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Articoli e note
n. 9-2002.

DIEGO DE CAROLIS

Brevi considerazioni sull’accesso al “fatto” da parte del giudice amministrativo mediante il sindacato sulla discrezionalità tecnica (*).

SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. L’accesso al “fatto”attraverso il sindacato sulla discrezionalità tecnica: (2.1) le posizioni della dottrina; (2.2.) e della giurisprudenza; 3. I risultati dell’analisi. 4. Conclusioni.

 

1. Introduzione.

Le evoluzioni e le trasformazioni che ha subito il processo amministrativo [1] hanno avuto come protagonista, se non assoluto, ma comunque di primo piano il “fatto” [2], e cioè i dati storici in concreto rilevanti che hanno originato e supportato l’attività ovvero l’inerzia dell’amministrazione e che vengono sottoposti al vaglio del giudice.

 Non a caso, le prime pronunce della IV Sezione del Consiglio di Stato, che furono decisive per lo sviluppo della figura dell’eccesso di potere, erano mirate a delineare il vizio stesso attraverso la verifica della esistenza nel provvedimento impugnato di un “contrasto con una evidente ed indiscutibile situazione di fatto” [3].

 In particolare, la giurisprudenza ebbe a precisare che “vi è una specie di eccesso di potere che consiste nella contraddizione tra il provvedimento ed una innegabile situazione di fatto, sia che il provvedimento si fondi sull’ammissione di fatti dai documenti smentiti, sia che abbia per base la negazione di fatti che dai documenti stessi emergano in modo non dubbio” [4].

 Anche oggi come allora il giudice amministrativo si trova in una fase di transizione ed è chiamato a delineare nuovamente i parametri attraverso i quali valutare i “fatti” versati in giudizio, con le maggiori concrete difficoltà derivanti dai profondi cambiamenti che ci sono stati e che sono in rapida evoluzione sia nella società che, per quello che qui interessa, nel modo di governare la cosa pubblica attraverso l’uso in maniera sempre più diffusa ed ormai inarrestabile del sistema di e-government nei rapporti amministrazione-cittadini.

 L’immediato riscontro è dato dalla riforma del processo amministrativo, introdotta dalla legge n. 205 del 2000, che ha esteso la consulenza tecnica nell'ordinario giudizio di legittimità [5], così come era stata già prevista in sede di giurisdizione esclusiva, imponendo all'interprete di definire con maggiore ampiezza l'oggetto del sindacato giurisdizionale [6] e le modalità attuative dell'accertamento dei fatti rilevanti [7].

 Inoltre, occorre considerare anche la trasformazione dell'oggetto del giudizio amministrativo, sia in generale e che nella struttura particolare del processi in determinate materie od in controversie tipizzate.

 Sul piano generale, sembra ormai certo che il giudizio non è più riducibile (solo) al controllo di legittimità dell'atto, ma, sempre nel rispetto del principio dispositivo e quindi sulla base delle censure avanzate dalle parti, è volto a definire il contenuto sostanziale del rapporto controverso, visto nelle sue componenti di fatto e giuridiche.

 Ne consegue che la maggiore ampiezza del sindacato si debba necessariamente esprimere anche (ma non solo) attraverso l'accertamento dei dati storici in concreto rilevanti [8].

 Riguardo, invece, ai modelli processuali di portata più specifica, ed in particolare a quelli di carattere esclusivo nella giurisdizione in determinate materie (come ad esempio le procedure di affidamento dei servizi pubblici e di appalti pubblici) la pienezza della cognizione del giudice emerge con maggiore nettezza e si rafforza in maniera più spiccata il principio di effettività della tutela delle parti.

Peraltro, anche dopo le recenti riforme e le aperture che giungono dalla disciplina comunitaria [9], permangono ancora delle difficoltà ad trattare in guisa uniforme il momento conoscitivo del giudice amministrativo, indipendentemente dalla situazione dedotta in giudizio [10] ovvero dal tipo di giurisdizione esercitato.

Indubbiamente, oltre che ragioni per così dire storiche e di impostazione professionale dei giudici amministrativi, militano in favore di un atteggiamento restio ad abbandonare posizioni consolidate anche le scelte del legislatore che comunque ha ribadito la diversità di poteri istruttori, anche se ha uniformato la possibilità di ricorrere alla consulenza tecnica.

Questa circostanza, unitamente alla ritenuta omogeneizzazione dei poteri decisori e risarcitori del giudice amministrativo a causa delle modifiche apportate all’art.7 della L. n. 1034 del 1971, dovrebbe peraltro consentire di superare alcune (legittime) perplessità anche per quanto riguarda appunto i limiti che si pone il giudice amministrativo nel riesaminare la correttezza o meno dell’apprezzamento dei fatti operato dall’amministrazione.

2. L’accesso al “fatto” attraverso il sindacato sulla discrezionalità tecnica: (2.1.) le posizioni della dottrina e (2.2.) della giurisprudenza.

 Ciò posto in via generale, l’oggetto del presente intervento sarà limitato all’esame della posizione della dottrina e della giurisprudenza in merito alla considerazione del “fatto” , poi versato in giudizio, che risulti effettuato dalla p.a nell’esercizio della sua cd. discrezionalità tecnica e sui limiti del sindacato sulla stessa da parte giudice amministrativo.

 Giova prendere le mosse dalla importante circostanza, che assume sempre più il carattere della generalità, che l’attività dell’amministrazione, anche quando si esprima attraverso una ponderazione degli interessi, si estrinseca sempre più sulla base di valutazioni, ricognizioni ed apprezzamento di dati fattuali mediante applicazione di norme tecniche intese in senso lato [11].

 In buona sostanza, si va sempre più affermando l’impostazione che simili giudizi non siano di esclusiva competenza dell’amministrazione, bensì che una riserva sia possibile laddove esiste una norma che espressamente la preveda [12].

 (2.1.) Secondo GIANNINI la discrezionalità si riferisce ad una potestà ed implica giudizio e volontà insieme, la discrezionalità tecnica attiene invece ad un momento conoscitivo ed implica solo un giudizio mentre “ciò che attiene alla volizione viene dopo e può coinvolgere o non coinvolgere una separata valutazione discrezionale”.

 Se così è, l’applicazione di una norma tecnica può comportare valutazioni di fatto suscettibili di variegato apprezzamento, quando la norma tecnica contenga del concetti indeterminati ovvero richieda apprezzamenti opinabili.

 Ma, evidentemente, una cosa è l’opinabilità, altra è l’opportunità se si pone mente alla circostanza che la quaestio facti attiene ad un presupposto di legittimità del provvedimento che non si trasforma, solo perché opinabile, in una questione di opportunità, anche se antecedente o successiva ad una scelta di merito.

 In buona sostanza, l’attività di accertamento di fatti in quanto tale non può sottrarsi al pieno sindacato da parte del giudice amministrativo in virtù del noti principi costituzionali in tema di tutela giurisdizionale (art. 24 e 113 Cost.).

 Peraltro, come giustamente rilevato, sul piano pratico non è certamente sempre agevole individuare i rispettivi ambiti, e cioè quali aree dell’agire dell’amministrazione siano effettivamente connotate da valutazioni propriamente discrezionali, in quanto attinenti direttamente ad interessi pubblici,e quante volte, invece la norma attributiva del potere individui direttamente l’interesse da tutelare in via esclusiva, con la conseguenza che permane un margine di libertà limitata alla modalità di sua soddisfazione, e non anche di configurazione dei suoi contenuti sostanziali.

 Tuttavia, è stato a tal proposito giustamente osservato che il cd. “merito” dell’agire della p.a. può assumere un duplice significato: da un lato corrisponde interamente all’opportunità, dall’altro rappresenta il contenuto sostanziale del provvedimento che ricomprende nel contempo “opportunità, valutazioni tecniche e qualificazioni giuridiche” e quindi tutto lo svolgersi del procedimento che va dal momento in cui sorge l’esigenza di cura concreta di un interesse pubblico fino al momento terminale [13].

 Da questa impostazione, limitandoci agli orientamenti più recenti, la dottrina ne trae due diverse conclusioni, l’una più “ortodossa”, l’altra più preoccupata di far prevalere il principio della piena e compiuta effettività della tutela.

 La prima ritiene che la piena giustiziabilità (e quindi l’apprezzabilità del fatto da parte del giudice) sia limitata nell’ambito delle cd. scienze esatte, venendo sostanzialmente a coincidere con l’attività a carattere vincolato.

La seconda [14], invece, afferma che è possibile che l’apprezzamento del giudice si sovrapponga, sostituendolo, a quello non corretto effettuato da un soggetto (la p.a.) al quale l’ordinamento non autorizza a stabilire in termini definitivi ed insindacabili la qualificazione di un fatto giuridicamente rilevante, potendo viceversa l’amministrazione assumere in via esclusiva solo la determinazione originaria e più opportuna, congrua e satisfattiva di un valore normativo da essa non disponibile in termini altrettanto riservati.

 Solo quest’ultimo ordine di apprezzamenti sfuggirebbe al sindacato diretto del giudice in quanto avente ad oggetto non la qualificazione giuridica dei fatti, ma la formulazione di ipotesi alternative e la scelta di una di queste che attengono, di contro, alla sfera riservata all’amministrazione [15].

 Del resto tale possibilità di operare una diretta valutazione giuridica dei fatti si evince chiaramente [16] dalla introduzione della consulenza tecnica d’ufficio nella giurisdizione di legittimità e la generalizzazione dell’introduzione di C.T.U e prova per testi nella giurisdizione esclusiva [17].

 (2.2.) La recente giurisprudenza, dal canto suo, ha rielaborato i concetti espressi dalla dottrina e dai suoi precedenti orientamenti, astretta anche dalla immediata applicazione della recente novella legislativa, sforzandosi di indicare alcuni criteri che possano superare le obbiettive difficoltà di individuare, sul piano pratico, i confini tra discrezionalità e merito nel senso sopra ricordato.

Tale impostazione, seppure in maniera non insuperabile, ha trovato un metro di comparazione nella affermazione di principio della giurisprudenza comunitaria in base al quale il diritto comunitario non prescrive livelli di incisività del controllo giurisdizionale sulla valutazione amministrativa degli elementi tecnici tali da consentire ai giudici nazionali competenti di sostituire la loro valutazione degli elementi di fatto a quella delle autorità amministrative competenti.

 Invero, prendendo le mosse proprio da tale affermazione della Corte di Giustizia, è stato sottolineato che, ad esempio, la normativa comunitaria in materia di appalti (direttiva 89/665/C.E.E.) conferma la linea di tendenza volta ad assicurare, in tale ambito, la massima tutela delle posizioni delle imprese coinvolte nella procedura di gara.

Inoltre, nella giurisprudenza più recente, il richiamo al criterio della limitata sindacabilità della discrezionalità tecnica, seppure costante, non si traduce, concretamente, nella enunciazione in una univoca ratio decidendi, né comporta, necessariamente, una reale restrizione dei poteri cognitori del giudice.

 E così, è stato precisato come il limite proprio della giurisdizione amministrativa, correlato alla dimensione costituzionale della funzione ed al suo corretto rapporto con i compiti assegnati ai pubblici poteri, riguarda la insindacabilità del merito amministrativo.

In tale prospettiva, resta sicuramente preclusa al giudice amministrativo (in sede di giudizio di legittimità) la diretta valutazione dell'interesse pubblico concreto perseguito dall'atto impugnato.

Peraltro, la discrezionalità tecnica non sfugge, aprioristicamente, al sindacato del giudice amministrativo, perché essa riguarda un concetto diverso dal merito amministrativo.

 Essa identifica, al contrario, le ipotesi in cui l'operato dell'Amministrazione, in relazione a particolari materie, deve svolgersi secondo criteri, regole e parametri tecnici o scientifici, direttamente od indirettamente richiamati dalla norma giuridica che disciplina il potere.

Detta eventualità si manifesta in settori crescenti dell'attività amministrativa, considerando, fra l'altro, la rapidissima evoluzione del progresso scientifico e tecnico e dell'interesse pubblico manifestato in ambiti contrassegnati da elevato tasso di specificità tecnica. Ad esempio, il settore dei contratti e dei servizi pubblici, legato alla evoluzione delle imprese e delle tecnologie applicate risulta particolarmente soggetto a tale fenomeno. Si pensi ad esempio alle attrezzature ed agli apparecchi chirurgici e biomedicali.

Secondo tale orientamento, l'applicazione delle tecniche imposta dalle norme si manifesta in modalità differenziate.

La prima, e più semplice, è quella in cui la conoscenza specialistica è suscettibile di tradursi in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza, con i limiti connaturati ad ogni conoscenza.

In tale eventualità, l'applicazione delle regole richiamate dalla norma giuridica sfocia nel compimento di un accertamento tecnico, la cui cognizione da parte del giudice non dovrebbe incontrare eccessive restrizioni, nemmeno secondo la tesi più tradizionale.

La seconda ipotesi riguarda le fattispecie in cui l'applicazione della tecnica è svolta allo scopo di compiere valutazioni od apprezzamenti non assistiti dalla nota della certezza, o quanto meno dal quella elevata probabilità, prossima alla certezza, tipica delle moderne scienze causalistiche.

In questi casi, il supporto tecnico del giudizio mira a concretizzare il contenuto di concetti giuridici indeterminati, od elastici, costruiti attraverso il riferimento a nozioni ricavate direttamente dalla scienza o dalla tecnica.

Perciò, il tasso più o meno elevato di opinabilità del giudizio e la circostanza che la valutazione spetta, in prima battuta, all'Amministrazione, non autorizza a ritenere che ci si trovi in presenza di un insindacabile apprezzamento dell'interesse pubblico.

L'esercizio della discrezionalità tecnica, in questo modo, sostanzia un rilevante profilo di ricostruzione del fatto e, come tale, va conosciuto dal giudice, nell'esercizio dei suoi ordinari poteri istruttori.

L'apprezzamento degli elementi di fatto del provvedimento, siano essi semplici o complessi (da rilevare attraverso valutazioni tecniche) attiene sempre alla legittimità del provvedimento e, pertanto, non può essere sottratto al giudice, pena la violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale e del nuovo canone costituzionale della parità processuale delle parti, come emerge dalla puntuale regola del giusto processo sancita dal novellato art. 111 della Costituzione [18].

Il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici può limitarsi al controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'attività amministrativa, se questa è la domanda della parte e se ciò appare sufficiente per valutare l'illegittimità del provvedimento impugnato.

Ma tale sindacato può anche consistere nella verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza, quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo.

Resta fermo il principio secondo cui non spetta al giudice amministrativo riesaminare le autonome valutazioni dell'interesse pubblico compiute dall'Amministrazione, sulla base delle cognizioni tecniche acquisite.

 La frequente contestualità (se non commistione) fra i due profili lascia comunque intatta la necessità di distinguere accuratamente i due aspetti, che riflettono il confine tra legittimità e merito del provvedimento.

 Infine, la stessa giurisprudenza ha precisato che deve essere riconosciuta la necessità di isolare ipotesi di valutazioni riservate da apposite norme all'Amministrazione, quanto meno nei casi in cui essa risulti titolare di una particolare competenza legata alla tutela di valori costituzionali speciali.

In tal senso, è stata apprezzata come particolarmente significativa l'indicazione ricavabile dall'art. 17 comma 2 della legge n. 241 del 1990, il quale statuisce il principio di non surrogabilità delle valutazioni tecniche spettanti alle Amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale e della salute dei cittadini.

Accanto a tale impostazione, è stata avanzata l’opzione per una classificazione del sindacato sulla discrezionalità, e di converso sull’apprezzamento dei fatti, distinguendo tra sindacato “forte” e sindacato “debole” [19].

 Secondo tale definizione, il controllo di tipo “forte” si traduce in un potere sostitutivo del giudice il quale si spinge fino a sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile a quella dell’Amministrazione; il controllo di tipo debole, invece, prevede che le cognizioni tecniche acquisite eventualmente attraverso il consulente vengono utilizzate allo scopo di effettuare un controllo di ragionevolezza e coerenza tecnica della decisione amministrativa [20].

In buona sostanza, secondo la classificazione prospettata, dai ricordati principi giurisprudenziali se ne inferisce che esisterebbero appunto due “tipologie” di apprezzamento del giudice, fermo restando, in generale, che il giudice sia chiamato a verificare direttamente i fatti posti a fondamento dei provvedimenti e ad esercitare il sindacato di legittimità sull’individuazione del parametro normativo da parte dell’amministrazione e sul raffronto con i fatti accertati [21].

 Al riguardo, giova segnalare due recenti pronunce delle Sezioni del TAR Abruzzo [22], come spunto di riflessione sulla concreta applicazione di tali principi giurisprudenziali.

La prima decisione è stata assunta in un controversia in materie di appalto di forniture di prodotti monouso che avrebbero dovuto garantire una certa percentuale di biodegradabilità.

 In disparte le considerazioni che attengono alla modalità di presentazione delle domande di partecipazione e delle offerte tecniche ed economiche, il giudice ha accertato la illegittimità del bando che prevedeva l’imposta “totale” biodegradabilità del prodotto e sia la incompletezza della istanza del privato, sanzionata con l’esclusione.

 E ciò sulla base della relazione di un organo tecnico regionale che aveva accertato che “ nei presidi monouso è sempre presente una percentuale di carica inerte non degradabile biologicamente che esclude a priori la biodegradabilità del 100% del prodotto “ e che “ il parere chimico espresso in calce alla refertazione analitica non possa essere interpretato come attestazione di totale biodegradabilità del materiale esaminato, né di biodegradabilità del 100%, bensì come semplice attestazione di biodegradabilità così come intesa e definita dalla normativa applicata””.

 Di talché il giudice ha potuto apprezzare la specifica circostanza ed affermare che “alla stregua delle precisazioni tecniche sopra trascritte si deve ritenere che un prodotto può essere correttamente considerato totalmente biodegradabile quando raggiunge una certa soglia, soglia il cui valore ha una certa oscillazione e che comunque non tocca il cento per cento.

Si può allora certificare totalmente biodegradabile un prodotto che, pur raggiungendo una determinata la soglia di biodegradabilità, biodegradabile non lo è al 100%.

 Nell’ordine di idee suesposto assume valore formale e sostanziale insieme la clausola del capitolato speciale che pretende “attestazione di percentuale di biodegradabilità”, sancendo l’esclusione dalla gara per la ditta che, presentando prodotti non totalmente biodegradabili (e nessuno lo è al 100 per 100), non ne abbia dichiarato il grado o la percentuale.”

 In questo caso il giudicante ha potuto spingere la sua indagine fino alla verifica della “ritualità” della forma dell’atto di iniziativa del privato.

 Nella sentenza della Sezione di Pescara è stato accolto un ricorso volto all’annullamento del diniego di nulla osta dell’Ufficio del Genio Civile che aveva al cui ottenimento era condizionata l’efficacia della concessione edilizia rilasciata dal Comune [23].

 Più in particolare, nella concessione edilizia era contenuta una prescrizione che imponeva la richiesta del nulla osta al genio civile territorialmente competente, al quale, pertanto i ricorrenti si rivolgevano allegando gli elaborati architettonici ed una relazione del titolare della cattedra di sismologia di una Università.

 Il diniego di nulla osta era basato su due accertamenti dell’Ufficio del Genio civile secondo i quali l’area interessata dall’intervento edilizio era ricompresa tra quelle soggette ad un preteso elevato rischio geomorfologico del terreno [24].

 Di talché, una volta accertata attraverso la C.T.U. l’infondatezza del rilievo mosso dal Genio Civile circa i rischi di dissesto ha annullato il provvedimento negativo ed ha “invitato” il Genio civile “ad emettere immediatamente un nuovo provvedimento che dovrà tenere conto pedissequamente delle conclusioni del prof. S., come se l’indagine dello stesso fosse stata dal Genio civile medesimo compiuta. Potrà tenere contro delle indicazioni formulate dal detto docente ed inserire eventuali prescrizioni che rendano del tutto compatibile con la sicurezza l’intervento di che trattasi”.

3. I risultati dell’indagine.

L’indagine condotta, seppure ovviamente senza presunzione di compiutezza, sulle posizioni assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza che più recentemente si è occupata della questione consente di delineare alcuni profili sui quali vi è tendenzialmente convergenza di opinioni e possono rappresentare alcuni punti fermi sin ora raggiunti.

 Le due recenti pronunce appena ricordate appaiono confermare come l’esercizio della discrezionalità tecnica, quando si sostanzia in un profilo di ricostruzione del fatto alla stregua di regole scientifiche certe o altamente probabili si traduce, in realtà, nel compimento di un vero e proprio accertamento tecnico.

 Qualora gli apprezzamenti dell’amministrazione, viceversa, non siano assistiti dalla nota della certezza tipica delle scienze causalistiche, l’amministrazione prima, ed il giudice poi, sono chiamati a rendere concreto il contenuto di concetti giuridici indeterminati.

 Anche in questo caso, peraltro, ferma restando per il giudice amministrativo l’impossibilità di attingere direttamente l’opportunità della scelta effettuata per la miglior cura dell’interesse pubblico, l’esercizio della discrezionalità tecnica quando si sostanzia in un rilevante profilo di ricostruzione del fatto può essere conosciuto dal giudice amministrativo nell’esercizio dei poteri istruttori disegnati dalla legge secondo il tipo di posizione soggettiva coinvolta nel processo.

L’apprezzamento degli elementi di fatto del procedimento e del provvedimento conclusivo, siano questi a struttura semplice o complessa, attiene quindi sempre al piano della legittimità, onde deve esserne sempre consentita la sindacabilità in attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale esaltato dalla riforma dell’art. 111 della Costituzione [25].

In secondo luogo, appare ormai frequente l’accostare il sindacato sulla motivazione dell’atto all’esercizio del potere sulla base della discrezionalità tecnica al fine di trovare strumenti che consentano al giudice di verificare la correttezza dell’attività amministrativa sottoposta alla sua attenzione.

Infatti, entrambi hanno la comune matrice rappresentata dall’accertamento dei “presupposti di fatto” sottesi all’esercizio del potere.

L’obbligo di analitica motivazione di un provvedimento che è frutto di valutazioni di carattere tecnico che siano opinabili, discende anche da ulteriori considerazioni sul sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica, oggi rafforzato dall’eventuale ricorso alla consulenza tecnica di ufficio.

 Invero, va considerato che l’elaborazione giurisprudenziale suffragata dal riconoscimento legislativo di nuovi poteri istruttori, consentono il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica, e l’utilizzo della consulenza tecnica di ufficio, anche nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, quale strumento di ausilio per verificarne il corretto esercizio da parte dell’amministrazione.

 Peraltro, a fronte di tale affermazione generale e di principio, si ritiene che, nell’ambito della giurisdizione su interessi legittimi, il sindacato sulla discrezionalità tecnica vada sempre condotto nei limiti dei vizi dell’atto amministrativo, come dedotti nel ricorso, e dunque vada sempre riferito ad un provvedimento che si espone a censure di carattere tecnico.

 Il risultano al quale si perviene è che il sindacato giudiziale sulle scelte tecniche non può che essere un riesame dell’operato dell’amministrazione, e dunque una verifica che l’amministrazione abbia esercitato i propri poteri secondo criteri di logica, congruità, ragionevolezza, corretto apprezzamento dei fatti.

 Di contro, il giudice amministrativo non può, invece, nella giurisdizione su interessi legittimi, compiere per la prima volta un giudizio tecnico non svolto in prima battuta dalla amministrazione, perché ciò implicherebbe certamente una inammissibile sostituzione nell’esercizio del potere amministrativo, e non un sindacato sull’esercizio del potere.

 Con la conseguenza che, ove sia mancato il giudizio tecnico parte dell’amministrazione e la stessa si sia limitata ad una motivazione apparente o incongrua, il giudice amministrativo non può supplire, svolgendo esso in via diretta e per la prima volta un’indagine tecnica, ma deve invece limitarsi al sindacato estrinseco dell’atto amministrativo, eventualmente censurandolo per carenza di motivazione.

4. Conclusioni.

 Trattandosi di materia in continua evoluzione non è certamente agevole trarre delle conclusioni definitive sulle affermazioni e sugli elementi di riflessione che emergono dai risultati dell’indagine, bensì appare possibile tentare di alimentare il dibattito indicando alcuni profili che andrebbero ulteriormente considerati.

Invero, è innegabile che ci si trovi di fronte alla difficoltà di enunciare principi di contenuto univoco sul tema dell’accesso del giudice al fatto e dei rapporti tra discrezionalità e merito [26].

 Oggi appare chiarito, se si vuole anche positivamente, che si stanno compiendo grandi passi riguardo alla cognizione del fatto [27] posto alla base dell’esercizio del potere [28]; si stanno affermando importanti nuovi principi per delineare le differenze tra il “merito” dell’azione amministrativa e la discrezionalità tecnica per aprire nuovi orizzonti all’effettività della tutela attraverso l’accesso a campi di indagine prima ritenuti preclusi al giudice amministrativo [29].

 Resta parimenti ferma l’esigenza di vietare al giudice amministrativo di compiere “in prima battuta” un giudizio non svolto dall’amministrazione ovvero di sostituirsi ad essa.

 Quello che invece si ritiene di poter segnalare è di sottoporre ad una maggiore approfondimento la tendenza a ribadire, ai fini dell’esercizio dei poteri cognitori, la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi, o meglio a differenziare l’esercizio dei poteri riservati al giudice amministrativo a seconda della situazione giuridica della quale è chiamato ad occuparsi in ragione del suo ufficio [30].

 Se, anche a fini organizzativi del sistema della giustizia amministrativa, può senz’altro ritenersi giustificata la permanenza di distinzioni, non altrettanto può dirsi se tali distinzioni sfocino in una non consentita differenziazione di tutela che non appare in linea con una interpretazione dell’art. 113, secondo comma, della Costituzione, qualora letta nel senso che la limitazione preclusa possa riguardare anche l’uniformità di tutela delle situazioni giuridiche soggettive, siano esse di interesse legittimo che di diritto soggettivo.

 Se cosi si può ritenere, parimenti ininfluente dovrebbe apparire la distinzione tra apprezzamenti “forti” e apprezzamenti “deboli” da parte del Giudice amministrativo, che non appaiano idonei a superare la dicotomia che permane, in merito al profilo dell’esame dei presupposti di fatto, tra gli orientamenti che ritengono, da un lato che la scelte discrezionali su base tecnica, debbano essere adeguatamente motivate e siano sindacabili per vizi logici, per errore di fatto, per travisamento dei presupposti, per difetto di istruttoria e per erronea applicazione delle regole tecniche [31]; dall’altro, quello più tradizionale e restrittivo che i provvedimenti che si fondino su valutazioni tecnico discrezionali siano sindacabili solo ove risultino immotivate o manifestamente irragionevoli [32].

Tuttavia, a ben vedere, il “minimo comun denominatore” di tali orientamenti è evidentemente la norma che l’autorità applica, per cui potrebbe risultare fuorviante richiamare i due orientamenti a secondo dell’autorità, del tipo di potere esercitato e della situazione giuridica dedotta in giudizio.

Se rivisitati, appare necessario e sufficiente ai fini del decidere che l’apprezzamento dei fatti sia univoco, omogeneo ed uniforme, assumendo come parametro di riferimento esclusivamente la norma attributiva del potere e della cui concreta applicazione si discuta, attraverso altresì il giudizio sulla emersione o meno di profili non vincolati dalla fattispecie normativa astratta.  


(*) Il presente scritto, aggiornato e corredato delle note, rappresenta il testo della relazione alla tavola rotonda sul tema “Giudice amministrativo e tutele in forma specifica” svoltosi all’Università di Teramo il 3 maggio 2002 e farà parte del volume che raccoglie gli atti del quinto convegno teramano, a cura del prof. Alberto Zito e del dott. Diego De Carolis, in corso di pubblicazione.

[1] Sull’evoluzione del nostro sistema di giustizia amministrativa a seguito della recente riforma, ROMANO  A., Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 2001, XXXI e ss.; in generale sull’argomento cfr. CARINGELLA-PROTTO (a cura di), Il nuovo processo amministrativo  dopo due anni giurisprudenza, Milano, 2002..

[2] CARANTA, I sassi e lo stagno (il difficile accesso al fatto del giudice amministrativo), in Urb.  e App. 2000, 1351,  auspica  che, a seguito della riforma del processo, il giudice usi i nuovi poteri istruttori modificando coerentemente l’impostazione di fondo del giudizio amministrativo.

Come ricorda VENEZIANO, I nuovi mezzi probatori nella giurisdizione di legittimità e nella giurisdizione esclusiva, in www.giustizia-amministrativa.it, il tradizionale divieto di accesso autonomo al fatto da parte del giudice amministrativo discende, per un verso, dalla ritenuta natura del processo amministrativo quale giudizio sull’atto e non sul rapporto sostanziale sottostante e, per altro verso, dall’altrettanto tradizionale affermazione dell’insindacabilità degli ambiti di discrezionalità tecnica, oltre che amministrativa, riservati all’Amministrazione. In realtà, come rileva anche lo stesso A.,  (spec. a pag. 4) tale impostazione appare sempre più recessiva di fronte alla recente evoluzione legislativa,dottrinaria e giurisprudenziale, tanto che è certamente superato l’approccio tradizionale alla problematica, come si ricava dalla stessa giurisprudenza  (cfr. per tutti Cons. St., VI, 8 maggio 2001, n. 2590) che afferma come il giudice amministrativo ben può valutare la ragionevolezza, la congruità e l’esaustività dei giudizi tecnici e dei pareri resi dagli organi tecnici…” per cui “ per poter compiutamente acquisire gli elementi di fatto necessari ai fini dell’esame delle predette doglianze, occorre procedere ad una verificazione in ordine alla ragionevolezza, alla congruità ed all’esaustività dei predetti giudizi tecnici intervenuti nel procedimento in questione.”: così TAR Abruzzo, sez. Pescara, 22 marzo 2002, n. 340, in www.giustizia-amministrativa.it.

[3]  Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 1894, n. 171, in Giust. amm. 1894, I, 364.

[4] Sulle prime decisioni della IV Sezione del Consiglio di  Stato che delinearono le figure sintomatiche dell’eccesso di potere SANDULLI A., L’eccesso di potere amministrativo, in Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, a cura di PASQUINI e SANDULLI, Milano 2001, 49.

[5]   GALLO C.E.,  Art. 44 t.u. Cons. St. 1924, in Commentario breve alle legge sulla giustizia amministrativa,  cit., 516 e ss.; MADDALENA, La consulenza tecnica nel nuovo processo amministrativo (notazioni a margine dell’ordinanza del TAR Campania-Napoli, Sez. I, 31 ottobre 2001, n. 4799), in www.giustamm.it; 

[6]  Sul punto, di recente,  DI LENA,  Potere di pianificazione territoriale e sindacato giurisdizionale: Il Giudice amministrativo “osa” troppo ? Brevi considerazioni a margine di una sentenza istruttoria del Consiglio di Stato, in Cons. Stato 2002, II, 717 e segg.; spec. 725, e  i riferimenti dottrinari e giurisprudenziali ivi citati.

[7] Come esattamente nota PROTTO, La discrezionalità tecnica sotto la lente del G.A.,   in Urb. e App. 2001, 879,  qualora sia necessaria la C.T.U. per l’accertamento dei fatti stessi occorre evitare che la formulazione dei quesiti da parte del giudice consenta una vera e propri valutazione di merito da parte del perito.

[8] G. SAPORITO, Discrezionalità tecnica e buona amministrazione, in www.giustamm.it;  IEVA, Valutazioni tecniche e decisioni amministrative (la c. d. discrezionalità tecnica dopo la decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, del 9 aprile 1999 n. 601 e la legge n. 205 del 2000 in materia di giustizia amministrativa), ivi, 11/2000.

[9] Cfr. ANGELETTI, Relazione di sintesi al convegno svoltosi a Torino nei giorni 14 e 15 giugno 2002.

[10]  Sulle quali  SCOCA, Relazione  al convegno di Torino citato.

[11] Cfr. DELL’ANNO P., Le norme tecniche, in Atti del Convegno A.I.D.U.  svoltosi ad Ancona, Milano 2002.

[12] SCOCA, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiv, in Riv. trim. dir. pubbl. 2000,I,1045

[13] GIANNINI, Diritto amministrativo, pag. 54.

[14] PAOLANTONIO, Interesse pubblico specifico ed apprezzamenti amministrativi, in. Dir. amm. 1996, I, 413.

[15]  VILLATA,  L’atto amministrativo, in  AA.VV., Diritto amministrativo, vol.II,    a cura di MAZZAROLLI, PERICU, ROMANO A., ROVERSI MONACO, SCOCA, Bologna 2001, 1445, sottolinea come il confine tra discrezionalità e merito sia incerto, anche se ritiene ascrivibile  al merito  l’ambito delle scelte dell’amministrazione rimasto libero dopo l’osservanza di tutti i principi e il rispetto di tutti i limiti che vincolano l’esercizio della discrezionalità.

[16]Invero, le innovazioni consentono, al giudice amministrativo di avere un accesso diretto al fatto controverso, non più limitato ed influenzato dalla mediazione interposta dalla amministrazione (anche terza) alla quale fosse stato eventualmente demandato il compimento delle "nuove verificazioni" già previste dall’art. 44 del R.D. n. 1054/1924. L’art. 16 l. n. 205/2000 ha, infatti, disposto l’ "integrazione dell’istruttoria mediante consulenza tecnica" aggiungendo la semplice espressione ", ovvero disporre consulenza tecnica." alla fine del primo comma del già citato art. 44 R.D. n. 1054/1924. Secondo VENEZIANO, op. cit.,, a seconda del fatto che il giudice affidi al consulente tecnico solo l'incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati, o dati per esistenti, ovvero anche quello di accertare i fatti stessi, si distinguerà tra consulente “deducente” e consulente “percipiente”. Nel primo caso la consulenza presuppone l'avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti; nel secondo caso la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova.       

[17] Cfr. la formulazione  dell’art. 35, comma 3, del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80, nel testo modificato dall’art. 7 della l. n. 205/2000 che, nel novellare gli artt. 33, 34 e 35 D. Lvo. n. 80 del 1998, ha generalizzato l’introduzione di tutti i mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva, superando i precedenti dubbi interpretativi in ordine all’ambito di applicazione del terzo comma dell’art. 35 citato.

[18]  Inoltre,  come ricorda VENEZIANO,  op. cit., il nuovo testo dell’art. 111 Cost. impone al giudice amministrativo l’esigenza di rispetto dei principi di parità tra le parti e di terzietà, esigenza che esclude la possibilità di svolgimento di alcuna attività di supplenza rispetto al mancato esercizio di facoltà e poteri processuali finalizzati all’acquisizione delle prove necessarie a sostegno delle tesi di ciascuna parte.

[19] Al riguardo CINTIOLI, Consulenza tecnica d’ufficio e sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica, in giurisprudenza.it,  che afferma l’alternativa tra controllo «forte» e controllo «debole», ritiene che il primo implichi la prevalenza della valutazione tecnica sviluppata nel processo su quella effettuata dall’Autorità amministrativa, anche nei casi in cui la scelta è condizionata da obiettivi margini di opinabilità; il secondo, invece, conduca a censurare solo le valutazioni tecniche che appaiono sicuramente inattendibili.

[20]  Cons. Stato, Sez. V, 6 ottobre 2001, n. 5287, in Cons. Stato 2001, I, 2274.

[21] Il principio riportato nel testo in termini generali, è stato affermato da Cons. Stato, Sez. VI, 23 aprile 2002, n 2199, in Cons. Stato 2002, I, 865, spec. 874 in motivazione.

[22]La prima della sede di L’Aquila del 5 aprile 2002, n. 165; la seconda della sede staccata di Pescara 22 marzo 2002, n. 333, entrambe pubblicate nei modi ormai consueti nel sito istituzionale www.giustizia-amministrativa.it.

[23]  In generale, sui limiti della cognizione del giudice amministrativo delle  controversia in materia di urbanistica cfr. FRACCHIA, Il Consiglio di stato precisa che l’urbanistica non ricomprende i rapporti di diritto privato tra proprietari, in Foro It. 2002, III, 105.

[24] Nella motivazione della sentenza di accoglimento si afferma che “Anche il secondo  provvedimento del Genio civile deve essere considerato, come il primo, un atto permeato esclusivamente di discrezionalità tecnica, cioè di una scelta amministrativa fondata su norme che si richiamano ad una scienza esatta, nella specie di carattere geotecnico. Orbene, deve premettersi che la materia urbanistica, dopo la riforma attuata con il decreto legislativo 80 del 1998 e dalla successiva legge 205 del 2000, ha subito una completa trasformazione, posto che sono state devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche nei confronti delle quali al giudice amministrativo è stato attribuito il potere di disporre il risarcimento del danno anche attraverso la reintegrazione in forma specifica. Siffatte disposizioni, ad avviso del collegio, non possono non aver comportato conseguenze di rilievo che devono tradursi nella possibilità di ampliare o meglio di correggere i limiti che demarcavano la posizione degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi nei confronti degli atti della P.A. in materia urbanistica. Quindi, oggi, in materia di discrezionalità tecnica il G.A. non può incontrare i limiti che derivavano dall’essere il suo solo un sindacato di legittimità, non suscettibile di estendersi alle valutazioni di opportunità dell’amministrazione che dipendevano da una scelta tecnica Oggi l’esame sul comportamento e, pertanto sul fatto e sul rapporto, non può limitarsi a recepire pedissequamente  le valutazioni scientifiche di un organo amministrativo che tendono a supportare una valutazione di merito dato che quest’ultima in tanto sarà giustificata in quanto le valutazioni tecnico discrezionali non siano errate. Ne consegue che, se, come nel caso di specie, l’amministrazione si trinceri dietro pretesi ostacoli di carattere tecnico che impediscano il rilascio provvedimento in una materia affidata, in via esclusiva alla giurisdizione del giudice amministrativo, quest’ultimo può e deve, anche attraverso il ricorso della consulenza tecnica di ufficio o la verificazione da parte di altre amministrazioni pubbliche, parimenti qualificate, disporne il controllo senza di che non potrebbe neanche realizzarsi quella tutela risarcitoria anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, garantita dall’art.7 della legge 205 che in sostanza può soddisfare da sola o unitamente ad un più limitato risarcimento del danno in via patrimoniale, l’interesse del ricorrente. Ogni e qualsiasi diversa interpretazione della nuova normativa svuoterebbe di contenuto la riforma introdotta con la legge citata.”

[25] Cons.  Stato, Sez. IV, 25 luglio 2001 n. 4082, in www.giustamm.it

[26]  Per CINTIOLI, op. cit., tale problematica “raggiunge la soglia più elevata proprio negli orientamenti del giudice comunitario, i quali, oltretutto, devono contemperare il principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti comunitari con il tasso di irrinunciabile autonomia da riconoscere ai diritti processuali nazionali”.

[27] L’affermazione di principio che può essere generalizzata è contenuta nella nota sentenza della Sezione Quarta del Consiglio di Stato n. 601 del 1999, in Foro It. 2001, III, 39, con nota di TRAVI  alla quale ha fatto seguito l’ordinanza della Sezione Quinta del 17 aprile 2000, 2292, in www.giustamm.it e in Urb. e appalti 2000, 1340, con nota di CARANTA,che mira proprio ad affermare definitivamente e con chiarezza la possibilità di accesso diretto al fatto che deve essere riconosciuta al giudice amministrativo anche in sede di giurisdizione di legittimità.

[28] CLARICH,  6.

[29] Su tali problematiche di carattere generale cfr. le affermazioni in termini preclari di PROTTO,  La discrezionalità tecnica sotto la lente del G.A.,   in Urb. e app. 2001, 873 e ss., che puntualizza le statuizioni di Cons. Stato, sez. V, 5 marzo 2001, n. 1247, est. Lipari, in Cons. Stato 2001, I, 866, che, tra l’altro, ha affermato che la discrezionalità tecnica non è sottratta, aprioristicamente, al sindacato del giudice amministrativo, concernendo valutazioni da operarsi alla stregua di criteri, regole e parametri tecnici o scientifici, direttamente od indirettamente richiamati dalla norma giuridica che disciplina il potere e quindi non appartenenti al merito amministrativo. Cfr. altresì SICLARI D., Conoscibilità ed accertamento del fatto nel giudizio amministrativo di legittimità, in  T.A.R. 1998, II, 321.

[30] Tendenza che pare essere indirettamente confermata anche  nello schema di DDL contenente «Norme per l'emanazione del codice del processo amministrativo, in www.giustamm.it, che all’art. 1, comma 4, lett. c), fissa tra i principi cui attenersi per il “riordino della disciplina concernente i poteri di cognizione e di decisione del giudice, con specifico riguardo alle azioni di accertamento e di condanna, proposte per le tutela di diritti soggettivi e di interessi legittimi, anche mediante la definizione dell’ambito del potere di disapplicazione delle norme regolamentari ”.

[31] Riassume tali principio Cons. Stato, sez. VI, 1 marzo 2002, n. 1259, in Cons. Stato 2002, I, 498.

[32] Così Cons. Stato, sez. VI, 1 marzo 2002, n. 1258, ivi 2002, I, 494, specialmente al punto 4.2.della motivazione.

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