario mediante la clausola dell'eccesso di potere. Ed a conferma dell'esattezza di quanto sostenuto vi è, innanzitutto, lo stesso corpus Ciampi, che impone di accordare la più ampia tutela degli interessi e di motivare le scelte (in modo che sia verificabile la congruità delle medesime) [46]. Ma gli stessi regolamenti delle fondazioni sono conformati in modo da evidenziare la congruità delle scelte, visto che le fondazioni devono compiere una valutazione costi-benefici per ciascun progetto presentato da terzi.

Ne discende che l'attività grant making può e deve essere sottoposta al giudizio sintomatico sull'eccesso di potere [47].

Per quanto, poi, concerne le forme di tutela che i privati, lesi nelle proprie pretese alla "legittimità" del finanziamento, possono procedere lungo due direttrici. Occorre, difatti, distinguere a seconda del tipo di accertamento richiesto al giudice del caso: laddove si domandi la verifica circa il rispetto dei criteri e requisiti predeterminati dalla fondazione (per cui a seguito dell'accertamento il finanziamento risulterà dovuto) si potrà procedere mediante la richiesta della tutela in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. (esecuzione dell'obbligo a contrarre); se, invece, il giudice è chiamato a sindacare il corretto esercizio del potere, sarà naturale richiedere la tutela di annullamento [48].

7. Conclusioni.

L'attuale articolazione funzionale delle fondazioni bancarie, se, per un verso, consente, da un punto di vista giuridico, di affrontare problematiche oltremodo "sfiziose", per altro verso, alla luce dei risultati prodotti non pare essere conforme ai principi di efficienza ed economicità fatti propri dal corpus Ciampi [49].

Ciò, del resto, è stato denunciato di recente da un autorevole studioso secondo cui le fondazioni, nello svolgere i propri interventi, hanno un "approccio conservatore" e "superficiale": occorrerebbe, invece, che le fondazioni evitino di sostituirsi ad altri soggetti" e privilegino "il sostegno di attività innovative", in modo da finanziare progetti innovativi, "piuttosto che il generico sostegno di organizzazioni" [50]. Si tratta, chiaramente, di un approccio che intende richiamare quanto già notato in apertura, ovvero il modello americano, in cui le fondazioni grant making privilegiano una politica diretta a sovvenzionare progetti innovativi e replicabili nell'ambito del third sector.

Peraltro come già osservato in precedenza non mi pare che la situazione italiana sia comparabile con quella nord-americana, in cui il terzo settore è particolarmente diffuso ed è garantito da un sistema informato secondo il principio di sussidiarietà.

Sono mancate, quindi, le precondizioni giuridiche per poter razionalizzare gli interventi delle fondazioni bancarie.

Peraltro, gli scenari, nel panorama italiano, stanno mutando. L'ordinamento grazie soprattutto alle spinte del diritto comunitario, sta riorganizzando completamente i servizi socio-culturali, favorendo la gestione dei medesimi da parte di organizzazioni non lucrative di diritto privato. Si pensi alla riforma delle "onlus", con cui gli enti di utilità sociale vengono fiscalmente incentivati. Si faccia mente locale al progressivo arretramento del potere pubblico, tramite le privatizzazioni in fondazioni private di interesse pubblico, come è avvenuto per gli enti lirici e quelli culturali. Né va dimenticato il ricorso alla tipizzazione di figure fondazionali specifiche, come quelle universitarie.

Tale tessuto è ora innervato dal principio di sussidiarietà orizzontale, che mira, da un lato, a garantire le realtà private e privatizzate sorte recentemente e, dall'altro, ad incentivare il crescente ricorso ai moduli privatistici per la cura di attività di interesse generale.

Si può, quindi, ritenere che si stanno realizzando quelle precondizioni dirette a consentire alle fondazioni di svolgere la loro funzione più congegnale, che è quella di essere dei finanziatori di progetti innovativi nei servizi socio-culturali. Il sistema, peraltro, è ancora in evoluzione e ci vorrà ancora del tempo affinchè trovi una propria definitiva stabilizzazione verso un compiuto grant system.


 

(*) Il presente lavoro è una rielaborazione della relazione su “Gli interventi nei settori di pubblica utilità” svolta nell’ambito del Convegno “Problemi delle fondazioni di origine bancaria – Perugia 16-17 novembre 2001”, organizzato dal Dipartimento Studi Giuridici Alessandro Giuliani dell’Università di Perugia, sotto la direzione del professor Antonino Palazzo. La pubblicazione della relazione è stata tardata, poiché si è dovuto tener conto dello ius superveniens costituito dall’art. 11, l. 28 dicembre 2001, n. 448 (c.d. legge Tremonti), dalla l. 15 giugno 2002, n. 112 di conversione del d.l. 15 aprile 2002, n. 63 (ed in particolare dell’art. 5, che ha dettato una disposizione d’interpretazione autentica sulla natura giuridica delle fondazioni, stabilendo che le medesime sono sottoposte ad un “regime privatistico … speciale rispetto a quello delle altre fondazioni”), dall’art. 37-bis, 2° co., l. 1 agosto 2002, n. 166 (c.d. legge Merloni-quater che ha ampliato il novero dei settori ammessi aggiungendo quello relativo alla “realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilità”) e, infine, dal noto regolamento Tremonti (d.m. ministero Economia, 2 agosto 2002, n. 217).

[1] Si veda in particolare la nuova formulazione dell'art. 118, 4° co., Cost., il quale stabilisce che "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà".

[2] Cfr. art. 3, 4° co., d.lgs. 17 maggio 1999, n. 153 ed art. 6, 1° co., d.m. Tremonti.

[3] Su tali aspetti sia consentito rinviare ad A. BARTOLINI, Le riforme statutarie delle c.d. «fondazioni bancarie»: il caso di Orvieto, in ispecie, in Rass. giur. umbra, 1996, 582 ss.

[4] Per quanto concerne le caratteristiche delle fondazioni americane esiste ormai un'ampia letteratura. Per un primo approccio alla tematica non vanno dimenticati P. RANCI, G. BARBETTA (a cura di), Le fondazioni bancarie verso l'attività grant making, Torino (Fondazione Agnelli), 1996; S. RISTUCCIA, Volontariato e fondazioni, Rimini, 1996.

[5] Per una definizione efficace di cosa sia una community foundation si veda il sito web della San Diego Community Foundation www.sdcf.org dove la missione della fondazione viene così descritta: "we make grants in the areas of health and human services, arts and culture, the enviroment, urban/civic affirs and education. We provides services for individual donors, corporations, non profit organizations and other foundations through professional staff for grant administration and asset management. We work with other nonprofit organizations, community leaders, government entities, and local, regional and national foundations to address the needs of the Greater San Diego Region. Example include: the Community Development Program, the San Diego Children's Initiative, San Diego Grantmakers AIDS Collaboration, and the Blue Cross Breast Cancer Treatment Project".

[6] Su tali aspetti il riferimento è d'obbligo a J.W. KALAS, The grant system, State University of New York, 1987.

[7] Cfr. J.W. KALAS, The grant system, cit., 27.

[8] Le fondazioni furono fortemente avversate dagli illuministi francesi ed in particolare da Turgot il quale vedeva nelle medesime un luogo di depauperamento (in quanto forme improduttive) nel tempo delle ricchezze: su tale vicenda si veda l'esauriente analisi storica di A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, 22 ss.

[9] Era questo il senso in cui era diretto lo studio collettaneo di G.P. BARBETTA, P. RANCI, Le fondazioni bancarie verso l'attività grant making, cit.

[10] Per più ampi riferimenti sulla conformazione assunta dalle fondazioni bancarie a seguito della Direttiva Dini si veda A. BARTOLINI, Le riforme statutarie, cit., 582 ss.

[11] La difficoltà di coniugare la funzione del "fare" con quella del "dare" era già stata evidenziata da P. RANCI, Una cronaca ragionata, in P. RANCI, G.P. BARBETTA, Le fondazioni bancarie, cit., 28.

[12] Dati tratti da G.P. BARBETTA, Le fondazioni di origine bancaria: "merchant banker" del settore nonprofit italiano?, in Non profit, 2001, 222 s.

[13] Si tratta del progetto "fondazioni delle Comunità locali" (in linea con quelli delle grant making foundations statunitensi) i cui aspetti più significativi possono essere rinvenuti nel sito www.fondazionecariplo.it/fondazionilocali: In particolare la Fondazione Cariplo costituisce un primo fondo patrimoniale di 10 miliardi di lire per far nascere la community foundation, impegnandosi a versare ulteriori 10 miliardi, se la nuova fondazione sarà riuscita, tramite l'attività di fund raising, a raccoglierne altrettanti. Su tale progetto si veda, pure, il lavoro di B. CASADEI, La banca della donazione: nascita e sviluppo delle fondazioni delle comunità locali in Italia, in Non profit, 2001, 123 ss.

[14] prima della legge Tremonti le fondazioni erano sostanzialmente libere di perseguire i propri scopi: veniva, infatti, stabilito che le fondazioni curano esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico (art. 2, 1° co., d.lgs. n. 153/99) e lo statuto debba individuare i settori in cui operare, comprendendo fra questi almeno uno dei settori rilevanti (cioè uno tra i settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della conservazione e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, della sanità e dell’assistenza alle categorie socialmente deboli – art. 1, 1° co., lett. d) ed art. 2, d.lgs. n. 153/99).

[15] L’espressione è contenuta nell’art. 2, 1° co., d.lgs. cit.

[16] Art. 1, 1° co., c-bis, d.lgs. n. 153/99, come aggiunto dall’art. 11, 1° co., l. n. 448/2001.

[17] Art. 37-bis, l. n. 109/94 (c.d. legge Merloni), così come introdotto dall’art. 7, l. n. 166/2002 (c.d. Merloni-quater).

[18] È questa la definzione di settore rilevante dato dall’art. 1° co., lett. d), d.lgs. n. 153/99, come novellato dall’art. 11, 2° co., l. n. 448/2001.

[19] Cfr. art. 2, 2° co., d.m. Tremonti. Un problema interpretativo potrebbe nascere dal fatto che il legislatore nell’elencare le materie d’intervento, le ha raggruppate in quattro categorie numerate dal n.1 al n. 4. Si potrebbe, pertanto, pensare che la scelta. dei settori debba avvenire facendo riferimento alle materie contenute in ciascun numero. In altre parole le fondazioni dovrebbere scegliere 3 dei quattro numeri. Tale opzione va scartata: il punto è stato chiarito da Cons. St., Sez. atti normativi, 1 luglio 2002, in www.giustamm.it, n. 7/8 2002, dove, dando parere favorevole all’art. 2, 2° co., reg. cit., ha chiarito che i settori non vanno riferiti alla numerazione che ha la sola funzione di ordinare i settori ammessi. Non esistono dunque quattro settori ammessi, ma ben di più (cioè tutti quelli indicati ed elencati dal legislatore).

[20] Sempre l’art. 2, 2° co., d.m. Tremonti.

[21] Art. 2, 3° co., d.m. cit. Il 4° co., precisa, inoltre, che la parte (eventuale) di reddito residuata a seguito degli impieghi nei settori rilevanti, può essere destinata ad uno o più settori e per ciascun settore non rilevante “in misura non superiore al singolo settore rilevante”: il che, in altre parole, sta a significare che i settori non rilevanti possono essere finanziati in una misura massima che non superi il finanziamento dato al settore rilevante (anche se non è chiaro se debba essere preso a riferimento al settore rilevante finanziato di più o a quello di meno: sul punto sarà necessario un intervento chiarificatore dell’Autorità di vigilanza).

[22] Imprese strumentali ai sensi dell’art. 1, d.lgs. cit., sono le imprese direttamente esercitate dalla fondazione o tramite società, entrambe operanti nei settori rilevanti

[23] Art. 3, 2° co.

[24] Art. 3, 4° co.

[25] Art. 118, 4° co., Cost.

[26] Il richiamo è di Cons. St., Sez. consultiva per gli atti normativi, 1 luglio 2002, n. 1354/2002, cit.

[27] Profili d’incostituzionalità, tuttavia, emergono anche per altro ordine di considerazioni. A tal fine va rammentato che la riforma del tit. V ha inciso profondamente anche sul sistema delle fonti ripartendo la potestà legislativa in tre categorie: quella esclusiva statale (predisponendo un elenco di materie dove può intervenire solo la legge statale), quella concorrente (dove su un determinato numero di materie la legge statale detta i principi della materia ed alle regioni spetta di dettagliarli con legge; viene, altresì esclusa la possibilità da parte dello stato di disciplinare tali materie con regolamento, attribuendo alle regioni una potestà regolamentare esclusiva) e quella esclusiva regionale (si tratta di una potestà residuale, per cui alla regione spetta la potestà esclusiva di normare con legge tutte quelle materie non rientranti nella potestà esclusiva statale o in quella concorrente).

Se si tiene presente quanto premesso, risulta chiaro che la legge statale può disporre e regolare solo le materie di propria potestà esclusiva o concorrente. Il che, se rapportato alla vicenda delle fondazioni bancarie sta a significare che la fonte statale può escludere, delimitando solo i settori di propria esclusiva competenza. La legge dello stato non potrà, invece, disporre delle materie riservate alla potestà legislativa esclusiva regionale, stabilendo che un settore di competenza regionale possa rientrare o meno nei settori d’intervento delle fondazioni. E nell’elenco dei settori ammessi (indicati dalla l. n. 448/2001) vi sono diverse materie di potestà legislativa regionale quali: lo sviluppo locale e l’edilizia popolare, l’attività sportiva, la formazione, l’agricoltura; come, d’altronde, la medesima legge ha escluso dal campo degli interventi ammessi materie di legislazione esclusiva regionale quali fiere, mercati, mostre artigianali, filateliche, etc. Tutto ciò (francamente) risulta incostituzionale: meglio avrebbe fatto il legislatore a lasciare all’autonomia privata (seppur di diritto speciale) delle fondazioni la possibilità di scegliere i propri campi d’intervento, purchè funzionalizzati al perseguimento di utilità sociali.

[28] Art. 5, 3° co., nuovo Statuto Cariplo.

[29] Costituiti a seguito della privatizzazione di cui al d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367

[30] Nate dalla privatizzazione dei corrispondenti enti pubblici, così come disposto dall'art. 11, 1° co., lett. b) e dall'art. 14, l. 15 maggio 1997, n. 59: si tratta, in particolare, del Centro sperimentale di cinematografia, della Biennale di Venezia, dell'Istituto nazionale per il dramma antico, della Triennale di Milano

[31] Così come previsto dal d.p.r. 24 maggio 2001, n. 254.

[32] Cfr. art. 6, d.lgs. n. 153.

[33] Su tale aspetto si veda lo studio approfondito di U. RUFFOLO, Le fondazioni nel mutato contesto sociale. In particolare le fondazioni bancarie alla luce dei recenti interventi normativi di cui alle leggi 28 dicembre 2001, n. 448 e 1 agosto 2002, n. 166, art. 7. Nuovi ruoli nel settore degli appalti pubblici (project financing e affidamento a contraente generale) ed ulteriore ambito di esercizio di attività d’impresa, relazione dattiloscritta presentata in occasione del Convegno “Le fondazioni nella cultura e nell’economia”, Spoleto, 11-12 ottobre 2002, organizzato dalla Fondazione Festival Due Mondi.

[34] Art. 3, 4° co. ed art. 4, 1° co., lett. b).

[35] Si è mostrato favorevole alla configurabilità delle fondazioni bancarie in termini di organismi di diritto pubblico B. CAVALLO, La natura giuridica delle fondazioni bancarie, in Rass. giur. umbra, 2001, 423; contra F. MERUSI, Dalla banca pubblica alla fondazione privata. Cronache di una riforma decennale, Torino, 2000, 133 s.

[36] Si veda ancora Cons. St., Sez. consultiva per gli atti normativi, 1 luglio 2002, n. 1354/2002, cit.

[37] A tal fine giova rammentare che l'impresa strumentale viene definita come un' "impresa esercitata dalla fondazione o da una società di cui la fondazione detiene il controllo, operante in via esclusiva per la diretta realizzazione degli scopi statutari perseguiti dalla Fondazione nei settori rilevanti": cfr. art. 1, 1° co., lett. h), d.lgs. n. 153/99. Ne consegue che tra gli enti imprenditoriali direttamente controllabili vi sono solo le società strumentali, mentre vanno, ad es., escluse le fondazioni d'impresa.

[38] Sul punto si rinvia ancora una volta alla relazione di B. CAVALLO, La natura giuridica delle fondazioni bancarie, cit., 424. Tale tesi ha trovato il conforto nell’interpretazione autentica datane dall’art. 5, d.l. n. 63/2002 conv. in l. n. 112/2002.

[39] Art. 12, l. n. 241/90.

[40] Art. 3, 4° co., d.lgs. n. 153/99.

[41] Per il dettaglio sia consentito rinviare ancora una volta ad A. BARTOLINI, Le riforme statutarie delle c.d. «fondazioni bancarie», cit., 592 ss.

[42] Sul tema il rinvio è d'obbligo a M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, 119 ss.

[43] È sempre M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, cit., 120, a notare che la differenza peculiare tra discrezionalità amministrativa e quella privata sta nel regime dei vizi dell'atto.

[44] Art. 3, 4° co., d.lgs. n. 153/99.

[45] Vanno, soprattutto, ricordati, C.M. BIANCA, Le autorità private, Napoli, 1977; L. BIGLIAZZI GERI, Contributo ad una teoria dell'interesse legittimo nel diritto privato, Milano, 1967; M. BUONCRISTIANO, Profili della tutela civile contro i poteri privati, Padova, 1986; A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2001, 375 ss.; C. ZOLI, La tutela delle posizioni «strumentali» del lavoratore. Dagli interessi legittimi all'uso delle clausole generali, Milano, 1988.

[46] Su tali aspetti si veda anche M. CLARICH, La riforma delle fondazioni bancarie, in Banca, impresa e società, 2000, 128.

[47] In questi termini sembra essere orientata anche E. SCOTTI, Articolo 2, comma 1, lettera a, l. 461/98, in M. NUZZO (a cura di), Le fondazioni bancarie, Napoli, 2000, 58 ed U. RUFFOLO, Le fondazioni nel mutato contesto sociale, cit., pag. 9 dattiloscritto, secondo cui si potranno porre questioni di eccesso di potere, “ma si tratterà di eccesso di potere privato”.

[48] L'orientamento prevalente ritiene che l'annullamento sia la risposta più idonea a sindacare l'eccesso di potere nel diritto privato: così, anche se in termini critici, C. ZOLI, La tutela delle posizioni «strumentali» del lavoratore, cit., 337 ed ivi ampi riferimenti

[49] Art. 2, lett. c), l. n. 461/98 ed art. 3, 4° co., d.lgs. n. 153/99 che impone alle fondazioni "la migliore utilizzazione delle risorse e l'efficacia degli interventi".

[50] È questo il pensiero espresso da G.P. BARBETTA, Le fondazioni di origine bancaria: "merchant banker" del settore nonprofit italiano?, cit., 224 ss.

Copertina Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico