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Articoli e note
n. 10-2002.

LETIZIA FIMIANI

Sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata e sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato in primo grado, alla luce della riforma introdotta dalla legge n. 205/2000.

(notazioni a margine di Cons. Stato, Sez. V, ordinanza 24 settembre 2002 n. 3904
e Sez. VI, ordinanza 2 luglio 2002 n. 2741)

SOMMARIO: 1. Le fattispecie affrontate. - 2. Sospensiva a termine. La sospensione dell’efficacia della sentenza appellata si risolve nella sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato in primo grado. 3. La nuova tutela cautelare nel processo amministrativo. Atipicità e strumentalità degli strumenti adottabili dal giudice amministrativo- 4. Presupposti. Irreparabilità del danno. Tutela cautelare e tutela risarcitoria.- 5. Fumus boni iuris. Il provvedimento in esame omette di dare risalto a tale profilo. – 6. Motivazione. - 7. Conclusioni.

 

1. Le fattispecie affrontate.

Con le ordinanze cautelari in commento è stata disposta la sospensione a termine, prorogata a seguito di un seconda istanza cautelare, dell’esecutività della sentenza di prime cure, con la quale era stato respinto il ricorso avverso il provvedimento sindacale che aveva disposto, a titolo sanzionatorio, la sospensione dell’autorizzazione all’esercizio di attività di trattenimento danzante e la chiusura temporanea del locale.

Il T.A.R. Abruzzo, nella sentenza impugnata, rilevava l’infondatezza delle censure formulate dal ricorrente in ordine all’atto amministrativo, l’insussistenza dei presunti vizi di legittimità dello stesso (violazione del procedimento; eccesso di potere; errata applicazione della normativa di riferimento, r.d. 18 giugno 1931 n. 773, in materia di pubblica sicurezza) e l’irrilevanza di ogni questione in merito, attesa la comprovata regolarità della licenza.

Infatti, la motivazione dell’ordinanza sindacale, atto finale di un procedimento articolato secondo un’adeguata e ponderata istruttoria, si basava esclusivamente sulla presenza nel locale di tre cittadine straniere, che svolgevano attività di intrattenimento presso un night club, senza regolare assunzione e prive di specifico permesso di soggiorno, una presenza non meramente occasionale, come rilevato dagli agenti di polizia giudiziaria ed ampiamente documentato dagli atti istruttori e dalle dichiarazioni delle stesse interessate che, in sede di accertamento, non avevano mai smentito il fatto.

Ai sensi della norma generale dell’art. 10 r.d. n. 773/1931, "in caso di abuso-in qualsiasi forma- da parte della persona autorizzata", può essere sempre disposta la sospensione temporanea della licenza o della autorizzazione di polizia e, in concreto, la chiusura -nel caso di specie "a termine"- del locale, quale legittimo e proporzionato uso di un potere generale, sanzionatorio, d’autorità.

Nella fattispecie in esame, ravvisato un abuso nella condotta del gestore, il T.A.R. ha riconosciuto la legittimità dell’intervento del sindaco, quale esercizio proporzionato di un potere di sua competenza ed ha respinto il ricorso.

In pendenza del giudizio di appello, promosso dalla società per l’annullamento della sentenza , la V Sezione del Consiglio di Stato, investita del ricorso, ha accolto l’istanza cautelare presentata dalla parte appellante, disponendo la sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, con una ordinanza dalla formulazione "atipica", in cui si prescrive che il provvedimento impugnato abbia comunque esecuzione per la durata residua a decorrere dal 15 settembre 2002: dunque, una singolare applicazione della sospensione cautelare ad tempus, o a termine.

2.Sospensiva a termine. - La sospensione dell’efficacia della sentenza appellata si risolve nella sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato.

In conformità con le novità della riforma che, sul modello della clausola generale dell’art. 700 c.p.c., ha ampliato la gamma degli strumenti cautelari adottabili dal giudice amministrativo, nella direzione della atipicità e strumentalità, a tutela non solo degli interessi legittimi, ma anche dei diritti soggettivi dei privati nei confronti della P.A., con conseguente superamento delle barriere tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa, l’emanazione di un’ordinanza di sospensione ad tempus dell’efficacia del provvedimento impugnato (amministrativo o giurisdizionale, come in questa fattispecie) consente al G.A. di predeterminare la provvisorietà degli effetti, già insita nella tutela cautelare. Tale strumento consente un adeguato contemperamento tra le ragioni del ricorrente e quelle della P.A., in particolare, nei casi in cui sia pendente un procedimento (nel caso specifico, nel corso del giudizio d’appello; in generale, nelle more di un procedimento amministrativo, o di un’attività istruttoria di accertamento e acquisizione della documentazione necessaria all’adozione di un atto finale) che potrebbe subire rallentamenti pericolosi, qualora vi si inserisse un incidente cautelare "ordinario".

Secondo autorevole dottrina, la presentazione, in via incidentale, nel giudizio d’appello, della richiesta di sospensione della sentenza di primo grado incide sull’esecutività stessa del provvedimento sostanziale impugnato (di cui la sentenza in esame ha riconosciuto la legittimità) e si risolve, in definitiva, in una richiesta di sospensione del provvedimento stesso che ne forma oggetto. Sospensione che, secondo i principi generali, dovrebbe essere assicurata fino alla decisione nel merito sull’appello, ma che, in questo caso, la Quinta Sezione, in accoglimento parziale dell’istanza, ha limitato fino al termine del 15 settembre 2002.

Di recente, con ordinanza del 24-09-2002 n. 3904, la Quinta Sezione ha accolto l’istanza di differimento della efficacia residua dello stesso provvedimento sanzionatorio già impugnato in prime cure- l’ordinanza sindacale di chiusura del locale- prorogandone l’esecuzione al 17-12-2002, "salvo diversa pronunzia nel merito del gravame".

Con quest’ultima ordinanza, il Consiglio di Stato, a conferma della posizione già assunta in precedenza, ha esplicitato l’iter logico-giuridico sul quale fondava il dispositivo dell’ordinanza del 2 luglio 2002: di fatto, l’accoglimento della richiesta di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata si traduce nella paralisi degli effetti del provvedimento amministrativo sostanziale.

Dunque, dopo la pronuncia di una prima sospensiva"a termine" dell’efficacia della sentenza, ora è stata concessa la sospensione dell’efficacia dello stesso provvedimento impugnato in primo grado che, paralizzato solo in parte e temporaneamente, avrebbe dovuto riprendere comunque esecuzione per la durata residua, a decorrere dal 15 settembre 2002. Di qui una proroga ulteriore del termine di efficacia della sospensiva fino al 17 dicembre 2002, con ampliamento dei vantaggi e delle garanzie della tutela conservativa, già accordata con la prima pronuncia del luglio 2002.

Dalla scarna e sintetica formulazione dell’ordinanza 2 luglio 2002, si evince che la V Sezione del Consiglio di Stato, senza alcun richiamo al fumus boni juris, ha riconosciuto rilevanza al solo presupposto del periculum in mora prospettato dal ricorrente gestore, come dimostra il riferimento testuale, in essa contenuto, all’art. 33 l. T.A.R., rimasto invariato nel suo comma 3°, che conserva la menzione del solo "danno grave e irreparabile" derivante dall’esecuzione della sentenza e prescrive un’<<ordinanza –genericamente- motivata>>.

Tuttavia, l’opportuna trasposizione ammessa da autorevole dottrina e dalla prevalente giurisprudenza nel giudizio cautelare d’appello dei principi generali e delle norme vigenti per il giudizio cautelare di I grado consente di estendere anche alla figura tradizionale e tipica della sospensiva della sentenza appellata, di cui all’art. 33 l. TAR, l’ambito applicativo del nuovo art. 21, 7° c, l. TAR, che ha provveduto a configurare in termini più rigorosi e puntuali i presupposti per l’esercizio del potere di intervento interinale.

3. La nuova tutela cautelare nel processo amministrativo. Atipicità e strumentalità degli strumenti adottabili dal giudice amministrativo.

In linea con l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa in materia di provvedimenti sospendibili, la riforma prevista dall’art. 3 della l. 21 luglio 2000 n. 205, in una prospettiva di adeguamento normativo al diritto vivente e di recepimento delle aperture giurisprudenziali e delle sollecitazioni mosse a livello comunitario, al fine di assicurare una tutela cautelare piena ed efficace, ha introdotto nel giudizio amministrativo disposizioni generali "sul" processo cautelare, applicabili ai Tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato, sia in sede di giurisdizione di legittimità, sia nell’ambito della giurisdizione esclusiva e, nei limiti di compatibilità, ai procedimenti speciali relativi alle materie disciplinate dall’art. 23 bis l. n. 1034/1971, inserito dall’art. 4 l. n. 205/2000.

Più che una compiuta disciplina "del" processo cautelare, le nuove norme rappresentano una prima codificazione dei risultati della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale che da tempo tentava, attraverso un’opera di interpretazione creativa ed integratrice, la costruzione pretoria di un modello di tutela cautelare più completo ed esaustivo di quella prevista legislativamente prima della riforma .

Nella vigenza della scarna e lacunosa disciplina legislativa anteriore al 2000, costruita su pochissime norme iniziali, rimaste quasi immutate, anche dopo l’istituzione nel 1971 dei T.A.R., le uniche disposizioni esistenti in materia cautelare assegnavano, infatti, al giudice di prime cure soltanto il potere di sospendere l’esecuzione dell’atto amministrativo impugnato (art. 21, u.c., l. n.1034/1971) ed al Consiglio di Stato, adito in sede di appello, il potere di sospendere l’esecuzione della sentenza del T.A.R., qualora dall’esecuzione della stessa potesse derivare "un danno grave e irreparabile".

Dunque, le norme previgenti descrivevano un tipo di tutela esclusivamente inibitorio (la c.d. sospensiva) inserita nel corso del giudizio di impugnazione dell’atto (o della sentenza) quale mero incidente processuale, provvisoriamente volto, in attesa della pronuncia finale di annullamento, a preservare, re adhuc integra, la sfera giuridica del ricorrente, lesa dal provvedimento impugnato, mediante la paralisi dei suoi effetti.

Di qui, una forma di tutela immediata ed interinale, con funzione conservativa, volta non già ad attuare il diritto in forma giurisdizionale, ma ad evitare che, nello spatium temporis necessario alla definizione del giudizio, si producesse un "danno grave ed irreparabile", tale da frustrare l’integrale soddisfacimento della pretesa azionata dal ricorrente.

Se una simile costruzione dell’istituto cautelare appariva conforme alla limitata finalità assegnata alla sospensiva dall’art. 39 r.d. n.1054/1924 e dalla l. T.A.R., art. 21, u.c., di offrire uno strumento di tutela idoneo a controbilanciare il potere autoritativo della P.A. e risultava perfettamente coerente con lo schema originario del processo amministrativo, nato come giudizio sull’atto ed avente contenuto tipicamente cassatorio , in seguito, tuttavia, la varietà dei rapporti fra cittadini e P.A., la molteplicità delle manifestazioni della funzione pubblica e delle sue interferenze nella sfera dei privati hanno indotto il legislatore del 2000 a formulare, in materia cautelare, una norma dal dettato più ampio ed elastico, applicabile alle diverse situazioni giuridiche dedotte in processo.

Nel recepimento degli interventi della giurisprudenza amministrativa, soprattutto del Consiglio di Stato, diretti ad ampliare i possibili contenuti della tutela cautelare e a diversificare il quadro dei poteri esercitabili da parte del G.A., in relazione alle singole fattispecie e nella ricerca di soluzioni più pregnanti, adattabili alla più varia tipologia di ipotesi nel contesto della azione amministrativa, la legge di riforma n. 205/2000 oggi abilita il G.A. alla adozione di misure cautelari dal contenuto atipico, ossia tutte "le misure cautelari che, secondo le circostanze, appaiano più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso"(art. 21, 7° co, l. T.A.R., così come novellato dall’art. 3, 1° co, l. n. 205/2000) .

Tutto ciò, al fine di garantire al privato interessato una piena ed effettiva tutela giurisdizionale ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost.: si è, pertanto, determinato il passaggio della "sospensiva" da strumento di stampo essenzialmente conservativo, a strumento di tutela assicurativa, dispositiva ed anticipatoria, volto non solo a preservare, in vista della decisione finale, tutti gli atti ed interessi legittimi in uno stato di temporanea quiescenza, ma anche a fornire la necessaria propulsione dell’azione dei pubblici poteri verso una data direzione .

4. Presupposti. Irreparabilità del danno. Tutela cautelare e tutela risarcitoria.

La nuova formulazione dell’art. 21, 7° co, l. TAR, con il riferimento alla nozione di "pregiudizio", comprensiva anche del danno di natura non patrimoniale, resta ancorata ai parametri della gravità e irreparabilità. La gravità è qualificata in termini assoluti, ovvero in senso duplice: quantitativo, per l’entità ed intensità della lesione; qualitativo, per l’irrimediabile perdita, che il diniego della cautela comporterebbe, di un bene primario per il ricorrente o comunque infungibile, non solo materiale, ma giuridico, in quanto costituzionalmente garantito .

Alla stregua di questo criterio di gravità inteso in termini assoluti, il periculum idoneo a giustificare l’adozione della misura cautelare è di facile identificazione per i provvedimenti che comportino la perdita materiale di un bene: un atto che imponga la cessazione di attività produttive; un atto di esercizio, come quello rilevante nella fattispecie, di poteri amministrativi, di secondo grado o di autotutela, quale la sospensione di un’autorizzazione .

Si tratta, inoltre, di una gravità qualificata anche in termini relativi, che coinvolge la proporzione tra il pregiudizio arrecato al ricorrente dall’atto, o dalla sentenza, di cui si chiede la sospensione ed il vantaggio derivante all’amministrazione ed ai controinteressati dall’atto o dalla sua esecuzione: la misura cautelare è concessa, dunque, qualora il pregiudizio sia grave, non solo in termini assoluti, ma soprattutto in termini relativi, ossia sproporzionato rispetto al vantaggio che alla P.A. derivi dalla conservazione dell’atto, all’esito della valutazione comparativa del periculum nella sua valenza "bilaterale ".

In particolare, nel caso in esame, la V Sezione del Consiglio di Stato ha inteso dare preminente risalto al pregiudizio derivante al ricorrente dalla chiusura, sia pure temporanea, del locale: la sospensione amministrativa dell’autorizzazione, infatti, era stata disposta in coincidenza con la stagione estiva, periodo dell’anno caratterizzato dal più intenso afflusso turistico e dalla più alta domanda di servizi alberghieri e di attività ricreative e avrebbe arrecato al gestore "danni gravi ed irreparabili" non solo patrimoniali, per la perdita dei potenziali incassi, ma soprattutto danni indiretti al nome, all’immagine, alla credibilità della società ed al suo radicamento nel mercato, per il potenziamento delle imprese concorrenti ed operanti sul medesimo target.

Per le più evidenti voci di danno, in particolare, i profitti non conseguiti e la perdita di garanzie, il nodo problematico risiede nella prova dell’esistenza e consistenza delle aspettative (chances) lese dal provvedimento impugnato, di cui si contesta la legittimità. L’eventuale esperibilità, nonostante le difficoltà probatorie in tema di danno, sotto i profili dell’an e del quantum, dell’azione risarcitoria che, per sua natura, offre un intervento riparatore postumo e solo eventuale non preclude l’azionabilità della tutela cautelare. La tutela risarcitoria, infatti, ha una funzione sussidiaria rispetto a quella rappresentata dal ricorso giurisdizionale per l’annullamento dell’atto amministrativo (o, come in questo caso, dall’appello contro la sentenza di I grado) e dall’istanza interinale ed interviene, quale extrema ratio, quando la tutela in forma specifica non sia più interamente possibile o integralmente satisfattiva.

Il carattere dell’irreparabilità del danno, infatti, è inteso come tendenziale definitività della lesione- quale quella che sarebbe derivata al gestore dall’esecuzione del provvedimento di chiusura estiva del locale- non agevolmente rimediabile neppure mediante l’eventuale successivo accoglimento del ricorso e, nell’esperienza della giustizia amministrativa, il danno è irreparabile ogni volta che il possibile e prevedibile risarcimento pecuniario non sia esaustivo per il soggetto leso. La risarcibilità non esclude la irreparabilità, ai fini della concessione della tutela cautelare.

5. Fumus boni iuris. Il provvedimento in esame omette di dare risalto a tale profilo.

Nel provvedimento in esame, sembra sottaciuto il profilo del fumus, intorno al quale l’art. 21, 7 co., ult. parte, l. TAR, così come modificato dall’art. 3 l. n. 205/2000, prescrive di articolare la motivazione dell’ ordinanza cautelare.

La posizione paritaria fra le parti del giudizio e la valorizzazione della funzione della tutela cautelare, quale provvisoria assicurazione ed anticipazione degli effetti della sentenza definitiva, sono garantite solo se la cognizione del G.A. in sede cautelare si estenda, al di là della verifica del periculum in mora, anche all’accertamento del fumus boni juris, ossia della fondatezza del ricorso, alla luce di un sommario esame che inevitabilmente coinvolge il merito della controversia.

In origine, la valutazione del fumus, non menzionata espressamente dalle norme relative al processo amministrativo, era suggerita dalla giurisprudenza sulla base dei principi generali, in materia di tutela cautelare. In seguito, il Consiglio di Stato, prima nell’Adunanza plenaria n. 17/1982, di recente anche nell’ Ad. Plen. n. 1/2000, contro la tesi minoritaria dell’irrilevanza processuale di tale presupposto, ha affermato che il fumus boni juris deve essere condizione concorrente ed in rapporto di tendenziale equilibrio e parità rispetto al periculum in mora, al fine di motivare l’adozione dell’ordinanza cautelare.

La norma attuale dell’art. 3 l. 205/2000 conferma questa impostazione ed esclude l’eventualità di misure cautelari fondate solo sulla presenza di situazioni di pregiudizio grave. Fumus e periculum devono essere entrambi identificabili e la misura cautelare non può essere concessa ove manchino l’uno o l’altro.

Secondo la dottrina e giurisprudenza prevalenti, infatti, la valutazione del fumus e periculum deve intervenire congiuntamente in una ponderazione equilibrata, rimessa al caso concreto, in cui entrambi i profili confluiscano in una posizione paritaria.

L’evoluzione e valorizzazione dell’istituto cautelare come forma di tutela di tipo anticipatorio ha ampliato, inoltre, i contorni del fumus al di là della mera verifica della non manifesta infondatezza del ricorso, fino ad estenderlo ad un giudizio probabilistico sulla rilevante possibilità di accoglimento della domanda principale, in cui ha notevole peso la serietà del ricorso ai fini della concessione della misura cautelare.

Ora la legge richiede espressamente al giudice l’indicazione, nella motivazione dell’ordinanza cautelare, sia pure in forma estremamente sintetica e sulla base di un sommario esame, dei "profili che inducano ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso".

La valutazione del fumus, oltre ad essere funzionale alla fase cautelare, si presta ad offrire, attraverso l’esame della fondatezza del ricorso principale, una vera e propria anticipazione del giudizio, una verifica, al di là di ogni astratta prospettazione, del minimo di attendibilità del ricorso principale contro l’atto che si assume invalido, in base ad un esame dei motivi di fatto e di diritto che giustifichino prima facie l’adozione del provvedimento interinale richiesto.

Dalle prime applicazioni della legge nella prassi giurisprudenziale, emerge una diffusa adesione allo spirito della riforma: le recenti ordinanze valutano ed indicano espressamente entrambi i presupposti in base ai quali sono adottate.

Alla luce della riforma dell’art. 111 Cost. e del principio del giusto processo, il procedimento valutativo in ordine alla ricorrenza dei presupposti necessari e sufficienti per l’adozione delle misure cautelari deve essere svolto in termini rigorosi e completi, in relazione a tutte le circostanze specifiche del caso concreto, al fine di approdare ad una motivazione che si riferisca ad entrambi i profili di danno e di probabile fondatezza idonei a consentire una ragionevole previsione sull’esito del ricorso, sulla base di un’istruttoria sommaria e nel rispetto del contraddittorio delle parti interessate (ricorrente; P.A. e controinteressati) chiamate a fornire il contributo più ampio e produttivo possibile, ai fini di una valutazione pertinente del giudice.

6. Motivazione.

La regola che prescrive l’obbligo di motivare l’ordinanza cautelare è il risultato di un processo storico. In passato, nel solco di un intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, gli artt. 21 e 33 l. TAR, in occasione della istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali, ripristinarono la regola dell’obbligo di motivazione già previsto dagli artt. 12 l. n. 5992/1889 e 39 r.d. n. 1054/1924 per le ordinanze cautelari pronunciate in camera di consiglio, delle quali era ormai pacifica la natura giurisdizionale .

A fronte della prassi, largamente diffusa nella giurisprudenza di quegli anni, di disattendere tale obbligo mediante il ricorso a moduli prestampati e formule stereotipe e generiche, contenenti un mero richiamo alla sussistenza o meno del pregiudizio grave e irreparabile, la dottrina, al contrario, riteneva indispensabile precisare le ragioni effettive della decisione assunta: la motivazione c.d. "in astratto" nulla aggiungeva a quanto già implicito nel dispositivo di accoglimento o di diniego, risolvendosi in una duplice violazione sia degli artt. 21 e 33 l. TAR, sia del precetto dell’art. 111 Cost., secondo cui "tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati".

La legge di riforma ha ribadito questa necessità, prescrivendo l’obbligo di motivare le ordinanze cautelari in termini non più generici, ma puntuali, attraverso una motivazione concreta, che consenta di ricostruire l’iter logico-giuridico seguito dal giudice, sia sotto il profilo del periculum, sia del fumus boni juris.

La disciplina della motivazione diventa anche disciplina dei presupposti sostanziali della misura cautelare ed offre un sostegno ulteriore a favore della tesi secondo la quale il vaglio, sia pure sommario, del ricorso non può arrestarsi alla semplice "non manifesta infondatezza" della domanda. Tuttavia, l’effettiva estensione della motivazione incontra il limite dell’interesse costituzionalmente garantito, come uno dei principi informatori del giusto processo (art. 111, 2° co, Cost.) alla "ragionevole durata del giudizio" che, riguardo al processo cautelare, si traduce nell’interesse al più rapido e tempestivo intervento della decisione sull’istanza cautelare, alla riduzione dei tempi di pubblicazione della pronuncia, a garanzia dell’effettiva utilità (art. 24 Cost. ) di un’eventuale misura interinale favorevole.

Al di là della portata innovativa della prescrizione, l’adeguatezza della motivazione dell’ordinanza cautelare deve essere valutata in concreto sulla base delle specifiche caratteristiche ed esigenze della tutela interinale e non assumendo acriticamente come parametro la motivazione della sentenza.

La mancanza o insufficienza della motivazione costituisce un autonomo vizio della ordinanza e si discute se, come tale, sia deducibile in sede di appello cautelare, oggi espressamente ammesso dall’art. 28 l. TAR , modificato dall’art. 3, 2° co., l. n. 205/2000.

Secondo l’orientamento prevalente in dottrina e in giurisprudenza, il difetto o l’incompletezza della motivazione, non essendo riconducibili ai casi tassativamente previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 35 l. TAR (difetto di procedura, vizio di forma, inteso come violazione di norme che prescrivono, a pena di nullità, requisiti formali della decisione, difetto di competenza del TAR che abbia emesso l’ordinanza di prime cure) non possono sfociare nell’annullamento dell’ordinanza con rinvio allo stesso giudice che l’ha pronunciata .

In mancanza di rinvio, secondo tale orientamento, dominante soprattutto in giurisprudenza, sarebbe lo stesso Consiglio di Stato a provvedere sul "merito" della domanda cautelare, previa correzione o integrazione della motivazione, atteso il carattere di gravame e non di rimedio impugnatorio dell’appello.

Altra parte della dottrina ritiene, invece, che l’omissione di motivazione sia un vizio deducibile in sede d’appello. Infine, la carenza di motivazione delle ordinanze cautelari emesse dal Consiglio di Stato- come nel caso di specie, in cui l’ordinanza riconosce rilievo al solo profilo del periculum, trascurando di esaminare il fumus e si presta, in tal modo, a possibili censure sotto il profilo dell’incompletezza e non esaustività della motivazione- non può essere dedotta quale motivo di ricorso per Cassazione, poichè tale rimedio non è concesso con riferimento a pronunce insuscettibili di passare in giudicato .

Il rischio di una sostanziale elusione dell’obbligo di motivazione sembra scongiurato dalla prassi giurisprudenziale successiva all’entrata in vigore della l. n. 205/2000, dalla quale emerge la tendenza ad attuare la norma mediante adeguate motivazioni in concreto che garantiscano una maggiore trasparenza nel processo cautelare. Tuttavia, la motivazione dell’ordinanza cautelare non deve mai perdere il suo necessario carattere di sommarietà, nè pregiudicare la decisione di merito con una prematura anticipazione della decisione finale del collegio.

7. Conclusioni.

Con l’ordinanza del 2 luglio 2002, la V Sezione del Consiglio di Stato ha inteso contemperare, in definitiva, le ragioni delle due parti, riconoscendo in via cautelare l’opportunità di una tutela urgente e immediata al privato, per l’assoluta e decisiva rilevanza che, in quella sede, attribuisce al maggior danno subito dall’appellante per effetto dell’impugnata sentenza, rispetto all’interesse, tutelato in I grado, alla legittimità dell’azione amministrativa (in questo caso, l’uso del potere sanzionatorio d’autorità).

Infatti, se da un lato, in via provvisoria e interinale, le particolari circostanze di fatto e la natura dell’attività gestita dal ricorrente hanno motivato l’accoglimento della domanda cautelare sulla base di una delibazione sommaria, circoscritta alla valutazione dell’imminenza di un "danno grave e irreparabile", dall’altro lato, l’indicazione stessa di un limite temporale- dapprima fissato in data 15-9-2002, successivamente prorogato al 17-12-2002, come si è già illustrato- nella sospensiva concessa e la precisazione che il provvedimento impugnato abbia comunque esecuzione per la durata residua, sembrano implicitamente confermare la motivazione della sentenza del giudice di prime cure, in ordine alla legittimità dell’ordinanza sindacale di sospensione dell’autorizzazione, per violazione delle norme di pubblica sicurezza, lasciando emergere, nel merito, possibili determinazioni di una reiezione dell’appello.

Infine, l’accoglimento con ordinanza del 24-9-2002 dell’istanza di differimento dell’efficacia della sanzione residua costituisce una conferma dell’opportunità di acquisire ulteriori elementi in ordine alla fondatezza della decisione del giudice di primo grado, attraverso indagini ed approfondimenti particolari, che non è possibile svolgere in occasione dell’adozione di una pronuncia d’urgenza.

L’assunzione senza regolare rapporto di lavoro e senza specifico permesso di soggiorno di cittadine straniere, quali lavoranti di sala per lo svolgimento di attività di intrattenimento, costituisce, infatti, condotta illegittima di cui la società ricorrente si era già resa responsabile in passato, come è emerso dalle risultanze istruttorie.

In primo luogo, tale "abuso" commesso dalla persona autorizzata costituisce una violazione delle leggi di pubblica sicurezza, poste a garanzia del pubblico interesse e a tutela dell’ordine e della sicurezza pubbliche.

In secondo luogo, tale comportamento si pone in contrasto con le norme in materia di immigrazione e condizione dello straniero (T.U. sull’immigrazione Dlgs. 25-07-1998 n. 286 e successive modifiche, di recente introdotte dalla l. 30-07-2002 n. 189, per la disciplina dei flussi migratori verso il nostro Paese, contro l’immigrazione clandestina) che- attraverso la previsione di quote massime di stranieri ammessi nel nostro territorio per prestazioni di lavoro subordinato, anche di carattere stagionale e di lavoro autonomo, l’introduzione di disposizioni relative a contratti di soggiorno per lavoro subordinato, lavoro stagionale, ricongiungimenti familiari, l’istituzione in ogni provincia di uno sportello unico per l’immigrazione, nonché di un responsabile del procedimento per l’assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato o indeterminato, presso il quale il datore di lavoro è tenuto a presentare la richiesta di nullaosta al lavoro e la documentazione relativa alla proposta di "contratto di soggiorno", con l’impegno a comunicare ogni intervenuta variazione del rapporto di lavoro con il dipendente straniero- persegue la finalità di favorire l’emersione del lavoro irregolare e di adattare gli equilibri interni del mercato del lavoro alle nuove richieste di integrazione socio-economica per gli stranieri, in un contesto di cooperazione internazionale .

Si può affermare, dunque, che l’ordinanza in esame, benché censurabile sotto il profilo della completezza della motivazione, in quanto, nel richiamare il solo art. 33, 3° e 4° co, l. TAR, relativo all’irreparabilità e gravità del danno, omette qualsiasi riferimento espresso al presupposto del fumus, sia comunque il risultato di una valutazione prognostica in ordine al possibile esito del ricorso e di un adeguato giudizio di bilanciamento tra interessi pubblici e privati, in coerenza con lo spirito della riforma.

Nel contesto del processo amministrativo, la nuova tutela cautelare, infatti, non ha più un ruolo meramente ausiliario, ma centrale rispetto al giudizio di merito, in quanto dotata di un sufficiente grado di autonomia, funzionale all’ampliamento delle garanzie del cittadino, per condizionare di fatto l’esito della causa, al di là delle anguste categorie della strumentalità, verso un’idea di anticipazione tendenzialmente definitiva del merito.

 

 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Ordinanza 24 settembre 2002 n. 3904- Pres. Elefante; Est.. Mastrandrea- Giampaolo c. Comune di Francavilla al mare.

Giustizia amministrativa - Poteri del giudice - Potere cautelare - Proroga dell’efficacia di una ordinanza di sospensione ad tempus- Possibilità.

Il Giudice amministrativo può prorogare gli effetti di una precedente misura cautelare in precedenza concessa e differire l’esecuzione del provvedimento impugnato per la sua durata residua, fino alla data dell’udienza di merito.

Omissis

per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,

della sentenza del TAR ABRUZZO - PESCARA 549/2002 , resa tra le parti, concernente AUTORIZZAZIONE ESERCIZIO ATTIVITA' DI TRATTENIMENTODANZANTE.

Visti gli atti e documenti depositati con l'appello;

Vista la domanda di sospensione dell’ efficacia della sentenza di rigetto, presentata in via incidentale dalla parte appellante.

Udito il relatore Cons. Gerardo Mastrandrea e udito, altresì, l’avv. Ciprietti;

Considerato che sussistono i presupposti per accogliere, in parte, l’istanza di differimento dell’efficacia della sanzione residua;

P.Q.M.

Accoglie l'istanza cautelare (Ricorso numero: 5183/2002 ) e, per l'effetto, differisce l’esecuzione per la durata residua del provvedimento impugnato in prime cure al 17 dicembre 2002, salvo diversa pronunzia nel merito del gravame.

 

 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Ordinanza 2 luglio 2002 n. 2741 - Pres. Varrone, Est. Allegretta - Giampaolo c. Comune di Francavilla al mare.

Giustizia amministrativa - Poteri del giudice - Potere cautelare - Emissione di una ordinanza di sospensione ad tempus- Possibilità - Presupposti.

Nel caso in cui sia particolarmente rilevante il pregiudizio, non solo patrimoniale, derivante al ricorrente dall’esecuzione del provvedimento impugnato, non agevolmente riparabile, il giudice amministrativo può accogliere parzialmente l’istanza cautelare e concedere una sospensiva ad tempus, con predeterminazione della provvisorietà degli effetti (nella specie era stata appellata la sentenza di reiezione del ricorso per l’annullamento dell’ordinanza sindacale di sospensione dell’autorizzazione all’esercizio di attività di gestione di un night club).

(omissis)

per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,

della sentenza del TAR ABRUZZO - PESCARA 549/2002 , resa tra le parti, concernente AUTORIZZAZIONE ESERCIZIO ATTIVITA' DI TRATTENIMENTODANZANTE.

Visti gli atti e documenti depositati con l'appello;

Vista la domanda di sospensione dell’ efficacia della sentenza di reiezione, presentata in via incidentale dalla parte appellante.

Udito il relatore Cons. Corrado Allegretta e udito, altresì, per la parte appellante l’avv.to Ciprietti;

Ritenuto che sussistono i presupposti per la concessione della misura cautelare nei limiti di cui in dispositivo;

P.Q.M.

Accoglie in parte l'istanza cautelare (Ricorso numero: 5183/2002 ) e, per l'effetto, sospende l’efficacia della sentenza impugnata nel senso che il provvedimento impugnato abbia esecuzione, per la durata residua, a decorrere dal 15 settembre 2002.

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