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Articoli e note
n. 3-2003.

MICHELA BERRA

La responsabilità del proprietario

nel ripristino dei luoghi “contaminati” da terzi

1.- Responsabilità del proprietario di un’area inquinata nella giurisprudenza formatasi tra il D.P.R. n. 915/1982 ed il D.Lgs. n. 22/1997.

Il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. decreto Ronchi) ha posto fine al dibattito giurisprudenziale sorto, nella vigenza del D.P.R. n. 915/1982, sul tema delle ordinanze adottabili in materia di rifiuti.

Per meglio comprendere le diverse posizioni che, allora, si contrapponevano, può essere utile, anzitutto, analizzare la natura di tali provvedimenti: le diverse soluzioni prospettabili comportano differenti conseguenze applicative, soprattutto per ciò che riguarda i presupposti e la struttura della responsabilità dei diversi soggetti coinvolti.

A tal fine - visto, in termini generalissimi, l’inquadramento delle ordinanze nella categoria degli ordini - interessanti spunti di riflessione può fornire il dibattito sulla nozione di sanzione amministrativa [1].

Se, infatti, per sanzione amministrativa si intende il provvedimento conseguente all’accertamento di una infrazione, elemento caratterizzante risulta essere unicamente la violazione di un precetto: a nulla rileva che la funzione amministrativa sia esercitata al fine di punire ovvero a quello di ripristinare ovvero ancora a quello di conservare interessi sostanziali devoluti all’amministrazione.

Se, al contrario, sanzione amministrativa è intesa come “pena in senso tecnico”, distinta rispetto ad altre forme di reazione della pubblica amministrazione alla violazione di un precetto, elemento centrale diviene la finalità afflittiva.

Sulla base di tale distinzione si può effettuare una breve ricognizione dell’elaborazione giurisprudenziale formatasi nella vigenza del precedente sistema normativo [2].

1.1 L’orientamento prevalente in giurisprudenza.

La previgente disciplina prevedeva che, in caso di violazione del divieto di abbandono, scarico o deposito incontrollato di rifiuti sulle aree pubbliche o private soggette ad uso pubblico, il Sindaco potesse ordinarne lo sgombero “in danno dei soggetti obbligati”.

Configurando i provvedimenti in oggetto come sanzioni amministrative nel senso di sanzioni ripristinatorie, l’interpretazione giurisprudenziale prevalente individuava i “soggetti obbligati” solo in quelli responsabili dell’attività illecita: riteneva, in altri termini, illegittima l’ordinanza rivolta al proprietario dell’area, il quale non avesse in alcun modo contribuito alla causazione dell’illecito [3].

A sostegno di questa tesi, la giurisprudenza argomentava l’inconfigurabilità di una responsabilità propter rem, richiamando anche l’articolo 18 della legge n. 349 del 1986 - che fonda la responsabilità per il danno ambientale sul dolo e la colpa e non sulla semplice esistenza di un rapporto di diritto reale con l’area - ed il principio “chi inquina paga”, desunto dal diritto comunitario.

La responsabilità era così ricondotta ai soli produttori di rifiuti, cui competeva, per legge, l’onere ed il costo dello smaltimento: non si escludeva che al proprietario potesse imporsi l’obbligo di bonifica, ma solo ove egli avesse tenuto un comportamento (attivo od omissivo, colposo o doloso) atto a provocare il danno.

Si affermava, in altre parole, il principio generale del neminem laedere su cui si fonda l’articolo 2043 C.C.: le autorità interessate avrebbero dovuto ricercare i soggetti effettivamente responsabili dell’abbandono dei rifiuti o delle contaminazioni delle aree, non potendo, in caso contrario, emettere alcun ordine di bonifica a carico del mero proprietario incolpevole.

L’ordine di bonifica avrebbe potuto e dovuto, in conclusione, essere rivolto al proprietario del fondo, solo quando da un’indagine concreta fosse emersa la prova della sua corresponsabilità [4].

1.2 Secondo filone gurisprudenziale.

Un secondo filone giurisprudenziale [5] inquadrava le ordinanze di ripristino tra le misure di esecuzione caratterizzate dalla finalità ripristinatoria: ottenere la rimozione dello stato di pericolo e prevenire altri danni all’ambiente e alla salute pubblica, non anche individuare e punire i soggetti responsabili della situazione abusiva.

In altre parole, la tutela dell’ambiente avrebbe richiesto, per sua natura, l’intervento ripristinatorio indipendentemente da eventuali ulteriori misure riparatrici in funzione risarcitoria. Queste ultime non sarebbero state in grado di garantire la fruizione del bene collettivo né avrebbero avuto carattere effettivamente deterrente [6]: naturale destinatario dell’ordinanza era individuato in chi, trovandosi nella situazione giuridica di disponibilità della cosa, avesse il potere/dovere di intervenire immediatamente su di essa.

La legittimazione passiva era fondata sul nesso giuridico tra fondo e destinatario del provvedimento. E ciò anche alla luce della considerazione che gli oneri da questo sopportati sarebbero stati suscettibili di ristoro sul piano privatistico, in sede di azioni di rivalsa nei confronti di chi poi fosse effettivamente riconosciuto responsabile.

Avallando così quella che era una prassi amministrativa diretta in tal senso, si sostenne di poter legittimamente indirizzare l’ordinanza al proprietario attuale dell’area, a prescindere dalla sua colpevolezza (configurando, così, una sorta di responsabilità propter rem). 

2 - Linee essenziali della disciplina (D. Lgs. n. 22/1997).

Le specifiche disposizioni dettate dal Decreto Ronchi per le ipotesi di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti (art. 14) e di bonifica di siti contaminati (art. 17), seguono quell’indirizzo volto ad integrare la disciplina civilistica della responsabilità per danno ambientale (ex art, 18, legge n. 349/1986) con provvedimenti amministrativi (esecutivi ed esecutori), contenenti l’ordine, a determinati presupposti, di remissione in pristino dell’ambiente “compromesso” [7].

I dubbi interpretativi a cui il sistema previgente dava adito sono stati dissipati dal nuovo decreto [8] che, sotto il profilo della legittimazione passiva, ha sostanzialmente recepito l’interpretazione giurisprudenziale prevalente sopra rassegnata [9].

È però necessario definire lo spazio e l’efficacia dell’articolo 14 in rapporto al diverso e più complesso ruolo esercitato dall’articolo 17.

“Le fattispecie regolate dagli artt. 14 e 17 del d. lgs. 5 febbraio 1997 n.22 (c.d. Decreto Ronchi) sono diverse, l’una riguardando la repressione dell’abbandono di rifiuti e l’altra la bonifica dei siti interessati dal superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione del suolo e delle acque; tra i due provvedimenti non esiste alcun vincolo di consequenzialità o di serialità procedimentale” (T.A.R. Valle d’Aosta, 20.02.03, n. 17).

2.1 L’articolo 14 del decreto Ronchi.

In caso di violazione del generale divieto di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti, la norma individua il soggetto obbligato al ripristino anzitutto nel produttore.

Il legislatore ha così seguito la linea della responsabilità aquiliana.

Tuttavia, l’obbligo di rimozione e ripristino è qui subordinato all’adozione di un’ordinanza che disponga “…le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere”, decorso il quale potrà procedersi all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.

Trasponendo, poi, in norma l’orientamento costante della Giurisprudenza, il legislatore ha individuato con precisione i soggetti solidalmente responsabili al produttore ed i casi in cui ricorre tale solidarietà: il proprietario del fondo, se soggetto diverso dall’autore dell’illecito, è destinatario dell’ordine solo se ed in quanto sia stato, con il proprio comportamento (attivo od omissivo, doloso o colposo), compartecipe dell’illecito [10].

La disciplina dettata dal Decreto Ronchi non solo ha, così, escluso in radice la configurabilità di qualsiasi forma di responsabilità propter rem, ma ha definitivamente sancito il carattere di illecito amministrativo della violazione soggetta all’intervento ripristinatorio ex art. 14 [11].

L’elemento psicologico va seriamente accertato, e non solo presunto: non è configurabile alcun tipo di automatismo tra titolarità di un diritto sull’area e responsabilità [12].

Partendo dal presupposto che la nozione di “responsabilità dell’inquinamento” vada opportunamente ricondotta a quella più generale di responsabilità per fatto illecito, anche la giurisprudenza, afferma, oggi, che per la sua configurabilità “occorre, pertanto, una condotta, di natura sia commissiva che omissiva, a cui eziologicamente sia collegato il verificarsi di un danno, oltre alla sussistenza di un elemento oggettivo che ancori il fatto al suo autore” (T.A.R. Piemonte, II, 11.05.01, n. 1100).

“L’ordinanza sindacale con cui viene intimata la rimozione di rifiuti in genere, incontrollatamente depositati sul suolo, va emessa, ex art. 14, co. 3 , D. L.vo n. 22/1997, nei confronti del soggetto responsabile di aver effettivamente e materialmente posto in essere la violazione.

Nel caso di inquinamento dell’ambiente determinato dall’abbandono o dal deposito di rifiuti sul suolo, l’imputabilità della condotta nei confronti del proprietario richiede, a carico del medesimo proprietario o dei titolari di diritti reali o personali sul bene, un comportamento qualificato (a titolo di dolo o colpa), così come richiesto per l’autore materiale. L’art. 14, co. 3 D.L.vo n. 22/97, in sostanza, costruisce la responsabilità del proprietario come responsabilità da concorso – sempre che questo sia in concreto ipotizzabile – sussistente ove possa riscontrarsi un elemento materiale, integrante contributo causale alla commissione del fatto ed un elemento psicologico, costituito dalla coscienza e volontà di contribuire a tale commissione”” (T.A.R. Puglia, Bari, II, 27.02.03, n. 872; cfr., nello stesso senso, C.d.S., V, 20.01.03, n. 168)

La responsabilità dei produttori di rifiuti e quella dei titolari di diritti reali, riportata nell’alveo di un regime ancorato ad una responsabilità per colpa, contrasta le tendenze volte a realizzarne in via giurisprudenziale una ricostruzione in chiave oggettiva, e si armonizza con la responsabilità da danno ambientale disciplinata dall’articolo 18 della L. n. 348/1986 - responsabilità per colpa connessa alla violazione di norme a tutela dell’ambiente o di provvedimenti emanati in attuazione di tali norme - nonché con il principio comunitario “chi inquina paga”.

2.2 L’articolo 17 del decreto Ronchi.

Una scelta parzialmente diversa ha ispirato la formulazione dell’articolo 17: esso individua il soggetto responsabile della bonifica in “chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti (limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, N.d.R.)…o determina un pericolo concreto ed attuale di superamento…”.

La responsabilità per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale sembra essere più ampia di quella generalmente vigente in campo ambientale e, soprattutto, non essere limitata ai casi di solo dolo o colpa: l’obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge, infatti, in conseguenza di un’azione “anche accidentale”, ossia a prescindere dall’esistenza di qualsiasi elemento soggettivo in capo all’autore dell’inquinamento.

Seppure disgiunta dai profili soggettivi, tale responsabilità è, però, pur sempre attribuita sulla base del nesso eziologico esistente tra l’azione dell’autore dell’inquinamento ed il superamento, od il pericolo concreto ed attuale di superamento, dei limiti di contaminazione [13].

Allo scopo, poi, di garantire comunque il ripristino ambientale dell’area, in caso di inerzia del soggetto responsabile (o nel caso in cui esso sia sconosciuto), il Comune - o, se questo non provvede, la Regione – realizzerà d’ufficio gli interventi necessari.

A chiarire tale complesso sistema normativo è intervenuta anche la Giurisprudenza.

“Il D. L.vo 22/97 delinea un quadro normativo in cui gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino delle aree inquinate gravano, in primo luogo, sul soggetto che ha cagionato l’inquinamento, secondo il noto principio comunitario. Il proprietario non è obbligato a bonificare l’area se non è anche l’inquinatore; mentre l’obbligo grava sempre su che ha inquinato, ed in sua sostituzione sulla pubblica autorità” (T.A.R. Lombardia, Milano, I, 13.02.01, n. 987).

Tuttavia, per non gravare il bilancio pubblico delle spese causate dagli interventi d’ufficio, l’art. 17 stabilisce che le spese sostenute dagli enti pubblici godano del privilegio speciale immobiliare anche in pregiudizio dei terzi acquirenti. Il medesimo articolo impone altresì un onere reale [14] sulle aree inquinate, da menzionarsi nel certificato di destinazione urbanistica: “il proprietario, dunque, anche se non responsabile dell’inquinamento, si trova a dover subire, da un lato, l’iscrizione dell’onere reale, con ogni conseguenza dal punto di vista urbanistico e sul trasferimento del bene, e dall’altro, le eventuali azioni esecutive per il recupero delle spese sostenute dalla P.A. che abbia proceduto agli interventi d’ufficio” (T.A.R. Lombardia, Milano, I, 13.02.01,n. 987).

Radicalmente diversa da quella dell’inquinatore – nonché, e soprattutto, da quella del proprietario di cui all’articolo 14 - si presenta, pertanto, la responsabilità del proprietario ex art.17: si può parlare di una “responsabilità da posizione”, non solo svincolata da profili soggettivi, ma anche da qualunque nesso eziologico tra azione ed inquinamento.

Il proprietario è tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione dell’esistenza dell’onere reale sul sito.

Chi ha cagionato l’inquinamento resta il responsabile diretto e principale della bonifica ed il destinatario dell’ordinanza comunale di diffida ad adottare gli interventi necessari: quest’ultima dovrà essere, sì, notificata anche al proprietario del sito, ma ciò in forza dell’esistenza dell’onere reale sulle aree inquinate. Pertanto - a meno che non vi sia stato concorso - autore dell’inquinamento e proprietario non possono essere considerati obbligati in solido: differente è, infatti, la fonte delle rispettive obbligazioni.

“Il proprietario viene solo informato ai fini dell’onere reale e del privilegio che grava sul bene. Dunque, il proprietario, che si veda notificare un’ordinanza emessa ai sensi della richiamata normativa può anche rimanere inattivo, con il rischio, tuttavia, o di non poter utilizzare il bene o di perderlo qualora dovessero essere portate a compimento le azioni esecutive da parte della P.A.” (T.A.R. Lombardia, cit.)

Il proprietario incolpevole non è tenuto ad attivare di propria iniziativa il procedimento di bonifica né ad ottemperare all’ordinanza comunale (notificatagli in ragione dell’esistenza dell’onere reale), e non potrebbe, in ogni caso, essere punito ai sensi dell’articolo 51-bis per non aver provveduto alla bonifica (sul punto si tornerà più avanti). Ha facoltà di intervenire al fine di liberare la proprietà dagli oneri di cui è gravata [15]. In questo caso agisce, però, di propria iniziativa e non perché tenutovi come responsabile diretto [16].

2.3 Il proprietario come soggetto danneggiato dal responsabile dell’inquinamento: l’onere reale previsto dall’art. 17 D. Lgs. n. 22/1997.

Dalla qualificazione dell’obbligo di intervento come onere reale deriva la circolazione dello stesso con il bene cui inerisce [17].

Il terzo che acquisti la titolarità di diritti reali su di un sito gravato da oneri di messa in sicurezza, ripristino ambientale o bonifica può, pertanto, essere destinatario della richiesta di sostenerne i relativi costi, qualora non vi abbia provveduto l’autore dell’inquinamento.

Si pone così il problema di individuare quali rimedi la legislazione offra per la tutela delle ragioni di chi sia succeduto negli obblighi di natura reale sopra descritti, e di valutarne effettività ed efficacia.

Anzitutto, al proprietario incolpevole (e prescindendo dall’ipotesi in cui il diretto responsabile sia addirittura sconosciuto), pregiudicato nel proprio patrimonio dall’esistenza dell’onere reale, non è data una azione di regresso diretta nei confronti dell’autore dell’inquinamento, rimasto inerte.

E un’eventuale azione di rivalsa in via extracontrattuale incontrerebbe, comunque, pesanti ostacoli per il soddisfacimento dell’interesse del proprietario: la responsabilità aquiliana, infatti, richiede necessariamente il dolo o la colpa (che deve provare l’attore) dell’autore dell’illecito.

Ma si è visto che l’obbligo di bonifica, ed il connesso onere reale, sorgono “oggettivamente”, per il solo superamento o pericolo concreto ed attuale di superamento dei valori limite delle sostanze inquinanti.

Nelle ipotesi in cui la contaminazione sia cagionata da una condotta accidentale, il proprietario danneggiato si troverebbe nell’impossibilità di agire ex art. 2043 C.C., e vedrebbe, pertanto, pregiudicato il recupero delle spese sostenute o del danno subito in ragione dell’onere reale conseguente all’inquinamento.

Per superare l’impasse si potrebbe forse, allora, individuare la condotta antigiuridica contro cui agire ex art. 2043 C.C., non tanto nella violazione (colposa o dolosa) del divieto di inquinare, quanto, piuttosto, nell’inottemperanza, sempre colposa, ai doveri di procedere agli interventi di bonifica che conseguono al fatto di avere cagionato (anche accidentalmente) l’inquinamento. Considerare tali doveri quali obblighi positivi distinti rispetto al mero divieto di inquinare consentirebbe di individuare il rapporto di causalità – richiesto dall’articolo 2043 C.C. tra comportamento antigiuridico e danno – in quello tra l’inottemperanza indicata ed il danno conseguentemente subito dal proprietario in ragione del permanere dell’onere reale sul fondo.

La soluzione da ultimo prospettata ben si armonizza, d’altra parte, all’interpretazione che la Cassazione penale [18] ha fatto propria, circa il regime penale connesso alla mancata ottemperanza degli obblighi di bonifica introdotti dal Decreto Ronchi.

3.- L’art. 51 bis. Regime civile e penale a confronto.

L’articolo 51 bis prevede che “chiunque cagiona l’inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento, previsto dall’art. 17, comma 2, è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all’art. 17”.

L’inquadramento dogmatico della fattispecie prevista e punita dall’articolo 51 bis oscilla tra due posizioni interpretative differenti, a cui conseguono differenti risultati pratici.

Secondo una prima tesi, elemento costitutivo del reato è l’aver cagionato l’inquinamento (od il pericolo di inquinamento), limitandosi, la mancata bonifica, a condizione obiettiva di punibilità [19].

A ben vedere l’articolo 51 bis finisce così necessariamente per punire solo chi cagioni l’inquinamento con dolo o colpa.

Una soluzione che, al contrario, includesse nella fattispecie penale anche la causazione “accidentale” dell’inquinamento (prevista dal secondo comma dell’articolo 17) configurerebbe, nella sostanza, una forma di responsabilità oggettiva: soluzione certamente non percorribile, perché contraria al generale principio per cui tutti gli elementi che contrassegnano il disvalore penale della fattispecie devono essere investiti dal dolo o dalla colpa dell’agente.

Un secondo orientamento ritiene che il reato abbia natura omissiva, e sia integrato dalla sola inottemperanza all’obbligo di bonifica: l’inquinamento non costituirebbe un elemento essenziale della fattispecie, ma solo un antecedente logico della stessa.

Ricostruire il reato in termini omissivi, consente di ricondurre nell’ambito dell’articolo 51 bis le ipotesi di inquinamento “anche accidentale”, quantomeno dopo che sia intervenuta l’ordinanza comunale di cui al terzo comma dell’articolo 17.

Conformemente a questa impostazione si è espressa anche la Cassazione penale [20]. La Corte ha chiaramente affermato che il disvalore della fattispecie penale di cui qui si discute, risiede nell’omissione della bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dell’articolo 17, ed ha evidenziato come, pertanto, l’articolo 51 bis non presupponga necessariamente che l’inquinamento od il suo pericolo siano stati causati con dolo o colpa, potendo venire in rilievo anche una causazione accidentale degli stessi.

Sul piano interpretativo, entrambe le soluzioni prospettate potrebbero trovare accoglimento. Aderire all’una od all’altra è più che altro il risultato di una scelta di politica giudiziaria.

Incidentalmente si rileva, però, come l’interpretazione avallata dalla Corte di Cassazione sia, tra l’altro, conforme a quella che – proprio individuando l’antigiuridicità della condotta dell’inquinatore nell’inottemperanza ai doveri di procedere agli interventi di bonifica, piuttosto che nella circostanza di aver cagionato l’inquinamento - consente di riconoscere in capo al proprietario incolpevole l’azionabilità (altrimenti non ipotizzabile) dell’art. 2043 C.C. per il risarcimento del danno (dovuto all’esistenza dell’onere reale sul proprio fondo) nei confronti di chi abbia cagionato l’inquinamento “anche in maniera accidentale”.

3.1 Responsabilità del proprietario del sito inquinato in relazione agli obblighi di bonifica ed ai conseguenti riflessi penali.

Abbiamo visto che il responsabile diretto e principale degli interventi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale è individuato, dall’articolo 17, esclusivamente in colui che abbia cagionato l’inquinamento.

Al contrario, il proprietario del suolo che non abbia apportato alcun contributo causale all’inquinamento, non ha alcun obbligo diretto di procedere a tali interventi. Quest’ultimo è, infatti, soggetto al solo (ma vi vedrà quanto penetrante esso sia) connesso onere reale, posto a garanzia degli eventuali interventi di cui si debba fare carico la P.A. in via sostitutiva, nell’ipotesi di inerzia dell’inquinatore. L’esecuzione degli interventi prescritti dall’amministrazione è, per il proprietario incolpevole, soltanto una facoltà.

Pertanto, anche nell’ipotesi in cui non provveda alla bonifica secondo il procedimento previsto dall’articolo 17, il proprietario incolpevole non potrà essere soggetto alla sanzione penale di cui all’art. 51 bis: soggetto attivo del reato è soltanto chi “cagiona l’inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento”, e non chi si trovi, come il proprietario incolpevole, nella condizione di procedere agli interventi in questione al fine di eliminare il pregiudizio dell’onere reale e del connesso privilegio immobiliare gravante sul bene.

4.- Elementi differenziali negli artt. 14 e 17.

Nell’articolo 14, l’obbligo di procedere “alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi” sorge dalla violazione dei divieti penalmente rilevanti di cui ai commi 1 e 2 dello stesso: esso è configurato come obbligo derivante dalla consumazione delle contravvenzioni di a) abbandono o deposito incontrollati (comma 1), ovvero b) immissione di rifiuti nelle acque (comma 2).

Da questa costruzione penalistica della responsabilità civile, consegue la necessarietà che la condotta generante l’obbligazione sia connotata dall’elemento soggettivo, quantomeno, della colpa (prevista per la sua qualificazione come reato, e, quindi, come illecito civile).

Ma fin qui si rientra pienamente, in ogni caso, nell’ambito della figura tipizzata dall’art. 18 della legge n. 349/1986.

L’impostazione penalistica della responsabilità civile consente di spiegare, anche, perché – esulando qui, invece, dall’ambito dell’articolo 18 – all’adempimento dell’obbligo di rimozione e ripristino sono tenuti in solido il proprietario dell’area ed i titolari di diritti reali “ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa”, o, in altre parole, che siano concorrenti, con il responsabile della condotta vietata, nello stesso reato.

L’art. 17 procede in modo differente.

Esso, infatti, individua preliminarmente la condotta che fa nascere l’obbligo civilistico di “procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale” in quella di “chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lett. a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento”.

Una tale configurazione non richiede l’elemento soggettivo della colpa.

L’articolo 14 prevede, quindi, che la mera condotta vietata (anche penalmente) costituisca illecito civile.

L’articolo 17 postula, al contrario, una responsabilità per danno “oggettiva”, in cui l’elemento rilevante è individuato nell’evento (superamento dei limiti o pericolo di superamento) e nel suo legame alla condotta di cui è conseguenza in forza del solo rapporto causale.

5.- Conclusioni.

Può sembrare che la scelta legislativa sottesa alla disciplina dettata dall’articolo 17 – e volta a privilegiare l’interesse pubblicistico al ripristino ambientale - sia differente dalla scelta legislativa di cui alle previsioni dell’articolo 14 dello stesso decreto.

In generale, però, si può affermare che il legislatore, con il decreto Ronchi, abbia preso le distanze dagli altri modelli europei che, in una logica in cui evidentemente prevalgono considerazioni di interesse generale, si ispirano alla nozione di responsabilità oggettiva nella costruzione di un sistema che addossa al proprietario della cosa in quanto tale l’onere della sua bonifica [21].

Abbiamo visto come l’ordine di rimozione dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi ex art. 14 possa essere diretto tanto nei confronti dell’inquinatore, quanto nei confronti del titolare di diritti reali o personali di godimento sull’area, solo quando la violazione sia a questi imputabile a titolo di dolo o colpa.

Il meccanismo introdotto dall’articolo 17 – prescindendo, nell’imporre l’onere di bonifica all’inquinatore, dalla verifica dell’elemento soggettivo - sembrerebbe comportare una parziale deviazione dal sistema delle responsabilità ambientali quale emerge dall’articolo 18 della legge n. 349/1986 nonché dallo stesso D. Lgs. n. 22/1997.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 17, il terzo, estraneo addirittura da ogni contributo causale – anche incolpevole – all’inquinamento, che sia divenuto titolare di diritti reali sull’area contaminata, resta comunque soggetto a gravami che diminuiscono notevolmente il valore del suo immobile.

Tale soluzione è, peraltro, giustificata dalla considerazione che l’articolo 17 non presuppone il semplice abbandono di rifiuti (ipotesi dell’art. 14), bensì fenomeni di vera e propria contaminazione fisico-chimica dello stato dei luoghi.

In conclusione, e limitatamente alla posizione del proprietario del fondo, si può osservare come lo stesso possa essere colpito da una ordinanza di ripristino ex art. 14 solo se colpevole dell’illecito; il recupero delle spese eventualmente anticipate dalla P.A. avranno come destinatari i soggetti obbligati, cioè i soli responsabili dell’illecito.

Può essere, invece, destinatario di una diffida a bonificare ex art. 17 anche nell’ipotesi in cui abbia cagionato, anche senza colpa, l’inquinamento o il pericolo di inquinamento, e può essere chiamato comunque (anche se non lo ha cagionato) a rispondere dell’illecito entro i limiti dell’onere reale.

In linea generale, il nostro modello legislativo mira ad evitare l’ingiustizia di colpire un soggetto incolpevole e a sua volta danneggiato, ripartendo i costi dello sgombero dei rifiuti abbandonati da terzi e della bonifica dei siti inquinati, tra i soggetti responsabili dell’illecito e, quando questi rimangano inerti o non siano conosciuti, imputandoli alla pubblica amministrazione.

Sebbene, in generale, il sistema sia orientato a garantire la posizione del proprietario incolpevole, tuttavia anche la sola imposizione dell’onere reale - e pure alla luce dei rimedi esperibili al riguardo - rappresenta un vincolo particolarmente intenso e penetrante al regime della proprietà privata, altrove difficilmente rinvenibile nel nostro ordinamento.

È indubbio che, nel momento in cui un bene di cui si ha la proprietà od il possesso possa arrecare danno ad altri beni costituzionalmente rilevanti, è giustificata l’imposizione di determinati doveri in capo a chi ha il controllo e la facoltà di intervenire sulla fonte di rischio. Da questo punto di vista la responsabilità del proprietario del sito contaminato potrebbe essere assimilata a quella di altri soggetti ai quali l’ordinamento impone un obbligo risarcitorio solo in forza della posizione di controllo che gli stessi hanno nei confronti di determinate cose o situazioni (ad esempio, il custode per la responsabilità da cose in custodia, ovvero il proprietario per la responsabilità da rovina dell’edificio ex art. 2053 c.c.).

Tuttavia, la previsione dell’onere reale e del connesso privilegio immobiliare pone problemi ulteriori rispetto alle situazioni da ultimo citate.

Infatti, “attraverso l’imposizione dell’onere reale e del privilegio immobiliare sul sito viene attribuita, nella sostanza, quasi una sorta di potestà latu sensu espropriativa in capo all’ente pubblico, che può intervenire direttamente sul bene e soddisfarsi delle spese dell’intervento medesimo attivando la garanzia reale esistente sullo stesso.

“Si esce con ciò da ogni logica risarcitoria, inclusa quella legata al principio comunitario <<chi inquina paga>>, per introdurre un puro meccanismo di ridistribuzione dei costi sociali in cui talora anche la vittima diretta dell’attività socialmente dannosa può finire per subire un duplice pregiudizio: come <<vittima>> dell’inquinamento e come soggetto di fatto privato del residuo valore del bene aggredito in virtù dell’imposizione legale dell’onere reale e del collegato privilegio” [22].

 

[1] G. Colla, G. Manzo, Le sanzioni amministrative, Milano 2001, 141 ss.

[2] Per un’esauriente ricognizione di tali posizioni giurisprudenziali cfr. T.A.R. Emilia –Romagna, sez. I, 19 febbraio 1998, n. 64.

[3] Ciò in quanto “all’amministrazione non è consentito porre a carico di soggetti diversi da quelli individuati dalla legge, comportamenti che la stessa è tenuta a pretendere da coloro che ne sono gravati” (T.A.R. Lombardia, Milano, 7.12.1995, n. 1442).

[4] E’ stato così ritenuto responsabile il proprietario di un fondo che – pur essendo a conoscenza dello scarico abusivo di rifiuti praticato da terzi sul suo terreno – non abbia posto in essere concreti comportamenti (quali la recinzione del fondo) atti ad impedire il ripetersi di questi episodi (T.A.R. Lombardia, Brescia, 17.10.1994, n. 580).

[5] T.A.R. Emilia-Romagna, sez. I, 22 maggio 1995, n. 241; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 9 giugno 1983, n. 237.

[6] L’impresa che esercita attività pericolose potrebbe neutralizzare i costi di riparazione, eventualmente derivanti da fatti dannosi ad essa riconducibili, attraverso un’accorta economia di gestione dell’impresa.

[7] È, peraltro, necessario definire lo spazio e l’efficacia dell’art. 14 in rapporto al diverso e più complesso ruolo esercitato dall’art. 17.

[8] Si legge in T.A.R. Emilia-Romagna, sez. I, 19 febbraio 1998, n. 64: “pare al collegio che il legislatore – nel ridisciplinare (art. 14 d. lgs. n. 22/97) il divieto di abbandono di rifiuti già previsto dall’abrogato art. 9 d.p.r. n. 915/82 – abbia inteso eliminare i margini di incertezza presenti nella precedente formulazione, tenendo espressamente conto delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza prevalente”

[9] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, ordinanza 12 giugno 2002, n. 2899; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 12 marzo 2002, n. 1291; Cons. St., sez. V, 2 aprile 2001, n. 1904.

[10] Al proprietario si affiancano, sullo stesso piano, i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, coloro cioè che manifestino una relazione di possesso o detenzione sull’area medesima.

[11] C.C., sez. I, 3 dicembre 1994, n. 10412: “l’illecito amministrativo presuppone la configurabilità di una condotta dolosa o colposa, con la conseguenza che non è legittima l’applicazione di una sanzione amministrativa sulla base di una generica culpa in vigilando o in eligendo ed in assenza di accertamenti specifici in ordine all’imputabilità dell’infrazione contestata al comportamento (anche omissivo) del soggetto sanzionato”.

[12] Del resto, l’ordine comunale, rivestendo, secondo l’orientamento giurisprudenziale qui recepito, natura di sanzione avente carattere ripristinatorio, anche in mancanza dell’espressa previsione legislativa della necessità del dolo o della colpa ai fini della responsabilità solidale del proprietario dell’area, presupporrebbe in ogni caso l’accertamento della responsabilità da illecito in capo al destinatario. 

[13] In coerenza con il principio comunitario “chi inquina paga”, principio che tra l’altro risulta espressamente richiamato dall’art. 15 della direttiva n. 91/156, di cui il D. Lgs. del 1997 costituisce recepimento.

[14] Il comma 10 dispone, infatti, che “gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale costituiscono onere reale sulle aree inquinate”, onere che, peraltro, dovrà essere iscritto sui certificati di destinazione urbanistica; il comma 11, ad ulteriore garanzia di copertura dei costi sostenuti per l’intervento ad iniziativa pubblica, stabilisce che “le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale…sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime”, esercitabile anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile.

[15] Nell’ipotesi in cui rimanga inerte, resterà esposto – unitamente al responsabile dell’inquinamento – all’azione di rivalsa del Comune o della Regione che abbiano provveduto a loro spese ex art. 17, comma 9. Si è però sostenuto che, in questa ipotesi, il proprietario del sito risponderebbe solo entro i limiti del valore del fondo, stante la natura di onere reale degli obblighi di bonifica. Considerata la predetta limitazione, che determinerebbe l’oggetto dell’obbligazione del proprietario, anche l’ulteriore garanzia prevista dall’art. 17, comma 11, per la quale le spese di bonifica sono assistite da privilegio generale mobiliare, dovrebbe intendersi operante, nei confronti dl proprietario estraneo all’inquinamento, nei limiti del valore del fondo. (L. Prati, La responsabilità del proprietario per la bonifica dei siti inquinati nell’art. 17 del D. Lgs. 22/1997 e nel D.M. 471/1999, in Riv. Giur. ambiente, 2000, 672, 673.

[16] Si evidenzia così la funzione della notificazione al proprietario dell’ordinanza comunale.

[17] Gli oneri reali sono, infatti, caratterizzati dal gravare su di un soggetto solo in ragione del fatto che questi abbia il godimento di un determinato bene, trasmettendosi automaticamente al suo avente causa in caso di trasferimento della proprietà e/o del possesso del bene stesso, ed hanno, in genere, fondamento nel dovere di cooperazione tra proprietari od in esigenze di carattere sociale. La peculiare caratteristica dell’“ambulatorietà” implica che l’obbligo di eseguire gli interventi indicati si trasferisca insieme alla titolarità di diritti reali sul sito inquinato. M. Bianca, Diritto Civile. 4. L’obbligazione, Milano 1993, 65.

[18] Cass. Pen., Sez. III, 28 aprile-7 giugno 2000, n. 1783, in La Settimana giuridica, 2000, 236.

[19] L. Prati, La responsabilità del proprietario per la bonifica dei siti inquinati nell’art. 17 del D. Lgs. 22/1997 e nel D.M. 471/1999, in Riv. giur. ambiente, 2000, 684-685.

[20] Cass. Pen., cit.

[21] S. Fuochi, Commento a T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 9 giugno 1997, n. 1026, in Urbanistica e appalti, 1998, 6, 640.

[22] L. Prati, La responsabilità del proprietario per la bonifica dei siti inquinati nell’art. 17 del D. Lgs. 22/1997 e nel D.M. 471/1999, in Riv giur. ambiente, 2000, 687, 688.

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