Giustizia amministrativa

Legislazione italiana

 Pietro Virga
(Professore emerito di diritto amministrativo)

La responsabilità disciplinare (*).

(*) Sintesi della relazione al 44° Convegno di studi amministrativi - Tremezzo 17-19 sett. 1998.

1. La privatizzazione della materia disciplinare. - Dall'art. 2 comma 1 lett. c) della legge delega, che ha ribadito il disposto della legge quadro, poteva desumersi che la materia delle responsabilità disciplinari dovesse rimanere regolata dalle fonti pubblicistiche e, in particolare, dal testo unico degli impiegati civili dello Stato (art. 78-123) e che le relative controversie dovessero rimanere sottratte al giudice del lavoro.

Senonchè la legislazione successiva si è orientata in senso diametralmente opposto, come si desume dagli artt. 20 e 59 del D. lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 e, sopratutto, dall'art. 74 dello stesso decreto, che addirittura ha abrogato l'art. 2 della legge quadro, senza peraltro preoccuparsi di abrogare le successive norme conseguenziali.

Manca peraltro una norma di legge delega che espressamente devolva la materia disciplinare alla contrattazione collettiva; nè a tale lacuna ha supplito la nuova delega conferita dalla L. 15 marzo 1997 n. 59, perchè quest'ultima si è limitata solo al tema del codice di comportamento (art. 11 comma 4 lett. i) (1).

Tuttavia nei tempi più recenti si è registrata una inversione di tendenza, in quanto il legislatore si è visto costretto ad intervenire per porre rimedio alla inefficacia dell'apparato sanzionatorio e alle disfunzioni della nuova procedura. E' significativo a questo proposito che almeno per due principali oggetti dell'area disciplinare e cioè per i rapporti fra procedimento penale e procedimento disciplinare e per l'applicazione della misura della sospensione cautelare il legislatore ha ritenuto indispensabile riappropriarsi del suo potere normativo, come risulta dal disegno di legge anti-corruzione approvato dalla Camera ed attualmente all'esame del Senato.

Si è molto discusso sulla natura di tale "codice" (2), approvato nelle forme di un "regolamento", sostenendosi da alcuni la sua natura "etica" e da altri la sua natura propriamente "disciplinare", nel recente decreto 80/98, formulato un apposito articolo (art. 27), che è uno dei più pasticciati del decreto stesso.

Tale articolo, dopo di avere solennemente riaffermato la piena efficacia del codice di comportamento, quale definito dal Dipartimento della funzione pubblica sentite le organizzazioni sindacali e dopo di avere riconfermato l'obbligo della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e della consegna al dipendente all'atto della assunzione, prevede una revisione dinamica del "codice" attraverso due azioni, una affidata alle pubbliche amministrazioni, che sono abilitate a formulare proposte di modifica e di coordinamento e un'altra affidata all'organo di vertice, che ha l'obbligo di implementare (rectius attuare) il sistema. Infine è stata addirittura prevista una procedura di verifica per elaborare integrazioni e specificazioni.

Concludendo, la devoluzione della materia delle infrazioni e delle sanzioni alla contrattazione collettiva suscita forti perplessità, sia per il fatto che si abbandona alla negoziazione una materia così delicata come quella della definizione dei doveri del pubblico impiegato nei confronti della p.a., sia per il fatto che molti degli illeciti costituenti infrazioni disciplinari costituiscono anche fatti penalmente rilevanti, la cui definizione è riservata al legislatore (3).

2. Infrazioni e sanzioni. - Sono state previste le seguenti sanzioni: multa (che sostituisce la riduzione dello stipendio), sospensione dal lavoro e dalla retribuzione (che sostituisce la sospensione) e infine licenziamento (che sostituisce la destituzione) e che, a sua volta, può essere con preavviso o senza preavviso.

In realtà, le sanzioni sono assai più miti che per il passato, perchè la sospensione dal servizio (sostituita dalla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione) scende da sei mesi a dieci giorni e la riduzione dello stipendio (sostituita dalla multa), che prima poteva arrivare ad un quinto dello stipendio mensile, è ora limitata ad appena quattro ore di retribuzione.

Non deve poi indurre in errore la previsione di un licenziamento senza preavviso quale massima sanzione esplusiva, perchè tale licenziamento è previsto per l'ipotesi per la quale in passato si prevedeva addirittura la decadenza per abbandono arbitrario dell'ufficio.

Il nuovo ordinamento non riconosce più il principio della "doverosità" nella applicazione della sanzione (nullum crimen sine lege). Non esiste quindi più una obbligatorietà della azione disciplinare analoga alla obbligatorietà della azione penale (4). Aggiungasi che è stato introdotto il nuovo istituto della "riduzione della sanzione su richiesta dell'incolpato", secondo il quale "con il consenso del dipendente, la sanzione applicata può essere ridotta" (art. 59, 6° comma D. lgs 29/93).

3. Procedimento. - Nel nuovo ordinamento, il procedimento è estremamente semplificato, perchè, essendo stata soppressa la commissione di disciplina, tutte le operazioni sono rimesse all'ufficio di disciplina. Quest'ultimo contesta l'addebito, istruisce il procedimento ed applica la sanzione, salvo che si tratti di rimprovero o di censura, nel qual caso il capo ufficio provvede direttamente.

Tale unificazione delle due funzioni rinnega il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui costituisce vizio della procedura la circostanza che dell'organo giudicante facciano parte coloro che hanno compiuto atti istruttori del procedimento disciplinare (5).

4. Termini. - Trascorsi quindici giorni dalla convocazione, la sanzione viene applicata nei successivi quindici giorni, mal si concilia con l'art. 7, 5° comma dello statuto dei lavoratori (espressamente richiamato nello stesso art. 59), che sembrerebbe imporre un termine minimo di soli cinque giorni dalla contestazione dell'addebito per effettuare la "convocazione" (6).

Secondo l'interpretazione che è stata data nei contratti collettivi (art. 24 c.c. ministeri, art. 24 c.c. enti locali, art. 27 c.c. enti pubblici), le due norme vanno coordinate nel senso che la convocazione per la difesa non può avvenire prima che siano trascorsi cinque giorni lavorativi dalla contestazione. Trascorsi inutilmente 15 giorni dalla convocazione per la difesa del dipendente, la sanzione può essere applicata nei successivi 15 giorni.

In definitiva, il legislatore ha posto un doppio limite: non si può applicare la sanzione prima di cinque giorni dalla contestazione (art. 7, 5° comma St. lav.) e dopo 30 giorni. I termini, come previsti dall'attuale sistema appaiono eccessivamente rigidi, perchè potrebbe presentarsi l'esigenza di un termine più lungo, allorchè gli elementi addotti dal dipendente a sua discolpa dovessero richiedere ulteriori indagini. Tale rigidità si ritorce contro lo stesso dipendente, perchè quest'ultimo potrebbe avere l'interesse che vengano acquisite le prove delle circostanze e dei fatti invocati a sua discolpa (7).

Più opportunamente l'ordinamento precedente faceva decorrere il termine di decadenza ai fini della estinzione del processo dall'ultimo atto di procedura.

5. Conciliazione e arbitrato. - Tale tentativo di conciliazione raramente potrà sortire esito favorevole, perchè il rappresentante dell'amministrazione, anche se investito di poteri dirigenziali, difficilmente vorrà assumersi la responsabilità di accettare una transazione proposta dal dipendente.

E' fatta salva, in ogni caso, entro venti giorni dalla applicazione della sanzione (8) la impugnazione con ricorso al collegio arbitrale di disciplina, che decide entro 90 giorni dalla impugnazione (9). Il collegio si compone di due rappresentanti dell'amministrazione, e di due rappresentanti i dipendenti ed è presieduto da un presidente esterno alla amministrazione.

A tal fine le amministrazioni stabiliscono, sentite le organizzazioni sindacali, le modalità per la periodica designazione di dieci rappresentanti dell'amministrazione e di dieci rappresentanti dei dipendenti, che, di comune accordo, indicano cinque presidenti. In mancanza di accordo, la amministrazione richiede la nomina di questi ultimi al presidente del tribunale del luogo dove risiede il collegio (art. 59, 8° comma D. lgs. 29/93).

Si è posta la questione se i rappresentanti dell'amministrazione debbono essere nominati direttamente dagli organi di vertice ovvero debbono essere scelti su base elettiva. Alla adozione di quest'ultima soluzione costituiva ostacolo il precetto contenuto nell'art. 8, 1° comma lett. d) del D.Lgs. 29/93, che vietava ai rappresentati sindacali o ai designati dalle confederazioni o associazioni sindacali di far parte di commissioni, ma tale articolo è stato abrogato dall'art. 43 della L. 80/98.

Altro problema che è insorto è quello se debbano essere costituiti collegi differenziati in relazione alle varie categorie del personale, in guisa da garantire che gli arbitri abbiano una conoscenza approfondita della vertenza da decidere.

Il collegio arbitrale deve decidere entro 90 giorni e tale periodo di tempo costituisce anche il limite temporale dell'effetto sospensivo della sanzione per effetto del ricorso al collegio stesso (art. 59, 7° comma ult. parte D. Lgs. 29!93). Tale effetto sospensivo potrebbe essere sfruttato dall'incolpato strumentalmente come mezzo dilatorio per ritardare la applicazione della sanzione.

Il lodo arbitrale non è impugnabile innanzi alla giurisdizione amministrativa (10), essendo solo ammesso ricorso alla Corte di appello per violazione di disposizioni inderogabili di legge e per difetto assoluto di motivazione.

6. Valutazioni conclusive. - La riforma del sistema disciplinare ha indubbiamente conseguito alcuni obiettivi di snellezza e accelerazione che il legislatore si proponeva, ma non ha certo raggiunto l'obiettivo di assicurare la pronta ed efficace azione che al fine di garantire la efficienza dell'amministrazione ed i risultati sono stati deludenti.

Le disfunzioni non sono solo imputabili solo a ritardi ed inadempienze delle amministrazioni, ma sopratutto alla frammentarietà e disorganicità dell'apparato sanzionatorio.

La stessa scarsezza di produzione giurisprudenziale in ordine alla interpretazione delle norme dei contratti collettivi in materia disciplinare rivela che ben pochi sono stati i procedimenti disciplinari che nell'ultimo quinquennio sono stati celebrati e ben pochi sono quelli che si sono conclusi con punizioni di tale gravità da giustificare la impugnazione (11).

Ad alcuni dei più gravi difetti dell'attuale disciplina potrà porre rimedio l'approvazione del disegno di legge anticorruzione, che, già approvato dalla Camera dei deputati è ora all'esame del Senato. Ma l'approvazione di tale disegno di legge non potrà che eliminare alcune delle gravi disfunzioni (per le infrazioni costituenti anche reato), ma lascerà immutata la generale impostazione normativa del sistema disciplinare.

Nel rapporto pubblicistico, manca un "padrone" sollecito a fare rispettare i doveri dei dipendenti e, poichè anche la materia disciplinare è stata devoluta alla competenza dirigenziale, custodi dell'osservanza dei doveri dei dipendenti sono i loro stessi "colleghi", i quali, per colleganza o per connivenza, sono poco disposti ad adottare misure severe per ottenere dai dipendenti il rispetto della legalità.

Se quindi può condividersi la estensione di alcuni principi privatistici nel campo disciplinare (soprattutto per la snellezza e celerità), tuttavia va rilevato che la riforma non può realizzarsi con la automatica sostituzione della disciplina pubblicistica con quella privatistica, sibbene con l'innesto di alcuni principi del diritto del lavoro nella disciplina del pubblico impiego (12).

NOTE:

(1) Dubbi sulla legittimità costituzionale dell'attuale disciplina in materia disciplinare per la mancanza di una norma di legge delega che espressamente devolva la materia alla contrattazione collettiva e per la perdurante vigenza del principio opposto consacrato nelle due leggi fondamentali (legge quadro e legge sulla privatizzazione) sono stati espressi nella deliberazione della Corte dei Conti del 9 maggio 1997 n. 70, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni IV, 289.

(2) Sul codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, Redazione, Il codice di comportamento delle pubbliche amministrazioni, in Rass. Tar 1995, 98; Mainardi e Miscione, Potere e responsabilità disciplinari, in Carinci, Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, Milano 1995, 1032; Viola, La pubblicazione del codice disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, in T.A.R. 1996 II, 75; Vallebona, Il codice di condotta dei dipendenti pubblici e i pericoli di una incontrollata ansia di moralizzazione, in Dir. lav. 1994 I, 211.

(3) In questo senso vedansi le acute osservazioni della citata deliberazione della Corte dei conti del 9 maggio 1997 n. 70.

(4) In questo senso si è orientata la dottrina prevalente, Pellacani, L'applicabilità della statuto dei lavoratori ai rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Padova 1994, 85, Viola, Introduzione minima al diritto disciplinare del pubblico impiego privatizzato, in T.A.R. 1996, 123, Passalacqua, Il potere disciplinare cit. 191. Per il precedente ordinamento invece la dottrina propendeva per la esclusione della discrezionalità, Mor, Le sanzioni disciplinari e il principio "nullum crimen sine lege", Milano 1974; Colalillo, Appunti per uno studio sistematico sulla natura del potere disciplinare, in Riv. amm. 1980, 98 ss.

(5) In omaggio al principio della separazione fra funzione inquirente e funzione decidente, per il precedente ordinamento, non era consentito al funzionario, che si era occupato della istruttoria di un procedimento disciplinare, di partecipare quale giudice alla commissione di disciplina, Cons. Stato VI sez. 18 giugno 1993 n. 444 in C.S. 1993 I, 746.

(6) Varie soluzioni sono state offerte dalla dottrina allo scopo di potere armonizzare le due norme, che appaiono fra di loro contrastanti, Pellacani, L'applicabilità dello statuto dei lavoratori cit. 87; Mainardi-Miscione, Potere e responsabilità disciplinare cit., 1047. Nella prassi si concede un unico termine di venti giorni per la difesa, che decorre dalla data della notifica dell'atto di contestazione; qualora il dipendente non si presenti, il provvedimento deve essere emanato entro i 15 giorni successivi alla data di convocazione, Alberti, L'applicazione del nuovo sistema di disciplina cit. 219.

(7) Sempre in relazione ai termini previsti dalla L. 19/1990 è stata rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale del principio della perentorietà dei termini disciplinari sotto il profilo che la tutela del diritto di difesa sarebbe compromessa da una possibile valutazione "affrettata" dai fatti dovuta alla eccessiva limitazione dei tempi, VI 17 ottobre 1997 n. 1498 in C.S. 1997 I, 1438.

(8) Il termine di venti giorni non può considerarsi di carattere perentorio perché, fra l'altro, si sovrappone all'altro termine per l'esperimento del tentativo di conciliazione, Mainardi-Miscione, Potere e responsabilità disciplinari cit., 1051.

(9) Martinelli, L'arbitrato in materia di impugnativa delle sanzioni disciplinari in Voce 1997 n. 3-4, 234; Armovilli, Brevi considerazioni in merito al collegio arbitrale di disciplina, in Nuova rass. 1997, 1412.

(10) Cons. Stato, VI Sez., 23 novembre 1997 n. 1374 in C.S. 1997 I, 1247.

(11) "La riduzione del contenzioso in materia disciplinare non può non derivare da un atteggiamento mite della amministrazione nel comminare le sanzioni e da una sostanziale disarticolazione della funzione disciplinare. Minimo è il ricorso alla funzione disciplinare e il più delle volte contrassegnato da sanzioni irrilevanti, che non inducono a ricorrere al collegio arbitrale". Corte dei conti, deliberazioni sez. controllo, 9 maggio 1997 n. 70, cit.

(12) "Nel settore disciplinare l'effetto innovativo si realizza mediante la integrazione e non già mediante la automatica sostituzione della disciplina pubblicistica con quella privatistica", Cons. Stato, Sez. II, 22 febbraio 1995 n. 1481 in C.S. 1998 II, 308.