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n. 7-1999 - © copyright.

CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE VI PENALE - Sentenza 22 luglio 1999 n. 9400 - Pres. Trojano, Est.  Ambrosini - PM (difforme): Galgano - Ricorrente: Aresu

Codice penale - Reati contro la P.A. - Omissione o rifiuto di atti di ufficio - Omessa esecuzione di una sentenza del T.A.R.  - Entro un termine congruo - Configurabilità del reato ex art. 328, comma 1, c.p.

L'esecuzione di una sentenza pronunciata da un organo di giustizia amministrativa, a norma dell'art. 328, c. 1, c.p., deve avvenire "senza ritardo" e non può essere dilazionata sine die (1).

La mancata esecuzione dal parte dell'Autorità amministrativa di una decisione del giudice amministrativo entro un termine ragionevole costituisce rifiuto di atto dovuto per ragioni di giustizia e integra pertanto il reato di cui all'art. 328, comma 1, c.p. (2).

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(1 e 2) Alla stregua del principio nella specie la Corte ha ritenuto che doveva ritenersi ragionevole per l'esecuzione di una sentenza che aveva annullato una concessione edilizia il "lasso di tempo intercorrente fra il ricevimento formale della notizia della decisione del TAR, il decorrere dei termini per l'impugnazione di essa, e la prima riunione della giunta comunale: tempi che si esauriscono ragionevolmente in 120, al massimo in 180 giorni".

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza 22/5/1998 riformava la sentenza 26/6/1996 del Tribunale di Tempio Pausania nei confronti di Aresu Severino (con la quale il medesimo veniva assolto dal reato di cui all'art. 328 c.p. perché il fatto non costituisce reato) dichiarando non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione.

La sentenza rileva la sussistenza del reato, in quanto l'imputato nella sua qualità di sindaco del Comune di Palau doveva ottemperare alla decisione 7 febbraio 1989 del TAR della Sardegna, ma determina la data di consumazione del reato allo scadere dell'anno da tale pronuncia.

Ricorre il P.G. presso la Corte d'appello di Cagliari per violazione di legge in quanto la sottrazione all'ottemperanza della decisione dell'organo di giustizia amministrativa doveva considerarsi realizzata fino al momento della cessazione dell'imputato dalla carica di sindaco, ossia fino al 25/3/1992.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'atto di ufficio di cui si tratta è innegabilmente dovuto "per ragioni di giustizia", posto che esso è conseguenza di un provvedimento pronunciato dall'organo di giustizia amministrativa, e comunque il punto è estraneo al ricorso. Il suo compimento, a norma dell'art. 328, c. 1, c.p., deve avvenire "senza ritardo".

E' vero che tale locuzione si presta a molteplici interpretazioni in vista della sua genericità, a differenza di quanto stabilito nel comma 2 dell'art. 328 c.p. che fissa il termine perentorio di giorni 30 dalla richiesta di chi vi abbia interesse. Ma è altrettanto vero, pur non stabilendo la decisione del T.A.R. alcun termine ed essendo tempi e modi di esecuzione rimessi alla discrezionalità amministrativa, che l'esecuzione di una pronuncia dell'organo di giustizia amministrativa non può essere dilazionata sine die.

E' necessario, pertanto, considerare in concreto quale tipo di atto doveva essere compiuto dal pubblico ufficiale.

Nella specie si tratta di una concessione edilizia dichiarata nulla dal T.A.R., alla quale doveva immediatamente seguire (a prescindere dalla pendenza o meno di istanze di condono) un ordine di demolizione o di riduzione in pristino dei luoghi.

I tempi per assumere una siffatta delibera (salva la esecuzione materiale delle opere necessarie, questa si subordinata ad esigenze di natura tecnica), sono quelli intercorrenti fra il ricevimento formale della notizia della decisione del TAR, il decorrere dei termini per l'impugnazione di essa, e la prima riunione della giunta comunale: tempi che si esauriscono ragionevolmente in 120, al massimo in 180 giorni.

La Corte d'appello ha dilatato questo termine in un anno sulla base di un criterio di "congruità", come tale non sindacabile sotto il profilo di legittimità.

Per contro il criterio invocato dal P.G. nel suo ricorso, ossia che il reato si sia consumato allo scadere dell'imputato dalla carica di sindaco, non appare altrettanto "congruo" e al limite si profila pericoloso sotto il profilo interpretativo, in quanto potrebbe legittimare sine die il rifiuto a compiere l'atto di ufficio subordinandolo alla durata in carica del pubblico ufficiale.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

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