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Articoli e note
n. 3-2003.

LUIGI OLIVERI

La commisurazione delle sanzioni per violazione dei regolamenti locali

Non appare convincente la tesi suggerita dall'Anci (con il parere riportato per estratto in calce al presente documento) in merito alla possibilità che i consigli comunali stabiliscano indicazioni vincolanti ai dirigenti degli enti locali per la determinazione della misura delle sanzioni amministrative con l'ordinanza ingiunzione.

Tale teoria, enunciata nell'ambito delle note di indirizzi elaborate dal Dipartimento attività produttive e polizia locale per fornire una prima interpretazione dell'articolo 7-bis del d.lgs 267/2000 introdotto dall'articolo 16 della legge 3/2003, parte dal presupposto che la novella al testo unico non contiene l'espressa previsione che gli enti possono graduare le sanzioni da applicare, a seconda della gravità delle violazioni ai regolamenti.

In effetti, l'articolo 16 della legge 3/2003 non è riuscito nella sia pure non impossibile opera di reintrodurre nell'ordinamento locale la medesima disciplina degli articoli 106 e 107 del r.d. 383/1934, abrogati dal d.lgs 267/2000.

E' osservazione comune che l'articolo 7-bis ha omesso di includere le ordinanze tra i provvedimenti comunali sanzionabili amministrativamente, così come non ha riprodotto l'espressa attribuzione alla giunta comunale, contenuta nell'articolo 107, comma 3, del testo unico del '34, di stabilire la misura delle sanzioni.

Tale ultima omissione spinge l'Anci a ritenere la mancanza dei riferimenti normativi che consentono esplicitamente di graduare le sanzioni impedisce di derogare alla regola contenuta nell'articolo 16, comma 1, della legge 689/1981. Pertanto, secondo l'Anci, è possibile esclusivamente il pagamento nella misura ridotta, pari al doppio del minimo. Sicchè, tutte le sanzioni amministrative per violazione dei regolamenti possono ridursi al pagamento della cifra di 50 euro, che appare tutt'altro che un deterrente, nonostante il massimo edittale giunga a 500 euro, cifra comunque lontanissima dal massimo edittale previsto dall'articolo 10 della legge 689/1981.

Allora, per superare l'impasse derivante dall'impossibilità di graduare il minimo edittale delle sanzioni, l'Anci adombra una soluzione di ripiego. Ciò che non è possibile, dunque, stabilire a monte, è possibile fissarlo a valle.

Dunque, il consiglio comunale potrebbe in qualche modo rimediare all'omissione del legislatore fornendo indicazioni vincolanti al dirigente, predeterminando, dunque, i criteri per la determinazione dell'ammontare definitivo della sanzione mediante l'ordinanza ingiunzione.

Tale tesi, tuttavia, non persuade per una serie di ragioni. In primo luogo, a ben vedere non è un reale rimedio alla scarsa forza deterrente dell'articolo 7-bis. In effetti, posto che i regolamenti, come suggerito dall'Anci, indichino in modo vincolante ai dirigenti l'ammontare da stabilire con le ordinanze ingiunzione, a qualsiasi cittadino è possibile un'accortezza, qualora incappi in una situazione nella quale la previsione regolamentare stabilisca una sanzione molto alta: pagare in misura ridotta, ai sensi dell'articolo 16, comma 1. In questo caso, infatti, qualunque siano le previsioni regolamentari, il pagamento resterebbe comunque contenuto nella somma di soli 50 euro. L'inefficacia della previsione regolamentare apparirebbe di tutta evidenza.

Ma la tesi proposta dall'Anci appare criticabile anche per motivazioni più strettamente connesse al sistema normativo che presidia le competenze degli organi e la disciplina delle sanzioni amministrative.

La predeterminazione di criteri vincolanti per la statuizione dell'ammontare della sanzione con l'ordinanza ingiunzione appare in contrasto sia col principio della separazione delle funzioni di governo da quelle di gestione, sia col principio della discrezionalità nella determinazione della pena.

Quanto al primo aspetto, se si riconoscesse all'organo di governo la competenza a svolgere funzioni gestionali, si andrebbe incontro ad una chiara violazione del principio di separazione. E questa, a ben vedere, è la conseguenza di quanto suggerisce l'Anci. La quale, nel medesimo atto di indirizzo, riconosce, a giusta ragione, che l'organo competente ad emanare l'ordinanza ingiunzione è il dirigente.

Tale tesi è da condividere, dal momento che con l'ordinanza ingiunzione non si fa altro che dare corso ad una funzione gestionale: in relazione al rapporto ricevuto dall'agente accertatore, l'autorità non fa altro che verificare l'effettiva rispondenza dei fatti e determinare definitivamente la sanzione, avendo eventualmente sentito le ragioni della controparte che abbia chiesto di essere sentita o presentato deduzioni.

Il dirigente, dunque, agisce esercitando una funzione specifica: rendere concreta ed attuale la sanzione prevista in astratto dalla norma.

Ma se tale attuazione è limitata da una predeterminazione vincolante dei criteri per stabilire l'ammontare della sanzione, appare del tutto evidente che una delle funzioni gestionali connesse all'emanazione dell'ordinanza ingiunzione sarebbe impropriamente espunta dalla sfera giuridica del dirigente. Il quale potrebbe soltanto limitarsi a verificare la rispondenza ai fatti del rapporto, senza, invece, avere alcuno spazio di scelta per la determinazione della sanzione. Questo spazio, infatti, sarebbe stato occupato dal consiglio, mediante il regolamento.

Ma se l'ordinanza ingiunzione attiene alla funzione gestionale, non si vede come un organo di governo possa esaurire uno dei contenuti fondamentali dell'attività gestionale connessa.

In realtà, il dirigente agirebbe senza alcuna discrezionalità. Pertanto, si tratterebbe di una gestione limitata ad una mera attività istruttoria, carente del potere autoritativo di determinare l'ammontare della sanzione.

In secondo luogo, occorre osservare che simile limitazione della discrezionalità del dirigente finirebbe per porsi in contrasto con i principi posti alla base della disciplina delle sanzioni amministrative, derivanti per larga parte dai principi previsti dall'ordinamento penale. Tanto che in dottrina pacificamente si considera il sistema della legge 689/1981 come un vero e proprio sottosistema penale o, quanto meno, come un sistema misto, che sta in una posizione intermedia tra il sistema penale e il sistema classico degli illeciti amministrativi.

Tra le norme che con assoluta certezza rivelano l'intento del legislatore di tracciare un parallelo tra la legge 689/1981 e l'ordinamento penale, l'articolo 11 è quello che spicca in modo particolare. Tale norma prevede il principio della commisurazione delle sanzioni amministrative pecuniarie non solo alla gravità oggettiva della violazione, ma anche alla personalità del soggetto che le ha dato corso alla violazione ed alle sue condizioni economiche.

Tale principio della commisurazione poggia con ogni evidenza con la disciplina contenuta negli articoli 132, 133 e 133-bis del codice penale. Il primo prevede che nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente, precisando, però, che occorre indicare i motivi che giustificano l'utilizzo del potere discrezionale. Gli articoli 133 e 133-bis forniscono, poi, al giudice, i criteri generali dei quali il giudice deve tenere conto nell'esercizio del suo potere discrezionale.

L'articolo 11 della legge 689/1981 compie la medesima operazione delle tre norme del codice penale citate prima.

L'articolo 11 è rivolto, con ogni evidenza, all'autorità che adotta l'ordinanza ingiunzione e, dunque, al dirigente, così come gli articoli 132, 133 e 133-bis del codice penale sono rivolti al giudice. Infatti, deve essere l'autorità che si pronuncia sulla effettiva sussistenza della violazione ad applicare la sanzione.

Ora, se la legge prevede un margine di discrezionalità, indicando i criteri generali che guidano l'autorità decidente nel muoversi tra il minimo ed il massimo edittale, non appare certo possibile che questo potere discrezionale sia esercitato da un soggetto diverso dall'autorità decidente.

Questo perché si determinerebbero due violazioni normative. Della prima si è detto: l'organo di governo eserciterebbe quota-parte del potere dell'organo gestionale, sicchè darebbe vita ad un provvedimento illegittimo per incompetenza.

Ma il regolamento consiliare risulterebbe illegittimo per diretta violazione di legge, ed, in particolare, proprio dell'articolo 11 della legge 689/1981. Il quale fissa già i criteri generali dei quali il dirigente deve tenere conto, lasciando appositamente un margine di discrezionalità tipico della funzione decisionale applicativa di pene o sanzioni.

L'eliminazione della discrezionalità si pone con buona evidenza contro tale costruzione normativa. Allora, il regolamento suggerito dall'Anci non sarebbe una deroga al sistema, cioè una norma diversa ma compatibile con la legge, ma una disposizione in contrasto, incompatibile con la legge e, dunque, illegittima.

In sostanza, la soluzione suggerita dall'Anci non appare molto diversa da quella a suo tempo fatta propria dal Ministero dell'interno con la risoluzione 263/1-bis/11/1.142 del 7 marzo 2001, con la quale aveva considerato possibile sopperire all'abrogazione degli articoli 106 e 107 del testo unico del '34 mediante regolamenti, male interpretando le massime di decisioni della Cassazione. Il Consiglio di stato ha correttamente stigmatizzato la risoluzione citata, con il parere della Sezione 1^ 17 ottobre 2001, n. 885, segnalando che gli statuti o i regolamenti locali avrebbero potuto esercitare la funzione di introdurre le sanzioni amministrative solo se una legge lo avesse consentito, applicando così il principio della riserva di legge relativa previsto dall'articolo 23 della Costituzione.

La tesi dell'Anci rispetto alla graduazione delle sanzioni rischia di riprodurre la medesima situazione. Se si ritiene che la legge non ammetta la possibilità per le amministrazioni di graduare il minimo della sanzione, non è possibile ritenere che i regolamenti locali possano vincolare i dirigenti nella determinazione delle sanzioni, perchè ciò contrasta con la legge o, comunque, col principio della discrezionalità dell'organo decidente nella commisurazione delle sanzioni.

Delle due, allora, l'una: o si ammette che i regolamenti possano graduare le sanzioni nel rispetto del minimo e del massimo previsto dall'articolo 7-bis del testo unico, nonché degli ulteriori criteri stabiliti dall'articolo 10 della legge 689/1981, o se ciò non sia ritenuto possibile non è legittimo ammettere che i regolamenti possano sostanzialmente porsi in contrasto con l'articolo 11 della legge 689/1981 ed anche col principio di separazione.

Inoltre, ragioni di equità concorrono a ritenere inapplicabile la teoria dell'Anci. Come si è già rilevato, i regolamenti consiliari finalizzati a vincolare la determinazione definitiva dell'indennità si rivelerebbero inutili nei confronti di chi decide di accedere al pagamento in misura ridotta. Ma anche iniqui: infatti, finirebbero per penalizzare comunque coloro che invece di decidere di pagare in misura ridotta esercitino il diritto di difesa o di attivare il contraddittorio, presentando gli scritti difensivi di cui all'articolo 18 della legge 689/1981, qualora il dirigente decidesse comunque di applicare una sanzione che, ovviamente, risulterebbe più elevata di quella pari al doppio del minimo.

Interpretare, allora, l'articolo 7-bis, nel senso che le amministrazioni non possano, a differenza del precedente sistema, graduare con gli stessi regolamenti le sanzioni appare irrazionale.

A ben vedere, tale lettura sembra eccessivamente restrittiva dei poteri normativi di cui dispongono gli enti locali.

Lo stesso Consiglio di stato, quando ha espresso il suo parere contrario alla tesi del Viminale sulla possibilità per i regolamenti di introdurre la disciplina delle sanzioni amministrative abrogata dal testo unico, non ha ritenuto che gli enti locali in merito alle sanzioni siano privi di qualsiasi potere normativo. I giudici di Palazzo Spada hanno sottolineato che proprio perchè la riserva contenuta nell'articolo 23 della Costituzione è relativa se una legge dispone di se stessa e prevede la possibilità di applicare sanzioni per violazione dei regolamenti locali, comuni e province possono esercitare la propria potestà normativa.

Appare, allora, possibile interpretare il comma 1 dell'articolo 7-bis non come norma che dispone e fissa il minimo ed il massimo della tipologia delle sanzioni per violazione dei regolamenti. Ma come disposizione parallela all'articolo 10, comma 1, della legge 689/1981, ovvero come norma-quadro, che permette poi agli enti dotati di potestà normativa di determinare, nell'ambito della cornice prevista dalla norma stessa, una disciplina particolare, connessa al caso concreto.

L'articolo 7-bis, comma 1, allora, potrebbe essere visto come la norma che dispone il limite massimo insuperabile delle sanzioni pecuniarie per violazioni dei regolamenti, ma che non impedisce ai regolamenti stessi di determinare una gravità graduata e differente per la violazione delle diverse loro disposizioni, posto che i precetti contenuti nei regolamenti possono essere di diversa intensità cogente, alla quale è logico corrisponda una simmetrica intensità della sanzione.

 

 

NOTA DI INDIRIZZI ANCI

DIPARTIMENTO ATTIVITA’ PRODUTTIVE E POLIZIA LOCALE

OGGETTO: Art. 7-bis (Sanzioni amministrative) del D.L.vo 18 agosto 2000 n. 267 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali)

Come noto, l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 267/2000 (T.U.E.L.) ha comportato l’abrogazione delle residue disposizioni del R.D. 3 marzo 1934 n. 383, artt. da 106 a 110, ovvero quelle che disciplinavano l’applicazione delle sanzioni amministrative previste per le violazioni ai regolamenti comunali ed alle ordinanze sindacali, che erano state mantenute in vigore anche dall’art. 64 della L. 142/90, pure quest’ultima contestualmente abrogata.

Da subito, a tutti è apparso evidente che detta abrogazione, senza palesare una diversa legittimazione in capo all’ente locale, non poteva che comportare un vuoto normativo che privava province e comuni del potere sanzionatorio in materie fondamentali quali i regolamenti e le ordinanze.

Per far fronte all’incertezza, mentre questa Associazione si attivava nelle opportune sedi istituzionali, anche proponendo uno specifico emendamento al D. L.vo n. 267/2000, la Direzione generale dell’amministrazione civile del Ministero dell’Interno, con nota interpretativa n° 263/1-bis/11/l.142 del 7 marzo 2001, forniva una soluzione al problema indicando la strada della disciplina delle sanzioni amministrative per via regolamentare, ritenendo pacifico che la capacità sanzionatoria degli enti locali trovava la sua fonte direttamente nella Costituzione, artt. 5 e 28.

Quando già molti comuni avevano seguito dette indicazioni, il Consiglio di Stato, a seguito di un quesito richiesto proprio dallo stesso Ministero dell’Interno, nell’adunanza della sez. I^ del 17 ottobre 2001, n. 885/2001, smentiva definitivamente la risoluzione ministeriale in parola, e dichiarava sostanzialmente l’illegittimità delle norme regolamentari che disciplinano le sanzioni amministrative derivanti dalla violazione dei regolamenti degli enti locali, motivando in particolare che l’abrogazione dell’art. 106 del R.D. 383/34 operata dal Testo Unico in parola ha creato un vero e proprio vuoto normativo, ovviabile esclusivamente attraverso una fonte di legge primaria.

Conseguentemente, l’A.N.C.I. si attivava nuovamente presso i propri referenti istituzionali, sia sollecitandone l’interesse, sia proponendo un nuovo emendamento al Testo Unico, mediante l’introduzione dell’art. 7 bis, dal titolo: "Sanzioni amministrative per le violazioni ai regolamenti e alle ordinanze provinciali e comunali": un testo che considerava, appunto, sia i regolamenti che le ordinanze, ma anche la possibilità di modulare la sanzione amministrativa sulla base della presunta gravità, come avveniva anche in passato, vigente il T.U. del 1934, ed ancora l’applicazione delle sanzioni accessorie sospensive od interdittive derivanti dai provvedimenti dell’Amministrazione locale.

 

Con queste premesse, il Parlamento, uniformandosi al parere del Consiglio di Stato, ha approvato la Legge 16 gennaio 2003, n. 3, (Suppl. ord. n° 5/L alla G.U. del 20 gennaio 2003, n° 15), in vigore dal 4 febbraio 2003, che attraverso l’art. 16 (CAPO III - DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ENTI LOCALI) inserisce il nuovo art. 7 bis, con la seguente formulazione:

 

"art. 7-bis. - ( Sanzioni amministrative ) -

1. Salvo diversa disposizione di legge , per le violazioni delle disposizioni dei regolamenti comunali e provinciali si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro.

2. L’organo competente a irrogare la sanzione amministrativa è individuato ai sensi dell’art. 17 della legge 24 novembre 1981 n. 689 "

Da una semplice lettura della norma è evidente che:

· di fatto, letteralmente, la sanzione amministrativa è d’immediata applicazione ai soli regolamenti comunali: sono escluse le ordinanze sindacali;

· mancano i riferimenti normativi che riguardano la possibilità, per l’Ente locale, di graduare la sanzione da applicare, che normalmente in passato era direttamente proporzionale alla gravità teorica della violazione: vigente l’abrogato art. 107 del T.U. del 1934, espressamente richiamato dall’art. 16 co. 2 della L. 689/81, era possibile derogare alla regola generale indicata nel comma 1 dello stesso art. 16; ora detta normativa non c’è più, e quindi è pienamente applicabile la sola possibilità di pagare la sanzione in misura ridotta con una somma pari alla terza parte del massimo o, se più favorevole, pari al doppio dell’importo previsto nel minimo;

· ad ogni tipo di violazione alle norme regolamentari è applicabile la sanzione amministrativa da euro 25.00 a euro 500.00, con facoltà di pagamento in misura ridotta più favorevole di euro 50.00, pari al doppio del minimo entro 60 gg. dalla contestazione o dalla notificazione del verbale, come previsto dall’art. 16 della Legge 24 novembre 1981 n° 689;

· non potranno essere applicate sanzioni accessorie diverse da quelle previste dagli articoli 13 e 20 della Legge n° 689/81 (sequestro facoltativo o obbligatorio e confisca);

· stante il principio di legalità statuito dall’art. 1 della L.689/81, tutta l’attività di verbalizzazione delle violazioni compresa tra il 13 ottobre 2000, data dell’entrata in vigore del D. L.vo n° 267/2000, ed il giorno precedente all’entrata in vigore del nuovo art. 7/bis, 3 febbraio 2003, sarà da considerarsi improcedibile, e quindi verosimilmente comporterà un rilevante danno economico per i Comuni;

· non è stata esplicitata la competenza del Dirigente in materia di provvedimenti amministrativi per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie previsti dalla Legge n° 689/81.

Nell’attesa che sui nuovi temi in discussione intervenga opportunamente la giurisprudenza, e si consolidi pienamente l’attuazione dell’autonomia normativa dei Comuni, in ordine ai problemi prospettati questa Associazione ritiene opportuno fornire, per argomento, i seguenti pareri:

1) ORDINANZE SINDACALI: sarà necessaria l’approvazione, da parte del Consiglio Comunale, di un "Regolamento per le Ordinanze sindacali" che stabilisca che la sanzione prevista dal nuovo art. 7 bis D.L.vo 267/2000, da euro 25,00 a euro 500, si applica anche alle violazioni delle ordinanze stesse;

2) VERBALIZZAZIONE PREGRESSA: se il verbale è già divenuto definitivo la sanzione dovrà essere pagata dall’interessato; diversamente, nel caso contrario, dovrà essere emesso un provvedimento di archiviazione degli atti;

3) COMPETENZA DEL DIRIGENTE: il Dirigente, a norma dell’art.107 del D.L.vo 267/2000, è competente in materia di provvedimenti amministrativi ex L. 689/81;

4) REGOLAMENTO SULLE SANZIONI: non potrà graduare l’importo che l’interessato avrà la facoltà di pagare in misura ridotta (sempre euro 50.00 entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notificazione del verbale), ma potrà fornire indicazioni vincolanti (e quindi, anche, graduate nell’importo) al Dirigente per la somma da individuare in sede di ordinanza-ingiunzione.

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