LUIGI OLIVERI
L'inconfigurabilità del segretario comunale come “organo necessario allo svolgimento delle funzioni fondamentali degli enti locali” dopo la riforma della Costituzione
A seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001, si sono subito poste in evidenza alcune conseguenze concernenti la disciplina organizzativa degli enti locali.
Uno tra gli argomenti di maggior rilievo riguarda senza dubbio la configurazione della disciplina giuridica dei segretari comunali. Appare, infatti, evidente che:
1) finchè il d.lgs 267/2000 rimarrà in vigore, la figura del segretario comunale sarà disciplinata dalle norme ivi contenute e dai regolamenti esecutivi (Dpr 465/1997);
2) non è, perciò, possibile un'abrogazione o soppressione per via statutaria di tale figura, in quanto è la legge che la disciplina, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione.
Appare, però, altrettanto evidente che l'attuale formulazione del testo unico delle autonomie locali, in relazione al caso in questione, non è in armonia con il nuovo testo costituzionale, perché la figura e le funzioni del segretario comunale sono regolamentate da una legge dello Stato.
Ma, stando all'attuale formulazione
dell'articolo 117, commi 2,
Sicchè, occorre necessariamente concludere che in prospettiva:
1) la disciplina normativa dei segretari comunali non potrà essere disposta dalla legge statale;
2) tale disciplina dovrà essere dettata dalla normativa regionale, oppure dalla normativa statutaria e regolamentare degli enti;
3) la necessarietà della figura del segretario, nell'attuale regime indiscutibile ed intangibile, dipenderà dai futuri assetti normativi.
Le questioni che più propriamente investono la figura del segretario comunale dopo la riforma concernono l'individuazione della fonte normativa che la disciplini e la necessarietà o meno di tale figura.
Si badi, però, che questi problemi sono particolarmente sentiti per quanto riguarda i segretari data la storica importantissima funzione che essi hanno svolto negli enti locali. Ma tali questioni investono in modo assolutamente equivalente la dirigenza locale in generale. Sicchè l'indagine riguardante i segretari comunali, pur connotata dalle peculiarità conclamate di questa figura, in realtà concerne l'intero apparato amministrativo e gestionale locale.
Occorre, tuttavia, sottolineare che esiste una linea interpretativa secondo la quale, invece, la disciplina normativa riguardante i segretari comunali continuerà ad essere statale anche nei futuri assetti normativi.
Tale linea, poi, si biforca lungo due filoni distinti.
Un primo orientamento [1] intende dimostrare la necessità del permanere del segretario, in quanto lo considera appunto organo necessario allo svolgimento delle funzioni fondamentali dell'ente.
Un secondo orientamento [2], invece, intende individuare le ragioni di una competenza legislativa statale, senza riconnettere necessariamente l'esercizio delle funzioni del segretario ad una figura da definire “segretario comunale”, evidenziando, però, l'indispensabilità dell'esercizio di tali funzioni da parte di una figura professionale specificamente qualificata.
Entrambi gli orientamenti non appaiono persuasivi, sebbene il secondo presenti spunti di notevole interesse e abbia il merito di cercare una soluzione che contempli le peculiarità della figura del segretario con una legislazione di tipo “nazionale” valevole su tutto il territorio della Repubblica. Si vedrà meglio di seguito, però, che questo può essere un intento politico, che non è, però, conseguenza diretta dell'attuale testo costituzionale.
Appare necessario, ora, fornire motivazioni a supporto della tesi contraria alla configurazione del segretario come organo necessario allo svolgimento delle funzioni fondamentali dell'ente e per tale ragione oggetto di disciplina legislativa statale, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione.
Il primo orientamento di questa linea interpretativa fonda le sue tesi sulle seguenti considerazioni:
1) la segreteria è lo snodo ove confluiscono proposte, elaborazioni, progetti, programmi provenienti sia da amministrazioni che da dirigenti e funzionari;
2) gli atti di impulso dell’attività istituzionale dell’Ente, così come le decisioni degli organi, trovano nella segreteria il supporto giuridico per una migliore rielaborazione e meditazione;
3) la segreteria, pertanto, si configura come l'ufficio indispensabile per assicurare imparzialità, correttezza, efficienza ed efficacia all’azione dell’Amministrazione locale;
4) il segretario comunale, pertanto, si presenta come quel soggetto particolarmente qualificato allo svolgimento delle funzioni di cui sopra, anche perchè dispone di una visione generale delle attività;
Queste considerazioni appaiono corrette, ma prive di pregio se mirate a fondare una necessità dell'organo-segretario.
Non v'è il minimo dubbio che le attività sopra descritte rivestono un'importanza fondamentale ai fini dell'attività dell'ente. Ma, allo stesso modo, vi sono poche incertezze nell'affermare che le funzioni della segreteria e del segretario indicate sopra non costituiscono “funzioni fondamentali” dell'ente, nell'accezione di cui all'articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione.
Si possono definire funzioni fondamentali del comune e della provincia quelle che detti enti esercitano a beneficio della popolazione o, meglio ancora, le funzioni caratterizzanti la stessa ragion d'essere dell'ente locale.
Dette funzioni non sono definite dal testo unico. Come da tempo sostiene la dottrina più accreditata [3], il comune è un ente a competenza generale e residuale. Ciò è confermato dall'articolo 118, comma 1, della Costituzione che attribuisce ai comuni tutte le funzioni amministrative, con l'eccezione di quelle che, necessitando di un esercizio unitario a livello territoriale più ampio o con una maggiore capacità organizzativa, non siano attribuite secondo il principio della sussidiarietà verticale a province, città metropolitane, regioni e Stato.
La provincia, al contrario del comune, pertanto è assegnataria di funzioni fondamentali che sono sempre enumerate e determinate dalla legge.
Ora, stando all'attuale testo unico sull'ordinamento locale, ma anche alla logica ed alla storia, tali funzioni sono quelle funzioni amministrative che caratterizzano l'associazione di più persone in un ente territoriale locale, che si prenda cura del soddisfacimento di determinati bisogni collettivi.
L'articolo 13 del testo unico, a proposito delle funzioni, suggerisce alcuni criteri per individuarle e definirle.
Si tratta di “funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio”, in particolare nei settori “dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico”.
Non bisogna dimenticare che storicamente il comune nasce come soggetto collettivo che governa l'aggregazione di più soggetti in un ambito territoriale ristretto o, comunque, definito, per svolgere alcuni compiti essenziali per la convivenza comune. In particolare, all'alba dell'istituzione comune, per la gestione di servizi pubblici quali l'illuminazione, la fognatura, la distribuzione delle acque. In seguito, attività amministrative, come l'esazione di tributi, l'esecuzione di opere finalizzate al miglioramento delle strutture, il governo delle modalità di costruzione e così via, in un crescendo continuo, che ha fatto del comune l'ente a competenza generale di cui si è parlato prima.
La funzione fondamentale dell'ente, allora, è quella esercitata nei confronti della popolazione, quella che ha una ricaduta nella popolazione amministrata, quella che, appunto, “fonda” la stessa esistenza dell'ente comune. Il governo del territorio, le attività di assistenza alla persona, la regolamentazione edilizia, la polizia amministrativa, solo per citare alcune funzioni, sono quelle connaturate all'ente e, dunque, fondamentali.
Tali funzioni non sono da confondere col concetto di funzioni della dirigenza e del segretario comunale, che sono, invece, interne, rivolte all'ente che le esercita.
Mentre le funzioni fondamentali dell'ente sono, in un'accezione aziendale, il “core business” dell'ente, ed attengono, dunque, al perchè l'ente esiste e a cosa deve necessariamente fare, le funzioni del segretario (come quelle della dirigenza) sono il “software”, ed attengono al “come” le funzioni dell'ente vengono svolte. La disciplina delle funzioni della dirigenza, pertanto, concerne il modo in cui si esplica la funzione fondamentale.
Mentre la funzione fondamentale è fissa, determinata in modo certo ed il più possibile statico da un complesso di norme (Costituzione, leggi e provvedimenti di conferimento funzionale, nel rispetto della sussidiarietà), le funzioni gestionali sono esplicabili secondo modalità e schemi del tutto variabili e agevolmente modificabili.
E' da considerare “fondamentale” la funzione di prestazione di servizi alla persona; non è “fondamentale” che ad erogarla sia una struttura di livello dirigenziale, né che a capo della struttura sia il segretario comunale, o un dirigente, o, ancora, un organo di governo.
Il “come” svolgere la funzione fondamentale è
rimesso, infatti, al combinato disposto dei criteri provenienti dalle leggi
previste dall'articolo 97, commi
Quest'ultima conclusione fornisce uno spunto di rilievo. A ben vedere, “organi” propriamente degli enti locali sono appunto gli organi di governo e quelli preposti alla gestione. Da questo punto di vista, allora, l'organo segretario comunale non appare diverso dagli organi dirigenti o responsabili di servizi.
Si tratta di organi-ufficio, che debbono essere disciplinati almeno nei principi fondamentali dalla legge, che a mente dei primi due commi dell'articolo 97 della Costituzione, deve fissare l'ordinamento degli uffici ed in base a questo stabilire le competenze.
In ogni caso, organi “necessari” appaiono in qualunque momento storico quelli “rappresentativi”, ovvero quelli elettivi. Questi, comunque, non possono mancare, ed in effetti non sono mai mancati, nei momenti storici in cui l'ordinamento democratico ha prevalso. La sussistenza di organi “gestionali” è acquisizione recente, probabilmente destinata a rimanere nel tempo, ma non necessariamente con una disciplina costante.
La competenza, come rileva l'unanime dottrina amministrativa, è da considerare come la misura dei poteri pubblici assegnati ad un organo, in funzione della sua preposizione al perseguimento di uno dei fini pubblici che costituiscono lo scopo della persona giuridica pubblica che l'organo impersona.
Ciò implica, allora, che se è la legge a determinare le competenze, in funzione di un certo ordinamento degli uffici, l'esistenza di certi uffici e di certi organi ed il correlato svolgimento delle loro competenze è subordinato alle previsioni normative.
Allora, tornando all'assioma secondo il quale l'organo segretario comunale è non solo insopprimibile, ma necessario ed obbligatoriamente soggetto a disciplina legislativa statale, si nota come esso risulti del tutto apodittico e non conforme al dettato costituzionale stesso.
L'elencazione delle funzioni di competenza del segretario, proposta dalla dottrina che sostiene tale tesi, non può assolvere ad alcuna capacità di provare sia la necessarietà dell'organo, sia la sua necessaria disciplina per legge statale.
Poiché, come si è visto, le funzioni che svolge il segretario non sono le funzioni “fondamentali” attinenti ai fini pubblici che l'ente locale persegue, ma sono invece l'esplicazione di come al suo interno l'ente si organizza per erogare tali funzioni pubbliche, è perfettamente possibile che un diverso assetto degli uffici elimini la figura del segretario, distribuendo le sue funzioni nella struttura amministrativa.
In effetti, così avviene nelle amministrazioni pubbliche diverse da quelle degli enti locali. Nelle quali, ad esempio, le funzioni di ufficiale rogante sono di volta in volta assegnate a questo o quel dirigente o funzionario; le funzioni di segretario verbalizzante delle sedute degli organi di governo non necessariamente connesse ad una figura professionale peculiare, ma compiti attinenti ad incarichi dirigenziali; la funzione di sovrintendenza ai dirigenti, connessa all'incarico di dirigente apicale, che implica la direzione di una struttura di vertice a diretto contatto con gli organi di governo.
Tale modello potrebbe essere certamente applicato anche agli enti locali, in particolare a quelli di una certa dimensione.
Occorre ricordare che la peculiarità della figura del segretario come funzionario al servizio dell'ente, ma dipendente da una struttura dello Stato, è figlia di un ordinamento nel quale le autonomie locali erano comunque soggette allo stretto controllo dell'apparato centrale. Il segretario era la promanazione dello Stato all'interno della struttura locale. La sua preminenza nella funzione gestionale era conseguenza della volontà politica di tenere l'autonomia locale comunque sotto la vigilanza dello Stato, in particolare del Ministero dell'interno, da cui il segretario dipendeva.
Appare assolutamente evidente che nel nuovo assetto costituzionale, soprattutto dopo aver rotto il legame tra segretari comunali e Ministero, e, a maggior ragione, dopo la previsione del principio di “pari dignità” tra enti territoriali costituenti la Repubblica, la figura del segretario comunale possa essere a sua volta oggetto di profonda trasformazione.
Cozza con la piena autonomia legislativa delle regioni, nonché con la maggiore autonomia regolamentare di province e comuni, l'esistenza di una struttura statale, l'Agenzia, alla quale attingere obbligatoriamente per lo svolgimento di funzioni gestionali che potrebbero essere dispiegate anche con altre modalità o, soprattutto, da uffici “autonomi”, locali, appartenenti all'ente, non eteronimi [4].
Non si auspica certo che l'esperienza e il patrimonio di professionalità acquisito in svariati decenni dai segretari sia disperso. Probabilmente il segretario comunale, configurato così come oggi, rimarrà un supporto fondamentale in particolare per i comuni di dimensioni medio piccole, nei quali difficilmente è possibile rinvenire personale dirigenziale dotato delle esperienze, della formazione, della visione proprie dello sterminato capitale di preparazione che è proprio dei segretari comunali.
E' il modello di gestione dei segretari, non il bisogno di tale figura professionale, che può essere messo in discussione dalla riforma della Costituzione. Insomma, è l'Agenzia, il sistema di selezione e di assegnazione agli enti locali che, contrariamente a quanto afferma la tesi opposta, appare contrastare pienamente con il nuovo ordinamento.
Contestata la necessità delle figura del segretario come polo di attrazione obbligato dell'esercizio di una serie di funzioni organizzative, occorre ora verificare la correttezza delle affermazioni secondo le quali comunque, al di là della necessità del segretario, tale figura o analoghe debbano necessariamente essere regolamentate con legge dello Stato.
Eliminata la tesi che riconduce la competenza alla legge statale, in quanto non è corretto sostenere che le funzioni del segretario possano coincidere con le “funzioni fondamentali” di cui all'articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione, si ritiene possibile, tuttavia, individuare nella legge dello stato la fonte della disciplina della figura del segretario comunale in base alle seguenti considerazioni:
1) l'Agenzia per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali è da considerare un ente pubblico nazionale;
2) la disciplina dell'Agenzia, pertanto, deve essere posta da una legge dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettera g), della Costituzione;
3) la funzione del segretario comunale può essere riconnessa alla disciplina dei controlli sostitutivi previsti dall'articolo 120 della Costituzione, assegnando, pertanto, al segretario ancora una volta i compiti di “emissario” del governo nazionale, ai fini della garanzia dell'unitarietà amministrativa.
La poca fondatezza di simile tesi appare
evidentissima. Non solo perchè riporterebbe indietro i segretari all'esercizio
di una funzione eliminata dalla legge 127/
In effetti, proprio la base del ragionamento di tale tesi, non regge. Infatti, si vorrebbe individuare nella struttura “nazionale” dell'Agenzia la fonte per una disciplina omogenea su tutto il territorio della Repubblica.
Ma tale opinione non regge. Posto che il segretario svolge una funzione gestionale (specificamente in staff agli organi di governo) interna, e posto che si tratta di una funzione nell'ambito di amministrazioni locali, ciò che stride con la Costituzione e l'esaltazione delle autonomie territoriali è proprio l'esistenza di un sistema nel quale una figura centrale dell'esercizio delle funzioni gestionali degli enti locali è gestita con legge dello Stato da un ente statale, quando la logica stessa della riforma della Parte II del Titolo V porterebbe a ritenere che la struttura di riferimento per i segretari comunali debba essere necessariamente locale, al massimo a livello regionale, perchè, come si vedrà, è da rinvenire nella legge regionale la fonte normativa che può disciplinare tale figura nel rispetto dell'attuale testo costituzionale.
Infatti, la lettera g) dell'articolo 117, comma 2, della Costituzione, non si limita a prevedere una competenza legislativa statale con riferimento allo Stato ed agli enti pubblici nazionali, ma pone in rapporto tale competenza con “l'ordinamento e l'organizzazione amministrativa” di tali enti. Pertanto, la legge dello Stato disciplina gli uffici-organi statali nell'ambito della più amplia disciplina dell'ordinamento di tali enti.
Ma la legge statale può intervenire esclusivamente nell'ambito dell'ordinamento e dell'organizzazione statale e degli enti nazionali: non può, invece, più regolamentare l'ordinamento e l'organizzazione delle regioni e degli enti locali, perchè il testo dell'articolo 117 della Costituzione induce a ritenere che tale “materia” sia preclusa.
Prendendo atto di questa conclusione, allora parte della dottrina che intende rilevare comunque una competenza della legge statale [5] trova un altro appiglio. Se la legge dello Stato, a mente dell'articolo 117, comma 2, lettera p), è, comunque, competente a determinare gli organi di governo e, dunque, i loro poteri, la medesima legge potrebbe anche determinare il confine oltre il quale gli organi di governo non possano svolgere azioni di amministrazione diretta. La legge dello Stato, allora, dovrebbe attribuire ai professionisti della p.a. uno spazio costituzionalmente garantito di compimento di funzioni gestionali non politiche.
Ma proseguendo oltre in questo compito, la legge statale potrebbe anche prescrivere che “determinati atti e attività, a garanzia dell’imparzialità della p.a. - siano affidati ad un professionista iscritto in uno speciale albo, forte di una specifica formazione professionale, inserito in un contesto di “autogoverno professionale” che favorisca la circolazione di esperienze e best practices in ambito nazionale”.
Tale affermazione, tuttavia, non si rivela,
ancora una volta persuasiva, perchè tautologica. E' assolutamente evidente che
le funzioni gestionali, alla luce degli articoli
1) dovrebbe valere non solo per il segretario comunale, ma per tutta la dirigenza locale;
2) se valesse, comunque, anche solo per il segretario comunale, non si risolverebbe l'antinomia derivante da:
1.l'assenza di una competenza della legge statale a disciplinare l'ordinamento organizzativo interno degli organi gestionali degli enti locali;
2.la contraddizione tra l'affermazione costituzionale di una maggiore autonomia organizzativa e il perdurare di una figura di matrice statale nell'ordinamento locale.
Autorevole dottrina [6] ha affermato la legge statale, dopo la riforma della Costituzione, non dovrebbe più condizionare in modo così pervasivo e puntuale l'assetto organizzativo gestionale, come prevede adesso il testo unico, la cui attuale disciplina dell'ufficio del segretario appare poco plausibile, in relazione alla nuova configurazione delle autonomie locali.
Tale dottrina giunge alla conclusione che la regolamentazione interna degli organi gestionali, a ben vedere, dovrebbe essere integralmente rimessa allo statuto ed ai regolamenti, intravedendo una “riserva statutaria” nell'articolo 114, comma 2, della Costituzione [7].
Anche se tale ultima affermazione non appare
condivisibile, come si chiarirà di seguito, appare invece corretta
l'evidenziazione dell'incompatibilità tra l'assetto istituzionale locale
derivante dalla legge costituzionale 3/
In realtà, non pare si possano trovare argomentazioni sufficientemente fondate per negare che l'attuale configurazione del segretario comunale (come della dirigenza) possa essere fortemente messa in discussione, da parte della fonte che detiene, ai sensi della Costituzione, il potere di intervenire in materia.
Tale fonte non è sicuramente la legge dello Stato, perchè la materia dell'ordinamento e dell'organizzazione amministrativa degli enti locali non è attribuito alla potestà della legge statale, né esclusiva, né concorrente, ma ricade necessariamente nella potestà legislativa regionale.
E', d'altra parte, ancora una volta da escludere che in merito all'assetto ordinamentale amministrativo possa rinvenirsi una riserva normativa agli statuti locali. Non solo perchè tale riserva non è affatto prevista dalla Costituzione, che si è limitata a riconoscere la potestà statutaria, senza individuarne, né tanto meno riservarne, contenuti normativi tipici, in modo tale da escludere ogni possibilità di intervento normativo di altre fonti.
Al contrario, il comma 4 dell'articolo 117 della Costituzione assegna alla legge regionale la potestà legislativa per “ogni altra materia non espressamente riservata alla legge dello Stato”.
Ciò significa che la Costituzione attribuisce senz'altro alla legge regionale una potestà legislativa quanto meno (ma in realtà è una potestà generale) laddove si prevedano nella Costituzione stessa riserve di legge. Ed è il caso dell'articolo 97 della Costituzione. L'assetto ordinamentale amministrativo delle amministrazioni pubbliche deve necessariamente trovare almeno nei principi la sua fonte nella legge. Sarà la legge statale per le amministrazioni statali e per gli enti pubblici nazionali. Non può che essere la legge regionale per gli altri enti, ivi compresi gli enti locali.
Alcuni sostengono che questa, in verità inevitabile, conclusione leda il principio di equiordinazione tra enti territoriali contenuto nell'articolo 114 della Costituzione.
Non si può, però, condividere tale posizione che appare eccessivamente radicale, dal momento che rischia di giungere a conclusioni aberranti: ovvero, che tutti gli enti territoriali sarebbero dotati di pari potestà normative, in conseguenza della pari dignità istituzionale.
Ma, come anche avverte acuta dottrina [8], alla tesi che vede equiordinate e dotati di medesimi poteri normativi Stato, regioni ed enti locali si può solo riconoscere la suggestione che ne deriva, non la corrispondenza alla realtà normativa.
Non è dato riconoscere, infatti, nelle geometrie delle competenze tra enti territoriali fissate dalla Costituzione un pluralismo paritario, che assegni a ciascuno una medesima forza normativa, distinta solo per materie.
V'è ancora una chiara gerarchia delle fonti di carattere verticale. La legge è ancora in modo evidente posta in posizione di preminenza rispetto alle altre fonti, regolamentari ma anche statutarie, in particolare laddove la Costituzione ponga riserve di legge, che di per sé escludono l'intervento di ogni altra diversa fonte, nella misura in cui non sia la legge medesima ad ammetterlo, qualora la riserva sia solo relativa.
Se così è, allora poiché la potestà legislativa è assegnata dall'articolo 117, comma 1, della Costituzione solo a Stato e regioni, solo questi enti dispongono del potere normativo più intenso e preminente. Non gli enti locali, che dispongono di una potestà statutaria e regolamentare condizionata dalla legge, ed in grado di operare nel rispetto del principio di legalità, oltre che degli altri principio costituzionali.
Pertanto, poiché l'articolo 97 riserva alla legge la materia dell'ordinamento e dell'organizzazione degli uffici pubblici, trattandosi di uffici non statali, solo la legge regionale può dettare una disciplina in tal senso. L'articolo 114 della Costituzione consiglia un intervento normativo di soli principi, sintentico e “leggero”, per dar modo all'autonomia statutaria e regolamentare di porre in essere un'organizzazione realmente tagliata sulla specifica realtà locale.
Ma nulla potrebbe impedire alla legge regionale di disciplinare con modalità nuove i criteri generali organizzativi dell'apparato amministrativo locale. Modificando in modo sensibile proprio le figure dirigenziali, non escludendo i segretari comunali.
E' fortemente auspicabile che ciò non avvenga sopprimendo sic et simpliciter la figura, ma andando ad un regime normativo compatibile con la maggiore autonomia organizzativa locale e che, dunque, rinunci alla configurazione “statale” dell'ordinamento dei segretari o delle figure di vertice che svolgeranno tale funzione.
Un'ultima annotazione, infine. Dovesse essere approvata la riforma della riforma della Costituzione, come proposta di recente dal Governo, ogni tesi tendente a rinvenire nella legge dello Stato la fonte della disciplina dei segretari comunali cadrebbe inevitabilmente. Infatti, la nuova versione dell'articolo 117, comma 2, della Costituzione attribuirebbe alla potestà esclusiva dello Stato la competenza in merito “all'ordinamento generale elettorale degli organi di governo e delle funzioni fondamentali” degli enti locali. Cioè, la legge dello Stato si interesserebbe esclusivamente della normativa elettorale e della forma di governo degli enti locali. Ma la regolamentazione delle competenze degli organi, sia di governo che gestionali, non sarebbe certamente più oggetto della legge statale.
[1] R. Gracili, L. Mele, Il segretario comunale e provinciale dopo la riforma costituzionale, in www.noccioli.it/riflessioni/riflessioni13.htm
[2] P. Barrera, A cinque anni dalla riforma: I segretari degli enti locali nella Costituzione del federalismo, in www.pubblicaamministrazionelocale.it
[3] Vedasi ad esempio G. Rolla, T. Groppi, L'ordinamento dei comuni e delle province, ed. Giuffrè, Milano 2000, pag. 57,
[4] In tal senso anche la dottrina che individua, comunque, nella legge dello Stato la fonte di disciplina dei segretari comunali, ammette la possibilità teorica di un diverso modo di svolgere le funzioni amministrative dei segretari: P. Barrera, cit.
[5] P. Barrera, cit.
[6] A. Corpaci, L'incidenza della riforma del Titolo V della Costituzione in materia di organizzazione amministrativa, in Il Lavoro nelle pubbliche amministrazioni – Il nuovo Titolo V della Costituzione Stato/Regioni e Diritto del lavoro, pag. 46.
[7] Contra: L. Oliveri, Organizzazione degli uffici degli enti locali e norme cedevoli alla luce della legge 3/2001, in www.giustamm.it
[8] A. Mozzati, I controlli sugli atti degli enti locali dopo la modifica del Titolo V della Costituzione: problemi attuali e prospettive di riforma, in http://dbase1.ipzs.it/fcgi-free/db2www/corte/corte.mac/dottrina