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Articoli e note
n. 3-2002.

LUIGI OLIVERI

Ancora sulla riforma della legge 241/1990
in rapporto alla legge costituzionale 3/2001

Il Governo ha formalmente approvato il disegno di legge riguardante le modifiche alla legge 241/1990, con poche ma fondamentali modifiche rispetto al testo proposto dal Ministero della Funzione pubblica sul finire del 2001.

La nuova formulazione contiene una rimodulazione dell'articolo 14 ed un nuovo articolo 15, che sembrano aver tenuto conto, almeno in parte, delle prime considerazioni svolte [1] in merito alla compatibilità con la parte II del Titolo V della Costituzione, riformato dalla legge costituzionale 3/2001.

Gli articoli 14 e 15 del disegno di legge hanno lo specifico fine di stabilire un ordine, nei rapporti reciproci tra legge 241/1990 ed ordinamenti regionali e locali.

Il sistema derivante dal combinato disposto delle due norme si può sintetizzare come segue:

1) la legge 241/1990 si applica necessariamente ai procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali;

2) i procedimenti amministrativi delle regioni sono regolati da una specifica legge regionale riguardante il procedimento amministrativo;

3) nelle more dell'approvazione di detta legge regionale, i procedimenti amministrativi delle regioni sono disciplinati dalle leggi regionali vigenti;

4) in mancanza di leggi regionali, si applicano le disposizioni della legge 241/1990;

5) in ogni caso, le leggi regionali successive dovranno tenere conto dei principi stabiliti dalla legge 241/1990.

6) gli enti locali disciplinano la propria attività amministrativa nel rispetto dei principi della legge 241/1990 (ma vedremo in conclusione del presente lavoro, che in realtà i principi posti dalla legge 241/1990 sono tratti dalla Costituzione);

Il sistema così delineato supera i gravi problemi di compatibilità con la costituzione del precedente testo dell'articolo 14 del disegno di legge, che rimetteva agli statuti regionali il compito di regolamentare le materie disciplinate dalla legge sul procedimento amministrativo, "nel rispetto dei principi fondamentali desumibili dalle disposizioni in essa contenute".

Dall'analisi del sistema delineato nella nuova formulazione approvata dal Governo, tuttavia, si ricava il permanere, accanto a positive soluzioni soprattutto per quel che riguarda gli enti locali, di alcuni problemi di rispetto della Costituzione.

Legge 241/1990 come norma necessariamente applicabile ai procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali.

L'analisi del primo punto del complesso sistema elaborato dal Governo per garantire la conformità della legge 241/1990 alla Costituzione, porta a concludere per la perfetta compatibilità con la novella della legge 3/2001. Il primo comma dell'articolo 29 della legge 241/1990, come modificato dal disegno di legge, disponendo che la legge sul procedimento amministrativo è immediatamente applicabile alle amministrazioni statali ed agli enti pubblici nazionali si pone in linea con l'articolo 117, comma 2, lettera g), a mente del quale spetta alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la competenza in materia di "ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali". La legge 241/1990, come legge generale sul procedimento amministrativo, incide indirettamente sull'organizzazione amministrativa e sullo stesso assetto amministrativo. Dunque, è certamente da considerare norma generale e "trasversale", alla base stessa dell'ordinamento amministrativo.

Legge 241/1990 come norma di principio per l'attività amministrativa degli enti locali.

Il comma 2 dell'articolo 29 della legge 241/1990, come modificato dal disegno di legge, prevede che gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, regolano il procedimento amministrativo nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi della legge 241/1990.

In altre parole, le amministrazioni locali possono definire autonomamente le regole per i propri procedimenti amministrativi, ma nel rispetto dei principi della legge 241/1990.

La disposizione presenta dei tratti di originalità per il sistema locale, aprendo per la prima volta reali spazi di manovra all'autonomia locale, proprio nel rispetto della legge 3/2001.

C'è da comprendere, allora:

1)  che ruolo la legge 241/1990 assumerà nei riguardi delle amministrazioni locali;

2) come queste potranno disporre della propria autonomia normativa in merito e con quali strumenti (statuto o regolamenti);

3) che incidenza avrà la riforma della legge 241/1990 nei riguardi del D.lgs 267/2000.

In merito al primo punto, indubbiamente il disegno di legge intende configurare la legge 241/1990 come legge di principi per la potestà normativa degli enti locali. Dunque, se le amministrazioni statali dovranno direttamente applicare le previsioni della legge sul procedimento amministrativo, immediatamente cogenti ed operanti, gli enti locali, invece, potranno applicare le norme sul procedimento amministrativo come principi, per il tramite delle proprie norme.

La previsione del disegno di legge appare in sintonia con la filosofia della riforma costituzionale, tendente ad esaltare l'autonomia normativa degli enti locali. Poiché la legge 3/2001 non ha assegnato specifiche competenze agli statuti ed ai regolamenti locali, il sistema più idoneo a garantire agli enti locali spazi normativi autonomi consiste nel far fare un passo indietro al legislatore. Questo (che non è solo il Parlamento, ma anche il Consiglio regionale) deve operare sempre più mediante disposizioni di principio e non mediante norme di diretta ed esaustiva disciplina della materia.

Ed è quanto il disegno di legge di riforma della legge 241/1990 intende appunto fare. Le disposizioni della legge 241/1990 non saranno, dunque, immediatamente cogenti, ma costituiranno un limite alla potestà normativa delle amministrazioni locali.

L'operazione appare certamente corretta e condivisibile. Ma, tuttavia, in parte incompleta. La condivisibilità deriva, intanto, dalla considerazione che già da tempo la dottrina ha inteso la legge 241/1990 come norma di principio [2] che prevede le garanzie minime per i cittadini, nell'ambito del procedimento amministrativo. Appare, comunque, positivo che il disegno di legge attribuisca espressamente alla legge 241/1990 il valore di norma di principio.

La correttezza, ancora, consiste nell'attuazione della valorizzazione della potestà normativa locale, così come disegnata in modo implicito dall'articolo 114 novellato della Costituzione.

Il disegno di legge, infatti, non chiarisce i rapporti tra legge 241/1990 e normativa locale. Specificamente, il disegno di legge non si occupa del ruolo della legge, in mancanza di disposizioni normative locali, o in presenza di disposizioni non in linea con i principi da essa ricavabili, o con garanzie inferiori.

Appare piuttosto chiaro che la normativa locale non possa in nessun caso dettare garanzie inferiori a quelle ricavabili dai principi della legge 241/1990. Infatti, il comma 2 novellato dell'articolo 29 della legge 241/1990 prevede espressamente per gli enti locali il vincolo del rispetto delle garanzie sul giusto procedimento ricavabili dalla Costituzione, oltre che dalla legge 241/1990.

Ma il disegno di legge non chiarisce quale sia la portata del limite del rispetto dei principi costituzionali e normativi, o, meglio, non stabilisce se detti principi possano essere considerati derogabili o inderogabili.

Il problema si pone perché l'articolo 1, comma 3, del D.lgs 267/2000 prevede che possano avere un'influenza diretta sull'ordinamento locale le leggi che enunciano espressamente, fissano, principi esplicitamente definiti inderogabili per l'autonomia normativa degli enti locali. Allora, in mancanza di una chiara declaratoria sull'inderogabilità dei principi della legge 241/1990 (per altro principi non esplicitamente fissati, ma ricavabili solo in via interpretativa), si potrebbe ritenere che gli enti locali siano in grado di porre in essere una disciplina del procedimento amministrativo anche ampliamente derogatoria.

Tuttavia, questa conclusione non pare reggere ad alcune critiche. In primo luogo, il sistema di cui all'articolo 1, comma 3, del D.lgs 267/2000 non pare si possa applicare ad una disciplina generale e trasversale come quella del procedimento amministrativo, visto che si riferisce espressamente alla legislazione in materia di ordinamento degli enti locali. In sostanza, sono le leggi riguardanti l'ordinamento locale che debbono enunciare esplicitamente i principi inderogabili, direttamente incidenti sull'autonomia statutaria e normativa degli enti locali.

Pertanto, gli altri principi fissati o desumibili da leggi riguardanti altre materia possono costituire un limite all'autonomia normativa locale, anche se non espressamente definiti inderogabili (non sarebbe comunque disprezzabile se il legislatore dichiarasse con chiarezza il grado di derogabilità delle norme di principio).

D'altra parte, l'espresso richiamo del comma 2 dell'articolo 29 novellato al sistema costituzionale di garanzia del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, contribuisce a chiarire, implicitamente, che i principi della legge 241/1990 sono, per la normativa locale, inderogabili. Se, del resto, è vero, come si è sottolineato sopra, che la legge 241/1990 fissa le garanzie procedurali minime, allora non sarebbe possibile per la normativa locale dare luogo ad un sistema di garanzie meno forte.

Proseguendo il ragionamento, allora non si può non concludere che la legge 241/1990 si sovrapponga ([3]) alle previsioni normative locali, svolgendo una funzione suppletiva. Il che significa che in mancanza di una specifica disposizione locale, trova applicazione la legge sul procedimento amministrativo, così come la legge 241/1990 coprirà eventuali carenze della disciplina locale. Invece, la normativa degli enti locali troverà integrale applicazione, quando applichi tutti i principi desumibili dalla legge sul procedimento amministrativo e preveda garanzie anche maggiori.

Bisogna, adesso, tentare di verificare con quali atti normativi, concretamente, gli enti locali potranno esercitare la propria capacità di regolare il procedimento amministrativo: dovranno operare con gli statuti, oppure con i regolamenti?

Poiché la nuova formulazione dell'articolo 29, comma 2, della legge 241/1990 si riferisce al rispetto del sistema costituzionale delle garanzie, si potrebbe concludere che la fonte di disciplina locale del procedimento amministrativo possa essere lo statuto. Infatti, l'articolo 114, comma 2, della Costituzione mette esplicitamente gli statuti in relazione con i principi fissati dalla Costituzione medesima.

A ben vedere, però, questa conclusione non pare corretta. Infatti, in realtà l'articolo 29, comma 2, novellato della legge 241/1990 assegna alla medesima legge il compito di tradurre nelle sue previsioni di principio le garanzie costituzionali riguardanti le garanzie del cittadino nei confronti dell'attività amministrativa. Pertanto, la normazione locale va posta in rapporto non direttamente con la Costituzione, ma con la legge 241/1990. Se così è, allora, le fonti normative locale deputata a regolare il procedimento amministrativo nel rispetto dei principi della legge 241/1990 sono i regolamenti, destinati, del resto, soprattutto a fissare le modalità di esercizio delle funzioni svolte dagli enti locali, funzioni attuate principalmente mediante procedimenti amministrativi.

E' corretto, d'altra parte, ritenere che la regolamentazione speciale o, particolare, della disciplina sul procedimento amministrativo sia attivata mediante gli specifici regolamenti e non con gli statuti. Infatti, questi hanno la funzione di stabilire i principi generali riguardanti l'assetto istituzionale degli enti locali. Non avrebbe, del resto, utilità una disposizione statutaria di principi generali sul procedimento amministrativo, in presenza di una legge generale di principi, quale la 241/1990.

Per altro verso, il D.lgs 267/2000 nel disciplinare il diritto di accesso agli atti delle amministrazioni locali, disciplina specifica della più ampia regolamentazione della legge 241/1990, assegna alla fonte regolamentare e non a quella statutaria il compito di provvedere in merito.

Questa osservazione consente di affrontare l'ultimo problema: verificare, cioè, se la novellazione della legge 241/1990 determini un implicito superamento proprio dell'articolo 10 del testo unico sull'ordinamento locale, dal momento che, come rilevato precedentemente, sarà la legge 241/1990 a dettare i principi relativi alla disciplina dell'attività amministrativa.

L'intento dell'articolo 29, comma 2, della legge 241/1990 appare, in effetti, proprio quello di ricondurre ad unità la disciplina generale del procedimento amministrativo. Pertanto, si potrebbe ritenere che anche la disciplina generale relativa all'accesso agli atti sia da trarre dalla legge sul procedimento amministrativo.

Tuttavia, è osservazione comune che i principi posti dall'articolo 10 del D.lgs 267/2000 pongano in essere una tutela ancora più avanzata del diritto di accesso agli atti di quella prevista dalla legge 241/1990. Pertanto, visto che quest'ultima svolge il ruolo di garanzia minima indefettibile, l'applicabilità del citato articolo 10 non pare possa essere messa in discussione dall'articolo 29, comma 2, della legge sul procedimento amministrativo. Sicchè, il regolamento attuativo del diritto di accesso potrà ancora riferirsi alle disposizioni del testo unico sull'ordinamento locale.

La disciplina dei procedimenti amministrativi regionali.

La parte più problematica della riforma riguarda specificamente il rapporto tra la legge 241/1990 e la potestà legislativa regionale.

Il dubbio che rimane, infatti, riguarda la permanenza in capo alla legge dello Stato della potestà di disciplinare l'organizzazione amministrativa e l'attività amministrativa delle regioni. In realtà, guardando l'elencazione della potestà normativa esclusiva dello Stato non si riscontra alcun esplicito riferimento alla competenza di disciplinare in generale il procedimento amministrativo per le attività delle regioni. Ed in realtà gli articoli 14 e 15 del disegno di legge confermano l'osservazione proposta, dal momento che intendono fornire proprio la soluzione alla conclamata carenza di competenza della legge statale a disciplinare la materia.

Il criterio scelto dalla novella alla legge 241/1990 è quello della sussidiarietà: in sostanza, il disegno di legge prevede che i procedimenti amministrativi regionali siano disciplinati dalle leggi regionali e che in mancanza di queste, in via sussidiaria, operino le disposizioni della legge 241/1990

Quanto prevede il combinato dell'articolo 29, comma 2, novellato e il primo periodo dell'articolo 15 del disegno di legge, appare ineccepibile. Le due disposizioni, infatti, stabiliscono:

1)  che le regioni regolano il procedimento amministrativo autonomamente, mediante una propria legge regionale;

2) che fino all'entrata in vigore delle leggi regionali citate, si applichino le leggi regionali vigenti;

3) in mancanza di una disciplina regionale generale o di settore, si applica in via suppletiva la legge 241/1990.

Poiché la riforma costituzionale sta cominciando solo ora a dispiegare i propri effetti, è corretto impostare i rapporto tra legge dello Stato e leggi regionali così come prevedono le norme del disegno di legge. Lo Stato ha legittimamente disciplinato il procedimento amministrativo nel precedente regime normativo, mediante la legge 241/1990. Detta legge non è divenuta incostituzionale, una volta entrata in vigore la legge 3/2001, ma continua a produrre i suoi effetti.

Le regioni, se intendono giovarsi adesso della potestà normativa in materia, non debbono fare altro che esercitarla e disciplinare con leggi (e con conseguenti regolamenti) il procedimento amministrativo. In tal modo, la disciplina del procedimento non sarà più quella della legge dello Stato, ma quella della legge regionale. O, meglio, la legge 241/1990 continuerà ad operare in via assolutamente residuale, per quelle parti non specificamente disciplinate dalle leggi regionali.

Detto questo, restano aperti due problemi:

1) l'estensione della potestà legislativa delle regioni;

2)  il rapporto tra legge 241/1990 e legge regionale sul procedimento amministrativo.

Al primo problema il disegno di legge fornisce la medesima soluzione proposta per la disciplina regolamentare degli enti locali, stabilendo che l'esercizio della potestà normativa e regolamentare delle regioni avvenga nel rispetto del sistema delle garanzie costituzionali sul procedimento amministrativo, e dei principi stabiliti dalla legge 241/1990.

Il rispetto dei principi costituzionali relativi alle garanzie per il cittadino è un limite certamente ineludibile per le leggi regionali, che a mente dell'articolo 117, comma 1, della Costituzione sono tenute a rispettare il vincolo del rispetto della Costituzione medesima.

Al contrario, il rispetto dei principi definiti dalla legge 241/1990, appare molto più problematico.

Occorre sottolineare che il disegno di legge, per la verità, sia molto sottile. L'articolo 29, comma 2, infatti, non dispone che le leggi regionali siano soggette ai principi della legge 241/1990 (come dispone l'attuale testo dell'articolo 29, comma 1). Stabilisce, invece, che le leggi regionali debbano rispettare i limiti delle garanzie costituzionali riguardanti il procedimento amministrativo, come definiti dalla legge 241/1990. In tal modo, la legge 241/1990 si autoqualificherebbe, implicitamente, come legge di individuazione e definizione positiva dei principi traibili dalla Costituzione.

Si tratterebbe di una legge di nuovo conio. Come è noto, i principi possono distinguersi in due grandi categorie [4]:

1)     principi generali;

2)     principi definiti dalla legge.

I primi possono essere considerati norme giuridiche riassuntive del significato essenziale di altre norme, ed in generale sono desunti in astratto, mediante un'operazione interpretativa, da norme giuridiche espresse.

I principi definiti dalla legge, invece, sono quelli "posti" esplicitamente dalla legge medesima, sicchè il legislatore si pone come soggetto che li crea, imponendone il contenuto e le funzioni [5].

In genere, i principi determinati sono fissati dalla medesima legge che li esplicita. Il disegno di legge di riforma del procedimento amministrativo, invece, propone un sistema originale di determinazione dei principi, basato su due diverse fonti. Vi sarebbe una fonte di primo livello, nello specifico la Costituzione, che pone implicitamente i principi riguardanti le garanzie procedurali. V'è, poi, una fonte di secondo livello, la legge 241/1990, che assume la funzione di "definire" in via esplicita detti principi, completando l'operazione di "posizione" dei principi stessi.

Così stando le cose, allora la legge 241/1990, così novellata, dovrebbe ritenersi di natura diversa dalle leggi dello Stato che determinano i principi fondamentali nell'ambito della legislazione concorrente, così come prevede l'articolo 117, comma 3, della Costituzione.

La legge 241/1990, infatti, non pone, in realtà, principi, ma esplicita quelli posti dalla Costituzione.

In tal modo, potrebbe legittimamente limitare la potestà normativa delle regioni, le quali nell'attuare la propria potestà legislativa dovrebbero riferirsi alla legge 241/1990 non come norma che limita direttamente detta potestà, ma come disposizione che pone, indirettamente, i principi costituzionali.

Questa ricostruzione permetterebbe, effettivamente, di limitare l'estensione della potestà legislativa regionale ad una disciplina dei procedimenti amministrativi regionali che non possa andare oltre i confini giuridici previsti dalla legge 241/1990, che conserverebbe così, dunque, il proprio già sottolineato ruolo di garanzia minima dei diritti del cittadino.

Potrebbe, allora, intendersi la legge 241/1990 come norma che determina, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, il livello essenziale dei diritti civili (in questo caso il diritto al giusto procedimento) da garantire ai cittadini. Da qui la legittimazione dello Stato a disciplinare in via generale e sussidiaria, con la fissazione di un livello minimo essenziale inderogabile, le già ripetute garanzie minime procedurali per i cittadini.

A inquadrare la legge 241/1990, così riformata, nell'alveo della Costituzione, potrebbe, inoltre, contribuire anche l'articolo 120, del resto connesso alla lettera m) prima citata, che. autorizza un intervento sostitutivo del Governo non solo repressivo, ma anche preventivo, al fine di garantire i livelli minimi dei diritti sociali.

L'intervento sostitutivo del Governo non necessariamente deve essere inteso come atto "dispositivo" del medesimo: potrebbe, infatti, essere ammesso un intervento "propositivo", quale appunto un disegno di legge, inteso a "coprire" una determinata materia riferita alla garanzia dei livelli minimi essenziali dei diritti civili, prima ancora che si verifichino delle azioni legislative delle regioni, allo scopo di evitare qualunque vulnus a questi livelli.

La soluzione proposta dal disegno di legge, così intesa, appare coerente con la Costituzione, anche se allo scopo occorre un'operazione interpretativa come quella proposta, che certamente può esporsi a critiche. Soprattutto perché, in realtà, la Costituzione non prevede, in realtà, in maniera esplicita che il legislatore ordinario possa definire in via positiva i principi generali impliciti da essa desumibili.

L'interpretazione qui suggerita consentirebbe, comunque, andando al problema dei rapporti tra legge 241/1990 e leggi regionali, di evitare la ricostruzione in base alla classica relazione tra legge statale-quadro e legge regionale di disciplina di operativa.

In realtà, la legge 241/1990 non sarebbe un quadro normativo, ma una normativa immediatamente operante, anche se solo in via suppletiva. Le regioni resterebbero in grado di esercitare integralmente la propria potestà normativa in merito al procedimento amministrativo, anche in modo innovativo, senza i confini di un "quadro" normativo imposto dallo Stato. Il tutto, però, purchè le leggi regionali rispettino le garanzie minime poste dalla legge 241/1990 o, addirittura, le incrementino.

In questo caso, allora, la legge 241/1990 è automaticamente disapplicata, ed opera la disciplina regionale quale fonte unica e primaria del procedimento amministrativo.

 

[1] L. OLIVERI, Il disegno di legge di riforma della legge 241/1990 – Problemi di compatibilità con la riforma della Costituzione, in www.giustamm.it.

[2] G. MORBIDELLI, in AA.VV., Diritto amministrativo, Bologna 1998, pag. 1206.

[3] G. MORBIDELLI, ibidem, pag. 1229.

[4] V. ITALIA, Principi generali e principi determinati dalla legge, Milano, 2000.

[5] V. ITALIA, ibidem, pag. 35.

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