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Articoli e note
n. 7/8-2002.

MAURIZIO BRIZZOLARI
(Avvocato)

La limitata competenza dei Comuni a disciplinare l’installazione degli impianti emittenti onde elettromagnetiche

(nota a Cons. Stato, Sez. VI - sentenza 3 giugno 2002 n. 3098 *)

Con la sentenza n. 3096/2002  pubblicata il 3.06.2002 (in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cds6_2002-06-03-5.htm), il Consiglio di Stato, sez. VI – Pres. Ruoppolo, Rel. Chieppa – conferma, finalmente in sede di merito, la limitata competenza dei Comuni a disciplinare l’installazione degli impianti emittenti CEM, già riconosciuta da una copiosa e consolidata giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi (TAR Abruzzo – Pescara – sentenza 173 del 23.1.2002; TAR Umbria sentenza n. 702 del 5.12.2001; TAR Sardegna sentenza 1029 del 29.6.2001; TAR Lazio sentenze n. 7071 del 29.08.01, n. 6403 del 4.07.01 e n. 7026 del 25.08.01; TAR Marche sentenza 302 del 26.4.2002; TAR Veneto sentenza n. 347 del 4.02.2002; TAR Sicilia – Catania – sentenza n. 140 del 29.01.2002).

Nella fattispecie, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello proposto dal Comune di Civitavecchia avverso la sentenza del TAR Lazio, Sez. II, n. 6403/2001, che aveva annullato il regolamento comunale - adottato prima della legge quadro n. 36/2001 - che stabiliva per l’installazione di antenne di telefonia cellulare, distanze di rispetto da edifici con particolari destinazione (edifici c.d. sensibili come scuole, ospedali, case di cura ecc.), fissava dei limiti di esposizione e delle misure di cautela più rigorosi rispetto a quelli vigenti, previsti dalla normativa statale.

Sebbene il Supremo Collegio abbia nuovamente affermato la necessità di valutare la legittimità dell’atto amministrativo sulla base della legislazione vigente all’epoca della sua adozione e, quindi, l’inapplicabilità della L.Q. alla fattispecie, la sentenza ha il merito di definire le competenze in subiecta materia in relazione, sia al quadro normativo precedente alla L.Q., sia a quello attuale, anche con riferimento alle modifiche dell’art. 117 della Cost. successivamente intervenute.

Proprio riguardo la modifica della nomativa costituzionale, la motivazione della sentenza esordisce con una importante principio: poichè la materia regolata dalla L.Q. attiene sia alla tutela dell’ambiente (rientrante nella legislazione esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, comma 1, lett. S) della Cost.), sia alla tutela della salute (materia di legislazione concorrente, unitamente a quella dell’ordinamento della comunicazione), il dettato della L.Q. e, in particolare, una uniforme fissazione dei criteri di fissazione dei limiti di esposizione sull’intero territorio nazionale, attraverso la riserva esclusiva allo Stato di detta competenza, è compatibile con il mutato quadro costituzionale di riferimento, atteso il valore di principio fondamentale della materia che possiede tale uniforme fissazione e potendo, comunque, le competenze attribuite alle regioni ed agli enti locali, essere esercitate nel rispetto dei limiti di esposizione fissati a livello centrale (pag. 10 sent.).

La disamina dell’attuale quadro normativo, in particolare sotto il profilo delle competenze, risulta utile anche per la valutazione delle normative regionali intervenute a dettare misure di cautela e/o obiettivi di qualità, attraverso la riduzione dei limiti di emissione di ciascun impianto o la fissazione di distanze di rispetto da edifici o zone residenziali, determinando situazioni di disparità nel territorio nazionale, in materia di tutela della salute della popolazione dall’inquinamento elettromagnetico. In particolare, l’interpretazione del Consiglio di Stato costituisce un autorevole precedente per il giudizio di legittimità costituzionale della L.R. Marche 25/2001 del 13.11.2001, attualmente all’esame della Consulta a seguito del ricorso del Governo, che ha contestato la riduzione del livello di CEM a 3 V/m e la determinazione di distanze da determinati edifici e zone omogenee.

In merito alle competenze attribuite ai Comuni, la sentenza esordisce affermando che, sia prima e sia successivamente all’entrata in vigore della L.Q., non rientra tra le competenze dei Comuni la fissazione di limiti di esposizione ai CEM diversi da quelli previsti dalla normativa statale vigente (DM 381/98).

Prima della nuova normativa (L-36/2001) ai Comuni è riconosciuta, una competenza di esclusiva natura urbanistica, da esercitarsi seguendo le procedure previste per l’adozione degli strumenti urbanistici, attraverso un’adeguata istruttoria e garantendo la partecipazione dei soggetti interessati.

Dopo l’entrata in vigore della legge quadro, secondo il Consiglio di Stato, si prevede (all’art. 8, comma 6 della legge n. 36/2001) una competenza aggiuntiva rispetto a quella urbanistica e cioè quella di "minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici".

Nell’esplicazione di tale nuova competenza, secondo il Consiglio di Stato, i Comuni non possono derogare o eludere i criteri di tutela della salute dalle emissioni elettromagnetiche fissati dallo Stato, essendo invece consentita l’individuazione di specifiche e diverse misure la cui idoneità, al fine della minimizzazione, emerga dallo svolgimento di compiuti ed approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di carattere scientifico.

Risulta peraltro difficile immaginare che tali ulteriori misure non abbiano rilevanza urbanistica ed edilizia, potendo consistere nella determinazioni di modalità costruttive (al riguardo è da ricordare la competenza dello Stato alla realizzazione di accordi di programma con i gestori al fine di promuovere tecnologie e tecniche di costruzione degli impianti che consentano di minimizzare le emissioni nell’ambiente e di tutelare il paesaggio – art. 4, comma 1°, lett. f) L.Q.), distanze o altezze.

In sostanza, ad avviso dello scrivente, la competenza dei comuni sarà esercitabile attraverso la modifica della propria disciplina urbanistico-edilizia, secondo i procedimenti tipici previsti dalle leggi urbanistiche. Comunque, secondo il Consiglio di Stato i Comuni devono assicurare:

- il rispetto del principio del contraddittorio e partecipazione, in particolare dei gestori (attraverso il quale garantire la compatibilità delle misure adottate alle esigenze tecniche di funzionalità del servizio; principio non ricordato dalla sentenza ma immanente al sistema – D.M. 381/98 e L. 249/97).

- la verifica dell’idoneità delle misure adottate ai fini della minimazzione, attraverso compiuti ed approfonditi rilievi istruttori, sulla base di risultanze di carattere scientifico;

- la ragionevolezza delle misure tipicamente urbanistico-edilizie, la cui introduzione deve essere sorretta da sufficiente motivazione sulla base di risultanze acquisite attraverso un’adeguata istruttoria;

- il rispetto dei criteri di tutela della salute dalle emissioni elettromagnetiche fissati dallo stato; senza, quindi, adottare divieti generalizzati di installazione delle stazioni radio per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale o distanze fisse minime da qualsiasi abitazione.

Sinora la maggior parte delle disposizioni adottate dai Comuni non sono conformi ai principi affermati dal Supremo Collegio e sarà interessante verificare quale effetto determinerà la sentenza sul comportamento delle Amministrazioni Comunali, anche se resta sempre auspicabile un intervento da parte del legislatore.

Infine, merita di essere segnalata la soluzione di due questioni preliminari sollevate dall’amministrazione appellante: la tardività del ricorso per l’applicabilità del termine ridotto ai sensi dell’art. 19 L. 135/97, in quanto il regolamento impugnato avrebbe disciplinato l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità; l’asserita carenza di interesse per l’assenza di immediata lesività del regolamento impugnato.

In merito alla prima questione, il Consiglio di Stato ha escluso l’applicabilità del regime speciale processuale, sia perché riguarda soltanto le opere riferibili alla Pubblica Amministrazione, mentre gli impianti di radio telefonia sono realizzati da gestori privati del servizio di pubblica utilità e il carattere eccezionale delle richiamate disposizioni non consentono la loro estensione in via analogica; sia in quanto il provvedimento impugnato non riguardava l’esecuzione di un opera, ma era costituito da un atto normativo e generale contenente la disciplina della realizzazione di detti impianti.

Per quanto riguarda l’interesse ad agire, il Supremo Collegio ha confermato l’elisione di quello che, per un certo periodo, la giurisprudenza ha considerato un dogma: la non impugnabilità dei regolamenti in assenza dei provvedimenti applicativi. Il Consiglio, in presenza di domande di concessione edilizia pendenti, ha ritenuto autonomamente impugnabile il regolamento che non consentiva la costruzione degli impianti progettati dal gestore (di fatto assumendo carattere di immediata lesività), così assicurando al privato una tutela più efficace e tempestiva e, in quanto tale, certamente più adeguata ai principi del nuovo processo amministrativo.

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